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Testo
GIOSUE' CARDUCCI (1835 Valdicastello,vicino Lucca – 1907 Bo)
1838 si trasferirono nella Maremma pisana xkè il padre medico era un carbonaro e fu scoperto, qua Carducci trascorse l'infanzia a contatto con la natura e i contadini e con gli insegnamenti paterni (biblioteca classica:dante omero,virgilio,tasso,ecc.Costretto a leggere Manzoni e studiare latino).
1849 la famiglia va a Fi, dove il poeta studiò presso i padri Scolopi.
1853 Vinse il concorso per frequentare la Scuola Normale di Pisa conseguendo la laurea in Filosofia e Filologia nel 1856.
Incominciò la carriera di insegnante al ginnasio di San Miniato per un annetto. Andò poi a Fi per curare la collana dei classici per l’editore Barbera.
1857 in questi stessi anni pubblica le sue prime prove poetiche nella raccolta : “Rime di S.Miniato” e fa amicizia con altri intellettuali, che scherzosamente vollero chiamarsi "Società degli amici pedanti", dando così il via alla sua prima polemica antiromantica.
1857 Suicidio del fratello Dante, 1858 la morte del padre e il matrimonio 1859 lo videro impegnato a provvedere alla madre e alla moglie e non gli consentirono quindi, con suo profondo rammarico, di partecipare alla seconda guerra d'Indipendenza (1859) e alla spedizione dei Mille (era un fiero repubblicano).
1860-1904 fu nominato dal ministro della Pubblica Istruzione Mamiani, per la sua fama di studioso e poeta, professore di Eloquenza italiana all'Università di Bologna; abbandonò a causa delle precarie condizioni di salute.
Nei primi anni bolognesi abbandonò la poesia, si iscrisse alla massoneria e lesse scritti di Mazzini, Voltaire, Hugo. Posizione solida contro la chiesa, la monarchia, istituzioni nate nel risorgimento. Atteggiamento ideologico di marca giacobina, anarchica, atea, anticlericale, socialista.
1863 Tutto l’odio per la chiesa si espresse con l’opera “Inno a Satana” pubblicata con uno pseudonimo, sospeso per 2 mesi dall’università.
1868 Pubblica la raccolta poetica “Levia Gravia” opere di argomento leggero e serio.
1870 Muore la madre e il figlio Dante di 3 anni. Inizia una relazione con una donna che nelle sue poesie chiamerà Lina o Lidia. Inizio cambiamento ideologico, deluso dalla Sinistra e dalla massoneria si riavvicina alla monarchia e diventa un conservatore e ammiratore di Crispi che appoggiò pubblicamente.
1878 Ode alla regina Margherita. Raccolta poetica “Odi Barbare”.
1882 Convoca a Bologna per l’8° centenario dell’università i sovrani. Raccolte poetiche “Nuove Odi Barbare” e “Giambi ed Epodi”.
1887 Raccolta poetica “Rime Nuove”.
1889 Raccolta poetica “Terze Odi Barbare”.
1890 Nominato senatore del regno.
1899 Raccolta poetica “Rime e Ritmi”.
1906 Premio Nobel per la letteratura.
Carducci rifiutò la letteratura tardo-romantica, poiché scorse un vuoto sentimentalismo e una fiacchezza interiore indegni della nostra tradizione. Nella sua polemica giunse ad avversare i manzoniani quali sostenitori di un linguaggio troppo "popolare" e a farsi "scudiero" dei classici, che il conformismo romantico considerava superati. L'asprezza della polemica anima non solo i suoi primi scritti critici, ma anche le sue ultime raccolte di versi: "Juvenilia", "Levia Gravia" e "Giambi ed Epodi"; in questi ultimi è evidente anche la sua passionale partecipazione agli avvenimenti politici spesso contraddittori e non gloriosi dell'Italia che aveva da poco raggiunto la sua unità. La polemica assume spesso i toni dell'invettiva, ma c’è anche un elemento nuovo: l'interesse per la storia che egli vide come un vasto poema epico-drammatico nel quale si affermano nei secoli, gli ideali di giustizia, di fraternità, di libertà e di patria, grazie a una forza provvidenziale che egli, come Mazzini, sente agire nelle vicende dei popoli. E' una visione romantica della storia, ma per Carducci sembrò frutto dell'insegnamento della classicità, da lui sentita come la tradizione più genuina del popolo italiano che in Roma ha sempre visto la città ispiratrice dell'Italia gloriosa del passato (quella latina, comunale e risorgimentale) e che ancora da essa doveva trarre incitamento per l'Italia nata dal Risorgimento, poiché la Città Eterna, attraverso le sue maestose rovine, è ancora capace di spronare gli Italiani a essere degni continuatori della grandezza antica.
In tal modo il Carducci si prefiggeva di essere il "vate (indica con la poesia la strada da seguire,guida morale della nazione) della terza Italia", dopo quella latina, dopo quella dei Comuni e del Rinascimento. Così, mentre la poesia più originale del secondo Ottocento trovava espressione attraverso Verga e il Verismo, Carducci si rifaceva all'epica.
CLASSICISMO CARDUCCIANO
Classici latini e greci la cui parola era netta, chiara nel messaggio e una tecnica mai fine a se stessa.
VITALISMO = energia, forza, virilità espressioni della dirittura della morale interiore.
CULTO DELLA POESIA CLASSICA COME TECHNE = operazione nella quale i motivi ideali e ispiratori dovevano essere lavorati per dar vita al messaggio poetico
Giambi ed Epodi 32 poesie scritte tra 1867-1879 polemica per la situazione politica italiana. Critica il tradimento degli ideali risorgimentali, le sconfitte militari di Lissa e Custoza, gli interventi per impedire a Garibaldi di conquistare Roma (Aspromonte e Mentana). È contro l’ITALIETTA debole e fiacca dei romantici, ed è invece per la rivoluzione francese, giacobina, mazziniana. Nella poetica antica GIAMBO = verso dell’invettiva e della polemica EPODO = componiemento satirico e morale.
Tiene a modello i francesi Hugo e Barbier, e come scopo ha quello di fare poesie che colpiscano con la loro eloquenza i vari bersagli da lui criticati.
Lessico diretto, concretto, violentemente realistico per descrivere la violenza della satira.
Rime Nuove (Traversando la Maremma Toscana e Pianto Antico) 105 poesie scritte tra 1861-1887 temi diversi : paesaggi maremmani nella memoria, rievocazione epica della storia, ricordi autobiografici, ecc. Rispetto a Giambi, è più orientata alla vita affettiva del poeta (morte, buio, richiamo dei morti sempre ricorrente per C). Ci sono anche traduzioni di testi romantici europei ai quali si stava aprendo, come quelli di Goethe, Heine, ecc.
Il titolo indica l'imitazione da parte di Carducci della metrica e della migliore lirica tradizionale italiana (nuova, rispetto a quella greco - latina, classica in contrapposizione a quella sentimentale-romantica di Prati e Aleardi).
Odi Barbare (Nella piazza di San Petronio) ’77,’82,’89 poi ripubblicate insieme nel ‘93 sono 50 poesie celebrative o personali.
Il titolo indica il tentativo di far coincidere la metrica italiana, basata sull'accento naturale delle parole, con quella greco-latina (classica), basata sulla"quantità" o durata delle sillabe, che possono essere "lunghe" o "brevi": il poeta chiama "barbare" le sue odi, perché se potessero essere ascoltate da un greco o da un latino del mondo classico, apparirebbero "straniere", cioè non perfettamente realizzate. Lui però seguì la strada dei poeti 600-700 : partendo dal ritmo della poesia classica cercare di riprodurlo combinando versi italiani già esistenti → sperimentazione di forme nuove, lontane dalle nostre metriche.
Rime (metrica italiana) e ritmi (metrica barbara) ‘87-‘99 sono 29 poesie celebrative, paesaggi e personali intimistiche, questa volta più malinconiche.
Il Dissidio Romantico tra "SOLE" e "OMBRA"
La critica recente ha dato rilievo alle liriche carducciane di contenuto autobiografico, nelle quali il poeta, mantenendosi sempre lontano dal sentimentalismo dei tardo-romantici, esprime con uno stile originalissimo, vigoroso ed elegante nello stesso tempo, ora una visione luminosa, gioiosa, solare della vita, ora una tristezza pensosa, virile. Anzi il Binni ha individuato il miglior Carducci in un dissidio romantico, in un contrasto, cioè, tra vita e morte, luce e tenebra, "sole" e "ombra", parole del resto ricorrenti all'interno di una stessa poesia carducciana.
Possiamo cogliere il contrasto romantico carducciano tra "sole" e "ombra" nelle memorie di paesaggio come il sonetto "Traversando la maremma toscana", attraverso la quale il poeta passa in treno, e l'odicina "San Martino" di "Rime nuove"; nelle memorie autobiografiche per la morte del figlioletto Dante, morto a tre anni nel '70 per epidemia difterica (l'unico figlio maschio fra tre femmine) nell'odicina "Pianto antico", pure di "Rime nuove".
Un contrasto più accentuato tra "sole" e "ombra", con un netto prevalere di quest'ultima e quindi con un senso così smarrito e inquieto dell'essere e con situazioni simboliche e irrazionalistiche così sofferte da far pensare a certa poesia decadentistica, lo troviamo in "Alla stazione in una mattina d'autunno" (triste addio del poeta a una donna da lui amata in età matura) e in "Nevicata" (mesto e al tempo stesso virile addio del poeta alla vita, espresso con immagini, simboli e analogie eccezionalmente allusive). "Nevicata", coi suoi distici elegiaci (ogni primo verso, l'esametro classico, è reso con un settenario e un novenario; ogni secondo verso, il pentametro classico, è reso con due settenari tronchi), è peraltro l'unico tentativo, in tutta la poesia del Carducci, di realizzare con maggiore esattezza la metrica classica: entrambe le liriche appartengono a "Odi barbare".
GIOVANNI PASCOLI (1855 San Mauro di Romagna Forlì -1912 Bo).
1862 (7anni)-71 studiò a Urbino con due fratelli, nelle scuole dei padri Scolopi.
10 agosto '67 il padre, agente dei prìncipi Torlonia, fu assassinato da ignoti. Iniziò così per la sua famiglia un periodo di miseria e di lutti.
‘68 morirono una sorella, la madre e due fratelli. Questa precoce esperienza di dolore si trasfigurerà poi liricamente nel mito famigliare del "nido".
‘73 muore il fratello Luigi compagno di studi a Urbino
‘73 Vinta una borsa di studio su Manzoni, si iscrisse all'università di Bologna, dove ebbe come insegnante Carducci.
'76 la morte del fratello maggiore Giacomo lo scosse profondamente e lo fece diventare un ribelle contro l'ingiustizia umana, provata fin dall'assassinio impunito del padre. Strinse amicizia con Andrea Costa e partecipò ai primi moti socialisti facendone propaganda sui giornali.
'79 in seguito a dimostrazioni socialiste, finì in carcere per tre mesi, dal quale uscì completamente mutato, desideroso di ricostruire il focolare domestico con le sorelle rimaste.
’82 finalmente si laurea dopo 9 anni.
’82-‘84 insegna latino e greco a Matera.
’84-‘87 insegna a Massa.
’87-‘95 insegna a Livorno ma vuole tornare a Bologna.
’84-‘90 collabora alle riviste Marzocco e Vita Nuova dove il 10 agosto 90 scrisse 9 poesie col titolo di MYRICAE
‘91 Amsterdam vince il concorso di poesia latina, con quei soldi tira avanti x ben 13 anni.
‘93 Roma per far parte di una commissione di studio sull’insegnamento delle materie classiche ‘94 commissione sui libri di testo, fa amicizia con Chiarini,D’An e De Bosis fondatore del Convito sul quale nel ’95 pubblicherà : poemi conviviali.
‘95 matrimonio della sorella che frantumerà di nuovo la "piccola famiglia" faticosamente ricomposta; subito dopo le nozze, realizzerà il sogno di andare a vivere in campagna, affittando e poi acquistando una casa a Castelvecchio in provincia di Lucca, dove realizzerà il suo mito del "nido" con la sorella Maria.
E nominato professore di Grammatica greca e latina a Bo, xo era subordinata a quella di Letteratura latina e P ne risentiva il peso, xcio accettò la nomina di professore di Letteratura Latina a Messina
’98-02 A messina da una nuova immagine di se, quella di POETA VATE CIVILE E UMANITARIO impegnato nell’annunciare l’avvento del socialismo patriottico.
’03-05 Pisa
’05-11 Bologna come successore di C, ma non ne fu contento, xke nonostante gli fosse grato x averlo aiutato lo odiava, era troppo diverso da lui, non fu capace di sostenere il ruolo di poeta-vate.
Fanciullino 97 tema del nido. Tipicamente decadente, parte dalla considerazione che il Positivismo ha completamente fallito nei suoi scopi e che la scienza ha reso ancora più inconoscibile il mistero, togliendo le speranze religiose. E' rimasta solo la poesia che ha la capacità di confortare l'uomo che può regredire sino all'infanzia, cioè avere una rivelazione ingenua e immediata del mistero senza l'intervento della riflessione e il sostegno della cultura o di una filosofia. Poesia di oggetti ogni parola ha un significato che gli diamo noi, in base al sentimento. Poesia rinunzia rispecchiare la realtà senza imporre un punto di vista, non descrivere lui ma far parlare le cose→ superamento e rifiuto quindi del classicismo. Rifiuta anke il romanticismo, ossia parlare di se.
Raccolte poetiche MYRICAE 91 e CANTI DI CASTELVECCHIO 03 Il titolo è nome latino delle tamerìci, arbusti sempreverdi che, per suggestione di un verso della quarta "Egloga" o "Bucolica" di Virgilio ("Arbusta iuvant humilesque myricae": "Gli arbusti e le umili tamerìci mi piacciono"), il Pascoli ha fatto assurgere a simbolo di una poesia umile, legata alle piccole cose quotidiane, a soggetti modesti e semplici come i bassi cespugli delle tamerìci. Questo stesso verso virgiliano è stato posto dal Pascoli come motto in testa sia alla raccolta "Myricae" sia alla raccolta "Canti di Castelvecchio" per significare la continuità e l'affinità di temi dei due volumetti.
MYRICAE L'assiuolo
Nella particolare musicalità del verso pascoliano notevole peso hanno le cosiddette onomatopee. Onomatopea è il fenomeno che si produce quando i suoni di una o più parole descrivono o suggeriscono acusticamente l'oggetto o l'azione che significano. Spesso l'onomatopea si associa all'armonia imitativa. Per esempio: parlando del pettirosso alla fine di "Arano" di "Myricae", il Pascoli dice che "nelle siepi s'ode il suo sottil tintinno come d'oro". In "L'assiuolo" di "Myricae" il poeta conclude ogni strofa con la voce onomatopeica "chiù", imitativa del canto dell'assiuolo (un uccello rapace notturno simile alla civetta, dal canto lugubre). Tuttavia in questa lirica l'onomatopea si carica di suggestioni simboliche, tanto è vero che, per quanto il suono sia sempre uguale, oggettivamente, esso diventa invece per il poeta, soggettivamente, "una voce" (v. 7), "singulto" (v. 15), "pianto di morte" (v. 23). Nel verso 12 peraltro l'espressione "fru fru" è onomatopeica e suggerisce, col suono delle parole, i rumori percepiti, ma non vuol dire solo "fruscìo", perché il poeta sussulta a quel rumore e, per improvvisa associazione di idee, come fanno comprendere i versi seguenti, egli "vede" gli assassini appostati nei cespugli per uccidere suo padre. Onomatopeici sono anche i versi 19-20: "squassavano le cavallette / finissimi sistri d'argento", ma i "sistri" (strumenti musicali fatti di sottili lamine sonore, usati dagli antichi Egizi nei loro riti religiosi) introducono un'atmosfera di mistero che i versi successivi confermano.
Nella lirica il paesaggio è legato con decisione alla sensibilità decadente. Esso, infatti, è carico di suggestioni simboliche che sfuggono a una interpretazione oggettiva, a un sentimento preciso; le immagini sono evanescenti e il paesaggio è musicalmente colto attraverso alcuni suoi aspetti misteriosi, sognanti, folgoranti con cui il poeta si fonde, fa tutt'uno: "alba di perla", "soffi di lampi" (analogia, panismo), "nebbia di latte", "cullare del mare", "fru fru tra le fratte" (onomatopea, armonia imitativa), "eco d'un grido che fu", "sospiro di vento" (analogia, panismo).
Il mito del nido come rifugio dal turbine della vita angosciosa si esprime talvolta nel Pascoli con l'immagine della "culla", come nel finale di "Il tuono" in cui peraltro il tuono è accompagnato in ogni sua fase dalla onomatopea attraverso il ripetersi delle "r" che ne imitano il brontolìo sordo e il rumore della corsa, e in cui l'intensa forza impressionistica del paesaggio si trasfigura in paesaggio simbolico.
Spesso nel Pascoli del resto le impressioni paesistiche si trasfigurano in paesaggi simbolici, carichi di allusioni arcane, misteriose: ne sono esempi stupendi anche "Il lampo".
Fin dall'inizio della sua esperienza poetica, per esempio in "Novembre" di "Myricae", il Pascoli dà una prova sicura della novità dei suoi procedimenti stilistici e dell'intensità evocativa del suo impressionismo, che non si ferma all'impressione esteriore.
Poemetti (primi,nuovi,e conviviali) tutti quanti con la premessa : PAULO MAIORA → cose un po piu grandi struttura narrativa ciclica, maggiori protagonisti sono i contadini e agli emigranti (Italy). Accentuato il simbolismo e la voglia di rompere la nostra tradizione lirica.
Odi e Inni 96-06 celebrativi e civili storici. Premessa CANAMUS = CANTIAMO.
GABRIELE D'ANNUNZIO (1863 Pescara -1938)
74 studiò nel collegio Cicognini a Prato poi si recò a Roma (81) per compiere gli studi universitari di lettere, ma non li portò a termine.
Pubblicò PRIMO VERE a spese del padre si fece pubblicità dicendo che era morto e poi smenti.
Incominciò ad affermarsi come poeta pubblicando "Canto novo" (1882), volumetto di versi in cui rivelava da una parte una imitazione del Carducci, dall'altra una originale ispirazione sensuale, coloristica, musicale e pànica, come nella breve lirica "O falce di luna calante", che fu messa in musica da vari compositori, fra cui Paolo Francesco Toschi e Ottorino Respighi.
Primo romanzo, "Il piacere" (1889), che, con "A ritroso" del francese Huysmans e con "Il ritratto di Dorian Gray" dell'inglese Wilde, venne considerato una specie di vangelo dell'estetismo decadentistico. In seguito compose altri romanzi, - "Trionfo della morte" (1894), "Le vergini delle rocce" (1896), "Il fuoco" (1900), "Forse che sì forse che no" (1910), nei quali, pur risentendo dell'influenza della scuola psicologica del Bourget, celebrò soprattutto i personaggi che incarnavano il suo ideale di superuomo, cui era giunto attraverso un'adesione superficiale alle teorie del filosofo tedesco Nietzsche (il cui capolavoro è "Così parlò Zarathustra"), dal quale in realtà non derivò il suo mito del superuomo, perché in lui trovò solo conferma ai suoi istinti di bellezza, di piacere e di volontà di potenza.
Sulla base di queste esperienze il D'Annunzio realizzava la sua maggiore poesia, quella delle "Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi", i cui primi tre libri ("Maia", "Elettra" e "Alcyone") furono pubblicati tra il 1903 e il 1904.
Dal 1898 al 1910 il D'Annunzio raggiunse la maturità artistica nella sontuosa villa della Capponcina, a Settignano presso Firenze, in un'orgia di lusso e di lussuria, cui si accompagnò, però, anche una vasta produzione poetica e letteraria. Nel 1910, assillato dai creditori, si rifugiò in Francia, ove rimase fino al 1915 componendo, fra l'altro, in un prezioso francese, il dramma "Le martyre de Saint Sébastien", che fu musicato dal grande musicista francese Claude Débussy, e in italiano il quarto libro delle "Laudi", "Merope" (1912), celebrazione della conquista della Libia da parte dell'Italia, sentita come "super nazione", trasposizione del mito del "superuomo".
Col 1915 inizia un nuovo periodo della vita del D'Annunzio che diventa, in occasione dell'intervento italiano nella prima guerra mondiale (la grande guerra), "eroe", cioè "superuomo", della guerra, richiamando l'attenzione per le sue imprese straordinarie: i primi voli su Trento e Trieste (1915), i bombardamenti di Pola e di Cattaro (1917), "la beffa di Buccari" con un'incursione di "mas" e il volo su Vienna (1918).
A causa di un incidente aereo perdette un occhio e durante la degenza compose la sua opera in prosa più suggestiva, "Notturno" (1916), che rivela un momento di profonda riflessione.
Nel settembre del 1919, alla testa di un gruppo di arditi, prese Fiume e la tenne illegalmente occupata fino al "Natale di sangue" del 1920, quando fu costretto dal governo italiano a sloggiare con i suoi legionari. A Fiume instaurò quella coreografia di parate e di saluti romani che ben presto ispirarono l'Italia mussoliniana.
Il D'Annunzio salutò con entusiasmo l'avvento del fascismo, ma fu messo da parte da Mussolini, nonostante i riconoscimenti ufficiali da lui ricevuti. Incominciò così l'ultimo periodo della vita del D'Annunzio, quello dell'"eroe" o "superuomo" della gloria, che si concluse al "Vittoriale", dove egli, con un linguaggio più raccolto e sobrio e con accenti intimi e pensosi, pur senza rinunciare all'autocelebrazione, continuò il rinnovamento della sua prosa di memorie, iniziatasi con "La contemplazione della morte" (1912), approdata a una felice liricità essenziale nel "Notturno" (1916) e a timbri umani in "La Leda senza cigno" (specie nella "Licenza" che segue il racconto [1916]), e ripresa poi con "Le faville del maglio" (1924-28) e con il "Libro segreto" (1935).
I singoli libri delle "Laudi" ("Maia", "Elettra", "Alcyone" e "Merope") prendono il nome da una delle Pleiadi (gruppo di stelle nella costellazione del Toro).
Alcyone
La migliore raccolta delle "Laudi", perché in essa la poesia si dispiega più ampiamente, senza facili concessioni ai miti superumanistici, è l'"Alcyone" (1904), il terzo libro delle "Laudi". In esso infatti il D'Annunzio coglie in modo autentico ed esprime magistralmente il panismo, la comunione d'anima e di sensi col tutto.
I momenti più alti dell'"Alcyone" sono "La sera fiesolana", "La pioggia nel pineto" e "Meriggio", in cui meglio che altrove si attua il panismo, cioè la partecipazione della vita dell'uomo alla vita della natura e la partecipazione della vita della natura alla vita dell'uomo, per cui si crea una situazione arcana intermedia, dove l'uomo si libera del suo individualismo e la natura perde la sua materialità e immobilità.
Tesina terza media sulla danza