Canto VI Purgatorio Divina Commedia

Materie:Riassunto
Categoria:Italiano
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Testo

Quando alla fine di una partita del gioco di dadi spettatori e giocatori sciolgono il gruppo, da una parte resta triste il perdente, riprovando con nuovi lanci nel tentativo di ottenere un risultato positivo anche se inutile, e malinconicamente impara a sue spese come avrebbe dovuto fare; dall’altra parte invece gli spettatori si aggruppano intorno al vincitore che si allontana con la sostanziosa vincita e con l’orgoglio che gli deriva dalla stessa: c’è chi lo precede, chi lo sollecita afferrandolo per il vestito perché si volti e gli presti attenzione, altri gli si affianca e gli si raccomanda; tutti interessati ad ottenere una mancia da lui, approfittando del suo stato euforico; ma il vincitore non si ferma( solo così può liberarsi dei postulanti) e continuando a camminare presta orecchio a questo o a quello; a qualcuno porge la mano per dargli la mancia e questi soddisfatto cessa di far pressione: così a poco a poco si dissolve la ressa dei postulanti ed il vincitore si allontana dalla folla che gli si stringe attorno. Identica era la mia condizione in mezzo a quella folla di espianti, tutti morti di morte violenta: guardavo ora a destra ora a sinistra, dando ascolto e accogliendo le richieste, e promettendo che li avrei ricordati nel mondo dei vivi riuscivo a sciogliermi da loro e a riprendere la strada. Tra quei postulanti c’era l’aretina dalla mano feroce di Ghino di Tacco, e quell’altro che annegò mentre inseguiva e dava la caccia ai nemici. Nella stessa schiera pregava con le mani protese Federigo Novello, e anche il pisano che diede modo al generoso (buon) Marzucco di mostrare la sua forza d’animo. Sempre nella stessa schiera vidi il conte Orso e vidi anche colui che ebbe l’anima divisa dal corpo (fu ucciso), per odio (astio) e per invidia (inveggia) come egli stesso diceva, non per aver commesso la colpa che gli viene attribuita: intendo parlare di Pierre de la Brosse; e a questo riguardo (qui) provveda (provveggia), cercando di ottenere in tempo il perdono per ciò che egli ha fatto, la regina di Francia della famiglia dei Brabante, sicché per questo (però) non vada dopo la morte a far parte di una schiera più severamente colpita ( non questa dove si trova Pierre, ma quella di falsi accusatori della decima bolgia dell’Inferno). Non appena fui libero dalla ressa di tutte quelle anime che mi pregavano soltanto (pur) perché sollecitasi i loro parenti a pregare per loro, in modo che si acceleri (s’avacci) il tempo della loro beatitudine, io dissi a Virgilio: “sembra che tu in un passo del tuo poema (in alcun teso) neghi esplicitamente (espresso) che la preghiera dei vivi possa modificare un decreto divino: eppure queste anime pregano soltanto per questo: la loro speranza sarrebbe vana o non mi son ben chiare le parole del tuo poema?”. Ed egli mi rispose:”le mie parole sono chiare e la speranza di queste anime non è ingannevole se la si considera con la mente sgombra da giudizi scorretti (delle correnti ereticali); poiché l’altezza del giudizio divino non sic abbassa per il fatto che l’ardore di carità di coloro che pregano per i morti porti a compimento in un attimo quell’espiazioni che le anime devono a soddisfazione dei peccati commessi. Inoltre là dove io mi soffermavo su questo argomento non si poteva fare ammenda dei peccati con le preghiere perché esse erano disgiunte da dio.tuttavia, non soffermare la tua mente su un dubbio così grave se non te lo dirà colei che renderà chiara la verità alla tua ragione. Non so se mia compreso, io sto parlando di Beatrice, tu la vedrai sulla vetta di questo monte sorridente e felice”. Ed io:”signore, procediamo più speditamente,
poiché non avverto più la fatica come prima, e poiché come vedi il monte sta già proiettando la sua ombra a terra”. Lui rispose:“Noi procederemo fino al calare della notte, quanto più potremo; ma la realtà è ben diversa da come tu la immagini. Prima che tu sia arrivato in cima al monte vedrai più volte sorgere il sole che ora si è nascosto dietro la costa del monte, così che tu non non interrompi più i suoi raggi”. Ma osserva là un'anima che, stando in perfetta solitudine, guarda verso noi: quella ci indicherà la via più rapida".Ci avviammo verso di lei: o anima lombarda, come te ne stavi fiera e schiva e solenne e lenta nello sguardo! Ella non ci diceva alcunchè, ma ci lasciava procedere, seguendoci solo con lo sguardo attento come un leone quando riposa. Tuttavia Virgilio le si avvicinò pregandola che ci mostrasse la strada più agevole; e quella non rispose alla sua richiesta,ma ci chiese di dove venissimo e chi fossimo; e Virgilio, dolce guida, incominciava a dire "Mantova...", ma l'anima, tutta in se raccolta, si portò verso di lui dicendo: "O Mantovano, io sono Sordello della tua stessa terra!"; e i due si abbracciarono.Ahi Italia schiava del disordine e dell'arbitrio, albergo di dolori, nave senza pilota nella tempesta di ambizioni, odi e cupidigie, non signora dei popoli, ma luogo di corruzione dove non esistono più valori! Quell'anima nobile fu così sollecita, solo sentendo risuonare il dolce nome della sua città, a mostrare tutta la sua gioia al suo concittadino; e ora dentro ai tuoi confini non riescono a stare senza guerra i tuoi cittadini, e si dilaniano l'un l'altro quelli che abitano nella stessa città, chiusi dallo stesso muro e dallo stesso fossato. Osserva, o sciagurata, lungo le coste le tue città marinare, e poi volgi lo sguardo all'interno, e vedi se qualche parte di te vive in pace. A che cosa è servito che Giustiniano abbia con le leggi ristabilito il freno dell’autorità, se non c’è nessuno a guidarla? Se non ci fosse stato Giustiniano e se le leggi ora mancassero, la vergogna dell’attuale situazione sarebbe minore. Ahi gente di Chiesa che dovresti lasciare che l’imperatore eserciti le sue attribuzioni, riprendendo il pieno controllo del potere politico, se comprendi ciò che Dio ti prescrive osserva come questo cavallo (bestia) è diventato riottoso (pazza) per il fatto che non è guidato dagli speroni dell’imperatore, dall’autorità legittima, da quando tu ne hai preso in mano la briglia. O Alberto d’Asburgo, che ti preoccupi dell’amministrazione dei soli territori tedeschi e non di tutto l’impero, e abbandoni a sé questa fiera (l’Italia) che è diventata selvaggia e pazza, mentre dovresti montare sulla sua sella: possa la giustizia divina colpirti con una giusta punizione; scenda dal cielo il castigo sopra te e la tua discendenza e (questa punizione) sia straordinaria ed esemplare, e tale che il tuo successore ne abbia timore e non ripeta il tuo comportamento! Perché tuo padre (Rodolfo) e tu (Alberto) avete permesso, interamente presi dagli interessi di Germania, che l’Italia, giardino dell’impero, fosse devastata. Vieni in Italia a vedere Montecchi e Cappelletti, Monaldi e Filippeschi, o uomo totalmente indifferente ai tuoi compiti: e lì vedrai quelli ormai abbattuti, questi timorosi di essere avviati alla stessa sorte! Vieni, o uomo crudele, vieni in Italia ed osserva l’oppressione dei tuoi rappresentanti, provvedi ai loro limiti; vedrai la contea di Santafiora come è decaduta! Vieni a vedere la tua Roma che piange, vedova e desolata, e giorno e notte invoca: “O mio imperatore, perché non stai in mia compagnia, ma mi abbandoni?”. Vieni a osservare quanto la gente d’Italia poco si vuol bene! e se non ti spinge alcuna compassione verso di noi, vergognati del discredito in cui sei caduto con la tua negligenza. Vieni ad osservare il doloroso spettacolo della gente d’Italia: vedrai quanto poco si vuol bene! E se non ti muove e spinge alcuna pietà verso di noi, vieni a vergognarti del discredito in cui sei caduto con la tua negligenza! E se la domanda mi è permessa, o sommo Dio che fosti crocifisso per la nostra salvezza, sono forse i tuoi giusti occhi volti altrove? (la tua giustizia ignora ormai l’Italia?) Oppure nell’abisso della tua sapienza consenti tutti questi mali a preparazione di un qualche bene che sicuramente verrà, anche se è per ora del tutto remoto dalla nostra capacità di comprendere? Poiché le città d’Italia sono tutte piene di tiranni ed ogni villano che si dedica alla lotta politica e si lega ad una fazione può diventare un Marcello (presumere di comportarsi verso l’imperatore come si comportò verso Cesare il nobile Marcello).
Firenze mia, puoi essere ben contenta di questa digressione che non ti riguarda grazie al tuo popolo che s’impegna a non esporti ai danni di cui sono piene le altre città, e a farti vivere prospera e pacifica. In altre città molte persone hanno in cuore la giustizia eppure essa si esprime lentamente, perché non venga in evidenza in forme sconsiderate: invece il tuo popolo ha sempre sulle labbra la giustizia. Altrove sono in molti coloro che pregati di accettare gli uffici pubblici rifiutano; ma il popolo tuo con ammirevole spirito di sacrificio, con autentica abnegazione risponde con prontezza e si dice pronto ad assumere quel peso, anche senza essere stato chiamato, invitato a farlo e quasi entusiasticamente grida: “son pronto io a sostenere il peso!” Rallegrati dunque ora perché ne hai proprio motivo: hai ricchezza, sei in pace, hai uomini saggi al governo; se dico la verità, e la dico, i fatti ne sono una chiara testimonianza. Atene e Sparta che con Licurgo e Solone fecero le antiche leggi e furono così saggiamente governate, diedero ad un’ordinata vita sociale un modesto contributo paragonato a quello che dai tu, Firenze, che prendi così sottili provvedimenti che ciò che hai deciso ad ottobre non giunge immodificato alla fine di novembre. Quante volte, relativamente al tempo che puoi ricordare, tu hai mutato le leggi, la moneta, le cariche e i costumi e rinnovato la tua popolazione! e se ben ricordi e consideri con chiarezza ti vedrai simile a quella malata che non riesce a trovare una posizione giacendo sulle piume ma voltandosi cerca di dar sollievo al suo dolore.
Canto politico, allargato a tutta l’Italia, alterigio e aggressività dei nobili (Ghino di Tacco). Benincasa condanna il fratello di Ghino di Tacco e quest’ultimo per vendetta rapisce il B. e gli taglia la testa
Altri temi del canto l’amor di patria e la solidarietà umana, Virgilio e Sordello da Goito si abbracciano appena scoprono di essere conterranei nonostante non si conoscano.
Nei primi versi c’è una similitudine tra Dante e un giocatore di dadi. Metafora a v77e a v88.
Da v91 a v102 si vede il pensiero di Dante sulla relazione tra Chiesa, Stato, potere temporale.

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