Il microprocessore: il cuore del computer

Materie:Appunti
Categoria:Informatica

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IL MICROPROCESSORE: IL CUORE DEL COMPUTER
Quando si parla di velocità di un computer bisogna tener conto dei molti diversi componenti che lo formano. La velocità nell’eseguire un programma può dipendere dalla quantità di memoria ram presente nel computer, dalla potenza della scheda video nel caso che si tratti di un programma con grafica molto complessa e così via, ma il vero cuore del computer è il microprocessore chiamato anche più semplicemente chip.
E’ all’interno dei chip, infatti, che vengono elaborate migliaia di informazioni al secondo e permettono al computer di compiere quella lunga ed elaborata sequenza di istruzioni che noi facciamo iniziare con un semplice “clic” del mouse e se pensiamo che tutta quella fittissima rete di circuiti elettrici occupa uno spazio inferiore ad un centimetro, non riusciamo a capire come tutto ciò sia possibile.
Qui di seguito cercheremo di spiegarlo partendo dalla costruzione di un chip fino ad arrivare ad un confronto tra le prestazioni dei vari processori presenti in questo periodo sul mercato.
Il primo computer della storia si chiamava “Eniac”, fu costruito nel 1947 e pesava circa 30 tonnellate. Come è possibile, allora, essere arrivati ai leggerissimi portatili? E’ molto semplice: Eniac funzionava grazie alle vecchie valvole che possiamo ancora trovare in qualche radio d’epoca, ma l’anno successivo alla sua costruzione fu inventato il transistor che andava a sostituire le valvole a vuoto. La parola “transistor” deriva dalla contrazione di due parole inglesi e cioè “transferring” e “resistor” (in italiano “trasferimento di resistenza”).
Alla base dei transistor ci sono i semiconduttori: particolari materiali che si trovano a metà tra i conduttori e gli isolanti. All’inizio venne utilizzato il germanio, ma essendo un materiale raro e costoso, spinse i ricercatori a trovare un nuovo materiale che avesse le stesse caratteristiche e lo trovarono nel silicio. Di certo è meno costoso del germanio dato che è uno dei maggiori componenti della comunissima sabbia ed in più si scoprì che aggiungendo delle impurità al silicio, questo poteva servire anche da amplificatore, raddrizzatore e sorgente di onde elettromagnetiche.
Come si può, quindi, da un semplice pugno di sabbia arrivare ad un chip e di conseguenza ad un circuito integrato (IC)? Qui di seguito riporteremo il processo di costruzione di un chip, ma prima è necessario soffermarsi sul cosiddetto “drogaggio” del silicio: si tratta di aggiungere delle impurità al silicio in modo da ottenerne uno di tipo p ed un altro di tipo n. Nel silicio di tipo p l’elettricità passa grazie ad un eccesso di cariche positive: si viene a formare una lacuna (portatrice di cariche positive) e grazie al loro spostamento verso il polo negativo, si forma un passaggio di corrente. Nel silicio di tipo n avviene il contrario e quindi c’è un eccesso di cariche negative, gli elettroni si spostano verso il polo positivo e anche in questo caso si crea un passaggio di corrente.
L’introduzione delle impurità e quindi il drogaggio del silicio è indispensabile per modificarne (in questo caso diminuire) la sua resistività in modo da adattarlo alle proprie esigenze.
Vediamo ora la sequenza di operazioni necessarie alla realizzazione di un chip.
Si parte da un semplice disco di silicio chiamato “wafer” su cui si forma una patina ossidata (spessa 0,8 micron). Su questo si deposita uno strato di resina fotosensibile: questo perché i circuiti da creare sono troppo piccoli per essere fatti dall’uomo ed in più c’è bisogno di un’assoluta precisione. Successivamente, infatti, viene posizionata davanti al disco di silicio una maschera su cui sono stati stampati i circuiti, ed il tutto viene esposto a dei raggi
UV. In pratica assomiglia al processo in cui la pellicola viene impressionata dalla luce quando si scatta una fotografia. Fatto questo, la resina viene tolta grazie ad un processo ad acquaforte (un solvente), vengono aggiunte le impurità, vengono creati gli elettrodi di ogni chip e alla fine da un singolo wafer con un diametro di 20 cm, si ottengono circa 200 chip. Partendo dal wafer di silicio ci vogliono circa sei settimane per arrivare ad avere i chip pronti ad essere inseriti e utilizzati poiché oltre al tempo materiale per produrli, bisogna considerare il fatto che ogni singolo processore viene testato (come si vede nella foto della pagina precedente) in modo da escludere la possibilità di mettere in commercio pezzi non funzionanti.
In realtà la sequenza di istruzioni per creare un chip e le istruzioni stesse sono molto più complicate. Tuttavia abbiamo cercato di dare un’idea di come si possa arrivare ad ottenere il tanto famoso processore che si trova all’interno del computer.
Ora che più o meno sappiamo come è fatto un microchip ci chiediamo da cosa dipenda la sua velocità. La risposta sta nel numero di transistor che sono presenti nel processore o meglio, detto con termini tecnici, dipende dalla densità d’integrazione.
Processore Pentium II della multinazionale Intel.
Negli anni settanta nacquero gli LSI (Large Scale Integration) nei quali erano contenuti 10.000 transistor; gli anni ottanta furono segnati dall’epoca dei Super LSI la cui densità di integrazione era pari 100.000; negli anni novanta arrivano i VLSI (Very Large Scale Integration) e la loro densità di integrazione è di 1.000.000. Infine al giorno d’oggi e nei prossimi anni i processori utilizzati sono del tipo ULSI (Ultra Large Scale Integration) che hanno 10.000.000 di transistor e possono elaborare miliardi di informazioni al secondo. Questi numeri forse potrebbero far pensare che questi processori sono potentissimi, ma in realtà la tecnologia avanza rapidamente e presto saranno necessari processori molto più potenti.
Gordon Moore (oggi presidente onorario della Intel) elaborò una legge secondo la quale ogni diciotto mesi la densità di integrazione di un chip raddoppia e finora le sue previsioni si sono verificate.
Che cosa succede ai vecchi processori? In realtà non si smette di produrli, ma vengono utilizzati ugualmente anche se non nei computer. Ad esempio possono essere inseriti nei “Set top boxes” (le console utilizzate per navigare in Internet usando lo schermo del televisore) o addirittura negli elettrodomestici, insomma in qualsiasi apparecchio elettronico che abbia bisogno di un processore, ma non necessariamente della massima potenza. In questo modo si aggiunge il vantaggio delle piccole dimensioni di questi processori ed in più, dato che altrimenti i chip resterebbero inutilizzati, anche il costo è minimo. Una rivista specializzata per computer conclude un articolo in questo modo: “In un futuro non lontano, smontando la lavatrice potremo trovarci dentro un Pentium II, identico a quello che avevamo dentro al nostro vecchio computer”.
Le dimensioni dei processori sono sempre più ridotte e ormai si parla addirittura di micron: le piste su cui viaggiano le informazioni come abbiamo già detto si formano utilizzando il processo della fotoincisione perché il loro spessore varia tra i 5 e i 15 micron (circa cento volte inferiore al diametro di un capello). Pensate allora ai danni che potrebbe causare un capello che per sbaglio cade su di un wafer o le particelle di polvere o qualsiasi altro corpo estraneo. Per ovviare a questi gravi problemi la Intel (che ormai lavora in regime di monopolio) ha ideato dei metodi sicuri al 100%: innanzi tutto le loro fabbriche sono completamente sterili (10.000 volte più pulite di una sala operatoria) e poi è nata la figura del “bunny-man”. Letteralmente significa uomo-coniglio ed è dovuto al fatto che queste persone sono vestite completamente di bianco: indossano infatti una speciale tuta che li isola completamente dall’esterno. In questo modo non ci sarà né polvere, né capelli, né qualsiasi altro corpo estraneo che potrebbe danneggiare i delicatissimi microprocessori. Il lavoro di queste persone richiede un’altissima precisione e concentrazione a partire dall’indossare queste particolari tute e ciononostante compiono pesanti turni a volte anche di 8-12 ore.
La complicata serie di operazioni che queste persone devono compiere per indossare la tuta potrebbe richiedere dai 30 ai 40 minuti, ma i bunny-man devono fare tutto in soli 5 minuti ed è indispensabile non saltare nessuno dei passaggi qui riportati perché si rischierebbe di compromettere il lavoro di settimane.
In ogni caso non riporteremo tutto quello che gli uomini-coniglio devono fare prima di entrare nelle camere sterili dove si lavora alla produzione dei processori poiché l’elenco conta più di quaranta punti diversi
I bunny-man devono indossare la tuta in soli 5 minuti.
Tuttavia riporteremo uno dei punti più “divertenti”: per indossare gli stivali della tuta, devono sedersi nella parte “sporca” della panca, infilare uno stivale e riappoggiare la gamba nella parte “pulita”; poi infilare lo stivale della gamba rimasta nella parte sporca e spostarsi con tutto il resto del corpo nella parte pulita della panca.
Mantenere la più assoluta pulizia nelle zone delle fabbriche della Intel in cui si producono i chip richiede una tecnologia avanzata e di certo potrebbe sembrare esagerato, ma è indispensabile per permettervi di acquistare un computer ed essere sicuri che il processore funzioni perfettamente.
Pensare che la velocità di un computer dipenda dal suo processore è allo stesso tempo giusto e sbagliato: infatti lo stesso processore montato su computer diversi darà risultati diversi. Bisogna tener conto di molti altri componenti del computer tra i quali i più importanti per la velocità di esecuzione sono la scheda video e la quantità di memoria ram disponibile.
Ecco le prestazioni di un Pentium III 500 montato su cinque computer differenti:
I numeri riportati sull’asse y non si riferiscono a nessuna unità di misura: sono dei punteggi ricavati sottoponendo i computer a varie prove.
La differenza tra i vari risultati non è molto grande ma in ogni caso è bene tener presente che per fare in modo che un processore renda il massimo bisogna anche avere a disposizione un computer con le ultime tecnologie, o altrimenti se si ha bisogno soprattutto di velocità più che di qualità, converrà non aggiornare continuamente il computer con le ultime novità dei software poiché queste spesso sono fatte per sfruttare al massimo le ultime innovazione nel campo degli hardware.
Tuttavia abbiamo anche detto che il processore è importante e di certo questo non si può negare e quindi sono stati sottoposti agli stessi test del grafico precedente anche i processori che sono riportati nel grafico della pagina seguente.
Ecco i risultati ottenuti:

Abbiamo quindi confermato quello che tutti pensano e cioè che anche i processori fanno la differenza, ma allora occorre porsi delle altre domande: a cosa serve questa continua gara per produrre sempre processori più potenti? E soprattutto per quanto continuerà? La legge di Moore vale all’infinito? Per rispondere alla prima domanda possiamo dire che il computer sta aprendo nuovi orizzonti: Internet sta prendendo sempre più piede in tutto il mondo quando invece fino a qualche anno fa sembrava qualcosa di così astratto e irrealizzabile. Occorreranno processori sempre più potenti per poter sfruttare al meglio questa grande miniera di informazioni che ci viene messa a disposizione: suoni, filmati, animazioni sono solo una parte di quello che già è stato realizzato. Pensate alla quantità di informazioni che deve analizzare un processore quando due persone parlano tra di loro attraverso il computer utilizzando un microfono e una telecamera: indipendentemente dalla distanza, per ottenere una buona qualità delle immagini e dell’audio occorrono miliardi di informazioni al secondo e i processori inventati fino ad ora non sono ancora in grado di fornire risultati abbastanza soddisfacenti.
Per rispondere alle altre domande, si pensa che siamo a circa metà dell’evoluzione informatica e che tutto questa continua ricerca del chip più potente continuerà circa per un altro secolo. Ovviamente tutto questo tenendo conto delle tecnologie che abbiamo a disposizione, ma chissà dove si potrà arrivare tra un secolo. In un articolo del “The Sunday Times” erano stati fatti dei pronostici secondo i quali in un futuro non molto lontano (circa 20 anni) esisteranno computer controllati direttamente dal nostro cervello; cuori e occhi artificiali e altre apparecchiature per il continuo monitoraggio del nostro stato di salute permetteranno di portare la speranza di vita a cento anni e questi sono solo alcuni dei tanti pronostici del giornale.
Tuttavia occorre fare una distinzione tra quello che è realizzabile e ciò che è pura fantascienza, ma al momento chi potrebbe tracciare un netto confine tra realtà e immaginazione?

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