L'epigramma in età ellenistica

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L’ EPIGRAMMA IN ETA’ ELLENISTICA

Il termine epigramma in origine aveva lo stesso significato di epigrafe, che vuol dire iscrizione; poi si staccano e l’epigramma diventa un genere letterario. In epoca ellenistica questo genere è importante perchè più libero, diventa una sorta di poesia “lirica” in cui si può dire di tutto, non ha vincoli neanche metrici (il metro preferito è il distico elegiaco). Il Rossi ha sostenuto che la sua grande diffusione in quest'epoca sia dovuta, oltre alla brevità, al divorzio fra poesia e musica: prima la poesia era legata alla musica, aveva un ritmo musicale, ora alla diffusione orale si sostituisce quella scritta; non si devono più seguire canoni metrici.
Prima l'epigramma era un'iscrizione vera e propria, uno dei primi fu scritto da Simonide per i caduti alle Termopili, era anche un'epigrafe, incisa davvero; anche Euripide ne aveva scritto uno.
L'epigramma, come genere autonomo, nasce nel V secolo, ma non ha ancora l'importanza che aveva in epoca ellenistica. Il primo vero epigramma, non più nel senso di iscrizione, è sulla coppa di Nestore, VIII secolo: ha un’iscrizione di tre versi, un trimetro giambico e due esametri: è strano! Non è la metrica dell'epoca ellenistica (distici elegiaci).
L'epigramma è libero come contenuto: c'è una grossa fioritura di epigrammi funerari, che però non sono nati per essere iscritti sulle tombe, ma solo come componimento sotto la finzione del funerale (Callimaco ne fa 2 per se stesso!), molti sono scritti per bambini morti giovani. Possono essere per un amico e per un personaggio storico; nasce la “moda” di farli anche per la morte di un animaletto (cagnolino, grillo, cuccioli...), → Catullo ne prenderà poi spunto: “Ciclo del passero”. Alcuni sono per amore, di solito amori infelici: una scrittrice, che ha antecedente in Saffo scrive: “canto davanti alla porta chiusa”: è un componimento d'amore, che sarà molto imitato e diventerà quasi un genere; la porta chiusa è quella di lei.
I vari tipi di epigramma possono essere:
* per critica letteraria → Callimaco: “μεγα βιβλιον, μεγα κακον” probabilmente è un’epigramma.
* descrizione della natura
* ekfrasis → descrizione di qualcosa di artificiale, costruito dall'uomo, come fontane o quadri, non elementi naturali
* celebrativo → spesso si unisce con la critica letteraria, quando si celebra un poeta; uno dice “Se scrivi 2 versi, scrivi un epigramma; se ne scrivi 3 scrivi un poema epico”, si celebra un poeta amico di cui si sostiene l'opera
* politico (che spesso diventa encomiastico).
Non avendo questo genere una storia alle spalle, non c'è un iniziatore, non si potevano mettere limiti al contenuto (quindi c'è grande varietà di contenuti) e alla metrica, anche se poi verrà quasi sempre usato il distico; gli autori, così, possono esprimere loro stessi, ciò comporta una maggiore libertà rispetto ai generi precedenti e quindi piace. E' una forma di espressione “lirica” alla moderna, tutti scrivono epigrammi. Anche l'epigramma finisce per fossilizzarsi, perché gli autori si imitano a vicenda: le immagini si ripetono, si mettono in gara con il modello.
La critica moderna ha due tendenze:
1) tende a identificare tre generi, per origine e contenuto;
2) nega il raggruppamento in scuole degli epigrammi.
La prima tendenza identifica tre scuole e le raggruppa sotto una certa etichetta, in genere si parla di:
* SCOLA PELOPENNESIACA o DORICA → sono frequenti le descrizioni della natura, usa uno stile ridondante e gonfio; gli autori appartengono al Peloponneso
* SCUOLA IONICO-ALESSANDRINA → il gruppo di Alessandria era teso soprattutto ad argomenti amorosi, simposiali * o di polemica letteraria
* SCUOLA FENICIA, caratterizzata dalla ricerca più esasperata del pathos
Ma essendo la libertà una caratteristica dell'epigramma, è un po' assurdo classificarlo in scuole, questa non è una distinzione netta, alcuni sconfinano in più scuole, è una divisione tendenziale. Comunque gli argomenti non sono pubblici, ma privati: si cerca di esprimere sé stessi.
* Lirica simposiale → è diffusa nei simposi e aveva un accompagnamento musicale, poi invece, in epoca classica, l'epigramma simposiale continua ma perde importanza e non viene più cantato ma recitato; i suoi argomenti sono il vino e il piacere di stare con gli amici – vengono abbandonati gli argomenti politici dell'elegia passata, per dedicarsi ad argomenti personali. Esprime il pensiero dell’autore che non ha più valori assoluti.

Nascono le antologie, da ανθος = fiore e λογια = raccolta → raccolta di fiori, raccolta del meglio. Il primo esempio è lo Stefanos (corona di fiori) di Meleagro: paragona i vari epigrammi e gli autori del passato a un fiore e ne risulta la corona (sono 47 autori più lui).
Perchè questi autori si mettono a raccogliere non solo i propri epigrammi (gli autori ellenistici sono editori della propria opera e organizzano la loro produzione), ma anche quelli di tutti gli altri e a organizzare l'intera produzione? E perchè vanno a pescare e confrontano tanti autori diversi, raggruppandoli secondo argomento? Il Rossi ha un'idea al riguardo, che spiega la fioritura di antologie: l'antologia mette a confronto i vari autori come se volesse metterli in competizione → la nascita dell'antologia è l'equivalente libresco dell'agone poetico, che non esisteva più (o almeno non per l'epigramma), l'agone se esiste, è solo tra gli autori di poesia tradizionale, non di certo fra i dotti ellenistici. La “raccolta” non è altro che il mettere a confronto, sullo stesso genere, vari autori diversi, mettendoli in gara fra loro. Il Rossi va oltre, sostiene il fatto che Meleagro e altri mettono il proprio epigramma per ultimo nelle sezioni perchè è un modo per proclamarsi vincitori- sarebbe una forma di modestia discutibile (si mettevano per ultimi per modestia!). E' una bella spiegazione, solo sua, ma è comunque affascinante, anche perchè spiega l'antologia. Il Rossi spiega anche perché riporta solo gli epigrammi dei vari autori e non il resto della loro produzione: non si può mettere in gara il l'epigramma con l'elegia! (Infatti di Simonide avrebbe citato le elegie). La corona comunque non è quella dell'agone, ma quella simposiale.
C'è una serie di antologie oltre Meleagro, l'ultima è quella del 900 d.C. di Costantino Cefalo (l'arciprete). (pp.202-3)
- Antologia Palatina: (prende il nome da dove è stata scoperta) è molto ampia, è la più completa;
- Antologia Planudea: è ampia (ha 300 epigrammi che mancano nella prima), è comparsa verso la fine del 1200; prende nome da Planide, il monaco che l'ha scritta.
La palatina è più ampia, è composta da 16 libri di epigrammi, 3700 epigrammi e quindi 23000 versi. La Planudea ne ha di più ma, essendo stata scritta da un monaco, esclude tutti quelli amorosi, inclusi invece nella palatina. E' abbastanza noiosa perchè sono tutti uguali: quando l'epigramma diventa un genere letterario, pur con l'estrema varietà di contenuto, diventa un genere per emulare altri → si imitano tutti a vicenda e quindi finiscono col dire tutti le stesse cose.
(Se l'ipotesi del Rossi è esatta, all'agone succede il curatore di un'antologia).

LEONIDA

Nasce a Taranto ma, quando i Romani la conquistano, è costretto ad andarsene. Nonostante sia un aristocratico, conduce una vita raminga, ma non da poveraccio; frequenta la scuola peloponnesiaca e scrive epigrammi, è uno specialista in questo → canta i bassifondi come se ne facesse parte (in realtà ne sapeva poco, dato che non era povero), c'è il topos del vecchio ramingo.
Sono epigrammi scritti da un autore con determinate caratteristiche, che diventano un genere vero e proprio, con tema la vita tra le strade, in ambienti “bassi”, diventa un genere specifico.
Ha una visione negativa della morte: non crede nell'eternità della propria opera, ma in una morte solitaria desolata. Chiarisce anche la sua visione della vita: tutto è vano e precario, ha una visione negativa della vita anche al di fuori della miseria → la vita è un punto che non conta nulla.
Lui di sicuro non viveva nei bassifondi come diceva, ma questo fa parte del topos del poeta povero, vecchio, infelice ed errabondo (per esempio si crede che Virgilio sia figlio di un vasaio). Apre agli altri poeti una strada nuova, un mondo a loro sconosciuto. Anche Teocrito e altri parlavano di poveretti, però ne cantavano l'amore e alcuni aspetti non realistici.

ERODA

Lo segue su questa strada anche Eroda o Eronda, che è uno scrittore di mimi, e ha scritti 6. Fu scoperto alla fine dell'800 quando era in voga il verismo: viene interpretato come verista del mondo antico (è stato poi smentito dall'Hauerbach).
Descrive un mondo a lui sconosciuto: è un mondo umile, per esempio si parla di una madre che non ne può più del figlio che salta sui tetti e ne combina di tutti i colori, finchè chiede aiuto ad un maestro che lo affronta.
Lenone
La più interessante è “Lenone”, viene presentata come un discorso giudiziario, forse ne è la presa in giro, però non rispetta alcune regole: manca la finezza, inizia subito con ανδρες δικασται, mentre invece prima ci sarebbe dovuta essere qualche parola. Lenone è un gestore di prostitute, porta in tribunale uno che non l'ha pagato; è interessante l'orgoglio con cui Lenone parla della sua ditta, dice che è antica e mai era successa una cosa del genere, che ne mina il buon nome! E' presentato in modo comico, c'è il contrasto fra il lavoro che fa e l'orgoglio che ha nel farlo.
Fu definito realista per il fatto che parla di situazioni basse, ma l'Hauerbach demolì questa credenza, anche se ci si era già accorti prima che il realismo era assurdo, non descrive con drammaticità, ma come dotto ad altri dotti: trasferisce sul “Lenone”, su un mondo che non conosce, un caso giudiziario → non c'è una critica, ma solo divertimento dato dal fatto della non abitudine del Lenone a parlare in pubblico.
Quello di Leonida è un modo ancora più basso, perchè rischiano anche di morire di fame, comunque entrambi i mondi sono estranei all'autore. Il mimo ha appena avuto dignità letteraria e può spaziare, la stessa cosa vale per l’epigramma, si possono inserire argomenti nuovi. C'è la ricerca di qualcosa di nuovo, non tentato prima (già Teocrito aveva aperto la strada parlando di umili, ma non così tanto). Leonida, scelta questa strada, ha parlato solo di questo; gli unici punti in cui si commuove sono quelli in cui descrive la morte di un bambino, che comunque è un topos: la morte giovane (già nell'Iliade gli eroi muoiono giovani) significa morire prima di aver vissuto, è vista come una cosa contro natura (infatti i funerali venivano fatti di notte per non offendere il sole).

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