callimaco e teocrito

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Testo

CALLIMACO - (300-240 ca.)
Vita e opere perdute Il maggiore dei poeti alessandrini, Callimaco è considerato sia il principale teorico sia il migliore esponente della poesia ellenistica. Nato intorno al 300 a. C. a Cirene, in gioventù visse in ristrettezze economiche e si guadagnò da vivere insegnando in una scuola di provincia; poi, non sappiamo come, entrò a far parte della corte, ottenendo il favore di Tolomeo II. Lavorò alla Biblioteca come poeta ed erudito, ma sappiamo con certezza che non ne divenne mai il direttore. Le sue opere gli procurarono fama e gloria, ma scatenarono aspri dibattiti con invidiosi contemporanei. Morì intorno al 240.La produzione di Callimaco come erudito e come poeta fu immensa: la tradizione gli attribuiva ben 800 volumi, oggi quasi tutti perduti, tutti di argomento erudito: lessici, etnografia, geografia, curiosità, toponomastica. Delle sue opere di prosa la più importante furono i Pinakes, catalogo ragionato di tutti gli autori e di tutte le opere raccolte nell'immensa Biblioteca di Alessandria. Oltre a classificare le opere per genere e gli autori per ordine alfabetico, Callimaco affrontava anche numerose questioni biografiche e di autenticità. I Pinakes possono essere considerati la prima opera di storiografia letteraria.
Inni Gli Inni di Callimaco sono sei, ciascuno indirizzato ad una divinità. Probabilmente furono composti in momenti differenti e riuniti insieme solo in un secondo tempo. Sono tutti in esametri, tranne Per il bagno di Pallade che è in distici elegiaci. Il contenuto degli Inni è di tipo arcaico e ripreso dagli inni agli dei dello pseudo-Omero, ma affrontandolo con sensibilità totalmente nuova. Gli dei sono messi sullo stesso piano degli uomini e compiono le loro stesse azioni. La somiglianza arriva ad un punto tale che sono descritte la nascita e la fanciullezza del dio. Callimaco scrive non semplicemente per esporre il mito ma per fare sfoggio d’erudizione; la sua opera è scritta innanzi tutto per il piacere di scrivere, e solo in secondo piano c'è l'intenzione di erudire il lettore (siamo in un'epoca in cui si diffonde il libro, e con lui si allarga la diffusione della cultura).Nell'inno Ad Artemide troviamo un’Artemide bambina che tira la barba di Zeus per farsi ascoltare: una scena tipicamente umana, che potrebbe avvenire tra qualsiasi figlia e padre e che testimonia la misura di Callimaco nel ridurre il mondo olimpico all'umano.In Per il bagno di Pallade è ripreso il mito della dea che si bagna nelle acque del fiume e viene vista per caso da Tiresia, il quale per punizione viene accecato, ma riceve la capacità di predire il futuro. La madre di Tiresia, la ninfa Cariclo, supplica la dea di perdonare il figlio, ma senza risultato; c’è dunque un distacco tra mondo divino e mondo umano. Il contenuto è tipicamente aulico, ma non c'è la passionalità tipica di una situazione del genere; troviamo delicatezza e malinconia, con la tendenza a sfumare tutti i toni e a renderli il più delicati possibile.L'inno A Demetra descrive una processione in onore della dea, durante la quale viene portato un cesto di offerte sui cui lati è raffigurato il mito di Erisittone, che aveva tagliato delle querce sacre alla dea ed era stato punito con una fame insaziabile che lo aveva portato alla morte. La narrazione procede basandosi sull'umorismo della situazione più che sulla sua tragicità, senza offrire alcun messaggio etico.
EpigrammiGli epigrammi di Callimaco si caratterizzano per la loro brevità e per il fatto che al centro di ogni componimento è posto il sentimento, anche se trattato con la consueta ironia e raffinatezza. A noi ne sono pervenuti 63, la maggior parte di argomento funerario, ma alcuni anche riguardanti l'autore stesso.
AitiaGli Aitia erano l'opera più vasta di Callimaco: contenevano circa 4000 versi divisi in quattro libri, in cui (nei primi due) il poeta incontrava in sogno le Muse e chiedeva loro le varie origini (aitia, appunto) di certe usanze. Non si trattava di un'opera ordinata, bensì di una raccolta di numerose elegie, in genere indipendenti tra loro. Ogni aition era dedicato alla ricerca delle origini di una festa, di una città, di un mito, di un'istituzione. Oggi ci rimangono, oltre a riassunti pairacei e frammenti i varia estensione, che ci consentono di recuperare la struttura dell'opera e alcuni brani, il proemio ed alcuni frammenti, tra cui la Chioma di Berenice (un frammento dell'originale e la traduzione latina di Catullo). Nonostante l'apparente contenuto scientifico, gli Aitia sono in realtà un'opera di intrattenimento, uno sfoggio di erudizione in cui risalta soprattutto la raffinatezza dell'arte di Callimaco.Il proemio è un'invettiva di Callimaco contro i Telchini, soprannome dato ai poeti invidiosi del suo successo. Il poeta imputa ai Telchini di non misurare la poesia con i canoni della qualità, ma della quantità, e che vale più un prodotto raffinato di un grande e noioso poema. Ci è pervenuto un elenco papiraceo di questi Telchini, in cui stranamente non figura il nome di Apollonio Rodio, ritenuto dagli antichi acerrimo rivale di Callimaco.La Chioma di Berenice è l'aition che chiude il quarto e ultimo libro dell'opera. La chioma stessa narra in prima persona la sua storia: fu offerta in voto dalla regina Berenice in occasione della partenza del marito, Tolomeo Evergete, per una spedizione militare in Siria. Ma scomparve dal tempio e l'astronomo di corte la scoprì in cielo, trasformata nella costellazione che da lei prese il nome. Quest’elegia piacque a Catullo, che la tradusse in latino nel carme 66; ed è nella sua traduzione che oggi è a noi nota. In quest’elegia l'esaltazione del sovrano si unisce a quella della fedeltà coniugale: non si tratta solo di riscontrare un evento umano nella sfera celeste, ma piuttosto di elogiare con discrezione il sovrano e la sua consorte con la misura tipica del poeta di Cirene.
GiambiErano tredici componimenti caratterizzati da una grandissima varietà di metro e di contenuto, che sembrano essere antesignani della satira latina. I meglio conservati sono il primo e il quarto; quest'ultimo, bellissimo, narra un fortissimo contrasto tra l'alloro e l'ulivo.L'alloro e l'ulivo si sfidano su chi sia la pianta migliore, vantando ciascuno le proprie qualità e l'uso che fanno gli uomini dei loro rami (le piante non solo sono assunte a soggetto dell’opera, ma sono addirittura personalizzate). Tra i rami c’è una coppia di usignoli molto ciarliera (rappresentante della voce del popolo) che fa da arbitro alla sfida. Chi li creò? Atena l'ulivo e Apollo l'alloro; in questo sono pari perché gli dei sono tutti sullo stesso piano. Chi li ha trovati? Pallade trovò l'ulivo, mentre l'alloro, come tante altre piante, fu trovato dalla terra e dalla pioggia; qui l'alloro perde un punto. A cosa servono? L'alloro a dare gloria poetica, mentre l'ulivo costituisce il cibo dell'uomo (c’è qui un’attenzione all'aspetto pratico delle cose, anticipatore dell'utile latino); in definitiva vince l'ulivo. Interviene nella disputa un vecchio rovo a fare del moralismo, ma è subito messo a tacere. E' ovvio che alla base di questo giambo ci deve essere stata una disputa letteraria, ma ne ignoriamo i dettagli.

EcaleEra un poemetto di ca. 1000 versi su Teseo ospitato da una vecchia, Ecale. Si trattava del primo epillio, un genere dunque inventato da Callimaco, che quindi aveva modo di fare poesia privata e intima, più reale, ma anche raffinata, per la brevità, e per la scelta di un mito raro. In questo epillio, conservato in frammenti molto brevi, Callimaco rompe quindi con l'epica ed i suoi temi, inserendo la sua poetica della brevitas e dell'ironia, umanizzando l'eroe e trascurando i grandi temi guerreschi.
ConclusioniCallimaco crea una poesia vitale e anticlassicista: formula perciò una poetica adatta al gusto alessandrino per il "bocconcino" prezioso. Infatti trascura l'eros, che rappresenta una concezione poetica ormai superata, e comprende ed impugna consapevolmente una poetica più adatta al gusto dei tempi, volta a rivitalizzare la poesia.
Callimaco è dunque un poeta con la coscienza del nuovo, che gli deriva dal sentire il netto distacco tra lui e la poetica antica: tale distacco è però sentito in maniera dinamica, con la continua oscillazione, nelle sue opere, tra tradizione e modernità.

TEOCRITO - (310-250 ca.)
Vita Nato a Siracusa, è incerta la sua data di nascita (forse il 310, l'anno della vittoriosa spedizione navale di Siracusa in Africa contro i Cartaginesi). Una sua composizione del 275, dedicata al tiranno della sua città Gerone II, Le Càriti, fa supporre che egli desiderasse usufruire dei favori della corte per potersi stabilire a Siracusa come poeta protetto dal tiranno. Si sa che si recò a Cos, dove strinse amicizia con il medico e letterato Nicia (di cui ci sono arrivati otto epigrammi): tale viaggio comportò il suo ingresso nel gruppo dei poeti-studiosi di Filita e Asclepiade. Riuscì anche a trovare, ad Alessandria, un sovrano mecenate in Tolomeo II Filadelfo, a cui dedicò un Encomio. Ignoti sono il luogo e la data di morte del poeta, forse intorno al 250 a Cos.
Opere I componimenti che ci sono giunti sotto il nome di Teocrito sono compresi nella raccolta dei poeti "bucolici" (compilata da Artemidoro di Efeso nell'età di Silla) insieme a quelli di altri minori. In tale raccolta sono attribuiti a Teocrito:
1. 30 carmi col nome di Idilli (ossia "quadretti");
2. 25 epigrammi, che trattano di compianti funebri, contenuti erotici e dediche a poeti (composte nel metro caratteristico di ciascuno): si tratta, però di un'appendice che nulla toglie o aggiunge al Teocrito "maggiore";
3. Un carme figurato, La Siringa, che imita l'oggetto nella forma dei versi.
La critica attribuisce solo 21 idilli al poeta, distinguendoli per la raffinatezza e l'armonicità dell'ispirazione.
1. La maggior parte di questi (9) sono propriamente bucolici, hanno cioè contenuto agreste; tra essi spiccano:
- Tirsi o il canto: il pastore Tirsi e un capraio, incontratisi, si sfidano in una gara di canto, ma è il solo Tirsi a cantare (per più di 80 versi, con l'uso del ritornello di origine popolare) la morte del mitico pastore Dafni per una ferita d'amore;
- Le Talisie (che la tradizione vuole composta nell'isola di Cos, sono un idillio denso di riferimenti poetici): Simichida (sicuramente Teocrito) racconta che, mentre si recava con amici ad una festa, incontra il capraio Licida, esperto di canto, che lo sfida ad una gara e lo premia con il dono del suo bastone. Simichida e i suoi amici vanno poi alla festa, e l'idillio termina con la festosa descrizione della natura;
- I Mietitori: dialogo tra il giovane mietitore Buceo, innamorato di Bombica, e il duro Milone, che esalta le gioie del lavoro agricolo;
- Il Ciclope: In forma di lettera poetica all'amico Nicia, Teocrito afferma che il canto è medicina per ogni dolore, narrando la serenata dell'orrido Polifemo alla bella ninfa del mare Galatea.
2. 4 sono poemetti epico-mitologici (epilli) che riportano alla poetica di Callimaco: Ila, Eracle bambino, Dioscuri, Epitalamio di Elena.
L'Ila parte da un assunto per cui l'amore fa perdere ogni dignità anche agli eroi, e quindi sviluppa la narrazione epica a partire da una sorta di epistola poetica, così come i Dioscuri sono compresi in una struttura che ricorda molto gli inni omerici, come anche l'Eracle bambino e l'Epitalamio di Elena. In mancanza di una cronologia, è difficile stabilire i rapporti con Callimaco e Apollonio, anche se nel complesso Teocrito non rinuncia alle sue peculiarità, ossia la cornice bucolica e lo stile fortemente personale, che rinuncia alla narrazione distesa e si concentra sui particolari, sulla cornice naturale e borghesizza il mito.
3. 6 sono mimi (componimenti che descrivono, sotto forma di dialogo, aspetti della vita quotidiana), tra cui spiccano:
- Le siracusane: vero e proprio squarcio di commedia, che rappresenta la visita di due signore borghesi di Alessandria, Gorgo e Prassinoa, alle feste di Adone organizzate dai Tolomei;
- Le Incantatrici: monologo di una donna abbandonata, Simeta, che con riti magici cerca di riconquistare l'amore di Dafni, che l'ha sedotta, e poi, rimasta sola, narra a Selene, la luna, la sua bruciante passione d'amore, rassegnandosi poi al dolore dell'abbandono;
- L'amore di Cinisca: mimo che descrive il dialogo tra Eschine, che racconta il tradimento della sua donna, l'etera Cinisca, e Tionico, che con fare ironico ne smonta le smanie d'amore consigliandogli di arruolarsi nell'esercito tolemaico (altro riferimento encomiastico).
4. 2 sono carmi erotici di argomento omosessuale (in metro e dialetto eolico).
5. 2 encomi: Le Càriti (encomio di Gerone II, che ha dei riferimenti alla guerra che stava per iniziare contro i Cartaginesi e che è quindi da situare nel 276 a.C.); Tolomeo (encomio di Tolomeo II Filadelfo, che ci suggerisce il suo viaggio in Egitto sia avvenuto verso il 271 circa): in questi carmi il poeta mostra notevole perizia stilistica e compositiva, ma sicuramente meno finezza nell'elogio rispetto alla misura di Callimaco.

Considerazioni Teocrito è con ogni probabilità il maggiore poeta dell'età ellenistica, vero creatore del genere bucolico, ma anche poeta di versi amorosi e leggeri. Si esprime, da vero poeta ellenistico, con una grande varietà di generi, spesso mescolandoli con disinvoltura: inni, elegie, liriche, epigrammi. Il metro di Teocrito negli Idilli è l'esametro epico, che illustra, con effetto straniante tra la solennità del metro e l'umiltà del soggetto, aspetti quotidiani della vita dei pastori e di grandi città come Alessandria, ma vuole essere comunque gradito alla sua epoca, aggiornandosi alle tendenze della letteratura ellenistica:

- Ironia: oscilla tra serio e comico, quasi invitando il lettore a non prenderlo troppo sul serio. Come Callimaco, Teocrito fa dell'opera d'arte il lusus di un letterato che guarda il mondo con occhio ironico e disincantato.
- Brevità (affermata nell'idillio Le Talisie, insieme alla raffinatezza)
- Raffinatezza della forma (senza disdegnare il dialetto dorico della città natia): la grande ricercatezza stilistica e linguistica del poeta crea negli idilli un raffinato gioco letterario, con una lingua che quasi disorienta chi legge e gli dà la sensazione che, appunto, non si tratti che di finzioni.

Tuttavia Teocrito fu famoso fin dall'antichità per la freschezza del suo genere bucolico. Il titolo di Idilli, in effetti, è generico (indica solo "visioni naturalistiche"), ma proprio a partire da Teocrito designa la poesia campestre, ambientata nell'assolata campagna siciliana e popolata da pastori. Con Teocrito si afferma, nella letteratura greca, il sentimento della natura come specchio dell'anima e come rifugio contro le tensioni e le ipocrisie della vita sociale. Alcuni di questi idilli ispireranno Virgilio, che tuttavia accentuerà il carattere "irreale" di questa natura, mentre nel poeta siciliano essa appare sentita con i sensi di chi vi è immerso, come una creatura viva.L'amore è visto come passione devastante, priva di appagamento, ora tenera, come nel Ciclope, ora dolorosa e malinconica, come in Buceo o in Simeta, il cui animo inquieto contrasta con il paesaggio sereno. E', dunque, una passione che il poeta, almeno in parte, guarda con partecipazione e con lo sgomento di chi sa che l'uomo è in balia della Tyche e non riesce a trovare spiegazione razionale ai moti e ai drammi dell'animo umano.

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