Risorse in Italia ed in Europa.

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Testo

CLIMA DELL’ITALIA
L’ITALIA è al centro di correnti contrastanti: correnti fredde ed umide, e correnti più calde. In generale, il clima italiano è instabile, soggetto a veloci cambiamenti, in quanto sull’Italia, si scontrano diverse correnti cicloniche ed anticicloniche
Le correnti umide giungono dall’ATLANTICO (correnti CICLONICHE); le correnti d’aria fredda e secca (dalla Siberia) o calda e secca (dalle Azzorre) sono dette ANTICICLONICHE.
D’estate, le correnti anticicloniche delle Azzorre, si collocano nel Mediterraneo meridionale, determinando condizioni di tempo stabile e caldo, mentre la pioggia è deviata oltre il 47° parallelo. D’Inverno, l’anticiclone si sposta a sud, e permette alle perturbazioni atlantiche di invadere il mediterraneo. D’inverno si sente anche l’azione dell’Anticiclone Siberiano, portatore di correnti d’aria fredda e secca.
E’ più fredda la zona alto adriatica del paese, in quanto le correnti fredde siberiane, provenienti da est, penetrano attraverso i bassi rilievi montuosi del nord/est (monti Urali), e fanno sentire la loro influenza; inoltre il mar Adriatico, essendo meno profondo del resto del Mediterraneo, trattiene e sprigiona meno calore e meno a lungo, quindi vi è scarsa azione mitigatrice delle acque marine, qui, come del resto nella parte interna del paese, il clima è di tipo continentale. Sull’arco alpino, il clima risente dell’altitudine ed è di tipo continentale freddo. In contrapposizione, il clima nelle coste della parte ovest e nel centro/sud, favorito da una maggiore azione mitigatrice del mare, è temperato e di tipo mediterraneo.
Libro pag. 92/93

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CLIMI E AMBIENTI
In EUROPA esistono 3 zone climatiche principali.
Iniziando da sud, clima di tipo MEDITERRANEO (Portogallo, Spagna, Sud Francia, coste ed isole Italiane, costa dalmata, Grecia, coste mar nero).
Caratteristiche: inverni miti (temperatura media 10°), estati calde e secche, piogge scarse e concentrate in autunno/inverno.
Vegetazione: macchia mediterranea, un tempo estesa, caratterizzata da pino domestico, leccio querce, arbusti molto odorosi (es. rosmarino, corbezzolo, alloro, ginepro). Queste sono zone di antico e massiccio popolamento (greci, romani, etruschi, dalmati) ed hanno subito un ampio disboscamento Le poche zone rimaste integre sono sottoposte a tutela: a Ravenna si trovano le pinete, le zone umide (es. Punte Alberete) in toscana il parco dell’Uccellina, in Francia il parco della Camargue.
Nel nord–ovest dell’Europa insiste il clima ATLANTICO (coste atlantiche di Spagna, Francia del centro ovest, Gran Bretagna, Irlanda, Islanda, Belgio Olanda, nord della Germania, costa Norvegese).
Caratteristiche: clima relativamente mite, influenzato dalla CORRENTE DEL GOLFO, inverni relativamente miti (temp. media 0°), estati fresche (temp. media 15°), piovosità costante in tutte le stagioni.
Vegetazione: boschi di latifoglie (alberi con foglie caduche), concentrati in alcune zone. Anche queste sono zone di esteso ed antico popolamento, gran parte delle foreste sono state disboscate per far spazio ad agricoltura, pascoli per allevamenti e città. Dagli anni ’70, si è cercato di difendere il patrimonio boschivo soprattutto in Francia e Germania (foresta nera).
Man mano che ci si sposta nella parte più interna d’Europa, si passa al clima CONTINENTALE (fra le coste e l’interno, esiste una fascia di clima di transizione).
Caratteristiche: inverni freddi, estati calde, escursioni termiche accentuate, piovosità ridotta e presente nelle mezze – stagioni.
Vegetazione: foresta a latifoglie in parte disboscata, coltivata a cereali ed allevamento; zona di concentrazione urbana.
Nelle parti interne del continente più aride, (Meseta, altopiani spagnoli, Ungheria, Russia/Kazakistan vicino al mar Caspio), le scarse precipitazioni danno vita al bioma della Steppa, caratterizzato da vegetazione erbacea ed arbustiva rada e bassa, atta a sopportare a lungo l’assenza d’acqua. Dopo le precipitazioni la Steppa cede il posto alla prateria, ambiente più rigoglioso.

Spostandosi più a nord, si entra nel clima CONTINENTALE FREDDO (Russia, Finlandia, Svezia, Norvegia).
Caratteristiche: inverni freddi, estati fresche, scarsa piovosità.
Vegetazione: TAIGA, foreste di conifere e betulle in larga parte dell’Europa settentrionale, importante per estensione quella Russa, poco abitata, allevamenti d animali da pelliccia. Nelle zone meno fredde, le foreste sono state abbattute per far posto ad allevamenti, agricoltura e città.
Passato il 66° parallelo, di entra nel clima SUB – ARTICO.
Caratteristiche: inverni lunghi e rigidi, estati brevi e fresche.
Vegetazione: TUNDRA, prato a muschi e licheni, nel breve periodo del semi – disgelo che avviene nella tarda primavera – estate. Il terreno si sgela solo in una breve fascia superficiale, restando gelato in profondità (PERMAFROST) e le acque, stagnano per 6 settimane circa, formando un grande acquitrino, e favorendo la nascita di miliardi di zanzare. Zona dei lapponi. Fauna alci, renne.
CLIMA D’ ALTA MONTAGNA (Alpi, Carpazi, Caucaso) con caratteristiche e clima tendente al sub artico man mano che si sale di quota. Comunque con inverni rigidi, estati fresche e piovose.
Libro pag. da 16 a 21.

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MIGRAZIONI IN EUROPA
Iniziano in modo consistente nel 16° secolo per cause politiche, religiose, economiche (trovare nuove vie o rotte marittime commerciali di comunicazione in alternativa alle antiche vie terrestri note sin dal medioevo quali le vie della seta, delle spezie ecc.), senso dell’avventura, ricerca di nuove opportunità di vita.
- Il paese che per primo cerca di trovare rotte commerciali marittime relative ed alternative a quelle terrestri è il Portogallo (Principe Enrico del Portogallo dal 1420). I navigatori portoghesi conquistano Madera (1420), si impadroniscono delle isole Azzorre, (1427), vanno in Africa (coste africane), nel 1460 raggiungono la Guinea. Sulle coste dell’Africa, impiantano basi commerciali. Nel 1488 Bartolomeo Diaz oltrepassò il capo di Buona Speranza compiendo per primo la circumnavigazione dell’Africa e aprendo la rotta delle Indie (fondamentale per l’approvvigionamento delle spezie). Le Indie saranno raggiunte nel 1498 da Vasco da Gama dopo un viaggio di un anno durante il quale ampliò le conoscenze sull’Africa e prese possesso d’altri territori africani per il regno Portoghese. Egli per primo trattò un accordo commerciale con il Rajah dell’India. In seguito furono impiantate basi commerciali anche in India, poi in Cina (Macao) e fu raggiunto il Brasile (Pedro Cabral) dove furono create grandi piantagioni di tabacco e canna da zucchero, sfruttando prima il lavoro degli indios, poi importando schiavi negri dal Congo e dall’Angola.
- Spagna: entra in competizione con il Portogallo nella ricerca di una nuova via d’accesso alle Indie. Cercando quindi di giungere “il levante passando per il ponente” (si era teorizzata l’esistenza di un tratto di mare piuttosto breve tra le coste occidentali dell’Europa e quelle orientali della Cina), Cristoforo Colombo nel 1492 raggiunge l’America Centrale. Ciò apri la via alla colonizzazione del nord America meridionale (New Messico, Florida, Texas, in seguito passate agli Stati Uniti), del Messico, dell’America del centro e del Sud (Perù, Argentina) dove furono create piantagioni (canna da zucchero, tabacco), sfruttate le miniere di metalli preziosi e distrutte le culture autoctone dei Maya, Aztechi, Incas. (conquistadores).
17° secolo (1600).
- Inghilterra: colonie di popolamento in America del Nord, (costa atlantica). In India impianta basi commerciali (dapprima sulle coste).
- Francia: colonie in America del Nord (Canada) basi commerciali e piantagioni. n Indocina (Laos, Cambogia, Vietnam) basi commerciali. In America Centrale (Martinicca, Guadalupe) piantagioni.
- Olanda: in America Centrale, Indonesia, Sud Africa piantagioni e colonie di popolamento.
Nel ‘600 divenne florido il commercio degli schiavi (gestito prima dai portoghesi, poi dagli olandesi, quindi dagli inglesi), delle spezie dall’America, del caffè, cacao, delle materie prime. In questi nuovi mercati delle colonie, sono immessi i prodotti delle manifatture europee.
18° secolo (1700).
- Inghilterra: ottiene colonie francesi (guerra dei 7 anni) in America, ed il Sud Africa (guerra contro i Boeri, colonizzatori Olandesi). Scopre Australia e Nuova Zelanda.
Dalla seconda metà del ‘700, i flussi migratori verso le colonie e le terre da conquistare diventano più intensi.
19° secolo (1800). Gli stati Europei penetrano all’interno dei paesi precedentemente colonizzati e ne prendono il controllo politico. Inghilterra, Francia, Belgio, Germania e, verso la fine del’1800, Italia, si spartiscono l’Africa.
Dal 1840 fino agli anni ’30 sono emigrati 63 milioni d’Europei. Negli ultimi 20 anni del 1800 partì un consistente flusso migratorio dall’Europa meridionale (Spagna, Italia, paesi balcanici, Impero Austro-Ungarico), soprattutto verso le Americhe. Le cause sono da ricercare nell’aumento demografico massiccio e nell’insufficiente sviluppo economico di queste aree (gli Italiani sostituiscono la manodopera negra nelle piantagioni di canna da zucchero in America latina).
Le emigrazioni si interrompono durante la 1^ guerra mondiale e negli anni successivi, perché gli Stati Uniti avevano bloccato le immigrazioni dopo la crisi economica del 1929. Anche durante il fascismo, Mussolini vietò l’emigrazione se non verso le colonie italiane in Africa.
Dopo la 2^ guerra mondiale si ebbe una nuova ondata migratoria che coinvolse l’Europa meridionale verso i paesi economicamente più forti quali Germania, Francia, Gran Bretagna e Svizzera. Si registrano altresì flussi migratori più deboli verso le Americhe e L’Australia.
Le migrazioni europee terminarono negli anni ’70 in seguito alla crisi economica del ’73 (aumento prezzo petrolio) con relativo aumento della disoccupazione interna anche ai paesi ospitanti gli immigrati. In questi anni i nostri emigranti in gran parte tornarono a casa.
Dagli anni ’80 in poi, l’Europa occidentale (blocco NATO) è sede di migrazioni da parte delle popolazioni dei paesi africani (in Francia e Gran Bretagna migrazioni dalle loro ex colonie) e dell’Europa dell’est (ex blocco patto di Varsavia) dopo la caduta del muro di Berlino (1989). Questi extra-comunitari vengono in Italia (anche solo per poter accedere in Europa) vista la mancanza di una severa legge sull’immigrazione
Negli anni ’90, a queste correnti migratorie si sono aggiunte anche popolazioni asiatiche (cinesi pakistani, curdi). L’Italia si doterà solo dal ’90 di una norma in materia (legge Martelli), che prevede per restare ed essere regolarizzati la disponibilità di un’abitazione e di un lavoro, di contingentamenti degli immigrati, di espulsione per chi si macchia di crimini gravi.

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MIGRAZIONI ITALIANE
Dal 1880 al 1914 si registra un massiccio flusso d’emigranti italiani verso gli Stati Uniti d’America (costa atlantica). Accanto a questo flusso verso gli U.S.A., era presente un flusso d’emigrazione minore verso il sud America (Brasile ed Argentina).
Gli emigranti italiani erano braccianti, proletari, gente povera, piccoli artigiani che non conoscevano nemmeno la lingua italiana e si esprimevano esclusivamente nel dialetto della regione d’origine (si possono facilmente immaginare le grandi difficoltà d’adattamento ad un paese ed una lingua straniera). Solitamente partivano prima gli uomini, i capifamiglia, quindi, trovato lavoro e casa, “importavano” la famiglia. Molti anche i casi di famiglie abbandonate in Italia a fronte di una nuova unione nel “nuovo mondo” (le mogli abbandonate erano dette “vedove bianche”), ma restava comunque nella maggior parte dei casi un legame economico: ovvero gli uomini, anche se si erano formati un nuovo nucleo familiare, mandavano soldi alle loro famiglie italiane.
In Argentina esistono paesi con struttura delle case prevalentemente italiana; gli italiani hanno importato in questo paese la coltura, prima inesistente, della vite.

Le emigrazioni si interrompono durante la 1^ guerra mondiale e negli anni successivi, perché gli Stati Uniti avevano bloccato le immigrazioni dopo la crisi economica del 1929. Anche durante il fascismo, Mussolini vietò l’emigrazione se non verso le colonie italiane in Africa.
Dopo la 2^ guerra mondiale si ebbe una nuova ondata migratoria che coinvolse l’Europa meridionale verso i paesi economicamente più forti quali Germania, Francia, Gran Bretagna e Svizzera. Si registrano altresì flussi migratori più deboli verso le Americhe e L’Australia.
Negli anni ’50,’60,’70 si registrano anche migrazioni di tipo interno: dal sud verso il nord, dalle montagne alle coste, dalle campagne alle città (urbanesimo).
Le migrazioni europee terminarono negli anni ’70 in seguito alla crisi economica del ’73 (aumento prezzo petrolio) con relativo aumento della disoccupazione interna anche ai paesi ospitanti gli immigrati. In questi anni i nostri emigranti in gran parte tornarono a casa.
Oggi vi è una realtà lavorativa che vede persone scolarizzate, e quindi qualificate e specializzate, che lavorano all’estero per conto di grandi aziende multinazionali Italiane od estere. Esiste altresì il fenomeno della “fuga dei cervelli” ovvero scienziati e ricercatori universitari che vanno ad esercitare e ricercare soprattutto negli U.S.A., paese che investe moltissimo, ed a ragione, in questo basilare settore.
L’Italia è diventata oggi un paese che ospita immigrati. Il fenomeno dell’immigrazione è iniziato verso la metà degli anni ’80 (quando, vista l’assenza di leggi in materia di immigrazione, L’Italia era un facile punto di arrivo e di passaggio per l’Europa),e pur con modifiche riguardo alle etnie in arrivo ed alle modalità d’arrivo ed accoglimento, continua tuttora (negli anni ’90 l’Italia si dota di leggi in materia, legge Martelli, ma la sostanza non cambia: si è infatti passati ad una grossa immigrazione illegale).
Ospitiamo Africani del Maghreb, del Golfo di Guinea (Senegalesi e di paesi limitrofi), prima del ’89 rifugiati politici dei paesi del blocco di Varsavia (soprattutto Polacchi e Rumeni), dal ’90 rifugiati dei paesi dell’ex Jugoslavia (Bosniaci), negli ultimi anni Albanesi, Curdi, Cinesi (grande comunità cinese a Prato, inserimenti nei settori della ristorazione e dell’abbigliamento, importazione mafia cinese), Filippini, Pakistani (sud-est asiatico).

POPOLAZIONE D’EUROPA
L’accrescimento della popolazione Europea è stato lento. Un elevato tasso di natalità, era pesantemente controbilanciato da un elevato tasso di mortalità, e ciò determinava un accrescimento della popolazione esiguo.
Nel 27 a.C./14 d.C., l’imperatore Augusto indice i primi censimenti.
Nel 3° secolo d.C., calcolati dagli storici 40 milioni di abitanti nell’Impero Romano (circa 300 milioni complessivi su tutta la Terra).
La popolazione inizia a decrescere dal 1° al 4°secolo d.C., a causa delle invasioni barbariche e della caduta dell’impero romano d’occidente. La tendenza continua per tutto l’alto Medioevo fino al 7° secolo (da 28 a 20 milioni di abitanti, invasioni barbariche, Longobardi, Franchi, guerre, carestie). Immissione di genti extra-europee con l’occupazione Araba delle grandi isole del Mediterraneo occidentale e della penisola Iberica.
Anno 1000. Ripresa demografica; la popolazione torna a quota 40 milioni. Rinascita delle attività: da economia feudale autarchica (solo commercio del sale con esterno del feudo) ai Comuni. Rivoluzione agricola: inventati la ferratura dei cavalli, il giogo al torace per gli animali da tiro e lavoro, nuovo aratro con erpice più funzionale che scava più in profondità, aumento produzione agricola con nuove tecniche di coltura (rotazione triennale). Quindi maggiore disponibilità di cibo e, di conseguenza, fortificazione delle persone. Dall’anno Mille in poi, rinascono i mercati, artigianato, commercio, maggiore ricchezza.
Nel 1340 stimati 85 milioni di abitanti in Europa. Ma nel ‘300, con la guerra dei cent’anni, la guerra dei trent’anni, epidemie (pestilenze in particolare) e carestie, si ha un decremento demografico: si passa da 85 a 68 milioni di persone.
1500 (16 ° secolo) Nonostante epidemie, carestie, cattivi raccolti, guerre e la migrazione di una consistente parte della popolazione Europea nel nuovo mondo (soprattutto Inglesi e Irlandesi in America del Nord) dovuta alle grandi scoperte geografiche (dal ‘500 al ‘600) rallentino la crescita, la popolazione Europea riprende ad espandersi.
Dal 1650 al 1750 la popolazione aumenta rapidamente, dal 1750 al 1850 quasi raddoppia. Sono gli anni della seconda rivoluzione agricola e della prima rivoluzione industriale iniziata in Gran Bretagna e quindi espansasi nei paesi Europei più sviluppati (Dal 1850 in: Francia, Belgio, Germania, Olanda, in seguito in Italia). Aumentano le risorse agricole, inizia l’applicazione delle macchine in agricoltura, selezione delle sementi, uso dei concimi; circolano nuovi prodotti (pomodoro, patata, mais, cotone). Grande sviluppo della scienza medica che inventa i vaccini e debella importanti malattie (vaiolo, colera, difterite, peste). Diminuisce il tasso di mortalità ed aumenta quello di natalità; aumenta la durata media della vita (dai 30/35 anni agli oltre 50).
In Italia, l’industrializzazione inizia a fine ‘800, soprattutto nella zona di Torino, Milano, Genova, conseguentemente anche la riduzione di mortalità inizia in quel periodo.
Dal 1850 al 1950 (nonostante le due guerre mondiali e il Nazismo) la popolazione è più che raddoppiata (572ml.). Dopo la seconda guerra mondiale, si ha la seconda rivoluzione industriale.
Nel 1991, contati 710 milioni di abitanti. In 40 anni quindi, non c’è stato un raddoppio, ma un lieve aumento dovuto al mutamento delle consuetudini di vita dei paesi sviluppati passati da un’economia agricola ad una di tipo industriale e postindustriale. Le famiglie abbandonano il modello patriarcale diventando nucleari (padre, madre, un figlio), non è più presente in famiglia la generazione dei nonni, le donne studiano e lavorano (lotte femministe per l’emancipazione dal ’68 al’75), hanno aspettative e traguardi extra-familiari di realizzazione nel lavoro: perdono così valore matrimonio, famiglia e figli e quindi diminuiscono i matrimoni, diminuiscono le maternità e sono spostate più avanti nel tempo; si fanno quindi meno figli., aumenta il numero dei divorzi, i single, le famiglie con un solo genitore e le unioni di fatto. Il tasso d’accrescimento è vicino allo 0% ed in alcuni casi si sono registrati casi di decremento demografico. Negli anni 50 in Francia, il Governo ha cercato di tutelare la natalità con sovvenzioni per il 3° figlio e in quel paese si è passati dal decremento ad una leggera ripresa. Anche in Gran Bretagna il tasso di crescita è minimamente in attivo (0,6%) ma non si è pensato a sovvenzioni.
Altri decrementi demografici si registrano tuttora in Ungheria (per motivi sanitari) ed in altri paesi dell’ex blocco comunista (le donne non fanno molti figli in quanto sono adibite, al pari dell’uomo, anche a lavori pesanti),ed anche in altri paesi dell’Europa occidentale come Italia (tasso di crescita 0% dal ‘95, negativo nel centro nord ma positivo nel meridione), Germania, Danimarca.
Gli stati con tasso di mortalità più elevato in Europa sono: Albania, alcuni stati dell’ex U.r.s.s. (tubercolosi, malaria ecc.).
Si è invece abbassato il tasso di mortalità nell’Europa comunitaria ed occidentale, che tende a stabilizzarsi intorno al 10 per mille (l’aspettativa di vita si è di molto allungata grazie alla scienza medica dell’ultimo secolo, portandosi dai 40 anni del ‘700 agli oltre 80 di questo fine secolo: 78 per gli uomini e 81 per le donne più resistenti biologicamente, adibite in genere a lavori meno usuranti e, contestualmente ai paesi sviluppati, meno “usurate” dalle diminuite maternità); si è inoltre drasticamente ridotto, sempre in questi paesi il tasso di mortalità infantile (quasi nullo in Svezia Danimarca e Norvegia), mentre resta più elevato nei paesi dell’ex blocco comunista.
Problemi della popolazione Europea oggi
Tutti i paesi UE, hanno un basso (o nullo) tasso di natalità ed un basso tasso di mortalità, quindi a causa di questo rallentamento demografico si sta verificando un invecchiamento della popolazione (aumenta anche l’aspettativa di vita). Gli ultra sessantacinquenni sono il 19% della popolazione, i giovani tra i 18 e 24 anni il 15 %.
Si stima che nei prossimi 50 anni ci sarà una consistente diminuzione della popolazione autoctona Europea (nel 2025 si stima che la popolazione Europea diminuirà di 20 milioni di unità; in Italia si passerà da 56 a 44 milioni di abitanti), a fronte di una grossa immissione di etnie extraeuropee che ridaranno slancio ad un trend positivo di nascite. L’Europa diventerà quindi un continente multietnico.
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PROBLEMI DELLE MINORANZE IN UE
Alle soglie del 2000, sussistono in Europa problemi di minoranze etniche spesso con lotte indipendentistiche anche cruente (terrorismo) ed evoluzioni politiche. In specifico nei paesi Europei:
- SPAGNA: terroristi dei PAESI BASCHI (regione al confine con la Francia) I Baschi sono un’etnia non Indoeuropea, non si sa esattamente da dove provengano, si pensa all’Asia centrale, parlano quindi una lingua avulsa alle Europee. Esistono etnie basche anche in Francia, ma sono paesi poveri, mentre in Spagna la regione Basca è ricca di minerali (di conseguenza ricchi sono i Baschi Spagnoli) infatti, l’industrializzazione Spagnola iniziò e si concentrò, infatti, in questa regione. Esistono 4 diversi partiti Baschi che chiedono diverse cose: si va da una maggiore autonomia (peraltro già vasta, controllano, infatti, anche la produzione economica della loro regione), alla creazione di uno Stato indipendente. L’ETA (il partito/esercito di liberazione Basco), si è macchiato di numerosi atti terroristici cruenti contro le istituzioni ed il popolo Spagnolo, atti terroristici per lo più perpetrati nel sud della Spagna e nella Catalogna (Barcellona). Secondo le ultime notizie, a fine febbraio 1999 l’ETA avrebbe dichiarato una tregua unilaterale definitiva. Anche la CATALOGNA, ricca regione industrializzata con capitale Barcellona, richiede una maggiore autonomia ed il riconoscimento della loro lingua (una diversa versione dello spagnolo). Esiste inoltre una grave tensione tra Spana e Gran Bretagna riguardo GIBILTERRA, promontorio con città sullo stretto omonimo, “colonia” della Gran Bretagna dal 1700. Oggi è anche un porto franco e sede d’affari agevolati (come Montecarlo). Questa situazione ha di fatto creato situazioni anomale tra due paesi dell’UE, rendendo anche inapplicabile gli accordi di Shenghen in questa particolare area; infatti, per andare a Gibilterra dalla Spagna occorrono tempi biblici e presentare la carta d’identità, inoltre ora come ora, la Spagna ha vietato il sorvolo del suo territorio agli aerei, di qualsiasi nazione e provenienza, diretti allo scalo di Gibilterra.
- FRANCIA: tensione fra gli abitanti della Corsica e la madrepatria. I corsi, più affini agli Italiani che ai Francesi, vorrebbero una maggiore autonomia (si sentono una regione dimenticata dalla Francia); alcuni vorrebbero l’indipendenza. In estate, vi sono attentati nei centri turistici.
- IRLANDA DEL NORD: l’Irlanda, ha acquisito in tempi recenti la sua indipendenza dalla Gran Bretagna, dopo un lungo periodo di lotta. Quando nel 1922 il popolo Irlandese fu chiamato tramite referendum ad esprimersi sulla scelta indipendentista, le 6 contee dell’Irlanda del Nord, regione con forte presenza di abitanti Inglesi con religione protestante (discendenti dei coloni Inglesi insediatisi in questi luoghi dopo la conquista dell’isola da parte della Gran Bretagna), votò contro e rimase legata alla madrepatria. Questo diede luogo a decenni di violenta lotta terroristica fra gli Irlandesi del nord (la maggioranza della popolazione con maggior tasso di disoccupazione e povertà) militanti dell’IRA (esercito di liberazione dell’Irlanda) e i lealisti protestanti (la minoranza ma con in mano il potere economico e l’arma della discriminazione verso gli Irlandesi) appoggiati da massicce forze d’élite dell’esercito Inglese. A tutt’oggi, con il Governo Blair (laburista) sembra si stia giungendo ad una cessazione della lotta attraverso ampie concessioni autonomistiche (trattato nel 1998) agli Irlandesi, il problema resta l’intransigenza dei lealisti Inglesi.
- BELGIO: è popolato da due gruppi etnici diversi, Fiamminghi e Valloni. I fiamminghi abitano nel nord e svolgono attività relative al campo industriale e commerciale, è il gruppo etnico dominante anche dal punto di vista numerico (vi è stata una ripresa demografica dopo la 2^ guerra mondiale), parla una lingua vicina all’olandese ed al tedesco, mentre i Valloni parlano francese (i Francesi si beffano dei Valloni in quanto li giudicano tonti per la loro cadenza della lingua francese).Fra questi due gruppi, che di solito convivono abbastanza bene, vi sono scontri alle scadenze elettorali.
- GERMANIA: unificata nel 1870, è uno degli stati nazionali Europei che ha raggiunto l’unità più tardi; prima, come l’Italia, era divisa in piccoli stati. Dopo la 2^ guerra mondiale, la Germania è stata divisa in 2 parti dalle potenze vincitrici del conflitto. Turingia, Sassonia, Brandeburgo, Maclenburgo, zone di antico dissodamento e colonizzazione medievale, hanno formato la Repubblica Democratica Tedesca (DDR o RDT) assoggettate, di fatto, all’influenza Sovietica, Repubblica caratterizzata quindi da predominio assoluto del regime comunista con partito unico (lo Stato era espressione soprattutto del proletariato). I cittadini non godevano di libertà di stampa, di opinione, di circolazione (soprattutto negli anni ‘50/’60, il periodo più acuto della guerra fredda) come nell’altra parte di Germania la Repubblica Federale Tedesca (RFT) un paese di stampo prettamente occidentale perfettamente inserito in ambito NATO e CEE. All’inizio degli anni ’70, i rapporti tra Repubblica Democratica e Repubblica Federale, grazie al nuovo clima di disgelo tra i blocchi, iniziano a migliorare. A livello economico, nella RDT, lo Stato gestiva tutte le attività; la Germania Est, prima della divisione, ospitava un grosso apparato industriale, e come fonte energetica, utilizzava la lignite, carbone con poca concentrazione di carbonio e grossa concentrazione di zolfo, quindi elemento alquanto inquinante. L’utilizzo di questa fonte d’energia è continuato anche durante il dominio comunista, come alimentazione di industrie pesanti (siderurgia, meccanica, metallurgia) compromettendo seriamente l’equilibrio ecologico del paese. Le produzioni dell’industria pesante erano, peraltro, di bassa qualità, cosa però che non disturbava affatto lo Stato in quanto il commercio avveniva a circuito chiuso esclusivamente con i paesi del COMECON (organizzazione di tipo economico che raggruppava tutti i paesi dell’Est Europeo, assoggettati all’influenza Sovietica, che intendeva controbilanciare ed eguagliare la CEE). Nella Germania Est, esisteva la piena occupazione, anche se non vi era richiesta di determinati prodotti e si produceva in perdita. Quindi, salari bassi ma, grosso modo, uguali per tutti, alloggi a basso costo, sanità ed istruzione gratuite. Per il cittadino dunque, le spese erano poco elevate, anche a fronte di un non esaltante salario, ma non c’era libertà, e non erano disponibili oggetti di consumo (il superfluo come televisione, videoregistratori, elettrodomestici, griffe d’abbigliamento) in quanto lo Stato aveva potenziato esclusivamente l’industria pesante a totale discapito dell’industria leggera.
All’interno della Germania Est, la capitale Berlino, era a sua volta divisa in due zone d’influenza: 3 settori agli alleati occidentali, una zona all’Unione Sovietica (questa zona era la capitale della Germania Est) divise dal 1961, ormai peraltro in clima di distensione, da un invalicabile muro eretto dalla Repubblica Democratica per impedire il massiccio esodo di profughi di tedeschi dell’Est (e di altri cittadini di paesi comunisti) diventando il simbolo stesso della guerra fredda. Questa situazione aveva creato un’oasi occidentale e la Repubblica Federale incentivava i giovani e le industrie a stabilirsi a Berlino Ovest, in quanto la parte occidentale, visto l’esodo dei suoi abitanti negli anni più accesi della guerra fredda, rischiava di divenire una città fantasma. Ciò ha determinato enormi differenze tra le due zone di Berlino, soprattutto negli anni’70, quando Berlino ovest, era diventata la città degli alternativi e dei punk, per antonomasia. Nel 1989, il governo socialista della RDT entra in crisi, crisi diffusa anche negli altri paesi del Blocco di Varsavia. Particolarmente da Agosto ad ottobre ’89, in questi paesi cadono i regimi comunisti. Un primo segno della caduta del comunismo in Europa, fu l’abbattimento del muro di Berlino. Il 12 settembre 1990, con il trattato due + quattro, viene riunificata la Germania. Al Governo della nuova Germania si presentavano profondi problemi economici di dislivello tra le due aree. La maggior parte delle fabbriche dell’est dovevano essere smantellate in quanto obsolete e pericolose. Ciò determinò la piaga della disoccupazione, sino ad allora sconosciuta nella Germania est, e l’esodo di molti cittadini orientali verso le regioni industrializzate della RHUR in cerca di un lavoro. Questi tedeschi dell’est, si sentivano inferiori ai loro concittadini occidentali per reddito e conoscenze. Tutta la popolazione è stata coinvolta nel processo di riunificazione attraverso l’aggravio delle tasse. Oggi il Governo tedesco cerca di incentivare gli investimenti (anche esteri) nella parte orientale del paese, ma il processo è lento, e c’è ancora molto da fare.
- CECOSLOVACCHIA: ora Repubblica Ceca con capitale Praga e Repubblica Slovacca con capitale Bratislava. Il regime comunista è stato battuto alla fine degli anni ’80 attraverso libere elezioni. Subito dopo sono iniziate le controversie tra i Cechi di Moravia e Boemia, e gli Slovacchi del sud del paese. La Slovacchia è un territorio prettamente agricolo, mentre la Moravia Boemia, territorio ricco di materie prime, ha una concentrazione di apparati industriali. Per bilanciare la situazione, negli anni ’70 il Governo comunista aveva investito in Slovacchia per la creazione di industrie di base. Dopo la caduta del regime e l’apertura al capitalismo, il nuovo Governo voleva chiudere le industrie in Slovacchia in quanto producevano in perdita. Gli Slovacchi, temendo di impoverirsi, hanno chiesto la divisione dalla regione Boema, divisione attuata pacificamente nel ’93.
- UNGHERIA, ROMANIA, BULGARIA: dal 1989 crollo dei regimi comunisti e avvento di governi democratici (fra febbraio e dicembre’89, in Romania con condanna a morte dell’ex dittatore Ceausescu a seguito di insurrezioni popolari).
- POLONIA: è stato il primo paese del blocco comunista ad aver iniziato la spinta verso la caduta del regime. Con SOLIDARNOSC, sindacato autonomo capitanato da Leich Walesa, entrato in trattative da febbraio ’89 con il Governo. Nel settembre dello stesso anno, i comunisti lasciano la guida del paese.
- UNIONE SOVIETICA: patria del comunismo, con mancanza delle principali libertà democratiche, e con organizzazione economica tipica del comunismo. Stato totalmente dirigista completamente identificato nel Partito Comunista Sovietico (PCUS), e controllore dell’economia programmata in piani quinquennali, industrie pesanti, tese all’esasperata competizione anche nel campo degli armamenti contro gli Stati Uniti, agricoltura attuata in grandi aziende collettive cooperative i Sovchoz, forma attuata nelle regioni più orientali, con terra di proprietà dello Stato, e i kolchoz, con terra e prodotti di proprietà comune ma i membri avevano a disposizione un piccolo appezzamento privato, questa forma d agricoltura, dove era lo Stato a disporre della produzione mostrò, il fianco: infatti, i contadini preferivano riservare le migliori cure al proprio piccolo appezzamento di terra i cui prodotti potevano vendere al mercato del paese e ricavarne qualche copeco, piuttosto che alle terre dello Stato quindi le produzioni erano sempre inferiori alle aspettative; Il Governo stesso aveva peraltro contribuito negli anni ’50 e ‘60, con profonde trasformazioni paesaggistiche come la deviazione del corso di alcuni fiumi, ed il vero e proprio sconvolgimento della geografia di alcune zone, alla trasformazione dei microclimi di vaste zone agricole ed al loro conseguente bio-impoverimento. Già dal ’75, infatti, l’URSS aveva smesso di essere il granaio dell’Europa e acquistava grano dagli Stati Uniti.
Il popolo sovietico seguiva passivamente le direttive del PCUS in quanto a tutti era garantito un lavoro, seppur con basso salario, un’abitazione ed una vita sociale con pochissime spese seppur non brillante (famose le file per la distribuzione o l’acquisto dei generi alimentari).Ma il PCUS, nel tempo, si era sempre più separato dal popolo (stacco tra base e vertice del paese) ed il malcontento era diffuso. I capi del partito vivevano, infatti, in condizioni più agiate (denaro, auto, dacie) rispetto alla stragrande maggioranza della popolazione. Parte del popolo chiedeva quindi cambiamenti, ma la dirigenza politica non voleva concederli, e spesso perseguiva questi soggetti come dissidenti.
L’11 marzo 1985 sale alla presidenza dell’Unione sovietica Micahil Sergeevic Gorbaciov, esponente di maggior spicco dell’ala riformista del PCUS, che diede una svolta epocale alla politica sovietica. Nel giro di pochi mesi dalla sua elezione, Gorbaciov mutò profondamente la politica estera sovietica degli ultimi 40 anni, imperniata sulla competizione militare con l’occidente. Venne da lui inaugurata una stagione di disarmo, spesso unilaterale (ritiro dall’Afganistan, distruzione dei sistemi missilistici di corto e di medio raggio, trattati Saltnel ’87 per la riduzione degli arsenali militari) che, di fatto, chiudeva la guerra fredda. Questa repentina mutazione dell’orientamento strategico della politica estera sovietica, aveva profonde ragioni interne. L’economia sovietica era, infatti, al collasso: la scarsa produttività del sistema e la pianificazione accentrata non erano più in grado di garantire il soddisfacimento dei consumi essenziali, i costi sociali ed economici affrontati nei 20 anni precedenti per garantire all’URSS lo stato di grande potenza planetaria erano ormai insostenibili; era necessario dirottare le risorse disponibili dalle spese militari ai consumi interni. Il nuovo dirigente, già prima del ’89, reinstaura la proprietà privata, e cerca di stringere rapporti economici di Joint–Venture (accordi in base ai quali i paesi più ricchi e tecnologicamente avanzati portano i capitali, le tecnologie ed il know how ed i paesi poveri ospitanti forniscono manodopera e materie prime) con i paesi capitalisti (accordi con FIAT, industrie leggere come abbigliamento assenti in URSS), per entrare nei circuiti del commercio internazionale e garantire l’afflusso di capitali e di tecnologie straniere, indispensabili per il rilancio dell’economia sovietica. Questo modello di rinnovamento fu chiamato PERESTROJKA. Ma indubbiamente l’intuizione più feconda di Gorbaciov fu quella di comprendere che la riorganizzazione del sistema economico, era indubbiamente legata ad una profonda trasformazione del sistema politico. Si trattava di mettere in discussione il potere della burocrazia statale ed il controllo capillare del PCUS sulla società civile. Le resistenze a questo piano, vennero dalle vecchie burocrazie del PCUS. Alla fine del’88, i conservatori furono in grado di condizionare le prime elezioni semilibere, previste dal nuovo assetto costituzionale voluto da Gorbaciov nel’88, della nuova camera dei Soviet, imponendo una maggioranza di candidati contraria alla perestrojka. Si apriva così un conflitto istituzionale tra il presidente ed il Parlamento che avrebbe segnato la vita politica dell’URSS fino al suo definitivo crollo. Gorbaciov afferma nel 1989 il principio della libera determinazione dei popoli, ovvero la libertà dei popoli a gestirsi nel modo prescelto (e di conseguenza la fine dell’ingerenza sovietica, anche attraverso l’intervento dell’armata rossa, nei paesi del blocco comunista) concetto precedentemente del tutto assente in Unione Sovietica. In questo quadro di crisi politica, si intensificarono come elemento destabilizzante, e insieme come spia del profondo malessere sociale, le rivolte nazionalistiche, fermenti che affondavano le radici nella forzata integrazione delle etnie dell’immenso territorio sovietico. Emblematica era stata la ribellione nazionalistica e separatista esplosa nel 1988 negli stati baltici di Estonia, Lettonia e Lituania (in quest’ultima intervento repressivo dell’esercito sovietico); questi popoli rivendicarono il diritto all’autodeterminazione e alla piena autonomia dal potere centrale (che riusciranno ad ottenere nel 1990). Forte di un personale prestigio internazionale, Gorbaciov era però osteggiato in patria dai reazionari comunisti ed anche dal fronte democratico, capeggiato da Boris Eltsin, che riteneva il suo un progetto di transizione dal sistema comunista a quello occidentale troppo lento e che, peraltro, non riusciva a vincere completamente la diffidenza del mondo occidentale a favorire concretamente, attraverso un programma di aiuti economici, la democratizzazione dell’URSS, mentre la crisi politica, dalla fine del’89 si aggravava con ritmi impressionanti. Il tentativo del Premier di mantenere una posizione equidistante tra la vecchia guardia comunista ed i gruppi democratici, fallì. Abbandonato dai democratici, Gorbaciov divenne virtualmente ostaggio dei moderati e dei conservatori, che godevano della maggioranza parlamentare, mentre le spinte centrifughe nazionalistiche minacciavano l’integrità dell’Unione Sovietica (repressioni militari sovietiche in Georgia nel’89 e in Lituania nel’91). Nell’agosto ’91, alcuni alti dirigenti del PCUS, misero in atto un colpo di stato per impedire la ratifica di un progetto di Gorbaciov volto a modificare la struttura costituzionale dell’URSS a favore di un ampliamento dell’autonomia delle Repubbliche. Ma la reazione popolare guidata da Eltsin (che divenne, di fatto, l’arbitro della situazione politica), la fermezza di Gorbaciov nel non scendere a patti con il gruppo golpista e l’opposizione internazionale determinarono il rapido fallimento del tentativo eversivo, gli effetti però furono dirompenti: il PCUS, per gran parte smantellato dallo stesso Gorbaciov, venne dichiarto fuorilegge in molte repubbliche e sospeso nella stessa Russia. Nel dicembre 1991 Lituania, Estonia, Lettonia, Georgia dichiararono la propria indipendenza, le restanti sottoscrissero la formazione di una comunità di stati indipendenti, CSI, dalle funzioni, poteri e istituzioni alquanto nebulosi (ogni Stato pensava per sé, non c’era politica comune ed era difficile la convivenza), capeggiata dalla Russia di Eltsin; Il tentativo della CSI può ad oggi dirsi fallito. Il 25 dicembre 1991 il PCUS, spina dorsale dell’URSS cessò anch’esso di esistere e Gorbaciov, dette le dimissioni.
Il dopo URSS: esistono vari problemi. E’ scoppiata una lotta tra etnie: Russia contro Cecenia (autonoma dal ‘96), armeni e azeri, tensioni in Georgia. Un enorme problema è costituito dalla ripartizione dell’arsenale atomico dell’ex-URSS: ci sono Stati diventati dal niente (Kazakistan, BieloRussia, Moldavia, Ucraina) potenze nucleari.L’occidente ha cercato di farsi promettere il rispetto dei trattati START di smantellamento degli arsenali, ma questi Stati hanno gravi problemi economici, ed il materiale nucleare sta divenendo una preziosa merce vendibile più o meno legalmente al migliore offerente (si ritiene possibile l’acquisto di ordigni da parte di organizzazioni terroristiche). La situazione economica in Russia oggi è sull’ orlo del caos più totale: gli anni di gestione Eltsin, non hanno portato quegli assestamenti economici preventivati, ed il passaggio all’economia di mercato si sta rivelando un’impresa titanica. Più volte l’URSS è dovuta ricorrere a prestiti dall’Occidente e dal Fondo Monetario Internazionale, ma la situazione è realmente gravissima. A fronte di tutto ciò, si è registrato un terrificante aumento del livello della criminalità organizzata, che in molti casi controlla letteralmente parti del territorio e parte del potere economico. Questo quadro sta causando un’ondata di revanscismo di parte della popolazione, che pensa che un ritorno del comunismo possa sistemare la crisi economica, malcontento abilmente cavalcato dai vecchi dirigenti del PCUS che tentano di rientrare in gioco, dalla destra ultranazionalistica e fondamentalista-etnica di Zirinowskj che sta ottenendo un discreto consenso popolare, e da alcuni generali dell’Armata Rossa che sposano la nostalgia comunista ed il fondamentalisno etnico-ortodosso anche con orientamenti filonazisti. A tutto ciò si deve opporre un Eltsin malfermo in salute, che deve inoltre cercare di conciliare con le esigenze economiche e le preoccupazioni dell’Occidente anche l’orgoglio Russo ad atteggiarsi ancora a grande potenza (opposizione ai raid aerei nel’99 in Kossovo contro i Serbi di Milosevic) ma che, a tuttora, è l’unica garanzia ancora certa di stabilità politica in Russia (a meno di un auspicato, quanto improbabile ritorno al potere di Gorbaciov).

- Ex Jugoslavia: formatasi nel 1919 in forma di monarchia in seguito alla caduta degli imperi Austro-Ungarico ed Ottomano, comprendente al suo interno un crogiolo di etnie (croati, serbi, albanesi, sloveni, macedoni, montenegrini, magiari, turchi, slovacchi, rumeni, bulgari) caratterizzate da lingue e religioni diverse. Durante la 2^ guerra mondiale, oltre ai problemi di religione, subentrano le contrapposizioni di fronte politico (serbi comunisti, croati filofascisti). Tuttavia, finito il conflitto, il Maresciallo Tito, capo del movimento di liberazione comunista, riesce a riunire le etnie in una Repubblica Socialista Federativa di 6 stati: Serbia, Croazia, Montenegro, Slovenia, Macedonia e Bosnia-Erzegovina più due regioni autonome in Serbia Vojovodina e Kossovo (in Bosnia presenti diverse etnie di cui la più forte è quella musulmana). In politica estera, nel 1948 Tito si distacca dalla “grande madre slava e comunista” (L’URSS), non per motivi ideologici, ma per ricercare una maggiore autonomia; al contempo stesso non si lega al blocco occidentale, ma segue una sua via personale di socialismo, creando il sistema dell’autogestione (ovvero la ripartizione di parte degli utili, oltre al normale stipendio statale, tra i lavoratori e la partecipazione attiva di questi al processo produttivo e decisionale, sottraendo quindi le imprese al rigido sistema di centralizzazione tipico degli altri paesi comunisti, in prospettiva di un maggiore incentivo alla produzione), adottando poi questo sistema anche nella gestione politica delle Repubbliche. Qualche anno più tardi, promuove, insieme all’India e ad altri paesi non compresi nella logica dei “blocchi”, il movimento dei paesi non allineati, di cui la Jugoslavia diviene ben presto il paese guida. Il sistema economico Jugoslavo, entra in crisi negli anni ’70 con la crisi petrolifera mondiale. Gli utili di produzione divennero bassi, facendo gravare sul paese un’inflazione crescente ed un debito estero sempre più soffocante, e il sistema porto ad una condizione di ingovernabilità: in pratica, le Repubbliche iniziarono a comportarsi come Stati autonomi. Ogni regione produceva per sé, privilegiando rapporti commerciali con Stati esteri a scapito del commercio interepubblicano. In questo clima si delineano forti differenze economiche e sociali fra le Repubbliche acuendo e rinfocolando differenze e contrasti latenti: Slovenia e Croazia sono regioni ricche, anche per le fiorenti attività turistiche, la Serbia è altresì ricca, ma per le attività burocratiche, politiche e militari di gestione degli affari Jugoslavi, Macedonia, Montenegro e Bosnia, al contrario, dovevano purtroppo registrare redditi e tenore di vita decisamente inferiori. Slovenia e Croazia non volevano più lavorare e pagare tasse e sussidi anche per la parte povera della federazione e solo il prestigio di Tito riusciva ormai a frenare le spinte centrifughe verso la disgregazione dello Stato. Alla morte del Maresciallo, nel 1980, iniziarono le contrapposizioni e le prime spinte verso lo smembramento della federazione finché nel 1990, durante il processo di transizione verso la democrazia Slovenia e Croazia dichiararono l’indipendenza dalla Jugoslavia, contro la volontà unionista, nazionalista-etnica ed egemonizzatrice della Serbia comunista. Ciò portò alla guerra: il conflitto fu di breve durata contro la Slovenia, ben più cruento il confronto tra Serbia e Croazia. Tutte le città croate lungo la costa furono bombardate; la Croazia accettò poi un armistizio sacrificando una rilevante parte del suo territorio (fra cui la Krajina conquistata dai serbi) che cedette alla Serbia. Serbia e Montenegro si federarono in una nuova Federazione Jugoslava, la Macedonia dichiarò l’indipendenza, e nel 1992, scoppio il conflitto in Bosnia, causato dallo scontro etnico fra i gruppi serbo, croato e musulmano presenti in maniera estremamente frammentato nella regione. In questo teatro bellico Serbi, Croati e musulmani si scontrarono per la spartizione della Bosnia. I Serbi, avendo a disposizione le milizie e le armi dell’esercito federale, hanno assediato tutte le città a forte maggioranza musulmana (enclave) come Tusla, Srebreniza, Sarajevo, Monstar, mostrando tutta la ferocia e l’orrore della guerra di pulizia etnica (stupri etnici, deportazioni, esecuzioni). Accordatisi poi i bosniaci/musulmani ed i croati per la creazione di una Federazione Croato-Musulmana, ed intervenuti la Nato e le forze dell’ONU, i Serbi di Bosnia si sono trovati in seria difficoltà, perdendo anche alcuni territori ,tra cui la Krajina. a guerra è cessata nel 1995 e le parti sono riuscite a raggiungere un faticoso e fragile accordo di pace detto di Dayton ( dal nome della città dell’Ohio, Stati Uniti, dove le parti si sono incontrate al tavolo delle trattative) poi ratificato il 14 dicembre dello stesso anno a Parigi. I territori conquistati e mantenuti dai serbi durante il conflitto sono rimasti loro. Oggi la Bosnia è divisa in due parti territoriali: Repubblica serbo-bosniaca e Federazione croato-musulmana, federate in uno Stato unitario, retto da un governo interetnico, che però stenta a decollare, e sotto il controllo di una forza di pace multinazionale, cui partecipa anche la Russia, forte di 60.000 soldati a garanzia del rispetto degli accordi e della libera circolazione delle persone. La repressione delle aspirazioni autonomistiche si è espletata, da parte del governo centrale Jugoslavo-Serbo, anche contro gli albanesi del Kossovo, regione serba a maggioranza albanese che durante gli anni di Tito godeva di uno status di autonomia, revocato dal presidente Milosevic (salito al potere nel’89, campione del nazionalismo serbo).In questi anni, i Kossovari si sono organizzati militarmente nell’Uck (esercito di liberazione del Kossovo), dandosi con alterne fortune alla guerriglia contro la polizia federale. Dopo la fine del conflitto Bosniaco, la repressione federale è salita di qualità con l’utilizzo sempre più massiccio di reparti regolari dell’esercito e di milizie nazionaliste, assumendo sempre più nettamente i contorni della più efferata pulizia etnica.
A nulla sono valsi gli ammonimenti della comunità internazionale che ha cercato attraverso iniziative diplomatiche singole e congiunte (un gruppo di contatto formato da Russia, Unione Europea e Stati Uniti) e concrete mediazioni di portare i contendenti al tavolo di pace. E’ fallito anche il congresso di Rambouillet, dove si è cercato di comporre le aspirazioni indipendentiste dei Kossovari con la volontà egemonizzatrice Serba, in un trattato politico che desse ampia autonomia al Kossovo, trattato naufragato contro lo scoglio incrollabile del rifiuto di Milosevic di accettare sul territorio soldati ONU armati come osservatori a tutela dei Kossovari, rifiuto intervenuto anche a fronte della minaccia di bombardamenti Nato, che, vista la recrudescenza della repressione etnica, sono puntualmente iniziati, pur tra dubbi e timori degli alleati occidentali e la netta opposizione (con richiesta dell’immediato ritorno alla diplomazia ed anche minacce di ritorsione più o meno velate) da parte della Russia. Questo la notte del 24 marzo 1999.
Aggiornamento al 9 aprile 1999: 16° giorno di guerra i bombardamenti Nato che partono dalle basi italiane, tedesche ed inglesi, nonché dalle portaerei schierate in Adriatico (Roosvelt ed Enterprise) sono arrivati ad una potenza di fuoco e precisione notevoli (i bombardamenti aumentano d’intensità di giorno in giorno); si è passati alla fase 3 ovvero l’attacco a bassa quota di truppe e blindati serbi, stanno per giungere in Albania 24 elicotteri anticarro Apache da utilizzare nella difesa dei campi profughi ed in operazioni anticarro. In Albania e Macedonia sono arrivati circa 1 milione di profughi kossovari, scacciati dalle loro case, raccontano di atrocità ed uccisioni di massa, sono assistiti dai governi locali e dalle missioni umanitarie della comunità internazionale (l’Italia si sta in ciò distinguendo). Ogni tentativo e richiesta rivolta a Milosevic di cessare la pulizia etnica e permettere ai rifugiati di tornare, protetti da un corpo di pace internazionale è stato rifiutato, gli stessi serbi, pur avendo subito, e continuando a subire danni notevoli si sono stretti attorno al loro Presidente. Pericolo di escalation: visto la situazione che perdura nonostante i raid aerei, in seno all’alleanza atlantica si parla sempre più insistentemente (nonostante i dinieghi dei vari capi di stato) di un possibile intervento in Kossovo con eserciti di terra; nonostante la dichiarata tregua unilaterale in Kossovo dichiarata da Belgrado, le milizie serbe continuano la repressione; da due giorni hanno chiuso le frontiere e non permettono ai profughi ancora in terra kossovara di fuggire. Registrati scontri a fuoco sul confine albanese tra l’esercito serbo che ha bombardato con risposta da parte albanese (non si sa se l’esercito albanese o l’UCK) con armi leggere; ucciso un soldato macedone al confine; cresce la tensione in Montenegro, paese federato che si sta sempre più allontanando dalle posizioni di Milosevic, per la paura di un colpo di stato di matrice serba; pericolo di incidenti da parte della componente serba in Bosnia; La Russia, ammonisce la Nato a non intraprendere un’azione con truppe di terra, paventando nel caso, un suo intervento, sembra possibile altresì la creazione di una specie di federazione fra Russia, Bielorussia e Serbia che consentirebbe, nelle intenzioni di Eltsin, la composizione pacifica del conflitto, altra notizia (smentita dal Cremlino ma non dai vertici militari) il riposizionamento dei missili nucleari russi contro i paesi della Nato. Intanto i bombardamenti continuano a ritmo serrato. Aggiornamento al 18 maggio: dopo quasi due mesi di ininterrotti bombardamenti, la Serbia è economicamente disintegrata avendo subito danni per più di 100 miliardi di $. Anche i costi che i paesi Nato sopportano per la continuazione della guerra inizia a farsi importante. In molti paesi, tra cui L’Italia, sta scendendo l’appoggio delle popolazioni ai raid, e forze politiche iniziano a chiedere la fine delle incursioni (ad oggi in Italia lo schieramento pacifista comprende Popolari, Comunisti di Cossutta e di Bertinotti, Verdi). Milosevic ha dichiarato da alcuni giorni il ritiro dell’esercito dal Kossovo, ma ciò si è dimostrata solo l’ennesima mossa strategica del dittatore: infatti continuano le operazioni di pulizia etnica. La NATO intensifica giorno per giorno i bombardamenti, e non è immune da tragici errori che comportano la morte di civili (ma si parla anche di scudi umani kossovari usati dai serbi). Il maggiore e più destabilizzante di questi, il bombardamento della sede dell’ambasciata cinese a Belgrado, ha comportato un pesante incidente diplomatico con Pechino ed il popolo cinese che ha violentemente manifestato contro i paesi NATO. Ciò ha prepotentemente inserito la Cina popolare nel meccanismo diplomatico balcanico (gli strascichi finali di questo incidente non sono, peraltro, ancora del tutto chiari). Sembra si sia giunti ad un bivio: la proposta Italo/Tedesca di inserire in una risoluzione ONU le richieste minime di tregua già adottate nell’ultimo vertice dei G8 (inizio della ritirata delle truppe serbe ed inizio del rientro dei profughi contro la sospensione dei raid NATO) oppure l'impiego, entro la fine dell'estate di un esercito di terra d’occupazione del Kossovo (la diplomazia russa continua la sua azione, anche se i risultati che sembravano essere quasi stati raggiunti, sono stati frustrati da Milosevic; esiste comunque il pericolo di un disimpegno da parte russa a causa della problematica gestione interna e dei problemi personali del Presidente Eltsin). Continua il tragico esodo dei rifugiati, parte dei quali si sta iniziando a trasferire in paesi Europei e negli States, per decongestionare i campi profughi albanesi e macedoni che stanno scoppiando. Pericolo di escalation: da alcuni giorni sono iniziati, e continuano, sconfinamenti delle truppe serbe al confine albanese (probabilmente in caccia dei guerriglieri dell’UCK che ha stabilito le sue retrovie sul territorio dell’Albania) e scontri con la polizia di Tirana. E’ molto probabile un futuro coinvolgimento attivo dell’esercito in una vera e propria guerra di confine (il Governo albanese ha riconosciuto l’UCK); il Montenegro è sempre più insofferente al leader serbo e potrebbe puntare all’uscita dalla federazione serba (è possibile un tentativo di colpo di stato da parte di Milosevic, si sono già avuti pressioni sulla polizia montenegrina), pericolo di incidenti da parte della componente serba in Bosnia.
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MIGRAZIONI IN EUROPA
Iniziano in modo consistente nel 16 secolo per cause politiche, religiose, economiche (trovare nuove vie o rotte marittime commerciali di comunicazione in alternativa alle antiche vie terrestri note sin dal medioevo quali le vie della seta, delle spezie ecc.), senso dell’avventura, ricerca di nuove opportunità di vita.
- Il paese che per primo cerca di trovare rotte commerciali marittime relative ed alternative a quelle terrestri è il Portogallo (Principe Enrico del Portogallo dal 1420). I navigatori portoghesi conquistano Madera (1420), si impadroniscono delle isole Azzorre, (1427), vanno in Africa (coste africane), nel 1460 raggiungono la Guinea. Sulle coste dell’Africa, impiantano basi commerciali. Nel 1488 Bartolomeo Diaz oltrepassò il capo di Buona Speranza compiendo per primo la circumnavigazione dell’Africa e aprendo la rotta delle Indie (fondamentale per l’approvvigionamento delle spezie). Le Indie saranno raggiunte nel 1498 da Vasco da Gama dopo un viaggio di un anno, durante il quale ampliò le conoscenze sull’Africa e prese possesso di altri territori africani per il regno Portoghese, che per primo trattò un accordo commerciale con il Rajah dell’India. Successivamente vennero impiantate basi commerciali anche in India, poi in Cina (Macao) e venne raggiunto il Brasile (Pedro Cabral) dove creano grandi piantagioni di tabacco e canna da zucchero, sfruttando prima il lavoro degli indios, poi importando schiavi negri dal Congo e dall’Angola.
- Spagna:

DISTIRIBUZIONE DELLA POPOLAZIONE IN EUROPA
Zone di maggiore concentrazione:
Germania (bacino della Rhur, regione Renana, città); Belgio, Olanda ( parte fiamminga del territorio: nei Paesi Bassi media abitativa di 1000 ab. per km quadrato); Inghilterra (Midlands, la zona centro-sud, Londra); Francia (solo nel bacino di Parigi); Italia: pianura Padana (Piemonte, Lombardia Milano Torino Genova), nord/est (Padova, Venezia, Treviso), Emilia, Toscana (Prato, Val d’Arno), Roma, Napoli; Polonia ( bacino minerario della Slesia); Rep. Ceca (Praga); Russia (Mosca e città); Ucraina (Kijev e bacini minerari); Spagna (Madrid, Barcellona); Portogallo (Lisbona, Porto).
La popolazione Europea, ha preferito determinati luoghi per l’insediamento: coste, fiumi e, dalla rivoluzione industriale, bacini minerari. La maggior parte della popolazione si concentra nelle zone temperate. Oltre il 50° parallelo, la popolazione diminuisce.
Densità europea media: 68 abitanti per km quadrato.
Le zone meno popolate sono i territori del “grande nord” oltre il 66° parallelo, Scandinavia, Norvegia, Russia, Scozia (a parte Glasgow), zona centrale della Francia (campagne), entroterra della Spagna (Meseta, Pirenei), Appennini, Alpi, alpi Dinariche (in genere le zone di montagna).
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GEOGRAFIA
ASPETTO FISICO DELL’EUROPA
FORMAZIONE GEOLOGICA
1. Era ARCAICA O ARCHEOZOICA - da 4 miliardi e 600 milioni di anni fa a 600 milioni di anni fa; SCUDO BALTICO, territorio antico leggermente rialzato livellato dagli agenti atmosferici, zona erosa dal mare: piattaforma russa, (pianura sarmatica) Finlandia, Svezia.
2. Era PALEOZOICA – da 600 milioni a 300 milioni di anni fa. Verificatesi due OROGENESI
- Orogenesi Caleidoniana: monti della penisola Scandinava, Svezia, Norvegia, Scozia (di cui il Bennevis, è il monte più alto 1343 mt), Irlanda.; sono montagne basse con cime arrotondate, in Norvegia con ghiacciai.
- Orogenesi Ercinica (verso la fine dell’era paleozoica): Monti d’Inghilterra e Galles, Meseta (Spagna), Massicio Centrale, Giura Vosgi, Ardenne (Francia), Selva Nera (Fra Francia e Germania), monti SUDETI, Selva Boema (Boemia), Monti Urali. In Italia monti della Sardegna, Corsica e Calabria. Cime Basse, arrotondate ma ricche di carbone (formatosi da sconvolgimenti di antiche foreste di felci che, durante la decomposizione in assenza di ossigeno si trasformarono in carbone) ed altri minerali.
3. Era SECONDARIA o MESOZOICA - da 300 milioni a 60 milioni di anni fa: non si registrano importanti orogenesi. Fu un’era tranquilla. Importante attività dei coralli (madrepore) e dei molluschi che costituiranno l’ossatura delle nostre Prealpi e dolomiti.
4. Era TERZIARIA o Cenozoica – da 60 milioni a 2 milioni di anni fa: orogenesi ALPINO-HIMALAYANA dovuta all’avanzare della ZOLLA AFRICANA verso la zolla EURASIATICA. Sorgono montagne dell’Atlante (Africa Settentrionale) Sierra Nevada, Pirenei, Alpi, Appennini, Alpi Dinariche (ex-Jugoslavia), Carpazi (tra Ungheria, Polonia e Romania), I Balcani, Il Caucaso (fra Mar Nero e Mar Caspio), tutte le più alte montagne dell’Asia (Himalaya), Montagne Rocciose (America Settentrionale), Ande (America Meridionale). Montagne con cime aguzze, versanti ripidi, non sono generalmente ricche di materie prime e minerali (sono ancora in stato di evoluzione).Sono zone soggette a fenomeni di sismicità e vulcanesimo in quanto questi territori sono sui confini delle zolle continentali e ne subiscono le conseguenze dei movimenti. In Italia ricordiamo zone centro sud (Etna, Stromboli, Vesuvio, Vulcano), in Europa Islanda, Grecia e Turchia. L’Italia è inoltre ricca di fenomeni del cosiddetto vulcanesimo secondario: (Terme, fumarole, soffioni boraciferi, solfatare, energia geotermica in forma di vapore); Anche L’Islanda, territorio alla sommità della dorsale Atlantica, e ricca di fenomeni del vulcanesimo secondario, al punto che tutta l’isola è riscaldata dall’energia geotermica.
5. Era QUATERNARIA – da 2 milioni di anni fa ad oggi: in quest’era avvenute 5 glaciazioni e 4 periodi interglaciali. Con l’abbassamento della temperatura, tutta l’Europa dal polo fino a Berlino (Alpi e Pirenei compresi), fu coperta da una spessa calotta di ghiaccio, talmente pesante da rimodellare il territorio sottostante. Alla fine dell’ultima glaciazione, circa 10.000 anni fa, si ebbero dei cambiamenti sul suolo europeo. Il ritirarsi dei ghiacci creò lungo le coste della Norvegia, Scozia, Islanda, Irlanda, Danimarca, Svezia, dei FIORDI, valli fluviali riempite dall’acqua marina in seguito all’innalzamento del livello dei mari dopo il disgelo dei ghiacciai. Il mare entra nel continente anche per km. Il disgelo forma anche molti laghi di origine glaciale in Finlandia, Svezia, Alta Russia, Alpi (lago di Como, di Ginevra); laghi di “circo” (circolari), o formati d lingue glaciali (allungati).I sedimenti dei ghiacciai, portati dai fiumi verso le pianure del centro-nord, hanno formato delle colline MORENICHE (in Italia localizzate a sud del lago di Garda). Lungo la costa della Croazia, si formano isole, in realtà cime di montagne sommerse, in quanto il disgelo ha fatto sì che il mar Adriatico si estendesse più a nord (la p. Padana prima si allungava sino alla Croazia) formazione delle grandi pianure di origine fluviale (es. pianura padana).
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EUROPA COMUNITARIA - ECONOMIA E TERRITORIO
AGRICOLTURA: divisione in regioni climatiche.
- Regione nordica: comprende Scozia, penisola Scandinava, parte settentrionale della Russia. Coincide con le colture della patata, orzo, avena, segale (prodotti a breve ciclo di coltura per difficoltà climatiche). E’ anche una zona adatta al pascolo degli ovini. Oltre al Circolo Polare Artico, allevamento delle renne e silvicoltura, zona della Taiga (betulla e conifere) per arrivare alle più alte latitudini alla tundra.
- Regione temperata atlantica: comprende la parte meridionale della Gran Bretagna, coste francesi della Bretagna, Olanda, fascia costiera della Germania, Danimarca, sud-Scandinavia sino ai confini con la Finlandia. Zona con clima umido e temperato (corrente del golfo), e territorio adatto a colture foraggiere e allevamenti intensivi di bovini da latte e suini. Le aziende agricole di media e grande dimensione, costituite in forma di società per azioni o cooperative (Danimarca), dispongono di ingenti capitali e tecnologie avanzate, adottano sistemi di gestione capitalistica mirati allo sbocco sul mercato Europeo (non si produce per il piccolo mercato locale). La ricca produzione agricola comprende latte, burro, formaggi, yogurt (i prodotti in eccesso sono stoccati nei magazzini della UE).
- Regione temperata continentale: comprende Francia (nazione con agricoltura più forte e 1° esportatore di cereali a livello comunitario), Belgio, Germania, Italia settentrionale (pianura padana), Spagna settentrionale (Meseta). Grande produzione di cereali (grano, mais, riso nell’Ovest d’Italia nella Camargue Francese ed in Spagna nelle regioni di Valencia e di Murcia), colture industriali (barbabietole da zucchero, girasole), allevamento da carne (suini, animali da cortile). Le proprietà agricole, organizzate in forma di cooperative e società per azioni, sono estese, constano delle migliori tecnologie di meccanizzazione ed utilizzo di tecniche di coltura moderne (selezione delle sementi, uso di prodotti chimici fertilizzanti ed antiparassitari). In questa zona si ha il limite climatico settentrionale della vite: in Germania zona del Reno, con vini particolari a basso contenuto alcolico, zone specializzate in Francia (Champagne, Bordeaux e Borgogna). L’Italia è il primo produttore di vino ma non di altissima qualità (solo da 10 anni circa iniziata la produzione di vini d.o.c.).
- Regione mediterranea: clima caldo asciutto e mite d’inverno. Coltivazione della vite, ulivo, alberi da frutto, ortaggi, agrumi. E’ la regione agricola più povera e con più problemi. Presenza di diversi tipi di aziende: latifondo (antica struttura agraria risalente al ‘500, grandi estensioni di terreno coltivato in modo estensivo e quindi poco redditizio) in Spagna, Portogallo ed alcune zone del sud Italia; piccola proprietà (aziende di 4 o 5 ettari) in cui si pratica la policoltura per il mercato locale e la sussistenza delle famiglie (nel sud e isole d’Italia). Accanto a questi scenari, esistono comunque anche zone ad alta specializzazione e tipologia colturale capitalistica, operanti nella coltura di ortaggi (in Spagna Valencia, zona degli orti), agrumi, frutta, floricoltura (Liguria) per esportazione sul mercato UE.
In un paese moderno, gli occupati del settore primario devono attestarsi sotto il 10% del totale. Se la percentuale è maggiore, sussistono dei problemi: sistemi carenti, zone con produttività scarsa.
Islanda, Portogallo, Grecia e Spagna sono compresi in questa situazione: hanno strutture agricole carenti, a livello di conduzione, organizzazione, produzione. La Spagna, comunque, sta raggiungendo il livello richiesto, e quasi superando l’Italia a livello organizzativo: in Andalusia, per esempio, sono stati impiantati ex novo massicce quantità di ulivi e la loro produzione supera ormai quella Italiana per qualità e quantità. Problemi si registrano anche in EIRE, penalizzata in campo agricolo per quanto riguarda l’organizzazione ed il clima (fra i 50° ed i 55° di latitudine zona della patata, del grano primaverile, dei pascoli) ed in campo industriale per ragioni politiche. Il Portogallo è, con la Grecia (struttura agricola debole e problemi organizzativi disoccupazione e pesante debito pubblico), forse il paese più povero dell’UE, ha strutture agricola arretrata, scarsa industrializzazione ed elevate punte di emigrazione.
INDUSTRIALIZZAZIONE DELL’EUROPA E LOCALIZZAZIONE INDUSTRIALE
In Europa, l’industrializzazione nasce nella 2^ metà del 18 secolo (1700), in Inghilterra, che era la nazione più importante dal punto di vista commerciale (nel ‘700 gestiva fra l’altro il commercio degli schiavi), ed aveva anche colonie nell’America del nord (costa orientale) ed in India. Sul territorio metropolitano inglese avvenne una rivoluzione agricola (recintati gli open-fields) con l’istituzione della proprietà privata a gestione industriale (si guardava alla richiesta del mercato, gestione capitalistica in proprio o in società). Queste aziende furono presto meccanizzate (macchine agricole), cosa che creò disoccupazione e l’esodo dalle campagne alle città di molti lavoratori. Furono poi inventate macchine (telai, spolette, filatura, meccanica idraulica) per aumentare la produzione nel campo tessile. Altri punti che hanno permesso la 1^ RIVOLUZIONE INDUSTRIALE (2^ metà del 17 secolo sino al 1880) sono stati lo spirito imprenditoriale degli inglesi, ed anche l'esistenza di banche che aiutavano gli imprenditori, ed il pensiero liberista adottato dal governo inglese.
Conseguenze: si afferma un nuovo modo di lavorare, la divisione del lavoro all’interno della fabbrica (teorizzata e sostenuta da ADAM SMITH, grande economista del tempo). Prima, l’artigiano seguiva tutto il processo di produzione ora il lavoratore in fabbrica vede, svolge, solo una piccola parte di questo processo e vi si specializza compiendo sempre le stesse mansioni (il lavoro diventa esecutivo). Il lavoro si svolge lontano dall’abitazione, in fabbrica.
Con l’invenzione della macchina a vapore, applicata al sistema industriale nascono e si sviluppano l’industria mineraria, siderurgica, metallurgica. La macchina a vapore aumenta la produzione (standardizzazione del prodotto, fatto in serie ed uguale). Si sviluppano le ferrovie ed in generale le infrastrutture ed i mezzi di trasporto (per la movimentazione delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti finiti ai mercati) come i battelli a vapore; sviluppo della comunicazione tra città e città, nazioni diverse, Europa e Stati Uniti (collegamento settimanale) Europa ed Oriente. Dall’Inghilterra la rivoluzione industriale si diffonde nei primi 30 anni dell’800 nell’Europa centrale (Francia, Belgio, Olanda, Germania –Rhur).
LOCALIZZAZIONE
Le industrie, nella 1^ rivoluzione industriale, si trovano vicine alle fonti di materia prima (miniere di carbone e ferro). Molte città nell’Inghilterra centrale nascono ex-novo o si ingrandiscono. Sempre in queste zone prosperano le città portuali che accolgono le materie prime e le merci dalle colonie, e qui sono impiantate industrie di trasformazione dei prodotti.
Dal 1880 al 1960 si ha la 2^ RIVOLUZIONE INDUSTRIALE: l’Inghilterra perde il primato industriale, surclassata da U.S.A., Francia e Germania, iniziano ad industrializzarsi nuovi paesi (Italia, Russia, Giappone). Si sviluppano nuove invenzioni ed innovazioni tecnologiche tuttora esistenti: nascono e si diffondono l’automobile, l’aereo, la bicicletta, si diffonde l’acciaio, ed il simbolo di questa rivoluzione è certamente la Torre Eiffel (costruita nel 1889). Nel campo edilizio inventato il cemento armato, nelle comunicazioni inventati il cinema, il telegrafo, il telefono, la radio, la tv (1940). Si sviluppa il settore chimico; grazie all’industria automobilistica il petrolio acquista enorme valore ed inizia anche a sostituire il carbone come fonte d’energia.
La fabbrica è meccanizzata ed organizzata con sistemi di lavorazione scientifici, seguendo le teorie di Taylor che introduce la catena di montaggio e la parcellizzazione del lavoro (per la prima volta nelle officine FORD, nel 1911), determinando un aumento della produttività. Conseguenze: alienazione dei lavoratori.
Si assiste ad una riorganizzazione internazionale del lavoro: all’espansione del settore produttivo corrisponde l’intensificazione dei traffici e delle relazioni commerciali internazionali (emergono Giappone ed U.S.A.). Tra il ‘900 ed il ‘914 il commercio internazionale dei prodotti industriali raddoppia, mentre quello delle materie prime aumenta solo del 65%. Per la prima volta le esportazioni europee sopravanzano le importazioni. Il resto del mondo diventa quindi non solo un serbatoio di materie prime, ma un area capace di assorbire l’offerta. Verso le colonie, vengono mandati capitali in cerca di impiego. Nascono le prime Holdings monopoliste statunitensi.
LOCALIZZAZIONE
Nel 1880 circa, con la scoperta degli accumulatori di energia elettrica, fu possibile trasportare l’elettricità lontano dai luoghi di produzione, le industrie, quindi, poterono essere installate anche nelle città. Questa invenzione facilita l’industrializzazione in Italia (le prime industrie tessili furono invece costruite allo sbocco delle valli alpine con la pianura; prima dell’invenzione degli accumulatori, queste industrie entrarono in crisi a causa della loro lontananza dalle città e dai mercati, e dalla mancanza di infrastrutture). Nella 2^ rivoluzione industriale, le industrie si localizzano nelle città (dove si trova la manodopera, anche femminile, a basso costo), nelle vicinanze dei mercati, vicino alle grandi vie di comunicazione e lungo le coste per facilitare i trasporti. Le industrie tendono inoltre a concentrarsi in determinate zone delle città per sfruttare le infrastrutture, i servizi (bancari, assicurativi, ecc.) e gli indotti. Questo insieme di concentrazione industriale forma le economie di agglomerazione (i vantaggi che le industrie hanno e sfruttano nello stare vicine). In queste zone industriali possono nascere specializzazioni di produzione (zone specializzate in meccanica, siderurgia oppure nella cantieristica). Si hanno così zone mono-produttive (a volte solo un prodotto), prodotti affini o produzioni diverse ma sempre in una stessa area industriale. A livello nazionale si formano dei distretti industriali o anche delle megalopoli (grandi città industriali, aree talmente vicine che hanno interscambi tali da formare quasi una grande, unica città). Es: tutte le città della Gran Bretagna centrale, la zona di Barcellona, il bacino parigino, la Pianura Padana, i Paesi Bassi, il bacino tedesco della Rhur; tutte zone che nel loro interno geografico hanno interessi, flussi e scambi economici così intensi da formare un’unica grande area.
L’ITALIA nella 2^ rivoluzione industriale
L’Italia si affaccia all’industrializzazione tardi, verso il 1880 (insieme con la Russia). Aree: attorno alle città di Genova (industrie siderurgiche e meccaniche), Torino (ind. automobilistica dal 1896), Milano (chimica, meccanica e siderurgia). In ambito pedemontano sviluppo di industrie tessili e lanifici. Un ulteriore impulso venne in età Giolittiana (aumentarono le industrie automobilistiche) nasce l’Olivetti. Durante il fascismo le industrie italiane aumentarono nelle dimensioni e si concentrarono in grandi e pochi gruppi: nascono in questo periodo l’IRI, aumentano le industrie di meccanica di precisione, di materiale elettrico, ottico. Il fascismo adottò una politica protezionistica (autarchia). Fino a tutta la 2^ guerra mondiale, l’industria italiana è localizzata, con produzione non troppo elevata, poco sviluppata e inserita in un contesto sociale in cui il potere d’acquisto del popolo era praticamente inesistente. Il boom industriale si ebbe negli anni ’50 e ’60: ingresso dell’Italia nella CECA quindi nella CEE; l’Italia si aprì al MEC. L’Italia si specializzò nelle produzioni di elettrodomestici (frigoriferi, lavatrici, televisori) che gli Italiani, all’epoca, non potevano permettersi, ma che comparirono nelle case degli europei (prezzi bassi per manodopera a basso costo). Sempre negli anni ’50, nascono ENI ed AGIP, industrie chimiche e petrolchimiche, e sono impiantate a Ravenna, Gela, Pisticci. Fase delle grandi industrie: esodo dalla campagne alle città, L’industria richiama manodopera dalla campagna e dalla montagna verso le città, dal sud al nord (nord/ovest, il triangolo industriale GE-MI-TO).

SITUAZIONE DEL SUD
Istituita la cassa per il mezzogiorno, emigrazione interna alla nazione ed anche verso i paesi ricchi d’Europa (libro da pag. 188 a 191).Seguendo la teoria britannica delle industrializzazione trainata da impianti strategici, costruiti in zone prive di fabbriche, che avrebbero dovuto attirare manodopera, investimenti ed indotto per l’ulteriore sviluppo di queste aree, furono edificate delle vere e proprie “cattedrali nel deserto”, grandi impianti industriali ad alta (per l’epoca) specializzazione, che rimasero isolati per mancanza di infrastrutture, carenza di investimenti di indotto, mancanza di manodopera specializzata in loco (soprattutto quella per la gestione più tecnica). Lo Stato ha incentivato, e sta incentivando, privati ed imprese ad investire nel sud, concedendo sgravi fiscali (es. FIAT ha una moderna fabbrica ad Amalfi in cui ha anche introdotto il sistema di lavoro “Just in time”, a magazzino zero, ovvero squadre con operatori che devono possedere competenze a tutto campo e prendere decisioni) ma il male endemico del meridione, la mafia, frena alquanto i progetti di investimento.
Dalla fine degli anni ’70 a tutt’oggi, si ha il periodo della 3^ RIVOLUZIONE INDUSTRIALE. Verso il 1973 si innesca la crisi petrolifera e, in seguito a questo rialzo del prezzo del greggio, si ha una grave crisi economica. Segue quindi un periodo di STAGFLAZIONE (stagnazione ed inflazione), caratterizzata dalla presenza di questi fenomeni (stagnazione = rallentamento della crescita dell’industria di base e contrazione della domanda; inflazione = aumento del costo del denaro, rialzo dei prezzi al consumo, perdita del potere d’acquisto dei salari), che porta alla riduzione dei profitti, riduzione dell’accumulo di capitali e aumento della dipendenza dalle banche. In questo periodo si hanno anche pressioni sindacali per migliorare i salari e la richiesta allo Stato di fornire i servizi di base (welfare). Sempre in questi anni USA, Germania Ovest, Gran Bretagna, vedono i propri mercati perdere di competitività, a causa dei prezzi elevati dei loro prodotti; dall’altra parte i Paesi in via di sviluppo si indebitano sempre più in quanto con la crisi petrolifera, le banche alzano i tassi di interesse. Per evitare la bancarotta, e quindi per onorare gli impegni finanziari passivi con le banche, i Paesi in via di sviluppo vendono ai Paesi sviluppati manufatti a prezzi bassi. In questo periodo si assiste ad una riorganizzazione delle aziende che si ristrutturano fondando il rinnovamento sull’innovazione tecnologica (automazione e computerizzazione).
LOCALIZZAZIONE
Negli anni ’70, le multinazionali europee, nate già prima della guerra in Europa (negli States all’inizio del ‘900), avevano iniziato a localizzare filiali in aree periferiche all’interno del Paese d’appartenenza o all’estero per sfruttare la manodopera a basso costo: infatti le produzioni a “vecchia” tecnologia, sia di prodotti finiti sia di parti per l’assemblaggio, sono effettuati in Paesi esteri in via di sviluppo (divisione internazionale del lavoro, modalità oggi superata dal “Just in time”). In questo contesto l’azienda madre è la sede dei servizi finanziari, di ricerca, marketing e sviluppo; le filiali produttive possono anche raggiungere l’autonomia operativa e giuridica e la libertà nelle produzioni. Nel campo delle ristrutturazioni nascono nuovi distretti industriali all’interno dei Paesi industrializzati, in aree periferiche (deindustrializzazione o decentramento o rurbanizzazione: entrano in crisi le aree di antica industrializzazione e ne nascono di nuove in zone un tempo rurali dove non esisteva, o era meno presente, l’industrializzazione) diverse dalle prime aree industrializzate es.: nel Regno Unito in crisi le industrie del centro; impiantate nuove industrie nel sud/est che era prima zona rurale. Attualmente l’industria Europea è in ritardo rispetto agli States ed al Giappone nei settori delle tecnologie avanzate (informatica, elettronica e bio/tecnologie). Resta tuttora ai primi posti nel campo chimico, metallurgico, meccanico, agro/alimentare. Sempre in Europa convivono sia multinazionali (particolarmente organizzate ed efficienti le multinazionali tedesche, le cosiddette KONZERN, strutturate verticalmente, padrone quindi di un intero settore di produzione, dalla ”estrazione” delle materie prime al prodotto finito) sia piccole/medie imprese. Le prime si trovano soprattutto in Germania, nel Regno Unito, in Francia, in Olanda e qualcuna in Italia (es.: Fiat, Bayer, Shell, B.P., Daimler Benz, Wolkswagen, Krupp ecc.)
L’ITALIA nella 3^ RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
In seguito al rialzo del prezzo del greggio entrano in crisi le grandi industri chimiche e siderurgiche del nord/ovest. Negli anni’80, si formano piccole e medie industrie (PMI) nel nord/est e centro, con alcune ramificazioni anche nel sud, del paese. Queste PMI, gestite da famiglie, sono specializzate nella produzione di maglieria, ceramiche, conceria, mobilifici, calzature ecc., e si sono caratterizzate per la grande flessibilità di mercato (capacità di adeguamento e rinnovamento dell’offerta in base alle crisi ed esigenze del mercato) e per l’alta qualità dei prodotti. In alcune zone, e per specifiche produzioni all’avanguardia, le PMI sono in stretto collegamento con la ricerca scientifica. A tutt’oggi l’industria italiana è localizzata al nord/est e centro (Lombardia, Veneto, Friuli, Emilia, Marche, Toscana) e verso il sud Frosinone (mobilifici) Napoli (pellami, concerie). Uno dei lati negativi dell’industria italiana è la mancanza di grandi imprese, o transnazionali, ed anche l’orientamento delle imprese esistenti alla specializzazione in settori tradizionali a media tecnologia. Occorre recuperare il tempo perduto nei settori ad alta tecnologia.
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FIUMI D’EUROPA
Il più lungo fiume d’Europa è il VOLGA. Nasce dall’altopiano del VALDAJ, in territorio collinare. La parte Nord del fiume è ghiacciata; scorre per la maggior parte del suo corso in pianura, formando delle anse (grandi curve) o meandri. Fiume vecchio, con corrente lenta. Nel suo corso si trovano molti bacini artificiali sfruttati per l’energia elettrica e l’agricoltura. Dalla sorgente alla foce, il Volga scorre completamente in territorio russo. Sfocia nel mar CASPIO con foce a delta.
Estremamente importante dal punto di vista economico, è il fiume RENO. Lungo 900 km, nasce dal S. GOTTARDO in Svizzera, forma il lago di COSTANZA, è navigabile da Basilea in poi; uscendo dalla Svizzera ed entrando in territorio tedesco, s’insinua in una fossa tettonica (antica spaccatura formatasi nell’era terziaria), lambisce la selva nera, passa vicino alla RHUR, bacino carbonifero industrializzato importantissimo per l’economia teutonica, quindi attraversa le più importanti e sviluppate città tedesche quali: Bonn, Düsseldorf, Colonia. Entra in Olanda, si divide in due rami che sfociano nel mar del NORD. Sulla foce ad estuario di uno dei suoi due rami, vi è Rotterdam, il porto più importante del mondo per quantità di merci. Il RENO, è collegato attraverso canali navigabili: ad est al DANUBIO, all’ELBA, al WESER, all’ODER, ad ovest al RODANO, attraverso la MARNA arriva a Parigi; è quindi un’idrovia d’eccezionale importanza economica per tutta l’Europa. Lungo il suo corso si trasportano merci, è collegato ad infrastrutture di terra, oleodotti sotterranei, ferrovie, autostrade; sul suo corso si contano più di 50 porti fluviali.
DANUBIO. Nasce nella SELVA NERA in Germania. Ha un corso di più di 2000 km. Attraversa 8 stati: Germania, Austria (passa a Vienna), Ungheria (passa a Budapest), Slovacchia, Croazia, Serbia (passa a Belgrado), Bulgaria, Romania. Poteva, o meglio si spera potrà, essere importante dal punto di vista economico, ma fino agli anni ’80 (1989), divideva l’Occidente dal mondo comunista e, perciò, le sue acque non sono state sfruttate. Sfocia nel mar NERO
PO – Il più lungo fiume italiano(654 km). Nasce dal Monviso, nelle ALPI occidentali, a 2020 mt. d’altitudine in località Piano del Re, prov. di cuneo. In montagna ha carattere torrentizio, corrente elevata, trasporto di materiali detritici grossolani. Grazie al deposito dei suoi sedimenti, nel corso dei secoli, ha formato la pianura padana, inoltre sempre grazie ai sedimenti è aumentata anche la linea di costa. Nella parte settentrionale del suo corso, i detriti trasportati sono di origine grossolana. Ciò permette all’acqua piovana di insinuarsi nelle falde freatiche e riaffiorare quanto incontra, più a sud/est, terreni di natura argilloso–sabbiosa. Questa zona è detta delle RISORGIVE, acque a temperatura costante anche d’inverno (11° circa), sfruttata per agricoltura e foraggio da allevamento (zona di Cremona e Mantova specializzata nell’allevamento ed anche zona di confine tra l’alta e la bassa pianura). In questa zona gli appezzamenti dei campi sono lunghi rettangoli dovuti alla centuriazione romana, ovvero pezzi uguali di terreno (110mt x lato) distribuite dal governo romano ai veterani. Attraversa Piemonte, Lombardia, Emilia – Romagna. Il suo corso è permeato di anse, meandri. Ha molti affluenti; riceve apporti inquinanti da scarichi di allevamenti, industrie, agricoltura, fogne cittadine. Attraversa Pavia, Milano, Cremona, Mantova; poi, da Piacenza a Ferrara è navigabile. Sfocia con ampio delta lobato (microclima caldo - umido, macchia mediterranea) nel mar Adriatico.
Nell’antichità, il corso del Po, si trovava più a sud di ora, infatti, 6 apparati deltizi (8 in totale) sono stati identificati in Emilia. Il lento spostamento naturale del Po verso nord, è stato uno dei fattori dominanti dell’evoluzione della fascia costiera. Da ricordare che la linea di costa dell’alto Adriatico, ha raggiunto una conformazione simile all’attuale al termine dell’ultima glaciazione quaternaria, circa 10.000 anni fa, quando il mare avanzò verso nord per più di 200 km, ricoprendo la pianura di uno strato d’acqua poco profondo; ancora oggi i fondali dell’alto Adriatico non superano i 50 metri di profondità.
I resti dei due più antichi apparati deltizi, sono di epoca pre-etrusca e si trovano lungo il corso del Po di Volano, circa all’altezza di Codigoro. Al secondo appartengono le dune di Massenzatica, che ne rappresentano i resti più rilevanti. Su questa linea di costa sorse Spina. In età etrusca si è formato il terzo delta più meridionale e più esteso dei precedenti. Una bella testimonianza dei cordoni dell’epoca c’è data dall’argine di Boscoforte (S. Alberto). E’ questa la formazione che ha racchiuso la parte occidentale delle Valli di Comacchio.
I due delta successivi sono di epoca romana, tutti questi primi 5 delta sono di tipo triangolare, cioè i sedimenti fluviali vi si disposero, per opera del moto ondoso, intorno alla foce creando un triangolo avente per vertice lo sbocco stesso del fiume.
In età medievale, il sesto delta evidenzia il grande sviluppo degli apparati deltizi del Po di volano e del Po di Primaro.
Tale foce è di tipo lobato e questa formazione è dovuta all’aumento dei sedimenti trasportati causati da azioni umane (disboscamenti, bonifiche, inalveamento dei corsi d’acqua).
Nella seconda metà del 12° secolo, una serie di rotte nei pressi di Ficarolo, (Polesine – Veneto), causò un profondo mutamento nel corso del fiume.
Il Po, deviò a nord riattivando le bocche ed i canali tra esso e l’Adige e formando presso Chioggia la nuova foce delle Fornaci.
Si ebbero così due rami fluviali principali, di Ferrara e di Venezia. Mentre il primo già nel 17° secolo era, in pratica, interrato e abbandonato; quello di Venezia è tuttora, con il corso modificato, il ramo principale. Il Po delle Fornaci, era però scomodo per Venezia, perché con i suoi sedimenti rischiava di ostruire gli ingressi della laguna. Perciò il Senato della Repubblica di Venezia deliberò di convogliare le acque del Po in un alveo artificiale, il famoso “Taglio di Porto Viro”, che dal Po delle fornaci le portasse verso la Sacca di Goro, allora più vasta dell’attuale.
Molto più a sud, il Reno e numerosi torrenti appenninici (Sillaro, Santerno e il Senio) furono convogliati nell’ultimo tratto dell’alveo del Po di Primaro il quale col ramo di Volano (vicino Pomposa), era rimasto escluso dalla rete idrografica padana. Tali immissioni (quella del Reno risale alla seconda metà del 18° secolo) furono motivate dalle frequenti alluvioni che tali corsi provocarono in assenza di una adeguata rete scolante.
Verso la fine dell’’800 sono state effettuate bonifiche sia nella parte Ferrarese (Codigoro Lagosanto), e a nord di Comacchio. Queste bonifiche sono continuate anche nel XX sec., e sono continuate fino agli anni ’50.
La forma attuale del delta lobato, che si estende per circa 400 km, si fraziona in 6 rami (Po di Levante, Po di Pila, Po di Maestra, Po di Tolle, Po di Gnocca, Po di Goro) che tendono ad allargarsi in stagni e paludi (localmente dette valli), rese salmastre dall’ ingressione d’acqua marina,ed alimentano 14 bocche a mare.
Comacchio
Era un paese formato da 13 isole e fino al 1821 non aveva collegamenti con la terraferma. Era un sito famoso in epoca antica per le sue saline, ed il relativo commercio di sale, nelle sue vicinanze prosperava il porto etrusco di SPINA (ritrovato dagli archeologi negli anni ’50 ed i cui reperti hanno fatto la fortuna di molti comacchiesi) Comacchio fu più volte saccheggiata dai veneziani sino alla distruzione delle saline. L’economia della città si dovette così riconvertire allo sfruttamento della laguna; pesca e preparazione del pesce (famoso dal ‘300 in poi il pesce marinato di Comacchio) Nel 1821 fu tracciata una strada che collegava Comacchio a Ostellato, e solo nel 1930 che Comacchio ebbe un collegamento stabile con la terraferma (parte di laguna bonificata).

Ambienti umidi tipici dei delta:
- LAGUNA: specchio d’acqua poco profondo in diretto collegamento con il mare, ma separato da esso da cordoni sabbiosi e piccole isole;
- VALLE: specchio d’acqua poco profondo collegato con il mare attraverso canali;
- PIALASSA: si trova in territorio ravennate, deriva il nome dal dialetto “pia” e “lassa” (piglia e lascia acqua con alta e bassa marea). Può essere considerata una laguna in quanto in diretto contatto con il mare, ma anche una valle perché è separata dal mare da canali. E’ un ambiente naturale di grande importanza per i biomi esistenti (bioma = associazioni di animali e vegetali di un luogo), come il PRATO BARENICOLO, la vegetazione a MACCHIA MEDITERRANEA, le PINETE residue, le zone umide (ES. PUNTE ALBERETE). Le ultime bonifiche effettuatevi risalgono agli anni ’50, quindi una migliore coscienza ambientale ha portato col tempo a forme di protezione di questo ambiente sempre maggiori sino all’attuale Parco del DELTA del Po.
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INQUINAMENTO ED IMPATTO AMBIENTALE
L’umanità, sino alla prima rivoluzione industriale del ‘700, aveva un rapporto con la natura positivo: infatti, fino ad allora, le modifiche ambientali erano di moderata entità, circoscritte a ben definiti microclimi. (agricoltura).
Dalla rivoluzione industriale del ‘700 ad oggi, le modifiche ambientali, dell’atmosfera, delle acque del suolo e degli organismi viventi, e stata via via sempre più importante.
Le zone di prima industrializzazione, (soprattutto in Inghilterra), divennero zone ad alto tasso di smog (fino al 1965 circa).
Il maggior grado d’inquinamento, si è avuto dopo la 2^ guerra mondiale sino ad oggi (3^ rivoluzione industriale).
Inquinamento globale e progressivo cambiamento e deterioramento dell’ecosistema (aria, acqua, suolo, flora, fauna, clima) attraverso immissioni inquinanti di vario tipo, piogge acide, effetto serra, buco nell’ozono ecc.
PIOGGE ACIDE
Generate dalle immissioni in atmosfera degli ormai massicci residui della combustione di idrocarburi (petrolio e derivati, carbone), che vengono liberati nell’atmosfera tramite scarichi industriali, esalazioni da zootecnia, scarichi civili e da traffico veicolare, innescando reazioni chimiche che trasformano la normale pioggia, in pioggia ad alto contenuto di ph acido (ph 4,5) Sono interessate al fenomeno anche formazioni di tipo umido quali nebbia, rugiada, neve (che può cadere acida sulle montagne, e quando si scioglie i composti acidi che rilascia si immettono nei fiumi; le stesse nubi possono diventare “acide”, in quanto raccolgono un’incredibile quantità di sostanze tossiche, e sono 10 volte più inquinanti delle piogge che generano, causando gravi effetti, quando evaporano nell’atmosfera, o si depositano sulla vegetazione in alta montagna.
Alcuni dei residui della combustione degli idrocarburi, ossido d’azoto, ossido di zolfo anidride solforosa, idrocarburi volatili, a contatto con il vapore acqueo, per effetto della radiazione solare, si trasformano da ossidi ad acidi (acido nitrico, acido solforico, sali di ammonio); inoltre, l’emissione di ossidi di azoto e di altri agenti inquinanti, accelerano la formazione di ozono nella troposfera, alquanto dannoso per le piante.
I paesi maggiormente industrializzati, (Ex Unione Sovietica, Inghilterra, Germania Francia, Italia) sono i maggiori responsabili di questi inquinanti che oltretutto, vengono “esportati”, a causa della circolazione atmosferica, anche in paesi con scarse immissioni quali i paesi scandinavi, fortemente attaccati dalle piogge acide.
Gli effetti sull’ecosistema e sulla salute umana sono devastanti:
- In Svezia e Cecoslovacchia laghi acidificati (degenerazione ecosistema lacuale, pesci inquinati e non commestibili);
- Olanda acidificazione complicata dall’esalazione de vapori del letame, oltre che dagli impianti di produzione e dagli scarichi dei veicoli.
- In Norvegia, Svizzera, Svezia, distruzione delle foreste;
- Russia rovinata parte della taiga;
- In Inghilterra e Scozia Erosione da acidi;
- In Germania, erosione del suolo, devastazione della foresta nera, (nel sud della Germania abete quasi estinto) “consunzione” delle sculture
- Italia grossi problemi di consunzione del patrimonio artistico, idrico e forestale, aumento morti per tumore polmonare; zone più interessate Lombardia, Piemonte, Emilia/Romagna, anche se il fenomeno interessa tutto il territorio nazionale;
- Stati Uniti laghi morti;
- Brasile problemi per la salute umana.
Nello specifico, vengono danneggiate piante, animali, suolo, risorse idriche e monumenti.
L’esposizione a metalli tossici nell’acqua potabile, ha aumentato il tasso di mortalità per demenza senile e tumori (è stato rilevato alluminio presente addirittura in acqua di dialisi); i metalli pesanti e l’alluminio causano la perdita di sali e la morte per consunzione. Negli uccelli, causano la mancanza di produzione di calcio (uova sottili).
Nei bambini, l’inalazione di sostanze acide, può portare a sindromi di pseudo – difterite, ovvero una grave occlusione delle vie respiratorie, con rischio di morte per soffocamento.
Le sostanze tossiche si disperdono in acqua e vengono immesse così nella catena alimentare.
Per ciò che riguarda le foreste, le piogge acide causano la morte degli alberi, esponendo l’ambiente a fenomeni carsici, mancanza d’acqua, cambiamenti climatici, inondazioni, aridità, effetto serra, gravi danni per la salute, rischio reale per la sopravvivenza umana.
Riguardo ai monumenti, l’acidità attacca il marmo, trasformandolo in solfato di calcio e polverizzandolo.
Naturalmente questi sono esempi, ma in ogni paese citato, ed in pratica in tutta l’Europa centro/settentrionale, e in altre parti del mondo industrializzato e non, si ha una somma più o meno forte di tutti questi effetti.
BUCO DELL’OZONO
Squarcio nello scudo d’ozono che avvolge il pianeta, alla quota di 20/50kmd’altitudine, presente sull’antartico, causato da c.f.c. (cloro-fluoro-carburi), in altre parole le emissioni dei gas delle bombolette spray, ed i gas di refrigeramento dei frigoriferi di vecchia concezione, gas inerti che reagendo con l’ozono atmosferico ne causano la distruzione. Nel solo 1985, ne sono stati immessi 800mila tonnellate.
Oggi il buco è stimato di circa 27 milioni di km quadrati, quasi 3 volte l’Europa, ma ha delle variazioni stagionali, si allarga in primavera e si restringe in alta stagione. Lo squarcio nell’ozono permette il passaggio delle radiazioni ultraviolette, altrimenti fermate dallo scudo d’ozono, che hanno effetti altamente nocivi sull’ecosistema (distruzione del plancton, effetti nocivi alla vegetazione) e sulla salute umana (aumento dei tumori della pelle, alterazioni al sistema immunitario.
Per affrontare questo problema, si è cercato di sostituire i c.f.c., con altri gas, non dannosi per l’ozono, e di recuperare i gas dannosi; purtroppo la sostituzione è stata solo parziale, in quanto i nuovi gas sono più costosi ed il profitto….
EFFETTO SERRA
Causato dall’aumento d’anidride carbonica, ammoniaca ed altri gas-serra in atmosfera, effetti della combustione di carbone ed idrocarburi, che formando uno “scudo” attorno al pianeta, impediscono alla radiazione solare riflessa di disperdersi nello spazio. Ciò provocherebbe aumenti della temperatura.
Alcuni modelli matematici, prevedono un probabile innalzamento della temperatura di 2°/2° e mezzo nei prossimi anni.
Presumibili effetti:
- graduale scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari, innalzamento del livello del mare che sommergerebbe isole e attuali coste;
- stravolgimento delle correnti aeree;
- desertificazione ed impoverimento delle risorse idriche;
- estensione delle fasce subtropicali, a zone ora di clima temperato, con problemi d’adattamento umano, aumento delle malattie di tipo tropicale.
- deviazione della corrente del golfo.
INQUINAMENTO DELLE ACQUE
Nel mondo la distribuzione d’acqua dolce è limitata e concentrata nelle calotte polari, e nei ghiacciai montani. L’acqua salata è presente in quantità maggiore, ma è inutilizzabile a fini agricoli e per l’uomo (a meno di non sottoporla ad un costoso processo di desalinizzazione).
In alcune zone del pianeta (medio-oriente, Iran, Iraq, Turchia, deserti africani, americani, australiani ecc), il problema dell’acqua è maggiore di quello del petrolio, soprattutto i paesi medio orientali, potrebbero entrare in lotta per lo sfruttamento delle risorse idriche; l’Arabia probabilmente dovrà dissetarsi con l’acqua desalinizzata.
L’acqua europea, è stata inquinata ad ogni livello dall’attività umana (fiumi, laghi, falde sotterranee, ghiacciai). Noi beviamo acqua inquinata (presenza di metalli, sostanze chimiche nocive), e ciò ha portato ad un aumento del consumo d’acqua minerale, ritenuta più pura.
Le fonti d’inquinamento sono di tipo industriale, agricolo/zootecnico, e da insediamenti umani. Fino alla metà degli anni ’80, le industrie, scaricavano i residui di lavorazione direttamente nei fiumi senza depuratori. Ciò ha portato, nelle maggiori nazioni industrializzate, ed intensamente abitate, ad una concentrazione spaventosa di sostanze nocive, e causato al collasso d’importanti ecosistemi quali ad esempio il fiume RENO e molti altri fiumi e laghi europei; inoltre, il carico inquinante, alfine si deposita in mare, dando luogo a fenomeni quali eutrofizzazioni ed avvelenamenti chimici da sostanze nocive, quadro ulteriormente compromesso da usi criminali quali il lavaggio delle petroliere in mare, gli incidenti veri o presunti a petroliere, il petrolio genera sul mare una pellicola nera che impedisce ai raggi solari di passare e innescare la fotosintesi delle piante acquatiche, poi penetra in profondità e distrugge l’ecosistema marino; inoltre, provoca la morte degli uccelli marini per asfissia, (’93 disastro all’oasi faunistica delle Shetland). La pulizia in mare viene effettuata con solventi, ma essi disperdono solo piccole parti della pellicola di petrolio, ed inquinano essi stessi.
Oltre al petrolio, esiste purtroppo un traffico di rifiuti chimici e scorie radioattive (materiale di fissione ed ex materiale bellico), inabissati in mare per evitare le ingenti spese di smaltimento, gestito dalle mafie (darebbe un guadagno maggiore del traffico di droga) spesso con partenza delle carrette da affondare da La Spezia. Sembra che anche la Russia abbia inabissato navi o sottomarini pieni di scorie.
INQUINAMENTO DEL SUOLO
forme d’inquinamento del suolo:
- rifiuti;
- eccesso di fertilizzanti;
- desertificazione;
- salinizzazione (eccesso d’irrigazione);
- cementificazione (costruzione in aree verdi, inalveamento dei fiumi);
- disboscamento;
- dissesto idrogeologico.
Degrado forestale: la fertilità del suolo è legata alla presenza di humus (1cm. di humus si forma in cent’anni). L’attività umana non ha rispetto di quest’importante bio-sistema: ad esempio, negli U.S.A., nella zona centrale delle grandi coltivazioni si è aumentata l’uso di fertilizzanti, per potenziare la quantità e qualità delle coltivazioni, ma ciò, ha stressato il suolo non permettendogli di recuperare sostanze utili e humus, e creato in quelle zone il problema della desertificazione, prima assente.
Disboscamento: tutta Europa centrale e meridionale è umanizzata sin dall’antichità. Le foreste a latifoglie presenti sono state disboscate fin dall’anno 1000 per l’agricoltura. Distrutte, precedentemente anche buona parte delle foreste mediterranee.
In buona parte non ancora disboscata la Taiga (Russia, Svezia, Norvegia), ma colpita da piogge acide.

POLITICHE DI DISINQUINAMENTO
Dagli anni ‘80, si sono iniziati i primi interventi antinquinamento, anche se le potenti Lobbies industriali e petrolifere, hanno ostacolato, ed ostacolano tuttora le politiche di disinquinamento (vedi conferenze internazionali per la riduzione degli apporti inquinanti).
L’U.E., nel 1985 ha istituito una commissione ambiente, e da allora preso misure restrittive per la diminuzione delle emissioni inquinanti. Agli interventi generali anti inquinamento, quali depuratori sulle ciminiere per prevenire il fenomeno delle piogge acide, ogni paese si è mosso con differenti tempi.
La Germania è il paese che per primo si è impegnato nel disinquinamento: risanato il fiume RENO con immissione di sostanze purificanti, istituite eco tasse aderito al piano internazionale per riduzione in atmosfera di gas serra.
La Gran Bretagna, si è mossa verso la fine degli anni ’80, pur con certe resistenze anche a livello governativo, ed è ora impegnata nella difesa ambientale e nella diminuzione dei gas serra.
Il governo Olandese, ha emanato dagli anni ’80 rigide misure per la diminuzione al 60% dell’anidride solforosa entro il 2000, mettendo sotto controllo anche altri agenti inquinanti. Olanda, Svezia e Norvegia, sono i paesi attualmente più avanzati nella lotta all’inquinamento. L’Italia è stata una delle prime nazioni a dotarsi di una legislazione in campo ambientale (‘76 Legge Merli - depuratori -, ’85 legge Galasso - impatto ambientale -) purtroppo scarsamente applicata; infatti, la situazione ambientale è a tutt’oggi compromessa: dissesto idrogeologico, inquinamento industriale e veicolare (frequente superamento delle soglie di attenzione su ozono ed altri inquinanti nelle grandi città), fiume PO molto inquinato (mancanza di depuratori nel tratto piemontese – lombardo), eutrofizzazione del mar Adriatico, inquina-
mento delle acque di sorgente e di falda, discariche abusive.
Oggi si cerca di lanciare a livello europeo e mondiale, una politica di disinquinamento che passa anche attraverso il riciclaggio o l’eliminazione di materiali e prodotti chimici quali:
- creazione di discariche ad hoc per le varie tipologie di rifiuti e attenzione nello smaltimento (incenerimento) onde evitare disastri tipo quello di Seveso del ’76;
- alluminio si cerca di riciclarlo, diminuendo così la produzione della bauxite e sostituendolo in alcune lavorazioni;
- piombo prodotto cancerogeno se combusto ed inalato, eliminato in molti materiali (es. benzina);
- cloro fluoro (dannosi per ozono) e fosforo drasticamente diminuiti;
- amianto cancerogeno, si cerca di eliminarlo dall’ambiente e di non utilizzarlo più;
- benzene si cerca di ridurlo nelle benzine verdi ad una percentuale minima;
- sfruttamento dei bio-gas di discarica a fini energetici
Purtroppo, non si è giunti ancora ad uno sfruttamento importante di energie pulite, come si desume da questa “hit” di sfruttamento delle fonti energetiche:
1. petrolio
2. carbone
3. metano
4. energia nucleare
5. energie pulite (solare, geotermica, eolica, idrica)

CONGRESSI INTERNAZIONALI PER RIDUZIONE GAS SERRA ED INQUINANTI
Visti i gravi problemi legati all’inquinamento ed all’effetto serra, nel 1992, venne indetto un grande Congresso internazionale a Rio de Janeiro. Si prese atto del problema, ma non si giunse ad alcuna decisione, rimandando a futuri incontri. Coniato il concetto di sviluppo sostenibile (sviluppo che realizza un certo benessere, salvaguardando le risorse per le nuove generazioni), e difesa delle bio-diversità.
Nel 1997, ha avuto luogo il Congresso di Kyoto cui hanno partecipato 180 nazioni. L’Unione Europea, ha proposto la riduzione dei gas serra del 10% in meno rispetto ai valori di emissione del 1990. Contrari gli U.S.A. che volevano attestarsi sui valori del 1990 (senza l’ulteriore riduzione del 10%). Contrari anche i paesi in via di sviluppo, che oggi rappresentano il maggior pericolo, in quanto la loro nascente industrializzazione, produrrà dosi massicce di inquinanti, che hanno accusato i paesi industrializzati del disastro ecologico, ed hanno rifiutato i tagli alle emissioni inquinanti in quanto non volevano blocchi alla loro nascente industrializzazione. Si è deciso di ritrovarsi per confrontare le posizioni nel 1998 a Buenos Aires.
Nel congresso del 1998 di Buenos Aires, gli Stati Uniti, hanno aderito al piano Europeo di riduzione dei gas serra, e si è proposta una soluzione graduale, di riduzione, secondo il grado di industrializzazione dei paesi: per i paesi in via di sviluppo, sarebbe permesso una maggiore immissione inquinante. In ogni modo, nonostante i disastri ecologici sempre più frequenti negli ultimi anni, queste misure non sono ancora definitive né sufficienti., quindi si dovrà incidere molto più pesantemente sui fattori inquinanti e, sostanzialmente, sullo stile di vita dell’umanità per giungere ad un vero sviluppo sostenibile.
Libro pag. da 22 a 37.

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ITALIA - AGRICOLTURA DAL DOPOGUERRA AD OGGI
In Italia, nell’immediato dopoguerra, il sistema agricolo nei rilievi del centro/nord e sulle colline litoranee del meridione era costituito da piccole aziende familiari in affitto. Nella pianura padana erano prevalenti le aziende di media/grande dimensione condotte con sistemi capitalistici. In Italia centrale era ancora diffusa la mezzadria (che sarà abolita all’inizio degli anni’50, ma seppur non ufficialmente ancor oggi continua ad esistere), il sistema latifondista nelle aree interne e nelle piane costiere del sud.
Il 12 maggio 1950 fu approvata la legge di riforma agraria che mirava alla riduzione del latifondo ed alla ridistribuzione delle terre ai contadini, che avrebbero anche dovuto giovarsi degli interventi di bonifica delle zone paludose, e del recupero di poderi situati nelle aree montane.
Nel ’68, fu varato dalla CEE il “piano Mansholt” per ovviare al grave problema della polverizzazione delle proprietà agricole, che prevedeva l’accorpamento delle piccole aziende agricole in aziende di più grandi dimensioni allo scopo di renderle competitive sul mercato. Tale accorpamento fu attuato soprattutto nelle aziende della regione temperata atlantica, in Italia attuato solo nella pianura padana attraverso le forme cooperative. Nel resto d’Italia, scomparvero (quasi) il latifondo e la mezzadria con aumento delle piccole proprietà dirette o in affitto.
Negli anni ’60 c’è stato un esodo dalla campagna alla città, dalla collina alla città e costa ed il numero di occupati nel settore primario è notevolmente diminuito. Nel 1951 gli occupati erano il 42% del totale, 10 anni dopo erano già scesi al 30% del totale, oggi sono il 7/9% del totale degli occupati.
Oggi esiste sempre un dualismo tra agricoltura moderna realizzata nella pianura padana e quella, sì meccanizzata, ma attuata ancora con sistemi di policoltura attuata nelle piccole proprietà del centro/sud. Esistono, tuttavia, zone specializzate nella coltura di ortaggi (piana di Catania), alberi da frutto (Puglia), floricoltura (Liguria); in alcune regioni (Umbria , Emilia Romagna, Toscana, Lombardia) è stata introdotta la lotta biologica integrata (uso limitato e solo in caso di necessità di antiparassitari e concimi chimici), quindi un tipo di agricoltura rispettosa dell’ambiente e della salute umana.
Lati negativi dell’agricoltura italiana oggi:
- polverizzazione delle proprietà;
- bilancio agricolo in deficit sia a causa della politica inefficace del governo Italiano (passaggio lento e difficoltoso da situazione di gestione centralizzata statale a gestione privata), sia per le limitazioni relative alla produzione volute dalla P.A.C.. Nel marzo 1999, l’Italia ha ottenuto di poter produrre una quantità maggiore di latte e prodotti derivati.
- gli agricoltori italiani non hanno forza nel campo della distribuzione, trasformazione e vendita dei prodotti ed è, inoltre, ancora insufficiente la presenza dell’industria agro-alimentare di trasformazione (in certe zone del paese non esiste).
Quindi, l’agricoltura in Italia deve essere rilanciata e deve puntare sulla qualità e sulla specializzazione delle sue produzioni.

MARI
Due località poste alla stessa latitudine, una sull’oceano Atlantico, ed una sul mar Baltico, risentono di clima e temperature diverse: temperatura più mite nella località atlantica (es. una città di costa della Norvegia) piuttosto che nella località posta sul Baltico.
Di ciò è responsabile la corrente del golfo, una corrente d’acqua calda che parte dal golfo del Messico, attraversa l’Atlantico, deviando ad est, per effetto della rotazione terrestre, fino a bagnare le coste della Francia, Gran Bretagna, Germania, Olanda, Danimarca, Norvegia e Islanda, mitigandone notevolmente il clima; la corrente del golfo quindi si raffredda in questo “viaggio”, e torna in America come corrente fredda del Labrador, i cui effetti negativi risente anche New York con temperature molto basse in inverno (rispetto alla costa Ovest). Il contrasto tra corrente calda del golfo e acqua fredda del mare del Nord, alimenta il plancton, rendendo ricco di pesci questo mare.
L’oceano Atlantico è un mare profondo, con acque fredde e un’ampia attività di marea. La cui conseguenza è che tutti i fiumi che sfociano in esso hanno una foce ad estuario (imbuto), utili alla formazione di porti e città di mare. Es. Lisbona sul Tago, Nantes sulla Loira, le Havre sulla Senna, Londra sul Tamigi e Rotterdam sul Reno, porto più grande del mondo per movimento di merci.
Al contrario, i fiumi che sfociano nel mar Mediterraneo, nel mar Nero, nel mar Caspio, sono diversi in quanto questi mari non hanno ampie maree e quindi i sedimenti si depositano vicino alla foce, quindi, le foci sono a DELTA (il fiume si divide in molti rami). Es. Rodano (sulla cui foce esiste un grande parco naturale della Camargue), Po in Adriatico, Volga nel Caspio, Danubio nel mar Nero. Le zone dei delta fluviali, hanno ambienti umidi, zone bonificate, stagni, valli, luoghi adatti alla riproduzione di uccelli, piante.
I mari mediterraneo, Adriatico, Caspio, Nero, sono mari chiusi, con acque più calde e più salate rispetto all’oceano ed ampiezza di marea minore. Per ciò che riguarda la pescosità, il mar mediterraneo era molto pescoso sino ad un centinaio d’anni fa, poi il ridurre il mare ad una gratuita pattumiera abusiva (inquinamento da petrolio, perso o “lavato via” dalle petroliere, chimico/batteriologico e di “nutrienti” quali azoto e fosforo portati dai fiumi in cui si incanalano gli scarichi delle città e radioattivo dovuto al’’inabissamento di vere e proprie “carrette del mare”, forse partenti da La Spezia e inabissate fin dagli anni ’80 cariche di scorie radioattive, scarti di centrali nucleari e scorie atomiche da disarmo), la pesca a strascico e con le mine, lo stanno spopolando.

Esempio



  


  1. antonella ambrosi

    risvolti geografici del '68