l'evoluzione e la globalizzazione

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Testo

Le trasformazioni che si sono verificate negli ultimi decenni nell'economia italiana sono state così profonde da avere pochi paragoni al mondo. Negli anni Cinquanta l’economia italiana era ancora legata per un cospicua quota di reddito (circa il 20%) all’agricoltura, nella quale tuttavia era impiegato circa il 36% della forza lavoro. L’industria, ancora poco aperta ai mercati internazionali, produceva circa il 32% del PIL e i suoi addetti rappresentavano circa il 34% del totale. Oggi l’Italia si colloca tra paesi più industrializzati del pianeta e basa la sua attività produttiva su intensi scambi commerciali con tutto il mondo. Nel 2000 il PIL era di 1.073.960 milioni di dollari USA, pari a un PIL pro capite di 18.620 dollari.
A causa della carenza di materie prime, ma anche delle vicende politiche del paese, per tutto il XIX secolo l’industria italiana visse un modesto sviluppo, concentrato in alcune città portuali e del Nord. Alla fine dell'Ottocento (con molto ritardo rispetto ad altri stati europei) si era comunque formata una certa cultura industriale e imprenditoriale privata nel settore tessile e poi nei comparti di base, soprattutto a Torino e a Milano (e nelle aree circostanti), particolarmente nella siderurgia e nella meccanica; tuttavia, realtà industriali come la FIAT, fondata nel 1899, rimasero a lungo casi isolati. Successivamente il fascismo intensificò il carattere autarchico dell'economia, favorendo molte imprese private, e nello stesso tempo accentuò l'intervento diretto dello stato nel campo economico. Il sostegno pubblico all'economia divenne, sotto il regime fascista, una componente caratteristica della politica italiana, in particolare nel 1933, con la fondazione di un ente pubblico, l'Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), destinato a soccorrere le imprese in difficoltà o a sostituirvisi. In seguito l’IRI sarebbe diventato il più grande gruppo industriale del paese, con forti presenze anche in altri settori, quali quello dei trasporti e delle comunicazioni (l'IRI giunse a controllare sino a circa 450 imprese; oggi è ancora in vita, ma dagli inizi degli anni Novanta sono state privatizzate gran parte delle aziende che a esso facevano capo).
L’agricoltura, sebbene costituisse la principale voce del reddito nazionale, fu condizionata per molto tempo dall’inadeguatezza delle tecniche e degli strumenti impiegati e solo in poche zone diventò un’attività moderna e avanzata. Tali zone coincidevano in pratica con larga parte della Lombardia e dell'Emilia, particolarmente fertili nei territori della bassa Pianura Padana, dove da tempo l'attività agricola e zootecnica era condotta con notevole dinamismo da affittuari e proprietari o, come in Emilia, da coltivatori diretti, spesso riuniti in cooperative, per aumentare le potenzialità di capitali e quindi di investimenti; nel Nord lo stesso Veneto era rimasto, sino a tutti gli anni Cinquanta, terra di limitati sviluppi.
Il settore agricolo visse una condizione di endemico sottosviluppo nel Sud del paese, dove, alla questione sociale ed economica generale (vedi Questione meridionale), si aggiungevano problemi legati all’estremo frazionamento delle terre e alla difficoltà di lavorarle, essendo situate in gran parte in zone collinari o addirittura montuose, spesso soggette a frane.
Nel Meridione era rimasta, come retaggio secolare, un'agricoltura povera, con bassissime rese produttive. Accanto al minifondo nelle zone di montagna, dominava il latifondo, costituito da vasti territori controllati da grandi proprietari di ascendenza feudale, i cosiddetti "baroni"; questi immensi domini venivano solo in piccola parte sfruttati, per produzioni cerealicole, ricorrendo a una manodopera stagionale e sottopagata.
Queste condizioni di povertà e di arretratezza non potevano che indurre all'emigrazione non appena si fossero presentate le occasioni favorevoli. Ed essa puntualmente si verificò sia tra la fine del XIX secolo alla prima guerra mondiale, quando milioni di contadini italiani si trasferirono nelle Americhe, sia nel secondo dopoguerra, prima verso il Nord dell’Europa e poi verso il Settentrione d’Italia.
Realtà intermedie tra il Nord più avanzato e il Sud più depresso si registravano nell'Italia centrale, dov'era diffuso il sistema di conduzione della mezzadria, in base al quale il proprietario del fondo agricolo forniva in usufrutto al coltivatore il terreno, insieme a quanto era necessario per coltivarlo (sementi e attrezzi agricoli), ricevendone in cambio metà dei prodotti ottenuti. Essendo la classe mezzadrile dipendente per la propria sussistenza in gran parte dai prodotti della terra, in queste zone era diffusa soprattutto la coltivazione detta "promiscua" (basata sul trinomio cereali, vite e olivo).

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