Africa e Costa D'Avorio

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Testo

RELIGIONE IN AFRICA.
Il panorama religioso dell’Africa è molto vario e comprende le religioni tribali indigene, universali salvifiche (cristianesimo e islamismo) e i movimenti nati in reazione all’urto tra la civiltà occidentale e le culture indigene.
Per religioni tribali s’intendono quelle la cui funzione è di edificare una determinata società, nelle quali l’individuo si sente sorretto e protetto, questo tipo di religione è condizionato dall’economia del gruppo; sono diffusissime nell’Africa nera. Si possono così distinguere religioni di cacciatori-raccoglitori fondate sul rapporto uomo-selvaggina, d’allevatori basate sul relazione uomo-animale allevato; per questo non è possibile parlare di un unico gruppo tribale, n’esistono moltissimi. Per questo tipo di religione è fondamentale la figura dell’indovino o stregone, in altre parole, quella persona alla quale si può chiedere tutto e che può decidere se escludere dal gruppo o addirittura uccidere le persone considerate, dai suoi riti, portatrici di malocchi.
L’islamismo si è diffuso nell’Africa nera dal XI secolo con la conquista araba; ora si assiste ad una grande attività missionaria, legata anche ad interessi politici e al fatto che si adatta alle strutture sociali e conta su uno strumento di enorme diffusione: l’arabo. Questa religione è praticata in Senegal, Costa d’Avorio, Nigeria, Etiopia, Camerun, Mozambico.
Per quanto riguarda il cristianesimo bisogna parlare della Chiesa copta monofisita dell’Etiopia e dell’Egitto. Il cristianesimo si professa soprattutto nelle ex colonie di Francia, Portogallo, Italia, Spagna, Germania, Regno Unito; si è diffuso dal IV secolo in Sudan e Etiopia, è soppiantato nel VII secolo dall’Islam e riprende vigore nel XIX secolo, grazie alle opere missionarie.
Infine, per quanto riguarda i movimenti nati in relazione all’urto tra l’Occidente e le culture indigene, si parla di Chiese sincretiste, in altre parole movimenti di protesta in chiave religiosa contro il colonialismo, lo sfruttamento, il razzismo e la cultura occidentale; a volte queste Chiese dette anche nere degenerano in movimenti di razzismo antibianco e xenofobia.
LINGUE IN AFRICA.
La lingua ufficiale è quella francese, dettata dai coloni ma, parlando di lingue in Africa bisogna ricordare che ce ne sono circa un migliaio, che possiamo sintetizzare in questo modo:
a) Lingue camito-semitiche: occupano tutta l’Africa mediterranea e gran parte delle regioni sahariane. Comprendono l’arabo e le lingue etiopiche.
b) Lingue sudanesi e centro-africane: comprendono circa 400-500 idiomi che sono state raccolte in 16 gruppi secondi criteri prevalentemente geografici.
c) Lingue bantu: hanno caratteri strutturali tali da non lasciare dubbi sulla loro parentela genetica. In loro si possono distinguere un gruppo orientale (rundi, ganda), un occidentale (bulu, mongo, kongo) e un gruppo meridionale (shona, herero).
d) Lingue kohin: caratterizzate da suoni che comprendono i dialetti dei Boscimani, degli Ottentotti e quelli minori.
e) Il malgascio: lingua parlata nel Madagascar, che appartiene al gruppo delle lingue indonesiane.
f) Lingua afrikaans: lingua che si è formata dall’amalgamarsi di vari dialetti olandesi parlati dai coloniche si stanziarono, a partire dal XVII secolo, nelle estreme regioni meridionali del Continente Nero. Questa lingua è stata riconosciuta nel 1925 come una delle due lingue ufficiali della Repubblica Sudafricana, insieme all’inglese.
POPOLAZIONE.
Parlando della popolazione, è impossibile non notare come sia evidente il processo di adattamento alle condizioni ambientali che hanno portato al differenziarsi degli attuali tipi umani riconducibili a tre forme generali: il sahariano, di pelle bianco-bruna; il sudanese, quasi nero; il bantu, bruno scuro.
Si definisce il Sahara come linea di demarcazione fra le aree abitate dai popoli dell’Africa settentrionale e quelli dell’Africa sub-sahariana; tuttavia, il deserto non ha mai rappresentato un ostacolo agli scambi o alla diffusione delle culture tra le regioni settentrionali e occidentali del continente.
Nella cosiddetta Africa bianca sono prevalenti tre tipi fisici di base a pelle chiara: mediterraneo, arabo, berbero. Essi vivono lungo la fascia costiera settentrionale dell’Africa e fino a poco tempo fa si riconosceva tra loro una distinzione di habitat abbastanza netta: i mediterranei sulla costa, gli arabi nella zona stepposa retrostante, i berberi sulle montagne che corrono all’interno lungo la costa e nel Sahara. Oggi, tuttavia, queste distinzioni hanno perso di valore per il progressivo rimescolamento delle popolazioni, perciò addirittura molti antropologi tendono a unificarle in un unico tipo fisico “arabo-berbero”. Nella cosiddetta Africa Nera si possono distinguere le popolazioni negroidi in senso stretto, raggruppabili in alcuni tipi di base: bantu, nilotide, sudanese; nonché alcuni gruppi metamorfici in cui prevalgono i caratteri somatici europoidi con la presenza di pelle molto scura. Si parla di caratteri antropologici a sé stanti per i Pigmei, i Boscimani, gli Ottentotti: i primi, un tempo diffusi dal Sudan all’Africa centro-orientale (erano noti ai Romani che li importavano dall’Egitto), sono oggi costretti in alcune aree boschive dell’Africa centrale; essi vivono nelle grandi foreste, non indossano alcun costume ed è difficile che si mostrino agli uomini. I Pigmei vivono di caccia, non sanno coltivare né tessere, né lavorare alcun metallo, sono invece ingegnosissimi costruttori di trabocchetti. I Boscimanni vivono in una parte ristretta del deserto del Kahalari ed è un mistero come siano giunti in Africa, non sanno coltivare e si cibano di erbe e radici, è simpatico come riescano ancora oggi ad accendere il fuoco con i legnetti ed è singolare il modo con cui riescono a procurarsi l’acqua: infilando una specie di cannuccia nel suolo, essi aspirando trovano se il terreno è interessato da una piccola falda. Gli Ottentotti sono i più progrediti tra i tre, sono un popolo generalmente di allevatori di bestiame e cacciatori, sanno lavorare le fibre vegetali, le pelli, il ferro. Si cibano principalmente di latte cagliato.
Indimenticabili sono i Watussi, un popolo famoso anche perché cantato in una canzone, nella quale si sottolinea il loro aspetto fisico, essi, infatti, sono molto alti e vivono in Africa centrale; i più ricchi di loro sono ornati di eleganti bordi colorati che li fanno più simili ad antichi senatori romani; si cibano senza latte, carne, patate e banane.
Infine, per quanto riguarda la popolazione, è bene ricordare che è presente una minoranza indiana stanziata lungo le coste orientali e in Sudafrica.
La popolazione cresce con ritmi impressionanti, dovuti ad un tasso di natalità mediamente molto elevato, ad un tasso di mortalità generale che si sta riducendo e al prolungamento della durata della vita; tutto questo grazie alla diffusione dei servizi sanitari e agli aiuti dei Paesi europei.
La densità è bassa se si considera il vasto territorio su cui è calcolata (più di 30 milioni di km2 con una densità di circa 21 ab./km2) ed è causata dalla dimensione della vita vegetale e dal dominio di aspetti selvaggi del paesaggio, è legata ai caratteri propri delle civiltà africane, alla loro tradizionale economia, tecnicamente poco evoluta e rivolta a mantenere equilibrato il rapporto uomo-ambiente. Basti pensare all’Africa delle foreste e delle savane, esclusa per millenni dai contatti con le altre civiltà, rimasta fino ai tempi moderni quasi insensibile.
Gran parte della popolazione vive nei villaggi o in piccoli centri; tuttavia l’urbanesimo è in fase di vertiginoso sviluppo, soprattutto dove l’economia è più vivace e moderna. Gli sviluppi dell’urbanesimo stanno prendendo piede in questi ultimi anni, in seguito alla costruzione di strade e ferrovie destinate a collegare i porti e le città costiere con le aree di sfruttamento, agricolo o minerario, dell’interno. L’intensificarsi delle attività commerciali e di sfruttamento di tipo coloniale portò alla formazione di città europee, simili il più possibile a quelle della madrepatria: questo urbanesimo, specchio dell’Europa, ha poi finito con attrarre un diverso urbanesimo, quello africano, rifugio delle popolazioni che hanno ricreato intorno al nucleo europeo l’ambiente d’origine, talora le stesse capanne del villaggio nativo, conservando una certa fedeltà ai legami tribali. La città africana è così composta, diversificata, poco organica, con quartieri distinti (quartieri bianchi o indiani al centro, quartieri africani ognuno sede d’un gruppo tribale alla periferia). Inoltre essa continua a essere economicamente ancora priva di mezzi per risolvere i problemi sociali delle sue numerose masse d’immigrati; la bidonville è tipica espressione dell’urbanesimo africano di oggi, un fenomeno veramente incontrollabile.
Tra le città più popolate dell’Africa ricordiamo Casablanca (Marocco), Lagos (Nigeria), Abidjan (Costa d’Avorio), Kinshasa (Congo).
LA CULTURA.
La cultura è subordinata al concetto di famiglia e di gruppo etnico, rafforzato dalle arti tradizionali, dalla musica, dalla letteratura orale e dalla danza. In passato, l’élite molto occidentalizzata, influenzata dalla cultura europea e dal cristianesimo, oppose un rifiuto alla cultura locale; dopo l’indipendenza di molti Stati negli anni Sessanta, oggi i Governi tendono a sostenere i gruppi nazionali di danza e musica, i musei nonostante, soprattutto tra i giovani, le culture occidentali siano influenzanti.
L’Africa presenta un mosaico di civiltà in evoluzione, con una letteratura molto diversificata che non coincide sempre con le frontiere nazionali. La caratteristica che accomuna le culture attuali è la ricerca di una sintesi africana fra la tradizione, sentita come patrimonio minacciato, e gli apporti del progresso tecnico-scientifico occidentale e rivela una tendenza a superare i limiti tribali, etnici, sociali. Questa letteratura comprende opere orali o scritte in lingue africane e opere scritte in arabo e in lingue europee (francese, inglese, portoghese, boero).
La letteratura orale era, prima della colonizzazione, espressione di antiche civiltà pastorali o agricole, ma anche di stati centralizzati e di guerrieri. Trasmetteva una saggezza religiosa o profana, affidata alla memoria e aveva la funzione di mantenere stabili le struttura del gruppo sociale, grazie anche alle parole che assumevano un ruolo magico e affabulatore. Molti erano i generi letterari: canti iniziatici, poemi eroici e celebrativi, miti cosmologici, racconti storico-leggendari, favole, proverbi ed enigmi, ecc.
La letteratura scritta in lingue africane ha avuto una spinta alla modernizzazione solo all’inizio del Novecento (infatti, era sempre stata considerata secondaria rispetto alla letteratura orale), con la nascita di due generi nuovi: il dramma e il romanzo, orientati verso il realismo. Sono notevoli le opere di carattere storico, religioso, epico e morale degli Haussa e dei Fulbe. In molti paesi, però, questa letteratura non è stata libera, ma condizionata dalla politica coloniale: scarsa nelle colonie francesi e portoghesi, dove non si usavano le lingue locali nella scuola, è stata più rilevante nelle colonie inglesi e belghe; è ricca invece in Nigeria e in Ruanda.
La letteratura in arabo è diffusa soprattutto in Sudan e in Mauritania, ma anche in Senegal.
La letteratura in lingue europee è iniziata fra le due guerre mondiali per opera di scrittori occidentalizzati. In un primo momento sembrò che l’africano esprimesse solo il desiderio di assimilarsi alla civiltà del colono bianco; presto però egli si volse a un’appassionata ricerca etnologica, radicata nella volontà di rivalutare e salvare il patrimonio della propria cultura, misconosciuta e minacciata. In una storia travagliata da conflitti, questa letteratura oggi denuncia i mali che affliggono le nuove società africane e i regimi tirannici che hanno spento ogni libertà.
Le espressioni musicali africane presentano un’estrema varietà di aspetti e di caratteristiche, in conseguenza sia delle diverse condizioni geografiche e ambientali che influiscono sulla vita dei popoli del continente, sia delle complesse vicende storiche che esso ha vissuto nel corso del suo sviluppo. E’ pertanto impossibile indicare un principio unitario assimilato alle diverse esperienze musicali africane; si può di certo affermare che non si può considerare in alcun modo primitiva, perché presenta complessità di strutture, varietà di procedimenti tecnici e costruzioni polifoniche; sottilissima è anche la sensibilità ritmica, non necessariamente esplicata con i soli strumenti a percussione, ma abilmente sfruttata sia nel canto sia nella musica strumentale, nonché la sensibilità formale. Tra i tipi di strumenti musicali ne spiccano tantissimi: dai flauti dritti, traversi, alle trombe di legno, metallo e avorio, agli strumenti a percussione come i tamburi di legno, ferro, rame e canna di bambù. In tempi moderni, il contributo dell’Africa alla cultura musicale occidentale è stato il jazz, nel quale si riflettono molti aspetti e caratteristiche della sua musica: i negro spirituals e i plantation songs.
A causa dell’area molto estesa, della varietà dei gruppi etnici e delle loro integrazioni, degli influssi delle colonizzazioni, della rapida modernizzazione e dell’estendersi del turismo, è difficile dare un quadro generale del folclore africano. Un tipico aspetto africano riguarda l’abbigliamento, che ha subito nei centri urbani profonde trasformazioni ma tende a recuperare libere forme di espressione, laddove non si persegue addirittura il ritorno all’origine come cosciente opposizione all’europeizzazione. La tendenza al nudismo integrale recede spesso davanti all’adozione di semplici sottane che lasciano scoperto il torace (tranne nell’area islamizzata, le donne usano spesso portare il seno scoperto); il semplice perizoma è più persistente presso gruppi di Pigmei equatoriali o di Boscimani del Kahalari. Le acconciature dei popoli agricoli sono del più vario genere: dalla completa rasatura ai capelli lunghi raccolti in una treccia o in più treccioline. La pittura facciale o corporale sopravvive in parecchie zone, spesso a scopi magico-rituali (uomini leopardo del Camerun) o con significato funebre (corpo completamente bianco della Liberia). Ricorrente è l’uso di anelli alle caviglie, al collo, alle braccia (Guinea), mentre i dischi labiali si trovano ancora fra i Paleosudanesi del Ciad; diffusi sono i tatuaggi e in via di abbandono sono l’uso delle mutilazioni e della limatura dei denti. Le feste presentano un’enorme varietà e ricchezza, estendendosi su tutto l’arco della vita sociale: cerimonie religiose, culto degli antenati, matrimoni e nascite, iniziazioni puberali, nelle quali la danza, sempre a carattere corale, assume importanza fondamentale, perché mette i comunicazione gli uomini con gli spiriti e le forme della natura, in cui i danzatori, indossando maschere, assumono l’identità dello spirito di un antenato. Proprio usando queste ultime, che spesso raggiungono nella realizzazione valori profondamente artistici; vanno ricordate quelle dei Dogon (Mali), Teke (Congo), Yakoba (Costa d’Avorio). Ancora diffusi sono i riti magici connessi al primitivo animiamo (funzioni guaritorie e propiziatorie) anche fra genti cristianizzate (riti della pioggia, delle semine, del raccolto). Assai diffusi sono anche gli amuleti e le superstizioni magiche.

STORIA DELL’AFRICA.
L’africa è la culla della razza umana, come testimoniano le scoperte archeologiche e alcune indagini genetiche. Cinque milioni di anni fa in Africa del sud ed est viveva un tipo di ominide, parente stretto sotto il profilo evolutivo degli uomini odierni; oltre un milione e mezzo di anni fa questi ominidi (in grado di fabbricare utensili) si svilupparono nelle forme più avanzate di homo habilis ed erectus. Il primo essere umano autentico, l’homo sapiens, apparve in Africa oltre 200 mila anni orsono; cacciatore e raccoglitore capace di fabbricare utensili grezzi in pietra, si associò ai suoi simili in gruppi nomadi (la loro lingua era detta khoisan), che, in seguito, si disseminarono in tutto il continente africano; la differenziazione razziale risale all’incirca al 10000 a.C.
Parlando di storia dell’Africa, bisogna però distinguere tra quella dell’Africa settentrionale e quella sub-sahariana; infatti, la conoscenza del continente dei popoli europei era limitata alla parte settentrionale fino al XV secolo, quando i Portoghesi sbarcarono in alcune zone costiere e risalirono la foce di qualche fiume. Separate dall’area desertica del Sahara le due Afriche ebbero vicende storiche diverse, e limitati furono le infiltrazioni e i contatti fra i due blocchi chiamati per consuetudine Africa bianca e Africa nera.
L’Africa settentrionale.
La storia dell’Africa settentrionale si è sviluppata nel corso dell’antichità intorno all’Egitto e a Cartagine. Gli Egizi furono la prima grande civiltà in Africa, nella valle del Nilo intorno al 5000 a.C.; essi trassero beneficio per il loro sviluppo dalle acque del Nilo e dalla terra molto fertile di quel luogo. La necessità di controllare le piene del Nilo portò gradualmente alla costruzione di un complesso organismo statale, sorretto da elaborati sistemi politici e religiosi. Ad esempio, in base ad alcune teorie la metallurgia sarebbe sorta a sud dell’Egitto intorno all’800 a.C. circa, per poi diffondersi in tutta l’africa tropicale. Cartagine sviluppò la sua potenza venti secoli dopo l’Egitto, fu essenzialmente uno Stato militare e commerciale; limitò le sue conquiste nel territorio dell’attuale Tunisia, allo stretto indispensabile per procurarsi risorse alimentari e si protese soprattutto verso il Mediterraneo. Tra i secoli V e III a.C. i Cartaginesi avevano un elevato grado di potenza economica e controllavano la Sicilia, la Sardegna e la Corsica, nonché i traffici con il Nordafrica e i principali porti europei occidentali; fu proprio la mediterraneità di Cartagine a provocare lo scontro con Roma e a portare gli europei per la prima volta nel continente.
Nel periodo compreso tra la fine del III secolo a.C. e l’inizio del I secolo d.C., Roma aveva conquistato l’Egitto, Cartagine (con tre guerre logoranti) e alcune regioni dell’Africa settentrionale, che saranno poi chiamati granai dell’impero. Così, per la prima volta l’intero Nordafrica si trovò sotto un unico tipo di civiltà. Nel IV secolo l’impero si divise in due parti: i territori ad ovest della Libia restarono inclusi nell’impero d’Occidente retto da Roma, mentre quelli ad est, compreso l’Egitto, andarono a far parte dell’impero bizantino retto da Bisanzio. All’epoca la maggioranza della popolazione si era convertita al Cristianesimo, e nel V secolo la tribù germanica dei Vandali conquistò tutta l’Africa settentrionale, mettendo fine al potere romano; questo avvenne solo per pochi anni, perché Giustiniano li cacciò, mantenendo però un potere molto debole. Gli eserciti islamici, infatti, invasero l’Africa nel primo decennio successivo alla morte di Maometto (632 d.C.), e rapidamente schiacciarono la resistenza bizantina in Egitto, formando forti Stati arabo-berberi come il Marocco, la Tunisia, l’Algeria e lo stesso Egitto.
Arabismo e islamismo si devono considerare da dodici secoli circa i fattori fondamentali e duraturi della storia del Nordafrica dove, se l’unità politica è stata precaria, si è mantenuta una tradizione culturale e religiosa.
I califfi omayyadi riuscirono a tenere relativamente sotto controllo l’immensa regione per un certo periodo, ma dovettero poi cedere il potere a dinastie locali che si resero indipendenti. Gli Ottomani conquistarono l’Egitto nel 1517 e in mezzo secolo riuscirono a dominare formalmente la costa nordafricana ad eccezione del Marocco. Fu questo il periodo delle cosiddette reggenze barbaresche controllate da corsari, i cui capi furono spesso Europei caduti prigionieri dei musulmani e convertitisi per sfuggire alla condizione di schiavi. Il secolo XVI fu lungamente dominato dalla lotta tra le potenze cristiane d’Europa, la Turchia e le reggenze barbaresche, lotta che si concluse con l’eliminazione delle basi della Spagna, la più tenace avversaria di Turchi e corsari. Iniziata la decadenza turca nel secolo XVII, le reggenze, pur continuando ad accettare i governatori inviati da Costantinopoli, si resero indipendenti. Della decadenza turca approfittarono infine gli Stati europei per insediarsi nei territori nordafricani: la Francia in Algeria, Tunisia e Marocco, l’Inghilterra in Egitto, l’Italia in Libia, la Spagna in Marocco.
L’Africa sub-sahariana.
Mentre l’Africa mediterranea partecipava alla storia della civiltà europea, l’Africa sub-sahariana, con la sola eccezione dei regni di Meroe e di Aksum, costituiva quasi un continente a sé stante, separato dal Sahara e dagli oceani dal resto del mondo; né Cartaginesi, né Romani, né Bizantini superavano il Sahara (solo una spedizione inviata da Nerone penetrò nell’interno): essi furono soltanto in contatto con Meroe e Aksum. Fondato tra la fine dell’era volgare e l’inizio dell’era cristiana da gruppi semitici, lo stato di Aksum ebbe un periodo di splendore tra i secoli IV e VI d.C.: erede diretto ne fu l’impero d’Etiopia, l’unico duraturo Stato a sud del Sahara; potente militarmente e per commerci, esso era in rapporto con l’Arabia e l’India. Altri Stati si formarono nell’Africa occidentale immediatamente a sud del Sahara, grazie a gruppi berberi e arabi provenienti da nord o da est. Si trattava sempre di regni di chiara impronta africana, che avevano ricevuto e rielaborato alcuni elementi culturali derivanti dalle civiltà egiziana e araba, retti da una monarchia a carattere sacro. Il Ghana, fondato intorno al secolo IV, raggiunse alla fine del secolo VIII l’apogeo sotto una dinastia sudanese, conquistò i popoli vicini e fu un centro di rapporti commerciali internazionali che gli procurarono immense ricchezze. In Africa orientale troviamo i regni di Buganda, Kitara, Ankole, i più antico dei quali risale ai secoli XIII e XIV; fondati da pastori di razza etiopica, diedero origine ai regni del Ruanda e Burundi. Occorre inoltre ricordare, nell’area Congo-Angola, il regno del Congo, costituitosi intorno al secolo XV.
Tutti i regni appena citati risalgono al Medioevo africano, rivalutato e rivendicato dagli studiosi africani che, tesi alla conquista di una coscienza nazionale, a essi ricollegano l’attuale storia del continente. Gli studi su questo periodo sono ancora aperti: infatti, le società tribali, poco evolute, il grande spopolamento delle regioni centrali, l’incomunicabilità tra un gruppo e l’altro farebbero pensare che l’influsso degli imperi sia stato nullo; non bisogna però dimenticare la tratta degli schiavi che, seminando ovunque disordine e paura, ha fortemente contribuito all’isolamento.
Gli albori dell’imperialismo.
I primi interessi permanenti dell’Europa in Africa si concretizzarono nelle azioni di Enrico II il Navigatore, principe del Portogallo, con numerose spedizioni organizzate dopo il 1434 e ciascuna ampliò la conoscenza degli Europei della costa africana in direzione sud fino a quando, nel 1497-1498, Vasco de Gama doppiò il capo di Buona Speranza. Qui si stabilirono molti europei e soprattutto olandesi.
La tratta degli schiavi.
Con l’inizio del commercio degli schiavi verso le Americhe i conflitti per il controllo dei traffici mercantili con l’Africa si acuirono, soprattutto dal secolo XVII, quando la quasi totalità degli schiavi fu trasportata verso le colonie americane, al cui sviluppo economico hanno notevolmente contribuito. In quasi quattro secoli morirono più di dieci milioni di persone.
Timorosi di essere contagiati dalle numerose malattie dell’Africa, gli Europei sfruttarono gli Africani come intermediari nel commercio degli schiavi, che erano scambiati con i vari beni di consumo offerti dagli schiavisti insediatisi sulle coste.
Al volgere del XVIII secolo, la Gran Bretagna iniziò ad assumere un atteggiamento contrario alla tratta degli schiavi e, dopo la risoluzione di Mansfield del 1772, la Gran Bretagna decise di fondare in Africa occidentale una colonia destinata agli ex schiavi: il primo tentativo (1787-1790) a St.George’s Bay fallì, mentre il secondo tentativo andò a buon fine e fu condotto dagli abolizionisti, che nel 1792 fondarono Freetown. Dopo aver proibito la tratta degli schiavi nel 1807, i britannici fecero di Freetown un’utile base per condurre operazioni navali contro tale commercio; questa volontà di sopprimere il commercio degli schiavi fu sia per ragioni umanitarie, sia per ragioni economiche, dato che gli schiavi forniscono alla concorrenza molta manodopera a basso costo.
Alla fine del XVIII secolo l’interesse per la scienza e la ricerca di nuovi mercati diedero impulso a un’epoca di spedizioni: l’esploratore britannico James Bruce, ad esempio, giunse alla sorgente del Nilo nel 1770, oppure quella del suo conterraneo Mungo Park, che seguì tutto il corso del fiume Niger. L’esploratore tedesco Heinrich Barth si avventurò nella parte occidentale dell’Africa, mentre il missionario scozzese David Livingstone esplorò il fiume Zambesi arrivando, nel 1855, ad attribuire il nome di Victoria alle famose cascate.
La politica europea.
I Francesi cominciarono la conquista dell’Algeria e del Senegal nei primi decenni del XIX secolo, ma l’occupazione sistematica dell’Africa tropicale avvenne soltanto nella seconda metà del secolo. Dal 1880 al 1905, in seguito al congresso di Berlino, gran parte dell’Africa fu suddivisa fra Belgio, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia e Portogallo. Durante il congresso 1884-1885, le potenze europee definirono la loro sfera di influenza e stabilirono le norme per la futura occupazione delle costa africane e per la navigazione dei fiumi Congo e Niger. Fu stabilita, inoltre, la norma in base alla quale, quando una potenza acquisiva nuovi territori in Africa o assumeva il protettorato di una regione del continente, avrebbe dovuto comunicarne notizia alle altre potenze firmatarie.
La resistenza africana.
Nessuno stato africano era stato invitato al congresso di Berlino e nessuno di essi fu tra i firmatari degli accordi che ne scaturirono. Quando era possibile, le decisioni prese in Europa venivano contestate al momento della loro applicazione sul suolo africano da gruppi organizzati in difesa della loro terra.
L’ultima conquista coloniale dell’Africa è stata quella dell’Etiopia da parte dell’Italia (1935-1936).
La crescita e lo sviluppo.
Una volta conquistati e pacificati i territori, le amministrazioni europee diedero avvio allo sviluppo dei sistemi di trasporto per facilitarne l’imbarco delle materie prime provenienti dalle regioni dell’interno e destinate alle esportazioni, istituirono sistemi fiscali per costringere i contadini ad abbandonare l’economia di sussistenza. Entrambe queste politiche erano ben avviate quando scoppiò la prima guerra mondiale. Nel corso del conflitto, i territori tedeschi dell’Africa occidentale furono conquistati, e in seguito affidati dalla Società delle Nazioni alle varie potenze alleate; migliaia di Africani furono arruolati e impiegati negli eserciti alleati. Dopo la prima guerra mondiale lo sfruttamento delle colonie fu mitigato dagli sforzi volti a fornire alle popolazioni un’istruzione di base, servizi sanitari, assistenza e salvaguardia dei diritti delle terre africane.
La nuova Africa.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale gli Africani combatterono negli eserciti degli alleati fino al maggio 1943, quando ebbero termine le battaglie nel continente. Nel dopoguerra le potenze coloniali europee si ritrovarono materialmente e psicologicamente indebolite, mentre gli equilibri delle forze internazionali pendevano a favore degli USA e dell’Unione Sovietica che, su posizioni anticolonialiste, utilizzava sempre di più l’Africa quale campo di battaglia di conflitti ideologici nell’ambito della cosiddetta guerra fredda.
Nell’Africa sud-sahariana francese, il presidente Charles De Gaulle aveva cercato di prevenire i movimenti nazionalistici garantendo agli abitanti d’oltremare lo status di cittadini a pieno titolo e consentendo ai deputati e senatori di ciascun territorio di sedere nel Parlamento francese. Questo tipo di risoluzione è detta protettorato e in seguito viene attuato anche da altri Paesi colonizzatori.
In questi protettorati iniziò un movimento per l’emancipazione e la piena indipendenza delle colonie che, in 20-30 anni, portò alla completa decolonizzazione del continente, anche se in taluni casi a prezzo di guerre lunghe e sanguinose (in particolare Algeria, Mozambico e Angola). Ricordiamo che il primo Paese ad essere indipendente fu la Liberia nel 1847, mentre l’ultimo fu l’Eritrea nel 1993.
I giovani Stati africani si trovarono ad affrontare molti problemi, il più significativo dei quali era la questione della creazione dello Stato-nazione. In molti casi i gruppi etnici erano stati disgregati dai confini nazionali firmati a tavolino e spesso la realtà nei confronti dei gruppi era molto più forte di quella verso lo Stato: la ripercussione immediata fu lo scoppio di violente ribellioni in molti Paesi. Quando gli Stati africani conseguirono l’indipendenza, i movimenti nazionalistici dominanti e i loro capi mostrarono la propensione a insediarsi al potere in modo permanente. Con il richiamo all’unità nazionale sollecitarono l’abbandono del sistema parlamentare multipartitico a vantaggio di un regime a partito unico. Anche lo sviluppo economico si presentava uno dei problemi principali, benché gli Stati africani disponessero di cospicue risorse naturali, pochi avevano i mezzi finanziari necessari a sviluppare le loro economie. Spesso le imprese private straniere consideravano troppo rischiosi gli investimenti in queste aree sottosviluppate, giustificando questo atteggiamento in diversi modi. Un altro problema fondamentale è rappresentato dall’incapacità dell’Africa di imporsi sulla scena internazionale. Gli Stati africani si consideravano parte del mondo sottosviluppato e delle nazioni non allineate, ma a causa della loro precarietà sul piano militare e finanziario le opinioni delle nazioni africane raramente vengono prese in considerazione.
A questo cercano di rimediare le organizzazioni economiche e politiche come l’OUA (Organizzazione dell’Unità Africana), in procinto di trasformarsi nel 2003 in Unione Africana (UA) nella volontà di una collaborazione più stretta.
L’Unione Africana (UA).
L’Unione Africana è un’istituzione nata dalla trasformazione dell’Organizzazione dell’Unità africana (OUA); vi aderiscono 53 Paesi ed ha la sede centrale a Addis Abeba, già sede dell’OUA. Il processo di costituzione, iniziato nel 1999, si è concluso nel luglio 2003.
Questa organizzazione è stata creata con l’intento di accelerare l’integrazione economica e politica tra i Paesi africani e di coordinare le politiche economiche, culturali, mediche, scientifiche e militari; di promuovere la cooperazione, la pace e la stabilità in Africa, di promuovere principi e istituzioni democratici e il rispetto dei diritti umani; di salvaguardare l’indipendenza e l’integrità territoriale dei Paesi membri; di abbattere le ultime vestigia del colonialismo e dell’apartheid.
LA COSTA D’AVORIO.
La Costa d’Avorio è una repubblica presidenziale situata nell’Africa occidentale divisa in 34 dipartimenti territoriali, delimitata a nord da Mali e Burkina, ad est dal Ghana, a sud dal Golfo di Guinea, ad ovest dalla Liberia e dalla Guinea. La capitale è Yamoussoukro. Questo Stato ha ottenuto l’indipendenza dalla Francia nel 1960, quando costituì con la repubblica del Dahomey, Niger e Alto Volta, il Conseil de l’Etente, di notevole importanza politico-economica.
Aspetto fisico.
La zona litoranea orientale è interrotta da un gran numero di vaste e profonde lagune, inaccessibili per la maggior parte al mare per la presenza di isolotti sabbiosi che costituiscono un vero e proprio sbarramento. La zona occidentale, invece, è caratterizzata da scogli, baie e promontori rocciosi. Nessuna delle foci dei fiumi sulla costa è navigabile e si è potuto ottenere un unico accesso al mare nel 1950 con la costruzione di un canale nella laguna di Ebriè. Spingendosi verso l’interno, si trova un’area ricca di foreste pluviali che, verso nord, lasciano il posto a una vegetazione tipica della savana. I rilievi si trovano soprattutto nelle regioni nord-occidentali e non sono molto elevati. Tra i fiumi più importanti ricordiamo il Cassandra e il Bandama, tributari dell’Oceano Atlantico.
La fauna è molto varia e composta di diversi tipi di rettili e serpenti velenosi, elefanti, sciacalli e iene.
Il clima è tropicale, quindi caldo-umido, con abbondanti precipitazioni e con la presenza di una stagione secca e di una delle piogge, le cui durate variano in base alla distanza delle varie zone dall’Oceano.
Problemi interni.
Tra i problemi che affliggono il Paese, ricordiamo la deforestazione, causata da una crescente domanda da parte dell’industria del legno, l’inquinamento delle acque, causato, oltre che dai liquami domestici, dalle sostanze chimiche utilizzate in agricoltura e dagli scarichi industriali; inoltre la desertificazione e l’estinzione di molte specie faunistiche (molti animali stanno scomparendo a causa dell’estensione dell’allevamento, la caccia indiscriminata). A protezione dell’ambiente, la Costa d’Avorio ha stabilito accordi internazionali riguardanti l’ambiente, la desertificazione, l’abolizione dei test nucleari, il cambiamento preoccupante del clima.
La piaga più dolorosa del continente africano è la diffusa presenza dell’AIDS che colpisce più del 25% della popolazione, basti pensare che ogni tre minuti circa muore un uomo, o di tubercolosi o di AIDS, prime cause di morte. E gli aspetti più preoccupanti sono quelli che evidenziano la mancanza di soldi necessari alle vaccinazioni e al pagamento delle medicine; ciò accade soprattutto nell’Africa subsahariana.
Popolazione, lingua e religione.
La popolazione supera i 17 milioni di abitanti (stima del 2004), con la presenza di numerosi gruppi etnici tra cui gli akan e i voltaici. Nel 2004 il tasso di alfabetizzazione è superiore al 52%, grazie anche all’istituzione nel 1964 di un’importante università ad Abidjan; sono anche numerosi, però, gli studenti che studiano all’estero.
La lingua ufficiale è il francese, ma sono molto diffusi anche gli idiomi locali. La religione più praticata è quella musulmana, seguita da un alto numero di cattolici e di culti tradizionalisti.
Città più importanti.
Tra le città più importanti ricordiamo Yamoussoukro, capitale dal 1983, che, pur essendo ancora in costruzione, è già molto moderna e ospita addirittura tre università; e Abidjan, un moderno quartiere dove si concentrano le attività amministrative ed economiche della Costa d’Avorio. Situata all’interno della laguna di Ebriè, la città è il primo porto commerciale, perché collegata al Golfo di Guinea con il canale Vridi.
Economia.
La Costa d’Avorio è uno tra gli Stati più fiorenti e ricchi dell’Africa, anche se l’economia ha seguito dei periodi di alti e bassi, fino agli anni Ottanta, quando, a causa del crollo dei prezzi dei principali prodotti d’esportazione (caffè, cacao e legname) dovuti a problemi di siccità, l’economia subì uno stallo. Così furono introdotte misure di austerità economica nel 1990 e fu inaugurato un programma di privatizzazione per tentare di far progredire l’economia.
L’economia si basa sulle piantagioni, giacché i terreni agricoli sono assai fertili: buona è la produzione di caffè, cacao (è il primo produttore al mondo), caucciù, banane, canna da zucchero, legname pregiato e cotone per il commercio; di mais, riso, patate dolci per l’alimentazione. I prodotti caseari ed il grano non sono sufficienti al fabbisogno alimentare dello Stato, e quindi devono essere importati.
Il patrimonio forestale è sfruttato dalla fiorente industria del legno e dal commercio di maschere e altri lavori manuali; produttive sono anche la lavorazione del greggio, il montaggio di autoveicoli e la lavorazione dei tessuti. Tra le risorse naturali sono presenti giacimenti di petrolio, diamanti, rame, cobalto, ma l’industria estrattiva non è sviluppata a causa della mancanza di capitali.
Per quanto riguarda il turismo, il Paese ha buone prospettive grazie al paesaggio che riassume in generale il territorio dell’Africa: infatti, vi si trovano lagune nell’entroterra e savane, la foresta vergine e nove parchi nazionali dal variopinto folclore.
Il commercio si svolge, per quanto riguarda le importazioni, con la Francia, la Nigeria, il Giappone, i Paesi Bassi, mentre per quanto riguarda le esportazioni, i maggiori partner commerciali sono la Germania, l’Italia, la Gran Bretagna, il Belgio, gli USA e la Francia. Proprio quest’ultimo Stato ha un’importanza non da poco nell’economia della Costa d’Avorio, poiché gli è stato associato con la Convenzione di Lomè, un accordo secondo il quale venivano distribuiti gli aiuti del Fondo europeo per lo sviluppo, garantita l’importazione all’interno della Comunità europea della maggior parte dei prodotti agricoli e delle risorse minerarie degli Stati senza l’imposizione dei dazi doganali.
L’unità monetaria è il franco CFA, emesso dalla banca centrale degli Stati che rientrano nell’area valutaria della zona del franco occidentale.
Storia.
Gli esploratori portoghesi avevano iniziato la conquista della Costa d’Avorio già nel XV secolo, ma è dal 1839 circa che i Francesi penetrarono fin all’interno e stipularono accordi e trattati con i regnanti locali; fino a quando, non senza opporre resistenza, la Costa d’Avorio divenne prima nel 1889 un protettorato, poi nel 1893 una colonia francese. Tutto procede senza grandi problemi fino al 1919, quando la parte settentrionale si staccò e prese il nome di Alto Volta (riannesso però allo Stato nel 1932); infine, si costituì come entità politica separata nel 1948. Nel 1944 Boigny, il capo di una tribù baulè, fondò un’unione di agricoltori africani con la quale nacque il Partito democratico della Costa d’Avorio, che si opponeva all’amministrazione francese e le tensioni sfociarono in violenza aperta nel 1949. Nel 1950 quest’uomo iniziò a collaborare con i colonizzatori e nel 1959 costituì un importante accordo politico-economico con la repubblica del Dahomey, Niger e Alto Volta: il Conseil de l’Ente.
Nel 1960 la Costa d’Avorio diventa indipendente. Sotto il regime autoritario di Boigny, negli anni Sessanta-Settanta questo Stato ebbe un notevole sviluppo grazie alla stabilità politica, ma si creò un’opposizione al regime a partito unico che sfociò con manifestazioni studentesche e malumori all’interno delle forze armate. Nel 1973 e nel 1980 avvennero rispettivamente un colpo di Stato e un attentato alla vita di Boigny; verso la metà degli anni Ottanta, la capitale venne trasferita a Yamoussoukro, dove venne costruita una basilica su modello di quella di San Pietro a Roma. A causa di questi lavori, sommati a quelli di restauro e di abbellimento della nuova capitale, la popolazione cadde in una nuova crisi, l’economia ebbe un crollo e ci fu un malcontento generale. Per questo, nel 1990 si svolsero le prime elezioni multipartitiche; nel 1995 il regime del successore di Boigny (Bediè) provocò una sospensione dei finanziamenti del fondo monetario internazionale, l’Unione Europea congelò i programmi di cooperazione per lo sviluppo, e tutto questo a causa di varie iniziative mirate a discriminare le minoranze etniche presenti nel Paese per zittire le opposizioni. Nel dicembre 1999, Bediè venne rovesciato dall’esercito con un colpo di stato militare, aprendo le porte ad una nuova fase d’instabilità politica contrassegnata da tensioni sociali terminate nel 2000, che hanno portato alla situazione attuale: un Paese diviso tra il sud cristiano e governativo ed equipaggiato di buone infrastrutture, ma non di risorse, e un nord musulmano e ribelle, dove ci sono le piantagioni di cacao e nient’altro. In mezzo, pacificatori Onu e caschi blu. Per questo Stato la pace sembra non arrivare mai, infatti, dopo le elezioni del 2000, ci fu un nuovo periodo di caos; nel settembre 2002 ricominciò il dramma ivoriano: un gruppo di militari tentò inutilmente di rovesciare il nuovo presidente Laurent Gbagbo, che culmina con l’assassinio del ministro dell’interno. Grazie all’intervento della Francia (legata alla Costa d’Avorio dal 1961 con un patto difensivo) si riesce ad arrivare ad un accordo di cessate il fuoco, tra il governo e i ribelli, impegnati nel Movimento Patriottico della Costa d’Avorio (MPCI). Un nuovo intervento diplomatico francese viene fermato dall’estensione della guerra civile in alcune aree caratterizzate dalla presa del potere da parte di gruppi di rivoltosi. Infine, nel gennaio 2003 si giunge ad un accordo che prevede la formazione di un governo di unità nazionale, e alla configurazione di una commissione internazionale per far luce sulle violazioni dei diritti umani avvenute dal settembre 2002.
Quest’anno, tutte le battaglie sono ricominciate il 4 novembre 2004, quando due aerei militari delle forze armate ivoriane hanno bombardato Bouakè, città situata nel centro del Paese, nella zona controllata dai ribelli delle Forze Nuove, dove vi era anche una postazione di pace francese, che ha provocato la morte di nove soldati; tutto questo perché Gbagbo aveva attaccato i ribelli accusandoli di non aver iniziato il processo di disarmo. Il 9 novembre la violazione del cessate il fuoco, causato dalla distruzione da parte di Parigi della piccola forza d’aviazione ivoriana, ha portato all’inizio di una guerriglia che ha bloccato le esportazioni mondiali di cacao, che ha raggiunto il limite massimo di 1.8 $ alla tonnellata.
A guardare tutto ciò, vi è la stampa ivoriana, vicina al presidente Gbagbo, che afferma che Chirac non vedeva l’ora di far man bassa in Costa d’Avorio, che lui considera come la gallina dalle uova d’oro.
L’esercito francese, è allora intervenuto in Costa d’Avorio per sedare le rivolte e per tutelare l’accordo di pace firmato nel 2003 tra le forze armate fedeli al presidente e quelle delle forze ribelli, non solo con semplici truppe, ma con il corpo della Legione straniera.
Il 16 novembre 2004, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha deciso all'unanimità di imporre un embargo alla vendita di armi alle parti in conflitto in Costa d'Avorio. Se entro il 15 dicembre non sarà stato ripristinato il cessate il fuoco, scatteranno ulteriori sanzioni: saranno congelati i beni e vietati i viaggi all'estero di esponenti ivoriani considerati «una minaccia alla pace e al processo di riconciliazione nazionale», i cui nomi verranno indicati da un apposito comitato dell'Onu. Il provvedimento ha una durata di 13 mesi. Il contenuto della risoluzione era stato già deciso settimane prima, ma il voto era stato rinviato per lasciare spazio ad un tentativo di mediazioni fra le parti portato avanti dal Sudafrica (l’unica vera superpotenza africana), che però non ha ottenuto i risultati sperati. Il progetto di risoluzione aveva già ricevuto l'avallo dell'Unione africana che aveva condannato il regime del presidente ivoriano Larent Gbagbo. La risoluzione, presentata dalla Francia (l'ex potenza coloniale), è stata approvata da tutti i 15 paesi membri del Consiglio di Sicurezza. L'Onu chiede di tornare al cessate il fuoco e agli accordi di pace firmati nel maggio 2003 a Parigi e poi ad Accra.
Questo succedersi di guerre civili e colpi di stato ha portato ad una enorme crisi, che ha messo in discussione un insieme di certezze geopolitiche che dominavano la regione. Più che di una crisi, si può parlare di molte crisi in una. Innanzitutto in crisi è andato uno dei più importanti e una volta prosperi Paesi africani, nella prima decina come potenza economica e come Pil, considerato un “success story” grazie al lunghissimo regno di Boigny, e anche grazie alla condizione di primo produttore del mondo, impensabile senza il fortissimo legame con la Francia e la sua economia, che Boigny aveva assicurato nel suo triennio. Tale legame aveva creato le premesse per convincere 25000 francesi a lavorare nel Paese, occupando le posizioni di responsabilità che le nuove èlite africane non riuscivano ancora a gestire in modo efficiente, come pure molti immigrati dai Paesi poveri vicini a fare il duro lavoro nelle piantagioni. Ad essi Boigny concedeva con molta facilità la nazionalità, ed erano arrivati a flotte. Questi due fattori avevano reso possibile il miracolo economico ivoriano. Essi si sono accompagnati ad una serie di errori alla lunga rovinosi come lo spreco delle risorse (significativa la costruzione della basilica di Yamoussoukro), la deforestazione, l’assoluta imprevidenza nel preparare la successione politica. Dopo il ritiro di Boigny, all’inizio degli anni ’90, tali errori si sono saldati con la grave crisi provocata dalla caduta del prezzo del cacao, e si è ristabilito il consueto moto perverso africano di instabilità.
Questa crisi potrebbe avere riverberazioni gravissime anche nel più generale scacchiere dell’Africa occidentale, dove la Liberia e la Sierra Leone hanno già portato all’intervento dei marines americani. Infine, il presidente Gbagbo viene considerato dai Francesi un filo Bush, colpevole di voler assecondare le iniziative volte ad aumentare l’influenza di Washington in Africa.

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