Il vecchio che leggeva romanzi d'amore, di Luis Sepùlveda

Materie:Scheda libro
Categoria:Generale
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Data:21.11.2001
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Testo

Il vecchio che leggeva romanzi d’amore
Luis Sepùlveda: Luis Sepulveda è nato in Cile nel 1949. Ha vissuto tra Amburgo e Parigi, ma ora risiede nelle Asturie con la moglie e i figli. E’ autore di romanzi, racconti e commedie. Membro attivo dell'unità popolare cilena, negli anni settanta, dopo il colpo di stato militare, ha dovuto abbandonare il suo paese per il timore di ritorsioni da parte del governo golpista. Ha viaggiato e lavorato in Brasile, Uruguay, Paraguay e Perù. Ha vissuto in Ecuador tra gli indios Shuar, partecipando ad una missione di studi dell' Unesco. Sepulveda è, tra l'altro, amico di Chico Mendes, eroe della difesa della grande foresta sudamericana. A Mendes ha dedicato Il vecchio che leggeva romanzi d'amore, tra le opere di maggior successo dell'autore cileno.
Oltre a questo romanzo, ha scritto anche Il mondo alla fine del mondo, Un nome da torero, La frontiera scomparsa, Incontro d’amore in un paese di guerra, Diario di un killer sentimentale, Jacarè, Patagonia Express, Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare.
Sintesi: Il romanzo si apre con la descrizione del piccolo molo dove gli abitanti della piccola El Idilio si erano riuniti aspettando il loro turno per sedersi sulla poltrona del dentista Rubicondo Loachamin, giunto con una barca insieme a sale, gas, birra e acquavite. Tra imprecazioni e bestemmie, estraeva i denti marci e i resti della dentatura rovinata dalla malaria, vendendo poi le dentiere, appoggiate ordinatamente su un tappetino violetto dall’aria cardinalizia.
Chi aspettava il proprio turno aveva sul volto un’aria sofferente, non meno di quelli seduti sul sedile del dentista. Le uniche facce sorridenti erano quelle degli jibaros, indigeni messi al bando dal loro popolo, gli shuar, perchè degenerati dai costumi dei bianchi.
Finito il suo lavoro, si era avvicinato ad Antonio Josè Bolivar Pronao e, parlando, avevano ricordato l’episodio di un uomo che, per scommessa, si era fatto togliere tutti i denti, in gran parte ancora sani. I loro discorsi furono però interrotti dall’arrivo di una canoa con a bordo degli shuar e il cadavere di un uomo di non più di quarant’anni, biondo e dal fisico robusto. Era terribilmente deturpato da un lungo e profondo taglio che partiva dal mento e finiva alla spalla destra. Gli insetti gli avevano mangiato un occhio e le ferite erano state infettate da alcuni vermi albini.
Il sindaco, un uomo obeso e perennemente sudato, accusò gli indigeni di averlo ucciso, ma Antonio Josè Bolivar intervenne in loro aiuto, discolpandoli facendo notare alla Lumaca (il soprannome che gli abitanti di El Idilio avevano appioppato al primo cittadino) che la ferita era stata causata dalle unghie di un tigrillo femmina, che aveva poi orinato sul cadavere per marcarlo. Guardando tra gli averi del morto, il vecchio scopre le pelli di alcuni cuccioli e spiega che il gringo aveva probabilmente ucciso i piccoli e il maschio e che la femmina, pazza di dolore, sarebbe stata molto pericolosa e vendicativa verso tutti gli uomini.
Il sindaco non disse una parola e rientrò, mentre il dentista porse due nuovi libri al vecchio. Due libri d’amore, che lui amava tanto. Poi ritornarono a discutere dell’avvenimento e Antonio Josè Bolivar esternò la sua preoccupazione: temeva infatti che il sindaco potesse chiamalo per una battuta di caccia.
Il terzo e il quarto capitolo narrano la storia di Antonio Josè Bolivar: aveva conosciuto la moglie Dolores Encarnacion del Santisimo Sacramento Estupinan Otavalo da bambino, li avevano fidanzati all’età di tredici anni e sposati due anni dopo. Avevano vissuto i primi tre anni con il padre della sposa che, una volta morto, aveva lasciato ai due diciannovenni pochi metri di terra. Antonio Josè Bolivar fu così costretto a lavorare anche campi altrui e vivevano con lo stretto indispensabile.
Ma la donna non rimaneva incinta. Si diceva fosse sterile, anche se ogni mese aveva le mestruazioni.
Avevano provato ogni tipo di cura, ma decisero di abbandonare la sierra quando proposero all’uomo di lasciarla sola alle feste di san Luis in cui, sotto l’effetto dell’alcol, qualcuno riuscisse a mettere la ragazza incinta.
Lasciarono la loro povera casa e giunsero dopo tre settimane a El Idilio. Tentarono inutilmente di costruire una solida capanna e di coltivare la terra, senza risultato. La salvezza venne con la comparsa degli shuar che insegnarono loro a cacciare, pescare, costruire capanne, a riconoscere i frutti commestibili e l’arte di convivere con la foresta. Purtroppo Dolores Encarnacion del Santisimo Sacramento Estupinan Otavalo non resistette al secondo anno e se ne andò in preda alle febbri della malaria.
Imparò la lingua degli shuar andando a caccia con loro. Girava seminudo ed evitava il contatto con i nuovi coloni. Mangiava quando aveva fame; al cader della notte se desiderava star solo si sdraiava sotto una canoa, se aveva voglia di compagnia cercava gli shuar. Dopo cinque anni che era l’ seppe che non avrebbe più lasciato quei luoghi.
Un giorno venne morso da un ix, un serpente velenosissimo e mortale e quando, dopo molti giorni di cure, riuscì a guarire, gli indigeni lo applaudirono fino a fargli capire che aveva superato una prova di accettazione determinata dal capriccio di divinità giocherellone.
Scelse come compagno di caccia Nushino, uno shuar venuto da lontano e quando non cacciava con lui, si dedicava a catturare serpenti velenosi, di cui vendeva il siero letale.
Era come uno shuar, ma non era uno di loro, così ogni tanto doveva andarsene. Non poteva avere mogli, ma lo shuar anfitrione, durante la stagione delle piogge, lo pregava di accettare una delle sue spose per maggiore orgoglio della sua casta e della sua casa.
Ma arrivavano macchine enormi che distruggevano la foresta e gli indigeni furono costretti a spostarsi sempre più spesso e sempre più a oriente. Giungevano altri coloni, l’alcool e i cercatori d’oro.
Un giorno, sbagliando un tiro di cerbottana, Antonio Josè Bolivar scoprì che invecchiava e decise di andarsene e di trasferirsi a El Idilio, vivendo di caccia.
Un giorno sentì un boato e scoprì che cinque avventurieri avevano fatto saltare la diga dove deponevano le uova i pesci, e i bianchi, nervosi per l’arrivo degli shuar, avevano sparato colpendo due indigeni, tra cui Nushino, che aveva la testa dilaniata. Antonio Josè Bolivar rincorse gli uomini e ne uccise uno con il suo stesso fucile. Ma avrebbe dovuto ucciderlo con una freccia avvelenata, com’era uso degli shuar. Non avendolo fatto, avrebbe condannato l’amico Nushino all’eterna sventura, che non sarebbe potuto trapassare. Gli dissero di andarsene e, seppure con molto dispiacere, che non era più il benvenuto.
Arrivò a El Idilio, dove conobbe il dentista Rubicondo Loachamin, da cui si fece cavare tutti i denti e da cui comprò la dentiera, il suo nuovo tesoro.
Nello stesso giorno scoprì di saper leggere, e fu la scoperta più importante della sua vita: possedeva l’antidoto contro il terribile veleno della vecchiaia. Il sindaco gli prestò dei vecchi periodici, ma il vecchio capì che non facevano per lui. Un giorno un religioso, in attesa del traghetto che lo riportasse a casa, si addormentò sul molo con un libro su S. Francesco tra le mani, che attirò l’attenzione di Antonio Josè Bolivar. Il vecchio glielo prese e iniziò a leggere, svegliando l’ecclesiastico con il quale iniziò una conversazione dalla quale Antonio Josè Bolivar apprese che esistevano anche libri d’amore.
Doveva trovare assolutamente delle letture. Decise di andare a El Dorado con il dentista, che gli presentò la maestra del paese. Passarono cinque mesi durante i quali formò e affinò i suoi gusti di lettore. Portò con sé un libro d’amore. Il suo primo libro.
Una mattina, sotto le fitte gocce d’acqua della stagione delle piogge, fu avvistata una canoa che, tratta a secco, si scoprì che conteneva un altro cadavere, ridotto in condizioni pietose.
Era Salinas, un cercatore d’oro, una nuova vittima del tigrillo, che probabilmente ora era su quella stessa riva, minacciando il villaggio.
Quello stesso pomeriggio udì i ragli agghiaccianti di una mula impazzita dal dolore procuratogli da delle profonde ferite che aveva sul fianco, opera anch’esse dell’ormai famoso felino: era la mula di Alkaselzer Miranda, un colono che aveva un piccolo spaccio vicino all’accampamento dei cercatori d’oro. La mula era sellata, e quindi da qualche parte doveva esserci anche il cavaliere.
Il sindaco organizzò una spedizione. Antonio Josè Bolivar sapeva che sarebbe dovuto andare, o il sindaco gliel’avrebbe fatta pagare, come aveva promesso quella volta che dei giornalisti e fotoreporter bianchi erano arrivati per realizzare un servizio sulla foresta: il vecchio si era rifiutato di accompagnarli e di vendere loro la sua foto, attirandosi l’inimicizia della Lumaca.
Alle prime luci dell’alba il gruppo partì dalla casa del sindaco: dopo cinque ore di cammino avevano percorso poco più di chilometro, la marcia procedeva lenta a causa della testardaggine e dell’arroganza del sindaco che, nonostante gli fosse stato consigliato di togliere gli stivali, si era rifiutato. Finalmente il ciccione si tolse gli stivali, conscio del suo torto, e l’attraversamento della foresta si fece poco più veloce, anche se il suo grasso corpo amorfo gli impediva di tenere un buon passo.
Poco prima di sera si accamparono e stabilirono dei turni di guardia per difendersi dal tigrillo. Improvvisamente il dialogo tra Antonio Josè Bolivar e il compagno fu interrotto da un rumore che arrivava dal folto della foresta. Il sindaco, svegliandosi, accese la lanterna, permettendo così all’animale di vederli ma impedendo al gruppo di scorgerlo.
La spedizione si trovò così costretta a doversene andare, fermandosi successivamente sulla riva del fiume. Il primo cittadino si acquattò dietro i cespugli per espletare un bisogno fisiologico, e in quel momento sentì un rumore provenire dalla bassa vegetazione e sparò. Quando i compagni lo raggiunsero, scoprirono che in realtà aveva ucciso un orso del miele.
Poco dopo mezzogiorno giunsero alla capanna di Miranda, e vi trovarono il cadavere a pochi metri dall’entrata, deturpato dal tigrillo. Fuori c’era un altro cadavere, anch’esso squarciato dal felino: si trattava di Plascencio Punan.
Buttarono i cadaveri nella palude e quando venne sera, ristabilirono i turni e, quando il vecchio si mise a leggere il suo romanzo d’amore, attirò l’attenzione degli altri che si avvicinarono ad ascoltarlo. Ci fu un dibattito su Venezia, fino all’intervento della Lumaca che però fu interrotto da un brusco gesto del vecchio: la bestia aveva sentito il loro odore e si avvicinava. In preda al panico, il sindaco scaricò il revolver sparando a vuoto. Tra la disapprovazione del gruppo, propose ad Antonio Josè Bolivar di rimanere nella foresta e di uccidere la bestia in cambio di Cinquemila sucres. Nel frattempo loro sarebbero tornati indietro per difendere il villaggio. Il vecchio accettò la proposta, e dal momento in cui rimase solo rifletté sulle sue sensazioni, emozioni e su ciò che provava e aveva provato quando aveva cacciato altri pericolosi animali.
La mattina seguente il vecchio si incamminò verso il cuore della foresta seguendo le impronte che aveva lasciato l’animale, si nascose dietro un albero e dopo parecchio tempo d’attesa, finalmente la vide. Con il cuore in gola la seguì con lo sguardo, nel tragitto che ripeteva instancabilmente. Improvvisamente Antonio Josè Bolivar si lanciò di corsa verso il fiume, ma il tigrillo lo colpì alle spalle, facendolo ruzzolare dalla scarpata. Quando si rialzò, vide la bestia accucciata sulla sommità e, più in basso, il maschio ferito, in fin di vita: Antonio Josè Bolivar capì che l’aveva condotto fin lì perché gli desse il colpo di grazia, e così fece interrompendo le sue sofferenze.
Era giunto il momento di scontrarsi con la bestia, che la mattina seguente lo attaccò sulla canoa dove si era rifugiato, urinando sopra il vecchio, come se fosse già morto. Antonio Josè Bolivar sparò un colpo, ferendo sia il tigrillo che se stesso, e ad armi pari si combatté lo scontro finale.
Fu vinto dal vecchio, che se ne tornò tristemente a El Idilio, a leggere i suoi romanzi d’amore.

Periodo storico: La storia è ambientata in un periodo non precisato, ma si può collocare ai giorni nostri. Il racconto copre gran parte della vita dell’uomo, dalla sua giovinezza alla sua vecchiaia, tempo in cui si svolge la maggior parte del libro.

Personaggi principali: Antonio Josè Bolivar Pronao era un vecchio di circa sessant’anni (com’era scritto sui documenti ufficiali) o di quasi settanta (come sosteneva lui, visto che era stato registrato quando camminava già), dal corpo tutto nervi.
Sapeva leggere, ma non era capace di scrivere nulla, tranne il suo nome. Leggeva lentamente, mettendo insieme le sillabe come se le assaporasse, impadronendosi dei sentimenti e delle idee plasmati sulle pagine e quando un passo gli piaceva lo ripeteva più volte. I suoi più grandi averi erano la dentiera, la lente d’ingrandimento che usava per leggere i suoi adorati libri d’amore, su cui fantasticava tutto il tempo in cui non dormiva. Abitava in una capanna di circa dieci metri quadrati con solo lo stretto necessario e, appeso alla parete, l’amata fotografia che lo ritraeva insieme alla moglie Dolores Encarnacion del Santisimo Sacramento Estupinan Otavalo.
Dopo la morte della moglie era diventato quasi uno shuar, aveva assunto le loro abitudini ed ereditato il loro amore per la foresta e le sue creature, fino a quando aveva ucciso un uomo con una pistola ed era stato costretto ad andarsene.
Personaggi secondari: Rubicondo Loachamin era il dentista che, due volte l’anno, visitava El Idilio, strappando denti marci con metodi non proprio ortodossi e vendendo dentiere ai coloni e agli avventurosi che si erano stabiliti in quello sperduto angolo della terra.
Odia tutti i Governi del mondo e dà colpa al Governo se gli uomini hanno i denti marci. Figlio illegittimo di un emigrante iberico, aveva ereditato dal padre tutto ciò che sapeva di autorità e i suoi sproloqui di anarchico lo rendevano simpatico. Possedeva una vecchia poltrona da barbiere e la pedana su cui poggiava, che aveva chiamato “il consultorio”.
Nushino era uno shuar venuto da lontano, scelto da Antonio Josè Bolivar come compagno di caccia. era arrivato un giorno con una pallottola nella schiena e, dopo essere stato curato, gli era stato permesso di restare. Era forte, nuotava bene. Antonio Josè Bolivar era stato la causa della sua dannazione eterna, visto che l’aveva vendicato uccidendo il nemico con un’arma dei bianchi.
Miranda Alkaselzer aveva un piccolo spaccio vicino all’accampamento dei cercatori d’oro. Da quando l’aveva lasciato la moglie, viveva più solo di un cane. Era arrivato con il fratello, che però morì di malaria pochi anni dopo. Giocava a dadi i suoi soldi e viveva dello stretto necessario. E’ ucciso dal tigrillo.
Plascencio Punan era amico di Miranda, cercava pietre preziose e non oro come gli altri. E’ ucciso anch’egli dall’animale. [ez1]
Antagonisti: Il sindaco era un individuo obeso che sudava incessantemente, guadagnandosi il soprannome di Lumaca. Prima di arrivare a El Idilio era stato in qualche grande città della sierra ma che poi, per ripulirlo di un peculato, lo avevano spedito lì. L’unica altra sua occupazione, oltre quella di sudare, era amministrare la provvista di birra. Viveva con una indigena che picchiava in continuazione, e tutti aspettavano che la donna lo uccidesse. Si era subito fatto odiare da tutti a causa della sua mania di riscuotere imposte per ragioni incomprensibili. Vive in Amazzonia da tanti anni e non ha ancora imparato nulla sulla foresta e come si vive in essa.
Ce l’ aveva a morte con Antonio Josè Bolivar.

Ambiente geografico: La storia si svolge nel paese El Idilio e nella foresta ecuadoriana.
Ambiente sociale dei personaggi: I personaggi vivono in un ambiente difficile, fatto di povertà e analfabetismo, in cui l’uomo è in costante lotta contro la natura, contro le avversità, in cui sopravvive con il poco che ha, senza progetti per il futuro, senza particolari aspettative: solo quella di “vivere” sopravvivendo.

Analisi della vicenda: La storia inizia con la vicenda del vecchio e delle morti causate da un animale selvatico (esordio). Successivamente si organizza una spedizione nella foresta alla caccia del tigrillo (sviluppo). Alla fine il vecchio, rimasto solo nella foresta, riesce ad uccidere l’animale
(soluzione).

Sono presenti numerosissime analessi e digressioni: nel primo capitolo è descritto un episodio in cui un uomo, per scommessa, si era fatto togliere tutti i denti; nel secondo capitolo si racconta di come il dentista Rubicondo Loachamin si fosse procurato i libri richiestigli dal vecchio la prima volta, il terzo e il quarto capitolo sono una lunghissima analessi sulla storia dell’uomo, sul suo passato sin dalla giovane età. Nel sesto capitolo è contenuta un’analessi-digressione sull’episodio di una donna indigena e di come aveva rifiutato il bacio di un colono: gli shuar non conoscevano il bacio; sempre nello stesso capitolo si narra dell’ episodio dei giornalisti americani che il vecchio si era rifiutato di accompagnare nella foresta, facendosi così odiare dal Sindaco. Nel settimo capitolo Antonio Josè Bolivar ricorda la prima volta che aveva visto un vero pesce di fiume, anche più pericoloso dei piranha.
Nell’ottavo capitolo c’è un’ analessi, che può essere racchiusa in un monologo interiore.

Tecniche: Il racconto presenta una prevalenza di sequenze narrative e descrittive, l’autore usa un linguaggio semplice e comprensibile, intercalato da espressioni forti e volgari. La lettura è comunque scorrevole, veloce e coinvolgente.

Punto di vista: Il narratore è esterno ed onnisciente, il punto di vista è quello del protagonista della storia, Antonio Josè Bolivar.

Temi: Il libro affronta un tema piuttosto delicato, quello della vecchiaia e della morte, nonché del degrado e della distruzione che sta subendo la foresta equatoriale.

Messaggi: Il messaggio del libro può essere racchiuso in una frase: “Antonio Josè Bolivar si occupava di tenerli a freno, mentre i coloni rovinavano la foresta costruendo il capolavoro dell’uomo civilizzato: il deserto.”

[ez1]

Esempio



  


  1. claudia

    storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare