I veleni

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Testo

INTRODUZIONE
L’uomo primitivo immerso in una natura selvaggia dominata da belve feroci ed eventi naturali dovette anzitutto trovarsi un riparo, procacciarsi nutrimento, poi badare a tutte le sue esigenze ed infine, ma non per ultimo, la difesa del proprio essere.
Praticando la caccia, la pesca o la raccolta dei frutti, si espose a rischi e pericoli, cosicché quando per una caduta o per un taglio accidentale istintivamente prese ciò che gli era a disposizione per bloccare il flusso di sangue che sgorgava dalle ferite: come fango, foglie o acqua. In seguito osservò che gli altri animali, ogni volta che si ferivano, facevano ricorso ad erbe o argille con le quali ricoprivano il loro corpo oppure mangiavano foglie o fiori. Con semplici processi mentali l’uomo capì il significato di quei rimedi e li seppe sfruttare a sua volta. Nel corso della sua evoluzione imparò che non tutte le erbe potevano dargli sollievo, ma anzi, riceveva l’effetto opposto. Con continue prove e con l’esperienza egli capi anche che la tossicità di una sostanza dipendeva, oltre che dalla sua natura, anche dalla quantità.
COSA SI INTENDE PER VELENO
I veleni hanno sempre suscitato un grande fascino nella storia, essi sono stati utilizzati per gli scopi più singolari come amore e politica ma il loro impiego si è fatto strada anche nel mondo della medicina. Basta pensare a Cleopatra, Lucrezia Borgia, Hitler ma potremmo continuare con Mitridate, Romeo e Giulietta…e così via.
Ma cosa sono i veleni?
La tossicologia è quella branca della medicina che studia sintomi, meccanismi e trattamenti degli avvelenamenti di persone e animali per opera di droghe e veleni. Il principale parametro per determinare la tossicità di una sostanza è la dose: infatti, quasi tutte le sostanze, in certe dosi o in determinate circostanze possono essere tossiche. Quest'ultimo concetto è riassunto dalla frase attribuibile a Paracelso che può essere definito come primo erborista e farmacista della storia: "sola dosis venenum facit" (è la dose che fa di una sostanza il veleno).
Per veleno si intende una sostanza che, attraverso un processo chimico, ha effetti dannosi temporanei o permanenti, fino a divenire letali se assunta da un organismo.
Altri due fattori importanti da tenere in considerazione, parlando di veleni ed intossicazioni, sono i fenomeni della resistenza e della tolleranza. Nell’ambito degli organismi animali, quindi anche dell’uomo, ma anche in quello dei parassiti, il termine resistenza viene usato quando un organismo sviluppa la capacità di resistere, e perciò di divenire insensibile o poco sensibile, ad una determinata molecola. Questa caratteristica è ereditabile ed è il frutto di una mutazione genetica.
Oltre a questo tipo di fenomeno se ne possono verificare di simili che vengono definiti tolleranza. La tolleranza è una resistenza non persistente, essa infatti è limitata nel tempo e scompare quando viene a mancare quella particolare molecola che ha indotto questo fenomeno. Non è ereditabile.

Mitridate e l’”arte” del veleno
Mitridate re del Ponto, fu il primo studioso di casta reale a interessarsi direttamente di droghe. Egli visse in un mondo nel quale il delitto era considerato un evento comune, accettato come un’astuzia politica, praticato ed allo stesso tempo temuto.
Presso le corti dell’epoca l’assassinio per avvelenamento era quello più frequente. Mitridate sembra sia stato uno dei primi, se non il primo in assoluto, a condurre ricerche intensissime sull’argomento dell’avvelenamento, sul modo cioè per poterlo prevenire o per difendersi da esso, tanto che si può includerlo tra i precursori della scienza tossicologica.
Costretto alla fuga da Pompeo, lasciò nelle mani del conquistatore una quantità di carte e documenti che aveva nascosto a Nicopolis, tra cui molte formule per la preparazione di veleni e dei suoi antidoti.
Pur sconfitto, Mitridate non si arrese, anzi cercò aiuti per continuare la guerra ma in vano e si ritrovò da solo. Allora, sconvolto dalla disperazione, Mitridate avvelenò le sue moglie e le sue figlie prima di prendere il veleno egli stesso. Ma, secondo la leggenda, egli aveva a tal punto immunizzato il suo corpo dall’effetto di tutti i veleni conosciuti, che questo estremo atto di avvelenamento non ebbe il risultato sperato; di conseguenza fu costretto a farsi trafiggere con una lancia da una delle sue guardie.
I VELENI DELLE PIANTE

Le piante durante il loro metabolismo producono diverse sostanze: alcune vengono continuamente trasformate e rielaborate, altre vengono accumulate in organi di riserva per esser utilizzate in particolari situazioni fisiologiche. La concentrazione di queste sostanze varia nel tempo all’interno della pianta secondo numerosi fattori come l’età, la varietà, la natura del terreno, il periodo vegetativo, le condizioni geografiche e ambientali e la presenza di particolari parassiti.
Non conosciamo ancora completamente, nonostante i numerosi studi, tutti i vari processi biochimici che si svolgono all’interno delle cellule vegetali, né il significato della presenza di alcune sostanze contenute nelle varie specie botaniche. Si è giunti alla conclusione che sicuramente sostanze come alcuni alcaloidi, sono certamente una riserva metabolica usata durante la fase germinativa e lo sviluppo degli apici vegetativi. Altri composti probabilmente vengono accumulati nei vacuoli cellulari come prodotti di scarto dei processi metabolici eseguiti dalla pianta.
Si è trovato in oltre che alcuni vegetali secernono dalle radici composti di natura acida o di tipo catabolico che agendo come antibiotici, impediscono lo sviluppo di altre specie nello stesso luogo. Si suppone anche che alcune sostanze svolgano una funzione difensiva o repulsiva contro gli attacchi di insetti o parassiti.
Costituenti tossicologici delle piante
Glucosidi
Sono composti molto diffusi nel regno vegetale con un enorme varietà di composti colorati, profumati, amari, piccanti e tossici.
Disciolti nei succhi cellulari la loro distribuzione differisce: tra le diverse famiglie, tra le diverse specie di una stessa famiglia e anche tra i diversi organi della pianta.
Da un punto di vista chimico i glucosidi sono composti formati dalla combinazione di una o due molecole di zucchero (frazione glucidica), con altre
Vanillina-β-D-glucopiranoside (glucovanillina), glicoside utilizzato come aromatizzante
molecole di varia natura chimica dotate di una funzione alcolica (aglicone). Per azione di un acido o di un enzima avviene la scissione (idrolisi) della molecola del glucoside, con liberazione dello zucchero e dell’aglicone solubile nei grassi.
A seconda della diversa natura chimica dell’aglicone, che è responsabile dell’attività biologica, si hanno diversi gruppi di glucosidi:
• Glucosidi cianogenetici così chiamati perché per idrolisi liberano cianidrine che a loro volta si decompongono formando acido cianidrico (HCN) il quale provoca l’arresto cardiaco e respiratorio. Tuttavia la sua liberazione avviene lentamente quindi grazie ai meccanismi naturali di disintossicazione del nostro corpo è trasformato in composti meno tossici.
Concentrazioni nocive possono essere raggiunte soltanto in seguito ad una massiccia assunzione di parti di pianta contenenti alte concentrazioni di glucosidi cianogenetici.
• Glucosidi cardiocinetici così chiamati per la loro azione stimolante sul cuore. Anche in quantità molto basse sono potenti veleni che portano al totale arresto dell’attività cardiaca, tuttavia i casi letali non sono molto frequenti sia perché il sapore amaro e sgradevole non incoraggia il consumo, sia perché al momento dell’ingestione si verifica vomito spontaneo che non permette l’assorbimento di quantità letali.
• Saponine sono così chiamate per la loro particolarità di “fare schiuma”. Immesse nel circolo sanguigno sono un potente veleno emolitico; per via orale determinano soltanto irritazioni; per contatto danno irritazione a pelle e mucose.
• Ranuncolina è un glucoside ad effetto particolare perché pur non essendo tossico libera protoanemonina, ad azione irritane e vescicante per l’epidermide.
Alcaloidi
La molecola detta LSD
Sostanze di origine vegetale accomunate soltanto dal loro carattere alcalino dato che come struttura chimica sono molto diverse.
La loro azione fisiologica, eccitante o deprimente, si compie in particolare sul S.N.C. e sul S.N.A., simpatico e parasimpatico. Per la loro attività biologica già in minime quantità hanno azione venefica.
Distribuite in modo diverso tra le verie specie vegetali, gli alcaloidi sono maggiormente presenti, sia per numero che per quantità, nelle solanacee, nelle papaveracee, nelle ranuncolacee, nelle papillonacee e nelle liliacee.
Tra i numerosi alcaloidi velenosi e/o narcotici delle solanacee, il principale è la jiosciamina, che si trova nel giusquiamo, nella belladonna e nello stramonio (le famose “erbe delle streghe”). Essa è il precursore dell’atropina che agendo sul S.N.A., possiede una tossicità talmente alta da provocare l’arresto respiratorio e quindi la morte. In dosi minime viene utilizzata in oftalmologia per la su azione midriatica (dilatazione della pupilla).
Gli alcaloidi delle papaveracee sono dotati tutti di azione narcotica e sedativa (venivano infatti usati in medicina); in particolare quelli del papavero da oppio hanno anche attività analgesica, psicodepressiva e ipnotica.
In alcune ranuncolacee possiamo trovare l’aconitina, una sostanza estremamente velenosa che, anche in dosi minime, può provocare la morte per paralisi respiratoria o collasso cardiaco. Essa in oltre è molto pericolosa perché, maneggiando tali piante, può essere facilmente assorbita dalla cute.
Alcaloidi molto diffusi nelle papillonacee sono la sparteina e la citisina, che hanno azione sul cuore e sull’apparato respiratorio. Solitamente insorge il vomito spontaneo che non permette un assorbimento letale.
Infine tra gli alcaloidi i di maggiore pericolosità ricordiamo la coniina presente nelle cicute e nell’aro. Essa ha azione paralizzante simile a quella del curaro utilizzato dagli aborigeni per la caccia,poiché agisce sui muscoli provocando la morte per paralisi respiratoria.
Oli essenziali
Si tratta di sostanze oleose, insolubili in acqua, per lo più volatili e dotate di intenso profumo. Si tratta di miscele di diversi composti alcuni dei quali caratterizzati da un’elevata tossicità, e da sostanze ad azione irritante sulla pelle e sulle mucose.
Poiché solubili nei grassi le sostanze che li compongono entrano nelle cellule dove esercitano la loro azione tossica.
La funzione degli oli essenziali nei vegetali non è propriamente nota, probabilmente esercitano un’azione difensiva.hanno inoltre l capacità di limitare la traspirazione e di esercitare un’attrazione degli insetti impollinatori.
Proteine, peptidi, amminoacidi
Anche alcune proteine di origine vegetale sono dotate di un’elevata tossicità. Si tratta in particolare delle tossialbumine solubili in acqua che se penetrano nel circolo sanguigno hanno la proprietà di aggluinare i globuli rossi. Alcune risultano tossiche anche per ingestione perché non vengono completamente distrutte dagli enzimi del tratto digerente.
Alcune leguminose, dei generi Lathyrus e Vicia producono amminoacidi responsabili a volte di intossicazioni o avvelenamenti nel bestiame da pascolo.
Acido ossalico e ossalati
Acido ossalico
L’acido ossalico è un normale prodotto del metabolismo vegetale; le forme solubili sono quelle maggiormente responsabili della tossicità, poiché vengono facilmente assorbite provocando ipocalcemia a causa della formazione della precipitazione dell’ossalato di calcio. L’alterazione dell’equilibrio del calcio danneggia il meccanismo di coagulazione del sangue origina disturbi nervosi e nefriti. La formazione di cristalli di ossalato causa inoltre l’ostruzione dei tubuli renali.
A contatto con l’epidermide e con le mucose provocano fastidiose irritazioni dermatiti ed edemi, infine per ingestione, gastroenteriti e ulcere.
Tannini
Sono un gruppo di sostanze dalla costituzione, composizione e comportamento molto vari. Poiché hanno la proprietà di trasformare le sostanze proteiche gelatinose in sostanze gelatinose ed imputrescibili, vengono utilizzate per la concia del cuoio. Difficilmente digeribili, se introdotti in grandi quantità, possono provocare disturbi gastrointestinali.
Le sostanze taniche sono molto diffuse in ogni tessuto vegetale, in particolare nelle foglie, nei frutti acerbi, nei semi e nella corteccia. Al loro presenza contribuisce a difendere la pianta da attacchi fungini, batterici e dagli insetti.
Di seguito verranno presentate tre specie di piante velenose che vennero usate nel Medioevo dalle fattucchiere per preparare le loro pozioni. Queste erbe, usate in dosi specifiche, vengono anche impiegate nella medicina, soprattutto in quella omeopatica.
“La giusta dose fa la differenza tra una veleno e un rimedio”
Paracelso (1493-1541)
Atropa Belladonna L.
BELLADONNA
Solanaceae
Pianta erbacea e perenne alta da 50 a 150 cm. La radice rizomosa è grossa e carnosa, il fusto eretto. Le foglie sono grandi, ovate e pubescenti, spesso opposte, con una più grande dell’altra. I fiori, campanulati a cinque lobi, attaccati singolarmente mediante un lungo peduncolo alle ascelle fogliari, sono di colore bruno-violetto con macchie porpora. Le bacche sono lucide e nere, circondate da cinque sepali ovati disposti radicalmente.
Essa cresce nelle siepi, nei boschi di latifoglie, in particolare faggete, negl ambienti calcarei e negli ambienti ruderali della zona montana e submontana dell’Europa centrale e meridionale.
La Belladonna fiorisce da maggio a settembre con successiva fruttificazione che va da luglio ad ottobre. Tutta la pianta è velenosa, ma in particolar modo le bacche; la pianta contiene alcaloidi atropinici ad azione sia periferica che centrale.
Datura Stramonium L.
STRAMONIO
Solanaceae
Pianta erbacea annuale, glabra, dicotomicamente ramificata, alta fino a 1 m. le foglie sono grandi, ovate e dentate, di colore verde scuro. I fiori, solitari ed eretti, sono disposti alla sommità dei rami; essi hanno una grande corolla tubolare gamopetala bianca, talvolta violetta, e un calice tubuloso a base rigonfia. Il frutto è una capsula ovata aculeata suddivisa in quattro valve, contenente numerosi semi nerastri e reniformi.
Cresce comunemente lungo le strade, nei terreni coltivati e negli incolti dal mare alla zona montana di tutta Europa.
La fioritura di questa pianta avviene da giugno ad ottobre con successiva fruttificazione a agosto-ottobre.
Tutta la pianta è velenosa, essa contiene vari alcaloidi come: ioscina, iosciamina, L-gisquiamina, atropina e scopolamina.

Digitalis Purpurea L.
DIGITALE
Scrophulariaceae
Pianta erbacea biennale o perenne alta fino a 150 cm. Le foglie sono semplici, ovato-lanceolate, a margine crenato; le inferiori sono grandi e spicciolate, le superiori sessili e gradatamente più piccole. I fiori, raccolti in racemi, presentano un calice tormentoso e sepali ovali, una corolla grande e campanulata di colore variabile dal porpora al binaco, con l’interno maculato. Il frutto è una capsula a due logge, deiscente, contenente numerosi piccoli semi angolosi.
Il Digitale cresce nelle radure boschive e nei pascoli delle aree occidentali del bacino mediterraneo. Calcifuga. In Italia è spontanea in Sardegna viene coltivata come pianta ornamentale.
La fioritura di questa pianta avviene tra maggio e agosto con relativa fruttificazione in agosto-settembre. Tutta la pianta ed in particolare le foglie sono velenose, essa contiene vari glucosidi crdioattivi come la digitossina e la digitossigenina, che vengono eliminati con difficoltà, provocando il rischio di accumulo, una saponina (digitonina) e diversi tipi di acidi.

I VELENI DEGLI ANIMALI
Alcuni animali hanno sviluppato nel corso dell'evoluzione la capacità di produrre il veleno. Le funzioni delle sostanze velenose sono alimentare e difensiva. Le intossicazioni da veleni animali sono dovute a punture o morso di animali che secernono sostanze velenose da apposite ghiandole, che vengono inoculate nell’organismo.
I disturbi che i veleni animali provocano agli organismi nei quali penetrano, sono dovuti ai numerosi agenti di natura enzimatica in essi contenuti e che possiedono proprietà allergizzanti polivalenti: sono enzimi molto complessi, difficilmente isolabili e analizzabili dal punto di vista farmacologico.
Possiamo classificare i veleni animali in rapporto alle loro attività in quattro gruppi:
1. veleni proteolitici
2. veleni coagulanti
3. veleni emolitici
4. veleni neutorossici
Il veleno penetra in circolo per via linfatica in maniera molto lenta e provoca gradualmente la sintomatologia che lo caratterizza.
Secondo la famiglia, genere o specie animale da cui proviene, il veleno è caratterizzato da particolari proprietà che sono responsabili dei sintomi clinici che producono.
I base ai sintomi presenti dall’intossicato, è facile poter definire a quale delle classi sopra indicate appartiene il veleno; sapendo quindi in quale località è avvenuta l’inoculazione si può distinguere da quale famiglia origina l’animale.
Veleni coagulanti
Tali veleni inoculati nell’organismo, in piccole dosi coagulano il fibrinogeno che va a depositarsi sottoforma di piccoli coaguli dei capillari polmonari.
Il sangue è reso in coagulabile per difetto di fibrinogeno, e le emorragie compaiono solo se le pareti dei capillari vengono lese da proteolisine o a seguito di ferite.
La diffusione dei veleni di tipo coagulante avviene molto lentamente, in modo da provocare una coagulazione di tutto il fibrinogeno in via di formazione.
Le proteolisine contente nel veleno, distruggono la parete dei capillari, sono la causa di emorragie interne.
La morte sopravviene in seguito a shock o per collasso periferico.
Veleni proteolitici
Tali veleni provocano nel luogo di inoculazione una reazione caratterizzata da dolore, edemeduro, eriteme, flitene alcune volte emorragiche ed infine necrosi che interessa cute, muscoli e tendini.
Gli enzimi proteolitici, agiscono sulle sostanze proteiche liberando bradichinina ed istamina, capaci di indurre uno stato di shock.
I veleni proteolitici, penetrano in circolo provocando lesioni dei capillari perciò si verificano piccoli episodi emorragici in tutti i viscere e sotto la cute.
È sempre presente una ipotensione arteriosa.
L’esito letale è dovuto allo shock con collasso periferico.
Veleni emolitici
Essi si distinguono in:
• veleni che provocano emolisi
• veleni che provocano emolisi idiretta in presenza di plasma, questi, contengono fosfolipasi che trasformano la lecitina in lisoleticina che distrugge le emazia
dopo un’ora circa dall’inoculo compare metaemoglobinuria (color marsala delle urine) seguita da anuria per ostruzione dei tubuli da parte della mioemoglobia.
Le emazia aumentano di volume ed assumono l’aspetto si sferociti.
Tale modificazione morfologica è dovuta all’assorbimento di un elevata percentuale di liquido plasmatici.
Veleni neurotossici
Le neurotossine dei serpenti sono differenti da quelle dei ragne e degli scorpioni.
I veleni di serpenti provocano un intorpidimento della zona colpita, si avverte poi un senso di perestesia lungo il tronco.
La progressione del veleno verso il S.N.C. è molto rapida e molto presto appaiono i segni di paralisi flaccida, simmetrica, nei distretti innervati dai nervi cranici.
Le neurotossine dei ragni non provocano alterazioni a carico del sistema nervoso centrale ma sono attive sul sistema nervoso periferico.provoca dolore intensissimo, continuo, con fitte lancinanti che i irradiano verso la radice dell’arto colpito.
Le neurotossine prodotte dagli scorpioni suscitano una sintomatologia simile a quella provocata ai ragni ma molto più intensa fino a dare prostrazione e convulsioni.
TARANTOLA
Nonostante le loro dimensioni spesso considerevoli, nessuna tarantola è considerata pericolosa per l'uomo, sia per il veleno piuttosto blando, sia per il loro carattere schivo.
Non tutte le tarantole sono di grosse dimensioni, in base alla specie la lunghezza del corpo può variare dai 2,5-10 cm con 8-30 cm di legspans (la lunghezza zampe comprese).
La maggior parte delle tarantole è di colore scuro (marrone o nero), comunque qualche specie è caratterizzata da colorazioni più vivaci.
Oltre ai normali peli sul corpo alcune tarantole di origine americana hanno anche dei peli urticanti che possono utilizzare come difesa in caso non riescano a fuggire dal pericolo. Oltre ad essere lanciati contro possibili aggressori i peli urticanti vengono usati per marcare il territorio oppure messi ai bordi della ragnatela aiutano a scoraggiare eventuali predatori interessati ai piccoli.
Le tarantole sono predatori crepuscolari, attendono le loro prede all'ingresso della tana per poi ucciderle iniettandogli il veleno attraverso i loro aculei veleniferi. Nonostante la loro scarsa visibilità, in genere limitata a luci e ombre, riescono ad essere molto precise grazie ad un'estrema sensibilità alle vibrazioni.
Sieri per il trattamento dei morsi di tarantola non esistono, perché non necessari. Ma l’industria farmaceutica fa uso del veleno di tarantola. In Australia è usato per fabbricare pillole contro l’insonnia. Queste pillole hanno il vantaggio che il loro effetto non diminuisca con l’andare del tempo, e non creano assuefazione.
Curiosità

In uno speciale del National Geographic è stato illustrato come alcune tribù delle Amazzoni cacciano e cucinano le tarantole. I ragni vengono catturati con l'ausilio di un bastone e le loro zampe legate assieme per poi essere arrostiti ancora vivi.
La Theraphosa Blondi è considerata una prelibatezza dagli indigeni Piaroa del Venezuela.
Altro luogo in cui la tarantola è diffusa come cibo è la Cambogia.
COBRA
Cobra è il nome comune per i membri di una famiglia di serpenti velenosi, gli Elapidae, noti per il loro sguardo intimidatorio e morso mortale.
I Cobra sono riconosciuti dai cofani che si evidenziano quando è adirato o disturbato; i cofani sono creati dalla dilazione delle costole dietro alle teste delle cobra.
Questi serpenti, come tutti quelli che dispongono di ghiandole velenifere, utilizzano il loro veleno per la difesa o per catturare le prede.
Il veleno del cobra è stato usato per molti anni nella ricerca medica perché ha un enzima, chiamato "lecithinase", questo enzima crea un muro per molti virus.
Curiosità
Alcuni cobra hanno la capacità di sputare ad una distanza considerevole il proprio veleno per colpire le prede, questo, penetrando attraverso gli occhi, entra in circolo causando così l’avvelenamento.

E noto che i veleni di serpenti, scorpioni, ragni ed altri, sono ricchi di enzimi, e nella medicina, non solo naturale, viene attribuita una grande importanza agli enzimi biologici (enzimi dalle piante, proenzimi della digestione e, appunto, enzimi tratti d veleni animali). La caratteristica propria di tutti gli enzimi è che non intervengono direttamente nei processi cellulari ma, in qualità di catalizzatori, con la loro mera presenza biochimica, riescono, anche in piccolissime quantità, ad influenzare questi processi metabolici nelle cellule.
I VELENI NELLA STORIA
Come già detto in precedenza, l’uomo attraverso numerose prove su se stesso e sugli animali, scoprì che molte piante presentavano proprietà benefiche e medicamentose mentre altre rivelavano caratteristiche velenifiche. Imparò presto a vivere con esse e a saperle sfruttare a proprio vantaggio.
Utilizzò quelle con proprietà benefiche per trarne sollievo e per curarsi, mentre utilizzò quelle velenose per la caccia o anche contro i nemici in battaglia.
Nella preistoria i popoli cacciatori e raccoglitori gli utilizzavano spesso nella loro quotidianità applicandoli sulla punta delle frecce usandoli contro la selvaggina. Un veleno utilizzato ancora oggi è il famoso curaro dei popoli dell'Amazzonia. L'uirari, descritto dagli esploratori fin dal XVI secolo, è estratto da una liana diluita in acqua bollente. Esso, anche con una ferita di striscio, paralizza i muscoli e uccide in pochi minuti per l’arresto del sistema respiratorio se invece viene assunto per via orale il veleno è innocuo, al punto che gli yanomami ne fanno addirittura un tè contraccettivo. Quindi la carne della preda avvelenata può essere consumata senza problemi.
La stricnina, che è l’alcaloide tossico contenuto nei veleni degli aborigeni, non è solo una risorsa dei "primitivi" del Nuovo Mondo. I boscimani dell'Africa Australe sono altrettanto abili nell'estrarre veleni per frecce dai cespugli di strophantus del deserto loro però aggiungono ai succhi vegetali anche il veleno di serpenti, ragni e scorpioni col risultato che, al contrario del curaro amazzonico, il loro dà una morte molto lenta.
Certo è che il veleno animale, anche in tempi più recenti, ha sempre conservato un'aura sinistra. Alle tossine del pesce palla, ad esempio, ricorrono i bokor, gli stregoni del vudu haitiano, per mandare la gente in catalessi, trasformandola in quelli che, nella cinematografia e nei libri horror, vengono chiamati zombie
Cleopatra punì il suo corpo suicidandosi con il morso di un aspide per non essere stato capace di sedurre Ottaviano allo stesso modo di Cesare e Antonio.
Ma ci sono di mezzo animali anche nella formula della "cantarella", il terribile veleno dei Borgia: una polvere bianca, pressoché simile allo zucchero. Ucciso un maiale, se ne cospargevano d'arsenico i visceri e poi si faceva essiccare la massa putrefatta fino a ridurla in polvere o se ne raccoglieva il liquido. Gli alcaloidi, uniti così all'acido arsenioso, non ne alteravano il sapore, ma ne accrescevano la violenza tossica, portando alla morte nell’arco di ventiquattro ore soffrendo atrocemente, visto che l'arsenico "brucia" letteralmente l'intestino. Ma qua si è bruciata forse anche qualche tappa... Di mezzo, infatti, andrebbe ricordata la cicuta, di cui morì Socrate, la stessa contro cui Mitridate aveva fatto la sua famosa cura di assuefazione prendendosela un po' per volta, e con cui si suicidò Annibale
Ma arriviamo al '900 dove il cianuro si conquistò il titolo di "veleno della modernità" (il famoso "odore di mandorle amare" descritto nei libri gialli).E' con la scoperta dell'America, infatti, che fa la sua massiccia irruzione nel Vecchio Mondo. A livelli minimi, l'acido prussico è presente in varie sostanze alimentari, dai noccioli delle ciliegie a quelli delle pesche o delle albicocche. Dosi letali stanno invece nella manhiot esculenta, attuale nome scientifico del tubero che i popoli pre-colombiani conoscevano, a seconda delle aree, come mandioca, o yucca, o cassava. Innocua era invece la manhiot utilissima, con l'altra facilmente confondibile.
Dopo secoli di avvelenamenti, gli indios avevano infine imparato a rendere commestibile anche la pianta nociva, eliminandone il cianuro dalla polpa con un procedimento a base di grattugia, lavaggio e cottura. Anche in Asia e in Africa, oggi, gran parte del mondo tropicale si riempie la pancia grazie a questa sensazionale "trovata" dei "selvaggi" d'America. Perfino i pigmei della foresta congolese, hanno in realtà oggi una vera e propria dipendenza fisica dall'alto livello di carboidrati di questa pianta americana. E la mandioca "depurata" è anzi talmente digeribile che la sua farina è uno dei principali alimenti con cui i nostri figli si svezzano: la famosa "tapioca".
Il cianuro vero e proprio, isolato all'inizio della II Rivoluzione Industriale, è diventato un insostituibile propellente monetario nel momento in cui nell'800 si è scoperto il modo con cui estrarvi l'oro. Il cianuro sodico in presenza di ossigeno atmosferico forma un cianuro doppio di oro e sodio, da cui, dopo un ulteriore trattamento con zinco metallico, emerge l’oro. E stato così il cianuro a rendere possibile la grande corsa all'oro nel Far West americano.

1

Esempio



  


  1. dan

    sto cercando questo perchè lo trovo molto interessante e devo sostenere un esame