Eleazar

Materie:Scheda libro
Categoria:Generale

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Testo

TRAMA
Eleazar, pastore per forza e successivamente prete, a causa della carestia del 1845, è costretto a fuggire dall’Irlanda e ad imbarcarsi per l’America. Con la moglie e i due figli, dopo essere sbarcati in Virginia, deve attraversare tutto il continente per raggiungere la California. Il viaggio attraverso il deserto lo spinge a paragonare la sua vicenda a quella di Mosé e la California diventa, quindi, la Terra Promessa. Lungo il cammino, la famiglia incontra un ex-bandito, José, che si unisce a loro e spesso li salva. Verso la fine del suo viaggio, credendo di interpretare il volere di Dio, decide di non vedere la meta e, sentendo avvicinarsi la morte, si ferma.

COMMENTO
Il primo elemento che mi ha colpito in Eleazar è il ruolo che gioca il destino, «che per i cristiani si chiama Provvidenza», nella vicenda del pastore. Sin dall’inizio sembra che il futuro del protagonista sia segnato: il libro inizia con un funerale esattamente come l’Esodo (riprendendo le esequie di Giuseppe, narrate alla fine della Genesi). Eleazar sposa una donna zoppa, Esther, e la moglie di Mosé si chiama Zippora1.
Il giovane Eleazar è più attratto dalla figura di Cristo che da quella di Mosé: «il viso sconvolto e inondato di lacrime di Gesù si accordava meglio al suo paese che non la maschera dura e luminosa di Mosé.»2 Nonostante il suo sforzo di porsi Gesù come figura portante, il destino impone su Eleazar il destino del vecchio patriarca: va alla ricerca di un montone smarrito come il biblico buon pastore, simbolo di Cristo, ma al suo ritorno viene punito dal padrone. Mosé, il vecchio patriarca simbolo del fuoco e del deserto, è simboleggiato da un oggetto che Eleazar scopre da ragazzo e che lo accompagnerà per tutta la vita: «c’era nella soffitta di casa un bastone che somigliava a un serpente, con l’impugnatura fatta a testa di boa. […] Eleazar riguardava quell’oggetto con un misto di orrore e di attrazione.» Con gli stessi sentimenti contrastanti, egli considera la figura di Mosé e l’elemento biblico dell’acqua contrapposta al fuoco. Stando agli episodi dell’Esodo e all’interpretazione che ne dà Turnier in Eleazar, lo stesso Mosé doveva vivere in un simile stato d’animo: Mosé –il profeta con il potere di trasformare l’acqua in sangue, di dividere le acque al suo passaggio e di far scaturire l’acqua dalla roccia con il bastone –promette al popolo d’Israele una terra dove «scorrono latte e miele» e lo fa utilizzando un verbo proprio dell’acqua, ma il simbolo di Dio sembra essere il fuoco –dal roveto ardente agli stessi luoghi desertici in cui sempre si manifesta al profeta. Mosé è posto da Dio di fronte alla scelta tra il benessere e la rinuncia all’acqua per il suo Signore: si tratta della scelta tra la sorgente e il roveto, come recita il sottotitolo di Eleazar. Una volta giunti di fronte alla Terra Promessa, è Javeh stesso che fa la scelta per la vita di Mosé: manda il popolo a scegliere la Sorgente per cui ha viaggiato e tiene Mosé con sé nel deserto (morte di Mosé prima di entrare a Canaan).
Il forte parallelismo tra la vita di Mosé e quella di Eleazar comincia a presentarsi in maniera evidente quando il pastore uccide l’emissario di un grande proprietario terriero allo scopo di proteggere un ragazzo. Eleazar, pastore protestante, uccide un protestante per salvare un giovane pastore così come Mosé, ebreo, prima di lasciare l’Egitto aveva ucciso un egiziano perché stava frustando un ebreo. Gli elementi in comune sono moltissimi: l’arma è una mazza per Mosé e il bastone per Eleazar, il cadavere viene occultato (l’uno nella sabbia e l’altro viene gettato giù dalle rocce),… La differenza tra le due vicende è minima: Mosé fugge dall’Egitto per sfuggire alla giustizia, mentre quella di Eleazar è una specie di fuga dal sé e dal suo gesto.
Prima della partenza di Eleazar, l’Irlanda è colpita da una carestia di patate, principale sostentamento della zona, e poi da due epidemie di tifo e di colera. Da questo momento in poi il pastore è portato a pensare la sua vicenda in parallelo a quella di Mosé e gli viene naturale paragonare i flagelli che si abbattono sulla sua terra alle piaghe d’Egitto. E’ così anche quando si rende conto che la traversata durerà quaranta giorni e quaranta notti, esattamente come il periodo di digiuno di Mosé prima di ricevere le Tavole della Legge. Allo stesso modo, una volta sbarcato, Eleazar sceglie come meta la California per via di alcune somiglianze tra essa e la terra di Canaan (somiglianze nell’assonanza tra i due nomi e nel racconto che circola tra gli emigranti che immaginano la California come un Eden dove potranno trovare pace). Inizia così la traversata del deserto che nella vita di Eleazar significherà la comprensione della vicenda di Mosé e la scelta tra la sorgente e il roveto.
In tutto questo, mai vengono nominati i commenti di Esther al viaggio verso la California. Come già nel libro dell’Esodo, i famigliari non pensano –forse non hanno il diritto di farlo- e lo stesso Eleazar si sorprende sempre nel sentire la figlia Coralie esprimere un’opinione o un suo pensiero, quasi fosse insolito che ne avesse. Mai una volta Eleazar di presenta realmente come il saggio ispirato da Dio che il tono del racconto vorrebbe proporci. Non è insensibile alle sofferenze della sua famiglia, ma non lo sfiora mai il pensiero che, nonostante la carestia, avrebbero potuto restare in Irlanda (non si accenna mai, infatti, ad un bisogno reale di partire o ad una causa diversa dalla fuga di Eleazar dal ricordo del suo peccato). Anche durante il viaggio per prendere una decisione apre a caso la Bibbia ed interpreta il passo che si trova davanti, alla luce di ciò che gli capita. La decisione, in realtà, è già stata presa: Eleazar, forzando più o meno il testo biblico, interpreta a modo suo il versetto che gli capita davanti. Com’è ovvio, il testo biblico come qualsiasi brano di quel genere estrapolato dal suo contesto, si può facilmente manipolare a proprio piacimento. Ad esempio, quando Eleazar e la famiglia sono ancora nella carovana, durante le soste la gente si lascia andare a qualche divertimento per scacciare la stanchezza. Nonostante non si tratti di nulla di particolarmente “peccaminoso” (i cinesi che si occupano della vendita dei generi di conforto, infatti, non hanno alcolici da vendere), Eleazar è irritato da tutto ciò e non vuole che i suoi figli si mescolino ai festeggiamenti. Apre a caso la Bibbia e si trova di fronte la pagina dell’Apocalisse in cui si parla della grande prostituta Babilonia, ma se solo avesse voluto, sio sarebbe ricordato che l’Apocalisse è il libro in cui il peccato viene sconfitto e le sofferenze degli uomini giusti sono alleviate da una gioia senza fine. Ma Eleazar non prende in considerazione tutto ciò perché ha già deciso, autonomamente, di lasciare la carovana senza pensare ai pericoli in cui la sua famiglia si dovrà sicuramente imbattere.
In seguito all’ottusità e al pragmatismo di Eleazar, la famiglia abbandona la carovana e prosegue in solitario. I pericoli del deserto, una volta privi della guida, si manifestano loro. Il figlio Benjamin viene morso da un crotalo e i segni del veleno non tardano a farsi sentire. Ancora una volta Eleazar pensa alle vicende di Mosé e del popolo d’Israele in viaggio nel deserto, quando Dio manda dei serpenti velenosi per punire la mancanza di fede del suo popolo. Eleazar, però, pensa che si tratti solo di una prova di Dio per testare la loro fedeltà e dubita che Egli possa realmente esigere la vita del figlio. Ancora una volta non pensa che la reale causa potrebbe essere lui: potrebbe trattarsi di una punizione di Dio –il Dio dell’Antico Testamento e non quello di Cristo –in seguito al peccato di Eleazar (l’omicidio) o, più semplicemente, potrebbe essere lui la causa, dato che ha scelto di allontanarsi dalla carovana per inoltrarsi in un sentiero molto più inospitale e pericoloso.
Il capo indiano Serpente di Bronzo, che sembra guarire Benjamin con un solo sguardo, è l’allegoria del modo con cui Mosé guarisce il popolo dal morso del serpente. Su ordine di Dio, infatti, il profeta aveva fatto un serpente di rame da porre sulla sommità del suo bastone3. In questo modo, Serpente di Bronzo sembra diventare quasi il simbolo di Dio: il suo occhio è senza palpebre come quello di Dio –che non chiude mai gli occhi perdendo di vista il suo popolo. Allo stesso modo la caratteristica di Serpente di Bronzo lo accomuna ad un vero serpente, che non ha palpebre e non chiude mai gli occhi. Ergo: Dio è paragonato a un serpente. Come dice il capo indiano: il serpente può essere velenoso o costrittore, quindi può uccidere con un bacio o con un abbraccio. Uccide con un gesto d’amore. Verso la fine del racconto, si dice come Mosé sia ucciso per bocca di Dio o, a seconda della traduzione, per bacio di Dio. Il punto è proprio quello: la morte di Mosé non è un atto di crudeltà da parte di Dio, ma un gesto d’amore perché vuole tenere il profeta con sé nel deserto.
Dopo numerosi altri segni, tra cui la vista di un roveto ardente di fronte al quale Eleazar comprende che lo scopo del suo cammino è quello di comprendere meglio le Scritture, un ex-bandito, José, si affianca alla famiglia e si rivela un prezioso compagno di viaggio. Il passaggio attraverso un campo di mirtilli fa pensare Eleazar alla manna che Dio aveva mandato al popolo di Israele che aveva fame.
Ferito, Eleazar affida la famiglia a José, chiamandolo Giosué e va a morire in un boschetto. Le affinità tra José e Giosué sembrano limitarsi al nome: il personaggio biblico è colui che, alla morte di Mosé, conduce il popolo nella terra di Canaan. Nel libro dei Numeri, Giosué è affiancato da un altro personaggio: Eleazaro4. Quasi certamente è da quel personaggio che deriva il nome del protagonista.
L?interpretazione della vicenda di Mosé e le basi su cui essa è fondata sono, secondo me, assolutamente inconsistenti. Non è vero che Mosé parla al popolo di un paese in cui scorrono latte e miele solo perché è un’idea che lui si è fatta e che non corrisponde alla volontà di Dio, perché è Dio stesso che invia il popolo d’Israele verso la Terra di Canaan. Inoltre il Deuteronomio è abbastanza chiaro riguardo al motivo per cui Dio non lascia entrare Mosé nella Terra Promessa: «Sali su questo monte degli Abarim, sul monte Nebo, che è nel paese di Moab, di fronte a Gerico, e mira il paese di Canaan, che io do in possesso agli Israeliti. Tu morirai sul monte sul quale stai per salire e sarai riunito ai tuoi antenati come Aronne tuo fratello è morto sul monte Or ed è stato riunito ai suoi antenati, perché siete stati infedeli verso di me in mezzo agli Israeliti alle acque di Meriba di Kades nel deserto di Zin, perché non avete manifestato la mia santità. Tu vedrai il paese davanti a te, ma là, nel paese che io sto per dare agli Israeliti, tu non entrerai!»5 Turnier ha modificato il dato biblico per sostenere la sua ipotesi, esattamente com Eleazar faceva prima di prendere una decisione.

In conclusione, Eleazar mi è sembrato un racconto in cui la vera protagonista è l’abilità dello scrittore (ma Turnier è veramente abile? A me il suo modo di scrivere non è piaciuto). Tournier continua a passare da Eleazar a Mosé e dal suo libro alla Bibbia, spesso senza concludere in pensieri significativi: cosa significa il nome Esther, di chiara estrazione biblica? (esiste, in realtà, il libro di Esther, ma il suo contenuto è completamente estraneo sia alle vicende che al carattere della moglie di Eleazar) Perché si dice che Eleazar è schernito dal fratello, bracciante agricolo, a causa del suo lavoro di pastore, con evidente richiamo a Caino e Abele6? Qual è il significato profondo del libro? Che il Dio cristiano uccide per gelosia? Che non esiste il libero arbitrio ed è soltanto il destino, o Provvidenza che dir si voglia, a decidere per la vita di un individuo? Tutto rimane oscuro, tranne l’ostentazione dell’abilità di biblista che Turnier sfoggia senza alcun ritegno.
1 Vedi Es. 2,21-22
2 “Eleazar”, pag. 15
3 Nm 21,4-9
4 Nm 34, 17
5 Dt. 32, 49-52
6 Gn. 4, 1-16
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Esempio