EINSTEIN E LA TEORIA DELLA RELATIVITA'

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Testo

EINSTEIN E LA TEORIA DELLA RELATIVITA’
( Parte di fisica )
INTRODUZIONE
Il XX secolo è stato ricco di notevoli eventi e di veri e propri sconvolgimenti che finirono per cambiare radicalmente il mondo. Anche la scienza ha subito una notevole evoluzione sia in ambito militare, che dal punto di vista prettamente scientifico. Questo è il secolo delle nuove armi, della bomba atomica, ma è anche il secolo delle più grandi scoperte delle leggi della fisica che sono alla base di tutta la civiltà moderna. Una delle più grandi intuizioni della fisica fu la formulazione della teoria della relatività del celebre fisico tedesco Albert Einstein il quale, nel 1907, intuì l’inesistenza del tempo assoluto della fisica classica, sostenendo che esso è “relativo” e dipende dallo stato di moto del sistema che si considera rispetto all’osservatore. Da questo egli intuì che se l’orologio si muove molto velocemente, il tempo misurato da esso risulterà fluire più lentamente rispetto a quello misurato dall’orologio che l’osservatore tiene con sé. Anche se questo fatto può sembrare paradossale è stato provato scientificamente con particelle subatomiche che possono essere accelerate a velocità molto prossime a quella della luce ( 300.000 km/s) dimostrando l’eccezionalità dell’intuizione di Einstein.
• Il tempo assoluto
La luce è un onda luminosa che ha la capacità di propagarsi attraverso il vuoto; perciò è facile dedurre per via teorica la sua velocità c. Ma risulta evidente che anche cambiando sistema di riferimento esso non varia. Si può riscontrare quindi una contraddizione tra la teoria della meccanica classica che affermava che, tramite le trasformazioni di Galileo, la velocità di un qualsiasi oggetto variava cambiando sistema di riferimento, e la teoria dell’elettromagnetismo. Essendo ambedue dimostrate grazie ad un campo di applicabilità molto vasto, risulta che una delle due presenta un errore o un’incompletezza che va modificata al fine di eliminare la contraddizione.
Un’ipotesi alla base della fisica di quel periodo, considerata ovvia, ma in realtà non così ovvia come sembrava, era l’esistenza di un tempo assoluto, cioè un tempo che scorre immutabile e indifferente, identico in tutti i sistemi di riferimento. Grazie all’intervento di Einstein si riuscì a dimostrare che, in realtà, esso era un concetto errato.
Bisogna innanzitutto spiegare cosa voglia significare misurare un intervallo di tempo: ossia formulare due giudizi di simultaneità: ad esempio si può parlare di simultaneità quando nel momento in cui un atleta, simultaneamente allo sparo del giudice, comincia una corsa, il cronometro segna un certo valore, mentre all’arrivo, nel momento che l’atleta attraversa il traguardo, ne segna un altro. In ambedue i casi si verifica l’applicazione del concetto di simultaneità tra i due eventi. Nel caso in cui, però, si debba verificare il fenomeno con oggetti molto distanti con velocità prossime a quella della luce, questo tipo di misurazione può risultare molto meno semplice.
Einstein risolse la contraddizione proponendo di rifondare la fisica partendo da due soli postulati:
• Le leggi e i principi della fisica hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziali.
• La velocità della luce è la stessa in tutti i sistemi di riferimento inerziali, in modo indipendente dal sistema stesso o della sorgente da cui la luce è emessa.
Formulato il postulato sulla costanza della velocità della luce si può ora stabilire effettivamente se due oggetti sono o meno simultanei.
Per definizione si può dire che due fenomeni F1 e F2 sono simultanei se la luce che essi emettono giunge nello stesso istante in un punto P equidistante dai punti P1 e P2 in cui si verificano i due fenomeni.
Il giudizio di simultaneità, però, risulta relativo dato che, cambiando sistema di riferimento con uno in moto rispetto al primo, i due eventi non risultano più simultanei basandosi sull’invarianza della velocità della luce. Ne consegue che il concetto di simultaneità assoluta è impossibile e che quindi non si può definire un tempo assoluto che scorra uguale per tutti gli osservatori.
Verificato ciò, ne derivano alcune conseguenze che sono: la dilazione dei tempi, la contrazione delle lunghezze nella direzione del moto relativo e l’invarianza delle lunghezze perpendicolari al moto relativo.
• La dilatazione dei tempi
La durata di qualunque fenomeno risulta minima se è misurata nel sistema di riferimento S solidale con il fenomeno stesso, cioè in quel sistema in cui il fenomeno inizia e finisce nello stesso punto. In tutti i sistemi di riferimento in moto rispetto a S, però, la durata del fenomeno risulta maggiore e la misura di uno stesso intervallo di tempo dipende dal sistema di riferimento in cui questo è misurato. Anche questo fatto conferma la non esistenza del tempo assoluto in fisica.
La dilatazione dei tempi è espressa dalla formula:

∆t′ = 1 .
_______
1- (v/c)2
Si può definire intervallo di tempo proprio (∆τ) la durata di un fenomeno che viene misurato in un sistema di riferimento solidale con esso.
Indicato inoltre con il simbolo β il rapporto tra il modulo della velocità di un oggetto e la velocità della luce nel vuoto,
β = v/c
prende il nome di coefficiente di dilatazione nel vuoto,
γ = 1 .
_______
1- (β)2
• La contrazione delle lunghezze nella direzione del moto relativo
Se un osservatore effettua la misurazione della lunghezza di un segmento in un dato sistema di riferimento e un secondo osservatore compie la stessa azione in un secondo sistema in moto rispetto al primo, ne risulterà che nel secondo la lunghezza del segmento è uguale alla differenza tra le posizioni dei suoi estremi misurate nello stesso intervallo di tempo, rispetto agli orologi di quel sistema. Effettuato ciò, risulta che all’intervallo di tempo ∆t′ , che è l’intervallo di tempo di quel sistema, corrisponde un intervallo di tempo ∆t più lungo. Ne consegue che la lunghezza propria del segmento nel secondo sistema risulta minore.
Come per il tempo, anche lo spazio assoluto della meccanica classica non esiste, poiché lo stesso oggetto ha misure diverse a seconda del sistema di riferimento.
• L’invarianza delle lunghezze perpendicolari al moto relativo.
Dimostrata la dilatazione degli intervalli di tempo e la contrazione delle distanze poste nella direzione del moto di un secondo sistema di riferimento non solidale, è lecito dubitare che un segmento posto in direzione perpendicolare ad un sistema di riferimento in movimento, ad esempio un treno, appaia uguale ad ambedue i sistemi di riferimento.
Si può procedere per assurdo asserendo che non sia vera l’affermazione che si vuole dimostrare.
Utilizzando l’esempio del treno che passa in una galleria abbiamo due situazioni distinte:
Il riferimento del terreno: in esso la galleria è ferme e il treno è in movimento. Secondo l’ipotesi della contrazione il treno, visto da terra, appare più stretto e più basso di prima: non c’è dubbio che riesca a passare sotto la galleria.
Il riferimento del treno: in esso il treno è fermo e la galleria è in movimento. Ora sono l’altezza e la larghezza della galleria a diminuire, mentre quelle del treno rimangono costanti. Il risultato dovrebbe essere un drammatico incidente quando il treno tenta di entrare in una galleria troppo piccola.
Naturalmente ciò è impossibile o non avvenga a seconda del sistema di riferimento che si adotta. L’unico modo per rimediare a tale assurdità è ammettere che le dimensioni trasversali rimangano uguali.
• Le trasformazioni di Lorentz
Nella meccanica classica per indicare le trasformazioni da un sistema ad un altro, venivano utilizzate le trasformazioni di Galileo che presupponevano, però, l’esistenza di un tempo assoluto. Esse, quindi, non sono corrette per indicare le trasformazioni da un sistema di riferimento ad un altro. Sono quindi sostituite da quelle formulate dal fisico olandese Lorentz note appunto come trasformazioni di Lorentz
x′= x – vt = γ( x – vt ) z′ = z
_______
1- (v/c)2 y′ = y
t′ = t – vx/ c2 = γ( t – β/c .x)
_______
1- (v/c)2
• LA RELATIVITA’ RISTRETTA
Per descrivere un qualsiasi fenomeno fisico si deve partire dal fatto che un certo fenomeno è avvenuto in un certo istante, in un certo punto dello spazio. Introdotto quindi un sistema di riferimento ( t, x, y, z) in cui t indica l’istante in cui tale fenomeno è avvenuto e le altre tre lettere le coordinate spaziali del luogo dove esso è avvenuto, si definisce evento la quaterna ordinata ( t, x, y, z).
La descrizione dello spazio con tre assi cartesiani particolari, però, non ha alcun significato fisico; è soltanto una scelta arbitraria che può variare da osservatore ad osservatore.
Un discorso analogo, nella teoria della relatività, si può fare pure per l’intervallo di tempo ∆t.
Dati due eventi separati dagli incrementi delle quantità ∆t ∆x ∆y ∆z, esiste una quantità chiamata intervallo invariante ∆σ equivalente alla radice della quantità
(∆σ)= (c∆t)2 - (∆x)2 - (∆y)2 - (∆z)2
Nel sistema di riferimento solidale con il fenomeno dove i due eventi di inizio e di fine del fenomeno hanno le stesse coordinate spaziali, mentre la sua durata ∆t è pari all’intervallo di tempo proprio τ,
∆t = ∆τ con ∆x = ∆y = ∆z =0
ne risulta quindi che
∆σ = c∆τ
In definitiva lo spazio quadrimensionale ( t, x, y, z) nel quale l’intervallo invariante tra due eventi è (∆σ)2= (c∆t)2 - (∆x)2 - (∆y)2 - (∆z)2 prende il nome di Spazio-tempo.
L’equivalenza tra massa ed energia
Nella meccanica classica vi sono due leggi separate ed indipendenti che riguardano la conservazione della massa e la conservazione dell’energia. Nella relatività si scopre, invece, che la grandezza fisica non si conserva separatamente dall’energia. La massa non è altro che una forma di energia che si somma all’energia cinetica e potenziale enunciando la conservazione dell’energia meccanica.
La teoria della relatività afferma che, se un corpo assume una quantità di energia E, la sua massa non si conserva bensì aumenta della quantità
∆m = E .
c2
al contrario, nel momento in cui il corpo perde energia, la sua massa diminuisce. E’ stato compiuto un esperimento per dimostrare che la massa di un corpo a cui è ceduta l’energia E, aumenta proprio della quantità E .
c2
Si è partiti dal fatto che la luce non trasporta solamente energia, ma pure una quantità di moto p = E/c.
Preso un corpo di massa m, fermo in un sistema di riferimento S si fa in modo che esso assorba nello stesso istante due lampi di luce provenienti da due direzioni opposte trasportanti entrambi una quantità di energia p = E/2.
Questo implica che entrambi cedano al corpo una quantità di moto
p = E .
2c
Poiché esse hanno stesso modulo, stessa direzione, ma versi opposti, la loro somma vettoriale è uguale al vettore nullo; di conseguenza dopo l’assorbimento di energia il corpo rimane fermo nello spazio.
Osservando il fenomeno da un secondo sistema di riferimento in moto rispetto al primo, però, si nota che la somma vettoriale non risulta uguale al vettore nullo ma pari al doppio componente orizzontale p′x di uno dei due vettori.
p′x= vE .
2c
Ne consegue che la quantità di moto del corpo aumenta della quantità ∆p′= vE/ c2 . Poiché il moto del corpo, prima di ricevere i due pacchetti, aveva moto p′1 = mv in seguito il moto p′2 dopo aver ricevuto i “pacchetti” sarà p′2= mv + vE/ c2 .
Si può osservare un fatto strano: pur essendo cambiata la quantità di moto, la velocità rimane uguale; di conseguenza l’unica grandezza ad essere cambiata non può che essere la sua massa.
Il corpo ha quindi una nuova massa m′v.
p′2 = mv + vE/c2 = m′v m′ - m = E/c2
In questo modo abbiamo dimostrato quello che voleva dimostrare.
Grazie a questa formula si può affermare che la massa stessa è una forma di energia che scompare quando compare energia e viceversa. Tutte le trasformazioni sono regolate dalla relazione di Einstein E=mc2. Ne risulta quindi che un corpo fermo possiede un’energia E0 = m0 c02 che prende il nome di energia di quiete o riposo.
LA RELATIVITA’ GENERALE
La teoria della relatività ristretta nasce per accogliere al suo interno l’elettromagnetismo classico, infatti non a caso la riflessione sull’invarianza della velocità della luce nel vuoto è uno dei punti di partenza da cui poi si è sviluppata tutta la teoria.
Fin dall’inizio, si pose il problema se fosse possibile introdurre l’attrazione gravitazionale nella teoria della relatività ristretta e nello stesso tempo Einstein si chiese se fosse possibile ampliare il primo dei due assiomi della relatività ristretta secondo cui le leggi fisiche hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziali.
Infine si rese conto che i due problemi si fondevano in uno unico e la sua risoluzione costituiva l’ossatura della nuova relatività generale, che andava a completare quella ristretta.
La massa gravitazionale e la massa inerziale sono sempre direttamente proporzionali tra loro e grazie a questa proprietà sono state scelte delle unità di misura in modo che esse risultino addirittura uguali. Indipendentemente dalla loro massa e dal materiale da cui sono costruiti, l’uguaglianza tra le masse giustifica il fatto che tutti i corpi che si trovano in una stessa zona di spazio risentono della stessa accelerazione di gravità.
Il modulo della forza di interazione gravitazionale tra un pianeta e un punto materiale di massa mg e massa inerziale mi posto ad una distanza r dal centro del pianeta è:
F = G Mg mg
r2
dove Mg è la massa gravitazionale del pianeta G è la costante di gravitazione universale.
L’accelerazione del punto materiale dovuta alla forza gravitazionale si può calcolare grazie al secondo principio della dinamica e corrisponde all’equazione:
F = mia
Sostituendo questa formula con la precedente e ricavando da questa l’accelerazione a, si ottiene
a = G Mg mg
r2 mi
In quest’ultima espressione si potrebbe pensare che l’accelerazione possa dipendere dal rapporto mg / mi e che quindi potrebbe variare da corpo a corpo, ma con accurate misure sperimentali si scopre che esso equivale ad 1, perciò l’equazione risulta quindi:
a = G Mg
r2
poiché l’accelerazione dipende quindi solamente dalle costanti G e Mg se ne deduce che anche essa sia una costante uguale per tutti i corpi.
È possibile effettuare alcuni esperimenti ideali con i quali si è in grado di simulare l’esistenza di un campo gravitazionale o eliminarlo e proprio grazie a questi Einstein fu in grado di formulare uno degli assiomi fondamentali della nuova teoria della relatività generale: il principio di equivalenza, che afferma che in una zona delimitata dello spazio-tempo è sempre possibile scegliere un opportuno sistema di riferimento in modo da simulare l’esistenza di un campo gravitazionale uniforme o reciprocamente, in modo da eliminare l’effetto della forza di gravità.
Grazie a questo principio Einstein poté fare una serie di riflessioni tramite le quali guardò alla fisica ed in modo particolare alla gravità, in un modo assolutamente nuovo. Il fisico riuscì, infatti, finalmente, ad ampliare il primo assioma della relatività ristretta, considerando i sistemi inerziali non più “privilegiati” rispetto agli altri sistemi di riferimento poiché quello che avviene al loro interno si verificava tranquillamente anche in un sistema accelerato o in uno in caduta libera.
Einstein formulò, quindi, il principio di relatività generale in cui diceva che le leggi della fisica hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento.
In seguito, il fisico tedesco, riuscì a superare anche il secondo postulato, secondo cui la velocità della luce è la stessa in tutti i sistemi di riferimento inerziali.
Se la luce si propaga in linea retta con velocità costante in un sistema di riferimento, passando ad uno accelerato rispetto al primo, essa risulterà avere una traiettoria curva.
Grazie a questi punti di partenza Einstein fu in grado di formulare una teoria organica e completa che prese il nome di teoria della relatività generale che si basava su due assiomi fondamentali:
• La presenza di masse incurva lo spazio tempo
• I corpi soggetti alla forza di gravità devono essere considerati come particelle libere, che si muovono seguendo le geodetiche dello spazio.
Poiché la teoria della relatività ristretta non prende in considerazione l’attrazione gravitazionale tra le masse, lo spazio-tempo di questa viene considerato piatto. Nella generale è importante conoscere la distribuzione delle masse poiché, come si vedrà, esse influenzano la curvatura dello spazio-tempo.
Il termine spazio-tempo, in realtà, è una definizione non proprio corretta poiché dal punto di vista geometrico non si parla di altro che spazi a quattro dimensioni.
Viene formulata, quindi, una concezione nuova di geometria, in cui non vale il quinto postulato di Euclide ossia che per un punto esiste una sola retta parallela ad una retta data. Queste nuove geometrie prendono il nome di “non euclidee” e possono essere di due tipi: iperboliche e ellittiche. Nelle prime per un punto esterno ad una retta è possibile condurre infinite rette parallele, mentre nelle seconde non esistono rette parallele ad una retta data passanti per un punto esterno ad essa. Esse hanno una proprietà particolare che è la curvatura che risulta positiva negli spazi con geometria ellittica, negativa negli altri.
Nel complesso essi si chiamano curvi, mentre quello Euclideo o quello di Minkowski hanno curvatura nulla e vengono definiti piatti.
Di rilevante importanza è conoscere la distribuzione delle masse dato che esse influiscono sulla curvatura dello spazio-tempo: difatti le zone più vicine ad una massa presentano una curvatura più accentuata.
Prendono il nome di Geodetiche le curvature di minima lunghezza, che hanno la funzione di unire i vari punti: esse sono segmenti di retta nella geometria euclidea, mentre in uno spazio-tempo sferico assumono la forma di archi di circonferenza massima.
Una volta nota la distribuzione delle masse si è in grado di calcolare la geometria dello spazio-tempo grazie all’equazione di campo di Einstein che è il cuore della sua teoria.
Tra le previsioni teoriche della relatività generale ve ne è una particolarmente affascinante: se la geometria dello spazio è determinata dalla distribuzione delle masse e se tale distribuzione viene modificata, si ha di conseguenza una variazione della geometria dello spazio-tempo che, però, non può essere istantanea in tutto l’universo ma si propaga dal punto in cui si è generata con la velocità della luce c. Tale propagazione prende il nome di onda gravitazionale.
Una conseguenza della curvatura dello spazio è la deflessione gravitazionale della luce. La luce subisce una deflessione in presenza di un campo gravitazionale e quindi in presenza della curvatura dello spazio-tempo. Una conseguenza che si può osservare, ad esempio è che alcune stelle osservabili vengono viste in una posizione diversa rispetto a quella che realmente occupano. Ciò dimostra la variazione della traiettoria percorsa dalla luce.
Secondo la teoria della relatività generale, la luce trasporta energia, ma poiché essa ci giunge con una frequenza minore di quella con cui è stata emessa e poiché nell’ambito della luce visibile il rosso è il colore a cui corrisponde la frequenza minore, questo fenomeno prende il nome di spostamento verso il rosso o in inglese redshift gravitazionale.

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