Modelli Atomici

Materie:Tesina
Categoria:Fisica

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Testo

L'EVOLUZIONE DEI MODELLI ATOMICI
L'ATOMO NELL' ANTICHITA'
Il primo a pensare che la materia non fosse continua e compatta ,come era stata da sempre concepita, fu Democrito. Egli affermò che tutti i corpi sono costituiti da particelle tanto piccole da essere invisibili, infinitamente dure, non ulteriormente divisibili, immutabili, eterne: gli atomi.
“Atomo” in greco significa appunto indivisibile. La sua dottrina fu elaborata circa 150 anni dopo, dal filosofo greco Epicuro e proprio nella forma assunta con egli, è giunta a noi attraverso il più straordinario saggio poetico di divulgazione scientifica che sia mai stato scritto: il "De Rerum Natura" ("Sulla natura delle cose") del poeta latino Lucrezio.
In esso apprendiamo che gli atomi si trovano immersi nel vuoto assoluto, in continuo movimento verticale e che si uniscono casualmente grazie ad una forza da lui chiamata Clinamen. Inoltre Lucrezio scrisse che esistono vari tipi di atomi che unendosi possono formare corpi più o meno compatti.
LA MODERNA TEORIA ATOMICA
Gli atomi di Democrito e di Epicuro tornarono alla ribalta all’inizio dell’800, al nascere della chimica moderna. Secondo l’intuizione del chimico e fisico inglese John Dalton, il concetto di atomo, inteso come particella ultima della materia, era l’unico in grado di spiegare le leggi ponderali fondamentali della chimica. L’atomo è infatti necessario per spiegare le leggi della conservazione della massa (Lavoisier, 1785), delle proporzioni definite (Proust, 1799) e delle proporzioni multiple (Dalton, 1807).
A partire da Dalton i chimici pensarono che esistono un numero limitato di tipi diversi di atomi, a ciascuno dei quali corrisponde un elemento chimico diverso (per esempio ci sono atomi di idrogeno, di ossigeno, di carbonio ecc.). Grande merito di Dalton non fu solo quello di aver risuscitato gli atomi di Democrito, ma per la prima volta nella storia dell’atomo cominciò a determinarne le proprietà e a misurarne le caratteristiche.
Successivamente si chiarì anche la differenza tra atomo e molecola grazie a Avogadro e Canizzaro che diedero inoltre preziose indicazioni quantitative circa le reali dimensioni degli atomi.
Verso la fine del XIX secolo la teoria dell' indivisibilità e dell’ omogeneità degli atomi apparve chiaramente insostenibile in seguito a numerosi esperimenti (studi sul passaggio dell’elettricità nei gas e scoperta della radioattività) che fecero presagire la presenza di cariche negative e positive all' interno degli stessi.
PRIMO MODELLO ATOMICO
Verso la fine del secolo W. Crookes scoprì l’esistenza di raggi fluorescenti che si sviluppavano nei tubi catodici, tali raggi furono chiamati appunto catodici e se ne definirono le caratteristiche. Si trattava di particelle aventi carica negativa ed erano presenti in tutti gli atomi, poiché si sviluppavano con qualunque tipo di gas venisse inserito nel tubo.
In seguito J. J. Thomson denominò queste particelle elettroni (e) e abbozzò nel 1904 il primo modello atomico (a “panettone”) , concependo l’atomo come una sferetta omogenea carica di elettricità positiva in cui sono immersi gli elettroni negativi in numero tale da rendere l’atomo nel suo complesso elettricamente neutro. Thomson aveva pienamente ragione di pensare l’elettrone così piccolo rispetto alla massa complessiva dell’atomo: egli stesso aveva infatti misurato la massa dell’elettrone e aveva trovato che ammontava a una frazione quasi insignificante della massa dell’atomo più leggero: la massa dell’elettrone è infatti 1/1840 della massa dell’atomo di idrogeno.
Successivamente Eugen Goldstein, utilizzando un'apparecchiatura simile a quella usata da Thomson, con il catodo formato da una piastra metallica forata, osservò per primo la presenza di raggi anodici, che si spostavano cioè dall'anodo (positivo) al catodo (negativo). La particella elementare così definita fu chiamata protone (p) e si dimostrò avere carica esattamente uguale e contraria a quella dell'elettrone, ma ben 1836 volte superiore. Da queste esperienze si chiarì definitivamente che l'atomo non è divisibile ma contiene particelle più piccole, cariche elettricamente, in numero uguale
IL MODELLO ATOMICO DI RUTHERFORD
Il modello di Thomson dovette essere dopo pochi anni abbandonato, perché in evidente contrasto con i risultati ottenuti da una determinante esperienza compiuta da E. Rutherford. Il fisico neozelandese usò le particelle alfa emesse da atomi di elio privi di elettroni prodotte da materiali radioattivi per bombardare una sottile lamina d'oro, posta davanti ad uno schermo circolare. Osservando i punti di contatto delle particelle dopo l'attraversamento della lamina, notò che la maggior parte di esse le attraversava indisturbata, mentre una piccola parte deviava leggermente e qualcuna veniva addirittura respinta. Ciò significava evidentemente che la materia fosse per la maggior parte "soffice", con all' interno dei punti solidi, duri; le particelle alfa, quindi, venivano deviate o respinte solo quando incontravano le zone dure. Poiché le particelle alfa sono cariche positivamente, Rutherford dedusse che queste zone più dure fossero anch'esse cariche positivamente, provocando la repulsione delle stesse particelle.
Sulla base di questi esperimenti, Rutherford propose il suo modello nucleare dell’ atomo, ovviamente dinamico e non statico come quello di Thomson, poiché gli elettroni negativi non possono essere concepiti che in continua rotazione intorno al nucleo positivo, come i pianeti intorno al sole, visto che in assenza di moto si precipiterebbero su di esso per attrazione elettrostatica. Questo spiega perché i raggi alfa deviano quando sul loro cammino incontravano il nucleo dotato di massa analoga e carica elettrica positiva.
Dagli esperimenti di Rutherford si misurò approssimativamente le dimensioni del nucleo atomico (nell’ordine di 10-12 cm), si calcolò inoltre la carica positiva dei nuclei degli atomi bersaglio delle particelle alfa che risultò corrispondere al numero atomico dell’elemento considerato, ossia al numero d’ordine che lo individua nella classificazione periodica di Mendeleev.
Si capì inoltre che il nucleo non può essere formato solo da protoni, perché se così fosse la carica nucleare dovrebbe risultare circa uguale alla massa dell’ atomo (visto che la massa degli elettroni si può considerare trascurabile). Da questa considerazione si dedusse che il nucleo dovesse contenere altre particelle, scoperte solo nel 1932 da J. Chadwick e denominate neutroni.
Il fisico misurò anche il rapporto che intercorreva tra il raggio del nucleo (10-8 cm) e il raggio atomico complessivo (10-12 cm), cioè di 1:104 che dà una chiara percezione della struttura “vuota” dell’atomo.

L’ATOMO DI BOHR
Lo studio delle radiazioni emesse dagli atomi ha permesso di elaborare nuovi modelli atomici, soppiantando quello proposto de Rutherford, seconda la cui teoria l'atomo è assimilabile ad un sistema planetario, con gli elettroni che ruotano intorno al nucleo centrale, contenete i protoni. Questo modello, in realtà, si è dimostrato imperfetto, poiché un elettrone in movimento intorno al nucleo avrebbe dovuto irradiare energia (con la conseguente diminuzione di questa nel tempo), con successiva diminuzione del raggio dell'orbita fino a precipitare nel nucleo.
Ad introdurre un modello più avanzato di atomo fu nel 1913 lo scienziato danese Niels Bohr, il quale, pur mantenendo la concezione planetaria, basò il suo modello sulla quantizzazione dell'energia (Teoria dei quanti). Egli infatti sfruttando questa teoria spiegò gli spettri a righe di emissione degli atomi, ipotizzando che gli elettroni nell'atomo occupano determinate posizioni, alle quali sono associate quantità precise di energia. In sostanza il modello di atomo secondo Bohr ammette che un elettrone ruota attorno al nucleo descrivendo un'orbita ben definita, alla quale compete una quantità di energia ben precisa: all'orbita più vicina al nucleo viene assegnato il livello minimo di energia e quando un elettrone occupa tale livello, si dice che si trova nel suo stato fondamentale.
La distanza dal nucleo, ossia il raggio dell'orbita percorsa dall'elettrone, è definita da un numero n, detto numero quantico principale, che può assumere un qualsiasi valore intero. Finché un elettrone percorre una determinata orbita non assorbe né cede energia (orbita stazionaria) e l'energia associata ad essa risulta "quantizzata", essendo di un determinato valore n.
Ma un elettrone può passare da uno stato stazionario ad un altro superiore assorbendo una quantità di energia pari al dislivello energetico esistente fra i due stati: in tal caso si dice che l'atomo è in uno stato eccitato. Viceversa un elettrone può saltare ad un'orbita più interna, nel qual caso è esso a cedere energia sotto forma di fotoni. Un elettrone per passare dalla prima orbita alla terza deve assorbire una quantità di energia pari a E = n3 – n1 (essendo n3 maggiore di n1).
Invece per passare dalla terza orbita alla seconda deve cedere una quantità di energia pari a E = n3 - n2 e per ritornare alla prima orbita deve cedere una quantità di energia pari a E = n3 - n1. Il fatto che il passaggio fra vari livelli avvengano con scambi di quantità ben precise di energia, è un' ulteriore conferma che l'energia che gli elettroni sono in grado di emettere o di assorbire è quantizzata.
Gli elettroni nel modello atomico di Bohr sono concepiti come trottole ruotanti su di un’orbita (chiamata orbitale atomico) intorno al nucleo; il loro senso di rotazione, paragonabile a quello planetario, è chiamato spin e può essere negativo (- ½) o positivo (+ ½).
Bohr individua inoltre il principio con il quale gli elettroni si “sistemano” attorno al nucleo. Gli orbitali possono essere occupati al massimo da 2 elettroni aventi spin opposto, questi sono raggruppati in livelli energetici ognuno indicato con una lettera dell’alfabeto. Il primo (denominato K) contiene 1 solo orbita, il secondo (L) 4, il terzo (M) 9, e così via. Più il livello energetico è lontano dal nucleo, più elettroni può contenere; i primi livelli energetici sono i primi ad essere occupati, per poi procedere di norma con i più distanti.
Ma da l’elemento argo (numero atomico 18) in poi ,queste regole di combinazione sfortunatamente cominciano a non valere più. Ciò perché gli elettroni, avendo tutti la stessa carica, si respingono reciprocamente, rimanendo però sempre in orbita attorno al nucleo. Quando molti elettroni sono vicini la repulsione reciproca può diventare troppo forte, cioè gli orbitali risultano eccessivamente “affollati” per contenerli tutti. Gli elettroni cominciano allora a distribuirsi in modo da allontanarsi il più possibile gli uni dagli altri, cercando però di rimanere sempre il più vicino possibile al nucleo. In questo modo la struttura atomica raggiunge una maggiore stabilità.
Se da una parte le scoperte di Bohr furono fondamentali per lo studio degli atomi, queste si rivelarono anche un fallimento: gli esperimenti del danese ,che si basavano solo sull’idrogeno, andavano bene solo per quell’elemento, perché è il solo in cui tutti gli orbitali con lo stesso valore di n hanno anche la stessa energia; tuttavia per gli atomi con più di 1 elettrone, gli orbitali con lo stesso valore di n possono avere energie diverse, in quanto questi contengono dei sottolivelli identificati con il numero quantico secondario ( l ).
Ogni livello energetico n ha un numero di sottolivelli pari a n-1 e questi possono essere denominati anche dalle lettere dell’alfabeto (s, p, d, f…) oltre che dal valore numerico di l.
In seguito si individuerà anche il numero quantico magnetico ( ml ), che separa i sottolivelli in orbitali individuali e descrive come questo sia orientato nello spazio rispetto agli altri orbitali; ml può variare da –l a +l.
Dalla scoperta del numero quantico secondario si dedusse che i primi sottolivelli di un livello n possono essere occupati da elettroni prima che il livello precedente (n-1) sia stato “riempito” completamente, in quanto necessitano di meno energia di quanta ne richiedano gli ultimi sottolivelli del livello precedente.
La particolare distribuzione degli elettroni attorno al nucleo degli atomi di ciascun elemento determina quali sono le altre specie atomiche con cui essi si combinano per formare molecole, e in quali proporzioni. Lo studio del comportamento degli elettroni nei livelli atomici può dunque permettere di capire le proprietà chimiche degli elementi.

L'EVOLUZIONE DEI MODELLI ATOMICI
L'ATOMO NELL' ANTICHITA'
Il primo a pensare che la materia non fosse continua e compatta ,come era stata da sempre concepita, fu Democrito. Egli affermò che tutti i corpi sono costituiti da particelle tanto piccole da essere invisibili, infinitamente dure, non ulteriormente divisibili, immutabili, eterne: gli atomi.
“Atomo” in greco significa appunto indivisibile. La sua dottrina fu elaborata circa 150 anni dopo, dal filosofo greco Epicuro e proprio nella forma assunta con egli, è giunta a noi attraverso il più straordinario saggio poetico di divulgazione scientifica che sia mai stato scritto: il "De Rerum Natura" ("Sulla natura delle cose") del poeta latino Lucrezio.
In esso apprendiamo che gli atomi si trovano immersi nel vuoto assoluto, in continuo movimento verticale e che si uniscono casualmente grazie ad una forza da lui chiamata Clinamen. Inoltre Lucrezio scrisse che esistono vari tipi di atomi che unendosi possono formare corpi più o meno compatti.
LA MODERNA TEORIA ATOMICA
Gli atomi di Democrito e di Epicuro tornarono alla ribalta all’inizio dell’800, al nascere della chimica moderna. Secondo l’intuizione del chimico e fisico inglese John Dalton, il concetto di atomo, inteso come particella ultima della materia, era l’unico in grado di spiegare le leggi ponderali fondamentali della chimica. L’atomo è infatti necessario per spiegare le leggi della conservazione della massa (Lavoisier, 1785), delle proporzioni definite (Proust, 1799) e delle proporzioni multiple (Dalton, 1807).
A partire da Dalton i chimici pensarono che esistono un numero limitato di tipi diversi di atomi, a ciascuno dei quali corrisponde un elemento chimico diverso (per esempio ci sono atomi di idrogeno, di ossigeno, di carbonio ecc.). Grande merito di Dalton non fu solo quello di aver risuscitato gli atomi di Democrito, ma per la prima volta nella storia dell’atomo cominciò a determinarne le proprietà e a misurarne le caratteristiche.
Successivamente si chiarì anche la differenza tra atomo e molecola grazie a Avogadro e Canizzaro che diedero inoltre preziose indicazioni quantitative circa le reali dimensioni degli atomi.
Verso la fine del XIX secolo la teoria dell' indivisibilità e dell’ omogeneità degli atomi apparve chiaramente insostenibile in seguito a numerosi esperimenti (studi sul passaggio dell’elettricità nei gas e scoperta della radioattività) che fecero presagire la presenza di cariche negative e positive all' interno degli stessi.
PRIMO MODELLO ATOMICO
Verso la fine del secolo W. Crookes scoprì l’esistenza di raggi fluorescenti che si sviluppavano nei tubi catodici, tali raggi furono chiamati appunto catodici e se ne definirono le caratteristiche. Si trattava di particelle aventi carica negativa ed erano presenti in tutti gli atomi, poiché si sviluppavano con qualunque tipo di gas venisse inserito nel tubo.
In seguito J. J. Thomson denominò queste particelle elettroni (e) e abbozzò nel 1904 il primo modello atomico (a “panettone”) , concependo l’atomo come una sferetta omogenea carica di elettricità positiva in cui sono immersi gli elettroni negativi in numero tale da rendere l’atomo nel suo complesso elettricamente neutro. Thomson aveva pienamente ragione di pensare l’elettrone così piccolo rispetto alla massa complessiva dell’atomo: egli stesso aveva infatti misurato la massa dell’elettrone e aveva trovato che ammontava a una frazione quasi insignificante della massa dell’atomo più leggero: la massa dell’elettrone è infatti 1/1840 della massa dell’atomo di idrogeno.
Successivamente Eugen Goldstein, utilizzando un'apparecchiatura simile a quella usata da Thomson, con il catodo formato da una piastra metallica forata, osservò per primo la presenza di raggi anodici, che si spostavano cioè dall'anodo (positivo) al catodo (negativo). La particella elementare così definita fu chiamata protone (p) e si dimostrò avere carica esattamente uguale e contraria a quella dell'elettrone, ma ben 1836 volte superiore. Da queste esperienze si chiarì definitivamente che l'atomo non è divisibile ma contiene particelle più piccole, cariche elettricamente, in numero uguale
IL MODELLO ATOMICO DI RUTHERFORD
Il modello di Thomson dovette essere dopo pochi anni abbandonato, perché in evidente contrasto con i risultati ottenuti da una determinante esperienza compiuta da E. Rutherford. Il fisico neozelandese usò le particelle alfa emesse da atomi di elio privi di elettroni prodotte da materiali radioattivi per bombardare una sottile lamina d'oro, posta davanti ad uno schermo circolare. Osservando i punti di contatto delle particelle dopo l'attraversamento della lamina, notò che la maggior parte di esse le attraversava indisturbata, mentre una piccola parte deviava leggermente e qualcuna veniva addirittura respinta. Ciò significava evidentemente che la materia fosse per la maggior parte "soffice", con all' interno dei punti solidi, duri; le particelle alfa, quindi, venivano deviate o respinte solo quando incontravano le zone dure. Poiché le particelle alfa sono cariche positivamente, Rutherford dedusse che queste zone più dure fossero anch'esse cariche positivamente, provocando la repulsione delle stesse particelle.
Sulla base di questi esperimenti, Rutherford propose il suo modello nucleare dell’ atomo, ovviamente dinamico e non statico come quello di Thomson, poiché gli elettroni negativi non possono essere concepiti che in continua rotazione intorno al nucleo positivo, come i pianeti intorno al sole, visto che in assenza di moto si precipiterebbero su di esso per attrazione elettrostatica. Questo spiega perché i raggi alfa deviano quando sul loro cammino incontravano il nucleo dotato di massa analoga e carica elettrica positiva.
Dagli esperimenti di Rutherford si misurò approssimativamente le dimensioni del nucleo atomico (nell’ordine di 10-12 cm), si calcolò inoltre la carica positiva dei nuclei degli atomi bersaglio delle particelle alfa che risultò corrispondere al numero atomico dell’elemento considerato, ossia al numero d’ordine che lo individua nella classificazione periodica di Mendeleev.
Si capì inoltre che il nucleo non può essere formato solo da protoni, perché se così fosse la carica nucleare dovrebbe risultare circa uguale alla massa dell’ atomo (visto che la massa degli elettroni si può considerare trascurabile). Da questa considerazione si dedusse che il nucleo dovesse contenere altre particelle, scoperte solo nel 1932 da J. Chadwick e denominate neutroni.
Il fisico misurò anche il rapporto che intercorreva tra il raggio del nucleo (10-8 cm) e il raggio atomico complessivo (10-12 cm), cioè di 1:104 che dà una chiara percezione della struttura “vuota” dell’atomo.

L’ATOMO DI BOHR
Lo studio delle radiazioni emesse dagli atomi ha permesso di elaborare nuovi modelli atomici, soppiantando quello proposto de Rutherford, seconda la cui teoria l'atomo è assimilabile ad un sistema planetario, con gli elettroni che ruotano intorno al nucleo centrale, contenete i protoni. Questo modello, in realtà, si è dimostrato imperfetto, poiché un elettrone in movimento intorno al nucleo avrebbe dovuto irradiare energia (con la conseguente diminuzione di questa nel tempo), con successiva diminuzione del raggio dell'orbita fino a precipitare nel nucleo.
Ad introdurre un modello più avanzato di atomo fu nel 1913 lo scienziato danese Niels Bohr, il quale, pur mantenendo la concezione planetaria, basò il suo modello sulla quantizzazione dell'energia (Teoria dei quanti). Egli infatti sfruttando questa teoria spiegò gli spettri a righe di emissione degli atomi, ipotizzando che gli elettroni nell'atomo occupano determinate posizioni, alle quali sono associate quantità precise di energia. In sostanza il modello di atomo secondo Bohr ammette che un elettrone ruota attorno al nucleo descrivendo un'orbita ben definita, alla quale compete una quantità di energia ben precisa: all'orbita più vicina al nucleo viene assegnato il livello minimo di energia e quando un elettrone occupa tale livello, si dice che si trova nel suo stato fondamentale.
La distanza dal nucleo, ossia il raggio dell'orbita percorsa dall'elettrone, è definita da un numero n, detto numero quantico principale, che può assumere un qualsiasi valore intero. Finché un elettrone percorre una determinata orbita non assorbe né cede energia (orbita stazionaria) e l'energia associata ad essa risulta "quantizzata", essendo di un determinato valore n.
Ma un elettrone può passare da uno stato stazionario ad un altro superiore assorbendo una quantità di energia pari al dislivello energetico esistente fra i due stati: in tal caso si dice che l'atomo è in uno stato eccitato. Viceversa un elettrone può saltare ad un'orbita più interna, nel qual caso è esso a cedere energia sotto forma di fotoni. Un elettrone per passare dalla prima orbita alla terza deve assorbire una quantità di energia pari a E = n3 – n1 (essendo n3 maggiore di n1).
Invece per passare dalla terza orbita alla seconda deve cedere una quantità di energia pari a E = n3 - n2 e per ritornare alla prima orbita deve cedere una quantità di energia pari a E = n3 - n1. Il fatto che il passaggio fra vari livelli avvengano con scambi di quantità ben precise di energia, è un' ulteriore conferma che l'energia che gli elettroni sono in grado di emettere o di assorbire è quantizzata.
Gli elettroni nel modello atomico di Bohr sono concepiti come trottole ruotanti su di un’orbita (chiamata orbitale atomico) intorno al nucleo; il loro senso di rotazione, paragonabile a quello planetario, è chiamato spin e può essere negativo (- ½) o positivo (+ ½).
Bohr individua inoltre il principio con il quale gli elettroni si “sistemano” attorno al nucleo. Gli orbitali possono essere occupati al massimo da 2 elettroni aventi spin opposto, questi sono raggruppati in livelli energetici ognuno indicato con una lettera dell’alfabeto. Il primo (denominato K) contiene 1 solo orbita, il secondo (L) 4, il terzo (M) 9, e così via. Più il livello energetico è lontano dal nucleo, più elettroni può contenere; i primi livelli energetici sono i primi ad essere occupati, per poi procedere di norma con i più distanti.
Ma da l’elemento argo (numero atomico 18) in poi ,queste regole di combinazione sfortunatamente cominciano a non valere più. Ciò perché gli elettroni, avendo tutti la stessa carica, si respingono reciprocamente, rimanendo però sempre in orbita attorno al nucleo. Quando molti elettroni sono vicini la repulsione reciproca può diventare troppo forte, cioè gli orbitali risultano eccessivamente “affollati” per contenerli tutti. Gli elettroni cominciano allora a distribuirsi in modo da allontanarsi il più possibile gli uni dagli altri, cercando però di rimanere sempre il più vicino possibile al nucleo. In questo modo la struttura atomica raggiunge una maggiore stabilità.
Se da una parte le scoperte di Bohr furono fondamentali per lo studio degli atomi, queste si rivelarono anche un fallimento: gli esperimenti del danese ,che si basavano solo sull’idrogeno, andavano bene solo per quell’elemento, perché è il solo in cui tutti gli orbitali con lo stesso valore di n hanno anche la stessa energia; tuttavia per gli atomi con più di 1 elettrone, gli orbitali con lo stesso valore di n possono avere energie diverse, in quanto questi contengono dei sottolivelli identificati con il numero quantico secondario ( l ).
Ogni livello energetico n ha un numero di sottolivelli pari a n-1 e questi possono essere denominati anche dalle lettere dell’alfabeto (s, p, d, f…) oltre che dal valore numerico di l.
In seguito si individuerà anche il numero quantico magnetico ( ml ), che separa i sottolivelli in orbitali individuali e descrive come questo sia orientato nello spazio rispetto agli altri orbitali; ml può variare da –l a +l.
Dalla scoperta del numero quantico secondario si dedusse che i primi sottolivelli di un livello n possono essere occupati da elettroni prima che il livello precedente (n-1) sia stato “riempito” completamente, in quanto necessitano di meno energia di quanta ne richiedano gli ultimi sottolivelli del livello precedente.
La particolare distribuzione degli elettroni attorno al nucleo degli atomi di ciascun elemento determina quali sono le altre specie atomiche con cui essi si combinano per formare molecole, e in quali proporzioni. Lo studio del comportamento degli elettroni nei livelli atomici può dunque permettere di capire le proprietà chimiche degli elementi.

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