Materia e antimateria

Materie:Tesina
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Testo

Materia e Antimateria
Le particelle elementari
Aristotele credeva che tutta la materia contenuta nell’universo fosse composta da quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco.
Su questi elementi agivano due forze: la gravità, ossia la tendenza della terra e dell’acqua a muoversi verso il basso, e la leggerezza, ossia la tendenza dell’aria e del fuoco a muoversi verso l’alto. Questa divisione del contenuto fisico dell’universo in materia e forze viene usata ancor oggi.
Egli pensava che la materia fosse continua, ossia che fosse possibile suddividere indefinitamente un pezzo di materia in particelle sempre più piccole, senza che si giungesse mai ad un granello di materia che non potesse essere suddiviso ulteriormente.
Qualche altro filosofo greco, però, come Democrito, ritenne che la materia fosse intrinsecamente discontinua e che ogni cosa fosse composta da un gran numero di vari tipi diversi di atomi. (In greco, la parola atomo significa “indivisibile”).
Per secoli la discussione continuò senza che venisse addotta alcuna prova reale per nessuna delle due parti; infine, nel 1803 il chimico e fisico britannico John Dalton sottilineò che il fatto che i composti chimici si combinino sempre in certe proporzioni, poteva essere spiegato per mezzo del raggruppamento di atomi a formare unità chiamate molecole. La controversia fra le due scuole di pensiero non fu però definitivamente risolta a favore degli atomisti sino ai primi anni del nostro secolo.
Una delle prove più importanti fu fornita da Einstein. In un articolo scritto nel 1905, alcune settimane prima del famoso articolo sulla relatività speciale, Einstein sottolineò che il cosiddetto moto browniano, - il moto irregolare, casuale, di piccole particelle di polvere sospese in un liquido, - poteva essere spiegato come l’effetto delle collisioni di atomi del liquido con particelle di polvere.
A quell’epoca qualcuno sospettava già che questi atomi non fossero, dopo tutto, indivisibili. Vari anni prima un professore del Trinity College a Cambridge, J.J. Thomson, aveva dimostrato l’esistenza di una particella materiale, detta elettrone, di massa inferiore a un millesimo di quella dell’atomo più leggero.
Thomson usò un dispositivo simile al moderno tubo catodico della televisione: un filamento di metallo portato al calor rosso emetteva elettroni, e poiché questi hanno carica elettrica negativa, si poteva usare un campo elettrico per accelerarli verso uno schermo rivestito di fosforo. Quando essi colpivano lo schermo, si generavano lampi di luce.
Ben presto ci si rese conto che questi elettroni dovevano provenire dagli atomi stessi, e nel 1911 il fisico britannico di origine neozelandese Ernest Rutherford mostrò infine che gli atomi hanno una struttura interna: essi sono composti da un nucleo estremamente piccolo, dotato di carica elettrica positiva, attorno al quale orbitano un certo numero di elettroni: egli dedusse questo fatto dal modo in cui le particelle α, che sono particelle di carica positiva emesse da atomi radioattivi, vengono deflesse quando entrano in collisione con atomi.
Dapprima si pensò che il nucleo dell’atomo fosse composto da elettroni e da un numero diverso di particelle di carica positiva chiamate protoni, da una parola greca che significa “primo”, in quanto si credeva che essa fosse l’unità fondamentale di cui si compone la materia.
Nel 1932, però, un collega di Rutherfort a Cambridge, James Chadwick, scoprì che il nucleo conteneva un’altra particella, chiamata neutrone, che aveva quasi la stessa massa del protone ma che era priva di carica elettrica.
Per questa scoperta, Chadwick ricevette il Premio Nobel.
Fino a una ventina di anni fa circa si pensava che protoni e neutroni fossero particelle “elementari”, ma esperimenti condotti con i grandi acceleratori di particelle, nel corso dei quali furono prodotte collisioni ad alte velocità fra protoni e altri protoni o fra protoni ed elettroni, indicarono che essi sono in realtà composti da altre particelle più piccole.
Queste particelle furono chiamate quark dal fisico del California Institute of Technology (Caltech) Murray Gell-Mann, che nel 1969 vinse il Premio Nobel proprio per la sua ricerca su di essi.
(L’origine del nome si trova in un brano enigmatico di Finnegans Wake di James Joyce: “Three quarks for Muster Mark!”. La parola “quark” dovrebbe essere pronunciata come “quart” (quo:t), con una “k” in fondo invece di una “t”).
Esistono un certo numero di varietà diverse di quark: si pensa che ce ne siano almeno sei “sapori”, che chiamiamo su, giù, strano, incantato, fondo e cima. Ogni sapore può presentare tre diversi “colori”: rosso, verde e blu. (E’ opportuno sottolineare che questi termini non sono altro che etichette di comodo; i quark sono molto più piccoli della lunghezza d’onda della luce visibile e non hanno quindi alcun colore nel senso normale del termine).
Un protone o un neutrone è composto da tre quark, uno di ciascun colore. Un protone contiene due quark su e un quark giù; un neutrone contiene due quark giù e un quark su.
Possiamo creare particelle composte con gli altri quark (strani, incantati, fondo e cima), ma questi hanno una massa maggiore e decadono molto rapidamente in protoni e neutroni.
Oggi sappiamo che né gli atomi né i protoni e i neutroni nel loro nucleo sono indivisibili.
La domanda è quindi: quali sono le particelle veramente elementari, i mattoni fondamentali da cui è composta ogni cosa? Poiché la lunghezza d’onda della luce è molto maggiore delle dimensioni dell’atomo, non è lecito sperare di poter “vedere” le parti di un atomo nel senso comune della parola vedere. Abbiamo bisogno di usare qualcosa di lunghezza d’onda molto minore.
La meccanica quantistica ci dice che tutte le particelle sono in realtà onde e che, quanto maggiore è l’energia di una particella, tanto minore è la lunghezza d’oda dell’onda corrispondente. Così la risposta migliore che possiamo dare alla nostra domanda dipende dal livello dell’energia delle particelle a nostra disposizione, giacché è questa a determinare a quale scala di grandezza possiamo osservare (quanto maggiore è l’energia o la frequenza, tanto minore sarà la scala di grandezza a cui potremo estendere la nostra osservazione). Queste energie delle particelle vengono misurate di solito in unità chiamate elettronvolt. (Negli esperimenti di Thomson con elettroni, abbiamo visto che per accelerare gli elettroni Thomson si servì di un campo elettrico. L’energia che un elettrone riceve da un campo elettrico di un volt è di un elettronvolt).
Nell’Ottocento, quando le uniche energie di particelle che si sapevano usare erano le basse energie di pochi elettronvolt generate da reazioni chimiche, come la combustione, si pensava che gli atomi fossero l’unità più piccola. Nell’esperimento di Rutherford, le particelle α avevano energie di milioni di elettronvolt. Più recentemente abbiamo imparato a usare campi elettromagnetici per impartire alle particelle energie dapprima di milioni e poi di miliardi di elettronvolt.
Così sappiamo che le particelle che vent’anni fa venivano considerate “elementari”, sono composte in realtà da particelle più piccole.
E’ possibile che, passando in futuro a energie ancora maggiori, anche queste possano risultare composte da particelle ancora più piccole?
Una tale evenienza è senza dubbio possibile, ma abbiamo qualche ragione teorica per pensare di possedere oggi – o di essere molto vicini a possedere – una conoscenza dei mattoni ultimi della natura.
Usando la dualità onda-particella è possibile descrivere nei termini di particelle tutto ciò che esiste nell’universo, comprese la luce e la gravità.
Queste particelle hanno una proprietà chiamata spin. Un modo di pensare allo spin consiste nell’immaginare le particelle come piccole trottole che ruotano attorno a un asse.
Quest’immagine può però essere sviante poiché la meccanica quantistica ci dice che le particelle non hanno un asse ben definito. Che cosa ci dice realmente lo spin di una particella è quale aspetto essa abbia vista da direzioni diverse.
Una particella di spin 0 è come un punto: essa appare sempre uguale da qualsiasi direzione la si guardi (fig. a).
Una particella di spin 1 è invece come una freccia: essa ci presenta aspetti diversi se guardata da direzioni diverse (fig. b). La particella riprenderà lo stesso aspetto solo dopo una rivoluzione completa (di 360 gradi).
Una particella di spin 2 è come una freccia con due punte, una a ciascuna estremità (fig. c): essa riprenderà lo stesso aspetto solo dopo aver compiuto una semirivoluzione (180 gradi).
Similmente, particelle di spin maggiore riprenderanno lo stesso aspetto dopo una frazione minore di una rivoluzione completa.
Tutto questo sembra abbastanza semplice, ma il fatto notevole è che ci sono particelle che non tornano ad avere lo stesso aspetto dopo una rivoluzione completa, bensì solo dopo due rivoluzioni complete. Queste particelle si dice che hanno uno spin di ½ (o spin semintero).
Tutte le particelle note nell’universo possono essere suddivise in due gruppi: particelle di spin ½, che compongono tutta la materia nell’universo, e particelle di spin 0, 1 e 2 che danno origine alle forze che si esercitano fra le particelle di materia.
Le particelle di materia obbediscono al cosiddetto principio di esclusione di Pauli.
Questo principio fu scoperto nel 1925 dal fisico austriaco Wolfgang Pauli, che per questa scoperta ricevette il Premio Nobel nel 1945.
Il principio di esclusione di Pauli dice che due particelle simili non possono esistere nello stesso stato, ossia che non possono avere entrambe la stessa posizione e la stessa velocità, entro i limiti dati dal principio di indeterminazione. Il principio di esclusione è cruciale perché spiega per quale motivo le particelle non si contraggono in uno stato di densità elevatissima sotto l’influenza delle forze prodotte dalle particelle di spin 0, 1 e 2: se le particelle di materia hanno una posizione quasi identica, devono avere velocità diverse, cosa che significa che non rimarranno a lungo nella stessa posizione.
Se il mondo fosse stato creato senza il principio di esclusione, i quark non formerebbero protoni e neutroni separati, ben definiti. Né questi, assieme agli elettroni, formerebbero atomi separati, ben definiti.
Tutte queste particelle si contrarrebbero tutte a formare un “brodo” denso, grosso modo uniforme.
Una comprensione adeguata dell’elettrone e di altre particelle di spin ½ non venne fino al 1928, quando una teoria fu proposta da Paul Dirac.
La teoria di Dirac fu la prima del suo genere, in accordo sia con la meccanica quantistica sia con la teoria speciale della relatività.
Essa spiegava matematicamente perché l’elettrone avesse spin ½ , ossia perché esso non riprendesse lo stesso aspetto dopo una rivoluzione completa ma solo dopo due.
Essa prediceva anche che l’elettrone doveva avere un partner, ossia un antielettrone o positrone.
Allo stesso modo il neutrone
La scoperta del positrone, avvenuta nel 1932, confermò la teoria di Dirac e condusse ad assegnargli – in compartecipazione con Schrödinger – il Premio Nobel per la fisica nel 1933.
Oggi sappiamo che ogni particella ha un’antiparticella, nell’incontro con la quale può annichilarsi. (Nel caso delle particelle portatrici di forze, le antiparticelle sono identiche con le particelle stesse).
Potrebbero esistere interi antimondi e antipersone composti da antiparticelle.
Se però incontrassimo il nostro anti-io non dovremmo stringergli la mano! Svaniremmo infatti entrambi in un grande lampo di luce.
Materia e Antimateria
L’antimateria e le sue proprietà sono argomenti affascinanti che ricorrono in tutta la fisica del ventesimo secolo, a partire dal celebre lavoro di Paul Adrien Maurice Dirac in cui, nel 1928, ne fu prevista l’esistenza.
Il mondo nello specchio
Nel libro di Lewis Carol Attraverso lo specchio, le giovane protagonista guarda la sua stanza riflessa in uno specchio. Per Alice, è come se esistesse un’altra stanza, identica a quella in cui si trova, tranne che per la posizione degli oggetti. Opposta a quella del mondo reale. Il primo fatto di cui si stupisce Alice è che le persone presenti nell’altra stanza ripetono esattamente i gesti di chi li osserva. Se poi si scopre che il libro è lo stesso, ma i caratteri con cui è scritto sono disposti al contrario. Queste osservazioni possono apparire poco scientifiche, ma una domanda che pone Alice al suo gatto corrisponde esattamente a quella che formulerebbe uno scienziato “Il latte nello specchio è buono come il nostro?”.
In altre parole, un oggetto che è l’immagine speculare di un oggetto dato funziona alla stessa maniera dell’originale?
Nel caso in questione la risposta è: il latte nello specchio non è buono da bere, perché contiene molecole che il nostro organismo non sarebbe in grado di assimilare perché asimmetriche. Questo però potrebbe essere dovuto ad un fatto puramente “storico”: la vita si è evoluta da forme che utilizzavano solo molecole con una data simmetria (sinistrorse piuttosto che destrorse) , e tutti gli organismi viventi hanno mantenuto questa eredità dalle forme primigenie. La questione è se esiste una differenza fisica assoluta tra le molecole del nostro latte e le stesse molecole riflesse nello specchio
Lo specchio C
Quando si parla di antimateria, è necessario considerare un altro tipo di riflessione, che ha a che fare con i due segni possibili (positivo e negativo) delle cariche elettriche. È facile capire se due cariche hanno segno uguale od opposto, ma quando si cerca di definire in assoluto cosa sia la carica positiva o la carica negativa ci si imbatte in strane contorsioni.
Nell’elettrostatica classica la definizione di segno non ha significato assoluto: l’attribuzione della carica negativa agli elettroni e della carica positiva ai protoni è puramente convenzionale. Possiamo, anzi, introdurre un nuovo tipo di riflessione, analogo a quello che avviene sulla superficie di uno specchio, grazie al quale viene scambiato il segno di tutte le cariche. Chiameremo “Specchio della Parità” lo specchio che inverte le immagini, scambiando al destra con la sinistra, e “specchio della carica” quello che inverte il segno della carica elettrica. Ci si può chiedere se il latte riflesso nello specchio della carica è ancora buono da bere, ovvero se una macchina ottenuta invertendo il segno delle cariche elettriche di tutte le particelle che la costituiscono e il segno di tutti i campi magnetici ed elettrici funzionerebbe come quella di partenza oppure no. Nella fisica classica che studia le interazioni elettromagnetiche e le forze gravitazionali, la risposta è positiva: le due macchine funzionano esattamente nella stessa maniera.
Antimateria
Nella meccanica classica possiamo pensare effettivamente di costruire un oggetto riflesso nello specchio della parità (basta leggere il piano di costruzione guardandolo in uno specchio, come si fa per decifrare la scrittura di Leonardo), ma non è detto che altrettanto si possa fare per lo specchio delle cariche. Sappiamo che nel nostro mondo le cariche negative sono portate dagli elettroni mentre le cariche positive sono portate dai protoni. Nella meccanica classica, tuttavia, non c’è alcuna indicazione che elettroni di carica positiva possano, o debbano, esistere in natura. Possiamo solo dire che se esistessero elettroni con carica positiva e protoni con carica negativa, essi funzionerebbero allo stesso di quelli conosciuti. Nella meccanica quantistica le cose cambiano. Dirac, nella ricerca di una teoria dell’elettrone che armonizzasse i principi della meccanica quantistica e quelli della relatività speciale, scoprì che l’esistenza dell’antimateria era una conseguenza inevitabile. Poiché nell’equazione del bilancio energetico della teoria della relatività l’energia E compare al quadrato, e – come è ben noto – estraendo la radice quadrata da un numero positivo si hanno sempre due soluzioni opposte, segue che trovata una possibile soluzione dell’equazione di Dirac corrispondente a un’energia positiva +E, ne deve esistere necessariamente un’altra con energia negativa –E. Tuttavia, poiché queste soluzioni si riferiscono a transizioni da uno stato iniziale a uno stato finale, le energie ± E non sono energie assolute, sono bensì differenze di energia tra gli strati della transizione. Queste differenze possono ovviamente essere sia positive sia negative, a seconda che nelle transizioni stesse si tolga o si aggiunga energia al sistema.
Oltre all’energia, nella transizione varia anche la carica elettrica Q, e tale variazione è la stessa per entrambe le soluzioni corrispondenti alle energie ± E. Supponiamo che tale variazione sia positiva (sia cioè +e, indicando con –e il valore, tradizionalmente negativo, della carica dell’elettrone). La soluzione con energia –E implica che l’energia diminuisce (Ef = Ei – E), cioè abbiamo rimosso dal sistema una particella di energia E; la carica è aumentata di e (Qf = Qi + e), cioè la particella rimossa ha carica –e: è stato quindi rimosso un elettrone dallo stato iniziale. La soluzione con energia +E corrisponde ad un aumento dell’energia (Ef = Ei + E), cioè abbiamo aggiunto al sistema una particella di carica E; poiché la carica è ancora aumentata di e (Qf = Qi + e), la particella aggiunta deve avere una carica positiva, +e, e quindi non può essere l’elettrone che ha carica negativa: è stato creato un elettrone positivo, il positrone.
Detto in altri termini l’oggetto matematico delle equazioni di Dirac descrive la distruzione di un elettrone ma anche la creazione di un nuovo tipo di particella, che deve avere carica opposta a quella dell’elettrone. La presenza simultanea delle due soluzioni, richiesta dalla teoria della relatività, implica l’esistenza di particelle con le stesse proprietà meccaniche degli elettroni, ma con una carica elettrica positiva, i positroni, le antiparticelle dei più familiari elettroni.
Quando Dirac formulò la sua equazione, il positrone non era ancora conosciuto; fu scoperto infatti nel 1932 da C. D. Anderson tra le particelle prodotte dai raggi cosmici, e da allora è diventato un oggetto molto familiare ai fisici. L’antiprotone, l’antiparticella del protone è stata invece osservata soltanto negli anni Cinquanta da Emilio Segrè e dai suoi collaboratori, e oggi si dà per scontato che ogni particella di materia abbia la sua antiparticella. Un aspetto tipico dell’antimateria è che, portata a contatto con la materia, essa si annichila: avviene cioè una reazione in cui l’energia di riposo di ciascuna coppia particella-antiparticella si libera in forme diverse, in gran parte radiazione elettromagnetica e neutrini.
Classificazione delle particelle
E’ essenziale, ai fini di “mettere ordine” nella popolosa famiglia di nuove particelle “elementari” scoperte in parecchi decenni di esperimenti di collisione ad energie sempre più elevate, stabilire uno o più criteri di raggruppamento. Lo scopo di questa organizzazione rimane quello di trovare, al di là delle piacevoli simmetrie e regolarità nelle proprietà fisiche, anche una prevedibilità sistematica, una o più leggi sufficientemente generali da consentire l’accesso ad una descrizione fondata su meccanismi ben compresi e motivati. Una possibilità, già accennata nel paragrafo precedente, è quella di iniziare a raggruppare particelle soggette allo stesso tipo di interazione. Si può preseguire adottando come criterio di ordinamento più quantitativo la massa (a riposo) delle particelle rivelate. Sebbene questo schema sia di utilità molto limitata, comunque datata, esso ha permesso una prima classificazione delle particelle “nuove” in tre famiglie, denominate leptoni (particelle di massa piccola), mesoni (di massa intermedia) e barioni (di massa elevata). Oggi si conoscono leptoni più massivi di certi barioni. Ciononostante, la suddivisione in base alle masse è un tipo di “spettroscopia” di significato notevole, se non altro in quanto si osserva che le particelle di tipo leptonico non subiscono l’azione della forza forte, mentre i mesoni ed i barioni sono soggetti all’interazione nucleare. E’ anche possibile raggruppare le particelle in base al loro valore di spin. Anche in questo caso si scopre che il raggruppamento in base alle masse è più generale di quanto non possa sembrare: tutti i leptoni hanno spin ½ (come gli elettroni). I mesoni hanno spin intero (0,1,2,…) mentre i barioni hanno spin semiintero (1/2, 3/2, 5/2, …). Un ulteriore aspetto di rilevanza nel tentativo di raggruppare secondo schemi generali le particelle fondamentali riguarda la presenza di due “forme” per ciascuna particella: esiste la particella ed un partner con valore di carica (e di un’altra proprietà) opposta, mentre le altre grandezze che la caratterizzano (massa, vita media, spin, ecc.) sono esattamente eguali. Si dice anche che per ogni particella c’è la corrispondente antiparticella ovvero che ad ogni forma di materia è associata – nel mondo subatomico – una forma di antimateria. La prima evidenza sperimentale di antimateria è la scoperta dell’antielettrone, detto positrone, predetto da Dirac come conseguenza dell’estensione dell’equazione di Schroedinger nel regime ultrarelativistico ed osservato da Anderson nel 1932. Esso ha carica pari a +e e massa pari a 511 keV, come quella dell’elettrone. Nel 1956 viene scoperto l’antiprotone, con carica pari a −e e massa di 938 MeV, come quella del protone. Le antiparticelle di particelle stabili sono anch’esse stabili (lo sono dunque il protone ed il positrone). La prossimità fra una particella ed il suo partner di antimateria conduce invece al fenomeno della annichilazione, per il quale le due particelle scompaiono lasciando energia e momento conservati: un elettrone ed un positrone si annichilano generando 2 fotoni gamma ciascuno con energia di 511 keV (che i fotoni siano due è richiesto dalla conservazione della quantità di moto: un fotone singolo ha momento dato da mc2/c=mc mentre il momento iniziale del sistema nel centro di massa è nullo; ci vogliono dunque 2 fotoni con eguali ed opposte quantità di moto). Ai fini della distinzione fra materia ed antimateria, possiamo assumere che la materia ordinaria (atomi, cioè nuclei ed elettroni)
sia composta da particelle. Il protone è la particella, l’antiprotone è antimateria. Questo criterio, apparentemente banale, permette in molti casi di assegnare con certezza la natura di tipo materia o antimateria ad un dato costituente. Ad esempio, il decadimento di un neutrone in protone, elettrone e neutrino è proibito da determinate leggi di conservazione, per cui sappiamo che il prodotto di decadimento deve essere in realtà un antineutrino. In altri casi però non è né possibile né utile stabilire se la particella in esame sia materia o antimateria. E’ questo il caso della terna di pioni, π±, π0, nella quale il pione neutro è antiparticella di sé stesso (come peraltro il fotone) ed i pioni carichi sono antiparticelle uno dell’altro, senza potere stabilire se sia particella il pione positivo o quello negativo. Nella tabella sopra è riportato il raggruppamento delle famiglie di particelle assieme alle interazioni che le riguardano ed allo spin. Viene anche riportata la natura delle particelle in una data famiglia: si osservi che i leptoni e le particelle mediatrici di scambio hanno natura veramente fondamentale, ossia sono considerate particelle indivisibili, elementari. I mesoni ed i barioni sono invece particelle composte (da quark, secondo il modello che porta questo nome e che verrà illustrato a grandi linee più avanti). I leptoni interagiscono unicamente via interazione elettrodebole (debole ed elettromagnetica) e sono tutti con spin pari ad ½ (unità ħ). La tabella di seguito riporta i leptoni che si crede siano tutti quelli esistenti nel nostro universo. Si tratta di 6 particelle (e di 6 partner di antimateria) suddivisi in tre coppie contenenti ciascuna una particella carica (elettrone, muone, leptone tau) ed un neutrino (di tipo elettronico, muonico e tau). Per quanto riguarda la famiglia dei mesoni, questi sono particelle non
elementari, caratterizzate da spin intero, e soggette principalmente all’azione della forza nucleare. Si possono anche avere reazioni nelle quali i mesoni decadono in altri mesoni o in leptoni via interazioni forti o elettrodeboli. Ad esempio, a partire dalla reazione nucleare di produzione mesonica p+n→p+n+πo, il pione decade in 8.4×10−17 sec in due fotoni gamma. Questo decadimento è regolato dall’interazione elettromagnetica, come indicato dalla presenza dei fotoni. Come già accennato sopra, siccome i mesoni non sono costituenti della materia ordinaria dell’universo di oggi, la loro suddivisione in particelle/antiparticelle è arbitraria e spesso inutile. Certi mesoni neutri sono antiparticelle di sé stessi, altri (come il kaone) sono distinti anche se sono particelle neutre. La tabella riporta un numero limitato di mesoni (fra le decine di osservati sperimentalmente) assieme alle loro caratteristiche più rilevanti, come già fatto per i leptoni. E’ infine possibile costruire una tabella (parziale) anche per i barioni. Il loro spin è semiintero, hanno partner di antimateria distinti come i mesoni e possono essere prodotti da reazioni fra nucleoni tramite interazione forte, come nella p+p→p+Λ0+K+, nella quale la Λ0 decade per interazione debole secondo la Λ0→p+π− in circa 2.6×10−10 sec, come indicato dal tempo medio di reazione. Altri aspetti quantitativi delle reazioni fra particelle subnucleari ed ancora essenziali alla costruzione di uno schema di classificazione generale dovranno tenere conto di leggi di conservazione di nuovo tipo, oltre alle ben note e sempre valide leggi di conservazione meccanica di energia, momento e momento angolare.
La violazione della parità
L’esistenza dell’antimateria ci permette di porre in concreto le domande relative agli specchi della parità e della carica. Possiamo infatti immaginare non solo oggetti costituiti da antimateria: l’antiidrogeno, l’antilatte, l’antigatto, … una volta stabilita l’esistenza di due tipi di simmetrie – una riflessione nello specchio e la coniugazione di carica – si tratta di scoprire se queste simmetrie funzionano. Fine al 1956, ogni fisico avrebbe risposto affermativamente. Si dice che, quando Hermann Weyl presento a Wolfgang Pauli la sua equazione relativistica per il neutrino, Pauli abbia osservato di getto che essa non poteva essere corretta in quanto non rispettava la simmetria per riflessione, pronunciando la celebre frase “Dio non è mancino”.
Negli anni Cinquanta, tuttavia, i fisici teorici T. D. Lee e C. N. Yang, messi sulla strada da alcuni risultati anomali relativi al decadimento dei mesoni K, analizzarono i dati allora disponibili nella fisica atomica e nucleare. La conclusione, sorprendente, fu che, mentre i dati indicano che le forze elettromagnetiche e le forze nucleari rispettano esattamente le simmetrie per riflessione e per coniugazione di carica, non c’è evidenza che lo stesso accadesse nei decadimenti β nucleari. Anzi, per spiegare i risultati anomali dei mesoni K, la simmetria per riflessione avrebbe dovuto essere violata. La proposta di Lee e Yang fu confermata quasi immediatamente con esperimenti di grande eleganza e precisione: la simmetria per riflessione non è universalmente valida.
Come gran parte delle particelle subatomiche, il neutrino possiede un grado di libertà interno, chiamato spin, rappresentabile con una rotazione. Lo spin può girare in una maniera destrorsa o in maniera sinistrorsa; si hanno così due stati della particella, uno speculare all’altro. Lo stato destrorso è proprio quello che otterrebbe guardando lo stato sinistrorso in uno specchio con la superficie parallela alla direzione del moto del neutrino stesso; poiché la stessa cosa vale anche per l’antineutrino, in totale si hanno quattro stati possibili. Gli esperimenti hanno invece dimostrato in modo inequivocabile che le particelle emesse nei decadimenti osservati sono l’antineutrino destrorso (nel decadimento β-: per esempio nel decadimento del neutrone) oppure il neutrino sinistrorso (nel decadimento β+, il decadimento di alcuni radioisotopi artificiali: per esempio quello del carbonio 11); gli altro due stati non sono mai stato osservati in natura. La violazione della simmetria è la più estrema possibile: l’immagine speculare di un neutrino sinistrorso semplicemente non esiste in natura. Weyl aveva ragione e pauli torto: Dio è mancino!
La simmetria CP
La fig. 1 è in realtà simmetria sotto l’azione combinata di P (parità) e C (coniugazione di carica). In altre parole, se volete essere sicuri che riflettendo nello specchio un oggetto che esiste troverete un altro oggetto che esiste, dovete anche cambiare tutte le particelle in antiparticelle. Questa situazione è l’invarianza per CP.
Questa simmetria è rispettata in tutti i processi fisici? A tal proposito c’è una bella storia raccontata da Richard Feynman in una delle sue lezioni di fisica. Supponete di essere entrati in un contatto radio con un extraterrestre e di volergli spiegare cosa sono la destra e la sinistra: inevitabilmente finireste per parlare del neutrino. Se l’extraterrestre è fatto di materia, la vostra definizione di neutrino coincide con la sua e le sue definizioni di destra e sinistra coincideranno quindi con le vostre. Se invece è fatto di antimateria, la situazione sarà invertita: quando parlate di neutrino, lui penserà all’antineutrino, e quella che voi chiamate destra sarà la sua sinistra, e viceversa. Feynman conclude con un avvertimento: se doveste effettivamente incontrare un extraterrestre che, invece di porgervi la destra come gli avete debitamente insegnato, vi porgesse la sinistra, tagliate la corda prima che avvenga l’annichilazione degli atomi del vostro corpo con gli antiatomi del suo.
La violazione di CP
Questa descrizione della simmetria fra materia e antimateria è molto elegante, ma la fisica è una scienza naturale e quindi si deve rimettere ai risultati degli esperimenti, i quali dicono che neanche la simmetria ridotta è una buona simmetria. In effetti, nel 1964, J. Cronin, V. Fitch e R. Turlay scoprirono che un mesone neutro, il mesone KL, decade in uno stato dispari per CP ma anche in uno stato pari per CP. In altre parole, decade in uno stato che non ha una proprietà definito per CP, che quindi non può essere una simmetria esatta. Un modo ancora più evidente per comprendere la violazione della simmetria CP è quello di far riferimento ad un risultato ottenuto qualche tempo dopo. Il mesone KL talvolta decade in modo simile al decadimento β, emettendo cioè un positrone (assieme ad altre antiparticelle) oppure un elettrone (assieme ad altre particelle). Se si misura la differenze fra la probabilità di disintegrazione in un positrone e la possibilità di disintegrazione in un elettrone, si trova un risultato diverso da zero. In termini quantitativi, se si producono 1000 mesoni KL e si contano quanti di essi decadono emettendo un positrone e quanti emettendo un elettrone, tra i due tipi di decadimento si riscontrerà una differenza del tre per mille circa.
Questa asimmetria di carica del KL è un risultato assolutamente straordinario perché costituisce completamente la pelle di gatto, il vetro e l’ebanite: permette infatti dare una definizione assoluta del segno della carica elettrica. La carica elettrica positiva è quella della particella (il positrone) che viene emessa preferenzialmente nel decadimento del KL. Di conseguenza, possiamo anche dare una definizione assoluta di destra e sinistra. Nel caso di un contratto con un extraterrestre, sarà quindi possibile insegnargli esattamente qual è la nostra carica positiva e qual è la nostra destra.
Due aspetti sono da sottolineare. Il primo è che questa asimmetria è molto piccola, ed è curioso che una simmetria così fondamentale, come a riflessione fra materia e antimateria, sia violata solo al tre per mille. La seconda considerazione è che si potrebbe pensare a una completa assenza di simmetria fra materia e antimateria, ma questo non sarebbe corretto. Se si introduce una terza possibile riflessione, chiamata inversione del segno del tempo, si può dimostrare u teorema secondo il quale il prodotto della simmetria materia-antimateria (CP) e dell’inversione temporale (T) rappresenta una simmetria in ogni possibile teoria che metta insieme i principi della meccanica quantistica e della relatività speciale. Questa simmetria più ridotta (CPT) garantisce l’uguaglianza della massa delle particelle e delle corrispettive antiparticelle, e non si conoscono esempi di una sua violazione.
Il problema della materia e dell’antimateria interessa ovviamente anche i cosmologi. L’ipotesi più semplice che possiamo fare è che l’Universo sia costituito da isole di materia e isole di antimateria, così da essere sostanzialmente simmetrico su gran scala. Tuttavia occorre tenere conto del fatto che ammassi di galassie (le strutture più grandi dell’universo) non sono completamente isolati l’uno dall’altro, ma sono connessi in modo tenue attraverso regioni di frontiera formate da nubi di gas e polvere intergalattica. Se esistessero davvero delle isole di antimateria, in queste regioni di frontiera si verificherebbero le violentissime annichilazioni dovute al contatto tra nuclei e antinuclei, con emissione di raggi γ. Poiché questi raggi γ non si osservano, si deduce che l’Universo deve essere costituito di sola materia, un fatto alquanto sorprendente. Nella radiazione cosmica di fondo, attualmente il rapporto tra numero di protoni e numero di protoni vale ca. 10-8-10-9 (cioè i fotoni sono circa un miliardo di volte in più dei protoni). Poiché all’origine l’Universo era molto più caldo, e non era costituito da soli protoni, ma da coppie protone-antiprotone, è chiaro che il rapporto attuale tra il numero di protoni e il numero di fotoni fornisce anche l’ordine di grandezza dell’asimmetria.
(protone-antiprotone)/(protone + antiprotone), cioè dell’asimmetria fra materia ed antimateria nel nostro Universo. Se il numero di protoni e d’antiprotoni si conservasse nel tempo, potremmo ipotizzare che questa piccola asimmetria sia congenita all’Universo. È un po’ come se il Creatore, all’inizio, avesse voluto introdurre nella sua opera una piccola imperfezione.
Esiste però un’altra possibilità, proposta negli anni sessanta da Andrej Sacharov, il quale ha osservato che 1) se le leggi fisiche violassero la simmetria materia-antimateria (così come in realtà avviene) 2) se la quantità (protoni-antiprotoni) non si conservasse e 3) se l’Universo avesse attraversato delle fasi di non equilibrio, allora l’asimmetria che osserviamo oggi potrebbe essere il risultato di un effetto dinamico. In altri termini, l’Universo potrebbe essere partito da una condizione perfettamente simmetrica tra materia e antimateria, per poi evolvere verso lo stato attuale. Sarebbe una spiegazione molto soddisfacente, che però richiede l’esistenza di interazioni che non conservano la quantità (protoni-antiprotoni). La conseguenza più diretta di tali interazioni sarebbe l’instabilità del protone, di cui però non esiste, almeno per il momento, alcuna indicazione sperimentale. Il problema è ancora aperto.
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Alejandro Corsani
Classe VB

Materia e Antimateria
Le particelle elementari
Aristotele credeva che tutta la materia contenuta nell’universo fosse composta da quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco.
Su questi elementi agivano due forze: la gravità, ossia la tendenza della terra e dell’acqua a muoversi verso il basso, e la leggerezza, ossia la tendenza dell’aria e del fuoco a muoversi verso l’alto. Questa divisione del contenuto fisico dell’universo in materia e forze viene usata ancor oggi.
Egli pensava che la materia fosse continua, ossia che fosse possibile suddividere indefinitamente un pezzo di materia in particelle sempre più piccole, senza che si giungesse mai ad un granello di materia che non potesse essere suddiviso ulteriormente.
Qualche altro filosofo greco, però, come Democrito, ritenne che la materia fosse intrinsecamente discontinua e che ogni cosa fosse composta da un gran numero di vari tipi diversi di atomi. (In greco, la parola atomo significa “indivisibile”).
Per secoli la discussione continuò senza che venisse addotta alcuna prova reale per nessuna delle due parti; infine, nel 1803 il chimico e fisico britannico John Dalton sottilineò che il fatto che i composti chimici si combinino sempre in certe proporzioni, poteva essere spiegato per mezzo del raggruppamento di atomi a formare unità chiamate molecole. La controversia fra le due scuole di pensiero non fu però definitivamente risolta a favore degli atomisti sino ai primi anni del nostro secolo.
Una delle prove più importanti fu fornita da Einstein. In un articolo scritto nel 1905, alcune settimane prima del famoso articolo sulla relatività speciale, Einstein sottolineò che il cosiddetto moto browniano, - il moto irregolare, casuale, di piccole particelle di polvere sospese in un liquido, - poteva essere spiegato come l’effetto delle collisioni di atomi del liquido con particelle di polvere.
A quell’epoca qualcuno sospettava già che questi atomi non fossero, dopo tutto, indivisibili. Vari anni prima un professore del Trinity College a Cambridge, J.J. Thomson, aveva dimostrato l’esistenza di una particella materiale, detta elettrone, di massa inferiore a un millesimo di quella dell’atomo più leggero.
Thomson usò un dispositivo simile al moderno tubo catodico della televisione: un filamento di metallo portato al calor rosso emetteva elettroni, e poiché questi hanno carica elettrica negativa, si poteva usare un campo elettrico per accelerarli verso uno schermo rivestito di fosforo. Quando essi colpivano lo schermo, si generavano lampi di luce.
Ben presto ci si rese conto che questi elettroni dovevano provenire dagli atomi stessi, e nel 1911 il fisico britannico di origine neozelandese Ernest Rutherford mostrò infine che gli atomi hanno una struttura interna: essi sono composti da un nucleo estremamente piccolo, dotato di carica elettrica positiva, attorno al quale orbitano un certo numero di elettroni: egli dedusse questo fatto dal modo in cui le particelle α, che sono particelle di carica positiva emesse da atomi radioattivi, vengono deflesse quando entrano in collisione con atomi.
Dapprima si pensò che il nucleo dell’atomo fosse composto da elettroni e da un numero diverso di particelle di carica positiva chiamate protoni, da una parola greca che significa “primo”, in quanto si credeva che essa fosse l’unità fondamentale di cui si compone la materia.
Nel 1932, però, un collega di Rutherfort a Cambridge, James Chadwick, scoprì che il nucleo conteneva un’altra particella, chiamata neutrone, che aveva quasi la stessa massa del protone ma che era priva di carica elettrica.
Per questa scoperta, Chadwick ricevette il Premio Nobel.
Fino a una ventina di anni fa circa si pensava che protoni e neutroni fossero particelle “elementari”, ma esperimenti condotti con i grandi acceleratori di particelle, nel corso dei quali furono prodotte collisioni ad alte velocità fra protoni e altri protoni o fra protoni ed elettroni, indicarono che essi sono in realtà composti da altre particelle più piccole.
Queste particelle furono chiamate quark dal fisico del California Institute of Technology (Caltech) Murray Gell-Mann, che nel 1969 vinse il Premio Nobel proprio per la sua ricerca su di essi.
(L’origine del nome si trova in un brano enigmatico di Finnegans Wake di James Joyce: “Three quarks for Muster Mark!”. La parola “quark” dovrebbe essere pronunciata come “quart” (quo:t), con una “k” in fondo invece di una “t”).
Esistono un certo numero di varietà diverse di quark: si pensa che ce ne siano almeno sei “sapori”, che chiamiamo su, giù, strano, incantato, fondo e cima. Ogni sapore può presentare tre diversi “colori”: rosso, verde e blu. (E’ opportuno sottolineare che questi termini non sono altro che etichette di comodo; i quark sono molto più piccoli della lunghezza d’onda della luce visibile e non hanno quindi alcun colore nel senso normale del termine).
Un protone o un neutrone è composto da tre quark, uno di ciascun colore. Un protone contiene due quark su e un quark giù; un neutrone contiene due quark giù e un quark su.
Possiamo creare particelle composte con gli altri quark (strani, incantati, fondo e cima), ma questi hanno una massa maggiore e decadono molto rapidamente in protoni e neutroni.
Oggi sappiamo che né gli atomi né i protoni e i neutroni nel loro nucleo sono indivisibili.
La domanda è quindi: quali sono le particelle veramente elementari, i mattoni fondamentali da cui è composta ogni cosa? Poiché la lunghezza d’onda della luce è molto maggiore delle dimensioni dell’atomo, non è lecito sperare di poter “vedere” le parti di un atomo nel senso comune della parola vedere. Abbiamo bisogno di usare qualcosa di lunghezza d’onda molto minore.
La meccanica quantistica ci dice che tutte le particelle sono in realtà onde e che, quanto maggiore è l’energia di una particella, tanto minore è la lunghezza d’oda dell’onda corrispondente. Così la risposta migliore che possiamo dare alla nostra domanda dipende dal livello dell’energia delle particelle a nostra disposizione, giacché è questa a determinare a quale scala di grandezza possiamo osservare (quanto maggiore è l’energia o la frequenza, tanto minore sarà la scala di grandezza a cui potremo estendere la nostra osservazione). Queste energie delle particelle vengono misurate di solito in unità chiamate elettronvolt. (Negli esperimenti di Thomson con elettroni, abbiamo visto che per accelerare gli elettroni Thomson si servì di un campo elettrico. L’energia che un elettrone riceve da un campo elettrico di un volt è di un elettronvolt).
Nell’Ottocento, quando le uniche energie di particelle che si sapevano usare erano le basse energie di pochi elettronvolt generate da reazioni chimiche, come la combustione, si pensava che gli atomi fossero l’unità più piccola. Nell’esperimento di Rutherford, le particelle α avevano energie di milioni di elettronvolt. Più recentemente abbiamo imparato a usare campi elettromagnetici per impartire alle particelle energie dapprima di milioni e poi di miliardi di elettronvolt.
Così sappiamo che le particelle che vent’anni fa venivano considerate “elementari”, sono composte in realtà da particelle più piccole.
E’ possibile che, passando in futuro a energie ancora maggiori, anche queste possano risultare composte da particelle ancora più piccole?
Una tale evenienza è senza dubbio possibile, ma abbiamo qualche ragione teorica per pensare di possedere oggi – o di essere molto vicini a possedere – una conoscenza dei mattoni ultimi della natura.
Usando la dualità onda-particella è possibile descrivere nei termini di particelle tutto ciò che esiste nell’universo, comprese la luce e la gravità.
Queste particelle hanno una proprietà chiamata spin. Un modo di pensare allo spin consiste nell’immaginare le particelle come piccole trottole che ruotano attorno a un asse.
Quest’immagine può però essere sviante poiché la meccanica quantistica ci dice che le particelle non hanno un asse ben definito. Che cosa ci dice realmente lo spin di una particella è quale aspetto essa abbia vista da direzioni diverse.
Una particella di spin 0 è come un punto: essa appare sempre uguale da qualsiasi direzione la si guardi (fig. a).
Una particella di spin 1 è invece come una freccia: essa ci presenta aspetti diversi se guardata da direzioni diverse (fig. b). La particella riprenderà lo stesso aspetto solo dopo una rivoluzione completa (di 360 gradi).
Una particella di spin 2 è come una freccia con due punte, una a ciascuna estremità (fig. c): essa riprenderà lo stesso aspetto solo dopo aver compiuto una semirivoluzione (180 gradi).
Similmente, particelle di spin maggiore riprenderanno lo stesso aspetto dopo una frazione minore di una rivoluzione completa.
Tutto questo sembra abbastanza semplice, ma il fatto notevole è che ci sono particelle che non tornano ad avere lo stesso aspetto dopo una rivoluzione completa, bensì solo dopo due rivoluzioni complete. Queste particelle si dice che hanno uno spin di ½ (o spin semintero).
Tutte le particelle note nell’universo possono essere suddivise in due gruppi: particelle di spin ½, che compongono tutta la materia nell’universo, e particelle di spin 0, 1 e 2 che danno origine alle forze che si esercitano fra le particelle di materia.
Le particelle di materia obbediscono al cosiddetto principio di esclusione di Pauli.
Questo principio fu scoperto nel 1925 dal fisico austriaco Wolfgang Pauli, che per questa scoperta ricevette il Premio Nobel nel 1945.
Il principio di esclusione di Pauli dice che due particelle simili non possono esistere nello stesso stato, ossia che non possono avere entrambe la stessa posizione e la stessa velocità, entro i limiti dati dal principio di indeterminazione. Il principio di esclusione è cruciale perché spiega per quale motivo le particelle non si contraggono in uno stato di densità elevatissima sotto l’influenza delle forze prodotte dalle particelle di spin 0, 1 e 2: se le particelle di materia hanno una posizione quasi identica, devono avere velocità diverse, cosa che significa che non rimarranno a lungo nella stessa posizione.
Se il mondo fosse stato creato senza il principio di esclusione, i quark non formerebbero protoni e neutroni separati, ben definiti. Né questi, assieme agli elettroni, formerebbero atomi separati, ben definiti.
Tutte queste particelle si contrarrebbero tutte a formare un “brodo” denso, grosso modo uniforme.
Una comprensione adeguata dell’elettrone e di altre particelle di spin ½ non venne fino al 1928, quando una teoria fu proposta da Paul Dirac.
La teoria di Dirac fu la prima del suo genere, in accordo sia con la meccanica quantistica sia con la teoria speciale della relatività.
Essa spiegava matematicamente perché l’elettrone avesse spin ½ , ossia perché esso non riprendesse lo stesso aspetto dopo una rivoluzione completa ma solo dopo due.
Essa prediceva anche che l’elettrone doveva avere un partner, ossia un antielettrone o positrone.
Allo stesso modo il neutrone
La scoperta del positrone, avvenuta nel 1932, confermò la teoria di Dirac e condusse ad assegnargli – in compartecipazione con Schrödinger – il Premio Nobel per la fisica nel 1933.
Oggi sappiamo che ogni particella ha un’antiparticella, nell’incontro con la quale può annichilarsi. (Nel caso delle particelle portatrici di forze, le antiparticelle sono identiche con le particelle stesse).
Potrebbero esistere interi antimondi e antipersone composti da antiparticelle.
Se però incontrassimo il nostro anti-io non dovremmo stringergli la mano! Svaniremmo infatti entrambi in un grande lampo di luce.
Materia e Antimateria
L’antimateria e le sue proprietà sono argomenti affascinanti che ricorrono in tutta la fisica del ventesimo secolo, a partire dal celebre lavoro di Paul Adrien Maurice Dirac in cui, nel 1928, ne fu prevista l’esistenza.
Il mondo nello specchio
Nel libro di Lewis Carol Attraverso lo specchio, le giovane protagonista guarda la sua stanza riflessa in uno specchio. Per Alice, è come se esistesse un’altra stanza, identica a quella in cui si trova, tranne che per la posizione degli oggetti. Opposta a quella del mondo reale. Il primo fatto di cui si stupisce Alice è che le persone presenti nell’altra stanza ripetono esattamente i gesti di chi li osserva. Se poi si scopre che il libro è lo stesso, ma i caratteri con cui è scritto sono disposti al contrario. Queste osservazioni possono apparire poco scientifiche, ma una domanda che pone Alice al suo gatto corrisponde esattamente a quella che formulerebbe uno scienziato “Il latte nello specchio è buono come il nostro?”.
In altre parole, un oggetto che è l’immagine speculare di un oggetto dato funziona alla stessa maniera dell’originale?
Nel caso in questione la risposta è: il latte nello specchio non è buono da bere, perché contiene molecole che il nostro organismo non sarebbe in grado di assimilare perché asimmetriche. Questo però potrebbe essere dovuto ad un fatto puramente “storico”: la vita si è evoluta da forme che utilizzavano solo molecole con una data simmetria (sinistrorse piuttosto che destrorse) , e tutti gli organismi viventi hanno mantenuto questa eredità dalle forme primigenie. La questione è se esiste una differenza fisica assoluta tra le molecole del nostro latte e le stesse molecole riflesse nello specchio
Lo specchio C
Quando si parla di antimateria, è necessario considerare un altro tipo di riflessione, che ha a che fare con i due segni possibili (positivo e negativo) delle cariche elettriche. È facile capire se due cariche hanno segno uguale od opposto, ma quando si cerca di definire in assoluto cosa sia la carica positiva o la carica negativa ci si imbatte in strane contorsioni.
Nell’elettrostatica classica la definizione di segno non ha significato assoluto: l’attribuzione della carica negativa agli elettroni e della carica positiva ai protoni è puramente convenzionale. Possiamo, anzi, introdurre un nuovo tipo di riflessione, analogo a quello che avviene sulla superficie di uno specchio, grazie al quale viene scambiato il segno di tutte le cariche. Chiameremo “Specchio della Parità” lo specchio che inverte le immagini, scambiando al destra con la sinistra, e “specchio della carica” quello che inverte il segno della carica elettrica. Ci si può chiedere se il latte riflesso nello specchio della carica è ancora buono da bere, ovvero se una macchina ottenuta invertendo il segno delle cariche elettriche di tutte le particelle che la costituiscono e il segno di tutti i campi magnetici ed elettrici funzionerebbe come quella di partenza oppure no. Nella fisica classica che studia le interazioni elettromagnetiche e le forze gravitazionali, la risposta è positiva: le due macchine funzionano esattamente nella stessa maniera.
Antimateria
Nella meccanica classica possiamo pensare effettivamente di costruire un oggetto riflesso nello specchio della parità (basta leggere il piano di costruzione guardandolo in uno specchio, come si fa per decifrare la scrittura di Leonardo), ma non è detto che altrettanto si possa fare per lo specchio delle cariche. Sappiamo che nel nostro mondo le cariche negative sono portate dagli elettroni mentre le cariche positive sono portate dai protoni. Nella meccanica classica, tuttavia, non c’è alcuna indicazione che elettroni di carica positiva possano, o debbano, esistere in natura. Possiamo solo dire che se esistessero elettroni con carica positiva e protoni con carica negativa, essi funzionerebbero allo stesso di quelli conosciuti. Nella meccanica quantistica le cose cambiano. Dirac, nella ricerca di una teoria dell’elettrone che armonizzasse i principi della meccanica quantistica e quelli della relatività speciale, scoprì che l’esistenza dell’antimateria era una conseguenza inevitabile. Poiché nell’equazione del bilancio energetico della teoria della relatività l’energia E compare al quadrato, e – come è ben noto – estraendo la radice quadrata da un numero positivo si hanno sempre due soluzioni opposte, segue che trovata una possibile soluzione dell’equazione di Dirac corrispondente a un’energia positiva +E, ne deve esistere necessariamente un’altra con energia negativa –E. Tuttavia, poiché queste soluzioni si riferiscono a transizioni da uno stato iniziale a uno stato finale, le energie ± E non sono energie assolute, sono bensì differenze di energia tra gli strati della transizione. Queste differenze possono ovviamente essere sia positive sia negative, a seconda che nelle transizioni stesse si tolga o si aggiunga energia al sistema.
Oltre all’energia, nella transizione varia anche la carica elettrica Q, e tale variazione è la stessa per entrambe le soluzioni corrispondenti alle energie ± E. Supponiamo che tale variazione sia positiva (sia cioè +e, indicando con –e il valore, tradizionalmente negativo, della carica dell’elettrone). La soluzione con energia –E implica che l’energia diminuisce (Ef = Ei – E), cioè abbiamo rimosso dal sistema una particella di energia E; la carica è aumentata di e (Qf = Qi + e), cioè la particella rimossa ha carica –e: è stato quindi rimosso un elettrone dallo stato iniziale. La soluzione con energia +E corrisponde ad un aumento dell’energia (Ef = Ei + E), cioè abbiamo aggiunto al sistema una particella di carica E; poiché la carica è ancora aumentata di e (Qf = Qi + e), la particella aggiunta deve avere una carica positiva, +e, e quindi non può essere l’elettrone che ha carica negativa: è stato creato un elettrone positivo, il positrone.
Detto in altri termini l’oggetto matematico delle equazioni di Dirac descrive la distruzione di un elettrone ma anche la creazione di un nuovo tipo di particella, che deve avere carica opposta a quella dell’elettrone. La presenza simultanea delle due soluzioni, richiesta dalla teoria della relatività, implica l’esistenza di particelle con le stesse proprietà meccaniche degli elettroni, ma con una carica elettrica positiva, i positroni, le antiparticelle dei più familiari elettroni.
Quando Dirac formulò la sua equazione, il positrone non era ancora conosciuto; fu scoperto infatti nel 1932 da C. D. Anderson tra le particelle prodotte dai raggi cosmici, e da allora è diventato un oggetto molto familiare ai fisici. L’antiprotone, l’antiparticella del protone è stata invece osservata soltanto negli anni Cinquanta da Emilio Segrè e dai suoi collaboratori, e oggi si dà per scontato che ogni particella di materia abbia la sua antiparticella. Un aspetto tipico dell’antimateria è che, portata a contatto con la materia, essa si annichila: avviene cioè una reazione in cui l’energia di riposo di ciascuna coppia particella-antiparticella si libera in forme diverse, in gran parte radiazione elettromagnetica e neutrini.
Classificazione delle particelle
E’ essenziale, ai fini di “mettere ordine” nella popolosa famiglia di nuove particelle “elementari” scoperte in parecchi decenni di esperimenti di collisione ad energie sempre più elevate, stabilire uno o più criteri di raggruppamento. Lo scopo di questa organizzazione rimane quello di trovare, al di là delle piacevoli simmetrie e regolarità nelle proprietà fisiche, anche una prevedibilità sistematica, una o più leggi sufficientemente generali da consentire l’accesso ad una descrizione fondata su meccanismi ben compresi e motivati. Una possibilità, già accennata nel paragrafo precedente, è quella di iniziare a raggruppare particelle soggette allo stesso tipo di interazione. Si può preseguire adottando come criterio di ordinamento più quantitativo la massa (a riposo) delle particelle rivelate. Sebbene questo schema sia di utilità molto limitata, comunque datata, esso ha permesso una prima classificazione delle particelle “nuove” in tre famiglie, denominate leptoni (particelle di massa piccola), mesoni (di massa intermedia) e barioni (di massa elevata). Oggi si conoscono leptoni più massivi di certi barioni. Ciononostante, la suddivisione in base alle masse è un tipo di “spettroscopia” di significato notevole, se non altro in quanto si osserva che le particelle di tipo leptonico non subiscono l’azione della forza forte, mentre i mesoni ed i barioni sono soggetti all’interazione nucleare. E’ anche possibile raggruppare le particelle in base al loro valore di spin. Anche in questo caso si scopre che il raggruppamento in base alle masse è più generale di quanto non possa sembrare: tutti i leptoni hanno spin ½ (come gli elettroni). I mesoni hanno spin intero (0,1,2,…) mentre i barioni hanno spin semiintero (1/2, 3/2, 5/2, …). Un ulteriore aspetto di rilevanza nel tentativo di raggruppare secondo schemi generali le particelle fondamentali riguarda la presenza di due “forme” per ciascuna particella: esiste la particella ed un partner con valore di carica (e di un’altra proprietà) opposta, mentre le altre grandezze che la caratterizzano (massa, vita media, spin, ecc.) sono esattamente eguali. Si dice anche che per ogni particella c’è la corrispondente antiparticella ovvero che ad ogni forma di materia è associata – nel mondo subatomico – una forma di antimateria. La prima evidenza sperimentale di antimateria è la scoperta dell’antielettrone, detto positrone, predetto da Dirac come conseguenza dell’estensione dell’equazione di Schroedinger nel regime ultrarelativistico ed osservato da Anderson nel 1932. Esso ha carica pari a +e e massa pari a 511 keV, come quella dell’elettrone. Nel 1956 viene scoperto l’antiprotone, con carica pari a −e e massa di 938 MeV, come quella del protone. Le antiparticelle di particelle stabili sono anch’esse stabili (lo sono dunque il protone ed il positrone). La prossimità fra una particella ed il suo partner di antimateria conduce invece al fenomeno della annichilazione, per il quale le due particelle scompaiono lasciando energia e momento conservati: un elettrone ed un positrone si annichilano generando 2 fotoni gamma ciascuno con energia di 511 keV (che i fotoni siano due è richiesto dalla conservazione della quantità di moto: un fotone singolo ha momento dato da mc2/c=mc mentre il momento iniziale del sistema nel centro di massa è nullo; ci vogliono dunque 2 fotoni con eguali ed opposte quantità di moto). Ai fini della distinzione fra materia ed antimateria, possiamo assumere che la materia ordinaria (atomi, cioè nuclei ed elettroni)
sia composta da particelle. Il protone è la particella, l’antiprotone è antimateria. Questo criterio, apparentemente banale, permette in molti casi di assegnare con certezza la natura di tipo materia o antimateria ad un dato costituente. Ad esempio, il decadimento di un neutrone in protone, elettrone e neutrino è proibito da determinate leggi di conservazione, per cui sappiamo che il prodotto di decadimento deve essere in realtà un antineutrino. In altri casi però non è né possibile né utile stabilire se la particella in esame sia materia o antimateria. E’ questo il caso della terna di pioni, π±, π0, nella quale il pione neutro è antiparticella di sé stesso (come peraltro il fotone) ed i pioni carichi sono antiparticelle uno dell’altro, senza potere stabilire se sia particella il pione positivo o quello negativo. Nella tabella sopra è riportato il raggruppamento delle famiglie di particelle assieme alle interazioni che le riguardano ed allo spin. Viene anche riportata la natura delle particelle in una data famiglia: si osservi che i leptoni e le particelle mediatrici di scambio hanno natura veramente fondamentale, ossia sono considerate particelle indivisibili, elementari. I mesoni ed i barioni sono invece particelle composte (da quark, secondo il modello che porta questo nome e che verrà illustrato a grandi linee più avanti). I leptoni interagiscono unicamente via interazione elettrodebole (debole ed elettromagnetica) e sono tutti con spin pari ad ½ (unità ħ). La tabella di seguito riporta i leptoni che si crede siano tutti quelli esistenti nel nostro universo. Si tratta di 6 particelle (e di 6 partner di antimateria) suddivisi in tre coppie contenenti ciascuna una particella carica (elettrone, muone, leptone tau) ed un neutrino (di tipo elettronico, muonico e tau). Per quanto riguarda la famiglia dei mesoni, questi sono particelle non
elementari, caratterizzate da spin intero, e soggette principalmente all’azione della forza nucleare. Si possono anche avere reazioni nelle quali i mesoni decadono in altri mesoni o in leptoni via interazioni forti o elettrodeboli. Ad esempio, a partire dalla reazione nucleare di produzione mesonica p+n→p+n+πo, il pione decade in 8.4×10−17 sec in due fotoni gamma. Questo decadimento è regolato dall’interazione elettromagnetica, come indicato dalla presenza dei fotoni. Come già accennato sopra, siccome i mesoni non sono costituenti della materia ordinaria dell’universo di oggi, la loro suddivisione in particelle/antiparticelle è arbitraria e spesso inutile. Certi mesoni neutri sono antiparticelle di sé stessi, altri (come il kaone) sono distinti anche se sono particelle neutre. La tabella riporta un numero limitato di mesoni (fra le decine di osservati sperimentalmente) assieme alle loro caratteristiche più rilevanti, come già fatto per i leptoni. E’ infine possibile costruire una tabella (parziale) anche per i barioni. Il loro spin è semiintero, hanno partner di antimateria distinti come i mesoni e possono essere prodotti da reazioni fra nucleoni tramite interazione forte, come nella p+p→p+Λ0+K+, nella quale la Λ0 decade per interazione debole secondo la Λ0→p+π− in circa 2.6×10−10 sec, come indicato dal tempo medio di reazione. Altri aspetti quantitativi delle reazioni fra particelle subnucleari ed ancora essenziali alla costruzione di uno schema di classificazione generale dovranno tenere conto di leggi di conservazione di nuovo tipo, oltre alle ben note e sempre valide leggi di conservazione meccanica di energia, momento e momento angolare.
La violazione della parità
L’esistenza dell’antimateria ci permette di porre in concreto le domande relative agli specchi della parità e della carica. Possiamo infatti immaginare non solo oggetti costituiti da antimateria: l’antiidrogeno, l’antilatte, l’antigatto, … una volta stabilita l’esistenza di due tipi di simmetrie – una riflessione nello specchio e la coniugazione di carica – si tratta di scoprire se queste simmetrie funzionano. Fine al 1956, ogni fisico avrebbe risposto affermativamente. Si dice che, quando Hermann Weyl presento a Wolfgang Pauli la sua equazione relativistica per il neutrino, Pauli abbia osservato di getto che essa non poteva essere corretta in quanto non rispettava la simmetria per riflessione, pronunciando la celebre frase “Dio non è mancino”.
Negli anni Cinquanta, tuttavia, i fisici teorici T. D. Lee e C. N. Yang, messi sulla strada da alcuni risultati anomali relativi al decadimento dei mesoni K, analizzarono i dati allora disponibili nella fisica atomica e nucleare. La conclusione, sorprendente, fu che, mentre i dati indicano che le forze elettromagnetiche e le forze nucleari rispettano esattamente le simmetrie per riflessione e per coniugazione di carica, non c’è evidenza che lo stesso accadesse nei decadimenti β nucleari. Anzi, per spiegare i risultati anomali dei mesoni K, la simmetria per riflessione avrebbe dovuto essere violata. La proposta di Lee e Yang fu confermata quasi immediatamente con esperimenti di grande eleganza e precisione: la simmetria per riflessione non è universalmente valida.
Come gran parte delle particelle subatomiche, il neutrino possiede un grado di libertà interno, chiamato spin, rappresentabile con una rotazione. Lo spin può girare in una maniera destrorsa o in maniera sinistrorsa; si hanno così due stati della particella, uno speculare all’altro. Lo stato destrorso è proprio quello che otterrebbe guardando lo stato sinistrorso in uno specchio con la superficie parallela alla direzione del moto del neutrino stesso; poiché la stessa cosa vale anche per l’antineutrino, in totale si hanno quattro stati possibili. Gli esperimenti hanno invece dimostrato in modo inequivocabile che le particelle emesse nei decadimenti osservati sono l’antineutrino destrorso (nel decadimento β-: per esempio nel decadimento del neutrone) oppure il neutrino sinistrorso (nel decadimento β+, il decadimento di alcuni radioisotopi artificiali: per esempio quello del carbonio 11); gli altro due stati non sono mai stato osservati in natura. La violazione della simmetria è la più estrema possibile: l’immagine speculare di un neutrino sinistrorso semplicemente non esiste in natura. Weyl aveva ragione e pauli torto: Dio è mancino!
La simmetria CP
La fig. 1 è in realtà simmetria sotto l’azione combinata di P (parità) e C (coniugazione di carica). In altre parole, se volete essere sicuri che riflettendo nello specchio un oggetto che esiste troverete un altro oggetto che esiste, dovete anche cambiare tutte le particelle in antiparticelle. Questa situazione è l’invarianza per CP.
Questa simmetria è rispettata in tutti i processi fisici? A tal proposito c’è una bella storia raccontata da Richard Feynman in una delle sue lezioni di fisica. Supponete di essere entrati in un contatto radio con un extraterrestre e di volergli spiegare cosa sono la destra e la sinistra: inevitabilmente finireste per parlare del neutrino. Se l’extraterrestre è fatto di materia, la vostra definizione di neutrino coincide con la sua e le sue definizioni di destra e sinistra coincideranno quindi con le vostre. Se invece è fatto di antimateria, la situazione sarà invertita: quando parlate di neutrino, lui penserà all’antineutrino, e quella che voi chiamate destra sarà la sua sinistra, e viceversa. Feynman conclude con un avvertimento: se doveste effettivamente incontrare un extraterrestre che, invece di porgervi la destra come gli avete debitamente insegnato, vi porgesse la sinistra, tagliate la corda prima che avvenga l’annichilazione degli atomi del vostro corpo con gli antiatomi del suo.
La violazione di CP
Questa descrizione della simmetria fra materia e antimateria è molto elegante, ma la fisica è una scienza naturale e quindi si deve rimettere ai risultati degli esperimenti, i quali dicono che neanche la simmetria ridotta è una buona simmetria. In effetti, nel 1964, J. Cronin, V. Fitch e R. Turlay scoprirono che un mesone neutro, il mesone KL, decade in uno stato dispari per CP ma anche in uno stato pari per CP. In altre parole, decade in uno stato che non ha una proprietà definito per CP, che quindi non può essere una simmetria esatta. Un modo ancora più evidente per comprendere la violazione della simmetria CP è quello di far riferimento ad un risultato ottenuto qualche tempo dopo. Il mesone KL talvolta decade in modo simile al decadimento β, emettendo cioè un positrone (assieme ad altre antiparticelle) oppure un elettrone (assieme ad altre particelle). Se si misura la differenze fra la probabilità di disintegrazione in un positrone e la possibilità di disintegrazione in un elettrone, si trova un risultato diverso da zero. In termini quantitativi, se si producono 1000 mesoni KL e si contano quanti di essi decadono emettendo un positrone e quanti emettendo un elettrone, tra i due tipi di decadimento si riscontrerà una differenza del tre per mille circa.
Questa asimmetria di carica del KL è un risultato assolutamente straordinario perché costituisce completamente la pelle di gatto, il vetro e l’ebanite: permette infatti dare una definizione assoluta del segno della carica elettrica. La carica elettrica positiva è quella della particella (il positrone) che viene emessa preferenzialmente nel decadimento del KL. Di conseguenza, possiamo anche dare una definizione assoluta di destra e sinistra. Nel caso di un contratto con un extraterrestre, sarà quindi possibile insegnargli esattamente qual è la nostra carica positiva e qual è la nostra destra.
Due aspetti sono da sottolineare. Il primo è che questa asimmetria è molto piccola, ed è curioso che una simmetria così fondamentale, come a riflessione fra materia e antimateria, sia violata solo al tre per mille. La seconda considerazione è che si potrebbe pensare a una completa assenza di simmetria fra materia e antimateria, ma questo non sarebbe corretto. Se si introduce una terza possibile riflessione, chiamata inversione del segno del tempo, si può dimostrare u teorema secondo il quale il prodotto della simmetria materia-antimateria (CP) e dell’inversione temporale (T) rappresenta una simmetria in ogni possibile teoria che metta insieme i principi della meccanica quantistica e della relatività speciale. Questa simmetria più ridotta (CPT) garantisce l’uguaglianza della massa delle particelle e delle corrispettive antiparticelle, e non si conoscono esempi di una sua violazione.
Il problema della materia e dell’antimateria interessa ovviamente anche i cosmologi. L’ipotesi più semplice che possiamo fare è che l’Universo sia costituito da isole di materia e isole di antimateria, così da essere sostanzialmente simmetrico su gran scala. Tuttavia occorre tenere conto del fatto che ammassi di galassie (le strutture più grandi dell’universo) non sono completamente isolati l’uno dall’altro, ma sono connessi in modo tenue attraverso regioni di frontiera formate da nubi di gas e polvere intergalattica. Se esistessero davvero delle isole di antimateria, in queste regioni di frontiera si verificherebbero le violentissime annichilazioni dovute al contatto tra nuclei e antinuclei, con emissione di raggi γ. Poiché questi raggi γ non si osservano, si deduce che l’Universo deve essere costituito di sola materia, un fatto alquanto sorprendente. Nella radiazione cosmica di fondo, attualmente il rapporto tra numero di protoni e numero di protoni vale ca. 10-8-10-9 (cioè i fotoni sono circa un miliardo di volte in più dei protoni). Poiché all’origine l’Universo era molto più caldo, e non era costituito da soli protoni, ma da coppie protone-antiprotone, è chiaro che il rapporto attuale tra il numero di protoni e il numero di fotoni fornisce anche l’ordine di grandezza dell’asimmetria.
(protone-antiprotone)/(protone + antiprotone), cioè dell’asimmetria fra materia ed antimateria nel nostro Universo. Se il numero di protoni e d’antiprotoni si conservasse nel tempo, potremmo ipotizzare che questa piccola asimmetria sia congenita all’Universo. È un po’ come se il Creatore, all’inizio, avesse voluto introdurre nella sua opera una piccola imperfezione.
Esiste però un’altra possibilità, proposta negli anni sessanta da Andrej Sacharov, il quale ha osservato che 1) se le leggi fisiche violassero la simmetria materia-antimateria (così come in realtà avviene) 2) se la quantità (protoni-antiprotoni) non si conservasse e 3) se l’Universo avesse attraversato delle fasi di non equilibrio, allora l’asimmetria che osserviamo oggi potrebbe essere il risultato di un effetto dinamico. In altri termini, l’Universo potrebbe essere partito da una condizione perfettamente simmetrica tra materia e antimateria, per poi evolvere verso lo stato attuale. Sarebbe una spiegazione molto soddisfacente, che però richiede l’esistenza di interazioni che non conservano la quantità (protoni-antiprotoni). La conseguenza più diretta di tali interazioni sarebbe l’instabilità del protone, di cui però non esiste, almeno per il momento, alcuna indicazione sperimentale. Il problema è ancora aperto.
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Alejandro Corsani
Classe VB

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