Materie: | Appunti |
Categoria: | Fisica |
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Data: | 27.01.2006 |
Numero di pagine: | 33 |
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Leonardo da Vinci: pittore, architetto, scultore, scrittore, teorico dell'arte, scienziato e ingegnere italiano (Vinci, Firenze, 1452 - castello di Cloux [od. Clos-Lucé] presso Amboise, Indre e Loira, 1519). Creatore di una pittura nuova che concluse la rivoluzione di Masaccio dell'inizio del secolo, ricercatore in ogni campo allora possibile della natura e della scienza, prosatore originalissimo, Leonardo è un genio universale, quale soltanto la civiltà del Rinascimento italiano poteva esprimere. Figlio naturale di ser Piero, notaio, e di Caterina «donna di buon sangue» poi moglie di Acattabriga di Piero del Vacca, crebbe e fu educato in Vinci, nella casa del nonno paterno ove era nato, sino al sedicesimo anno di età, per passare poi, con la famiglia, a Firenze ove nel 1469 circa entrò nella bottega di Andrea del Verrocchio, che frequentò come discepolo e collaboratore per circa otto anni. Ma già nel 1472 era iscritto nella Compagnia dei pittori. Dal 1476 sino al 1482, anno della partenza per Milano, visse indipendente a Firenze: di questo primo decennio, oltre un disegno di paesaggio datato 1473, sono l'angelo e il paesaggio nel Battesimo del Verrocchio (Firenze, Uffizi), le due Annunciazioni (Firenze, Uffizi e Parigi, Louvre), il Ritratto di giovane donna, già Dama Liechtenstein (Washington, National Gallery), le Madonne Dreyfus (Washington, National Gallery), Benois(Leningrado, Ermitage) e dei Fiori (Monaco, Alte Pinakothek), il San Girolamo incompiuto della Vaticana e l'Adorazione dei Magi lasciata allo stato di abbozzo (Firenze, Uffizi). L'occasione o le ragioni per le quali l'artista trentenne lasciò Firenze per la Milano di Ludovico Sforza non sono del tutto note e chiare, ma l'uomo Leonardo con le sue virtù e le sue contraddizioni acquistò corpo e realtà nella capitale lombarda ove rimase sino al 1499, alla caduta del Moro. La Vergine delle rocce(Parigi, Louvre), una statua equestre a Francesco Sforza che non fu mai fusa, Il Cenacolo sono le tre opere che riempiono i documenti e le cronache di quest'epoca milanese di Leonardo, ma non la sua attività giacché, oltre la sala delle Asse nel Castello Sforzesco, documentata, Leonardo avrebbe dipinto la Dama dell'ermellino (Cracovia, Museo Czartoryski), creduto ritratto di Cecilia Gallerani, la Belle Ferronnière (Parigi, Louvre), il Ritratto di donna e il Musicista (Milano, Ambrosiana). Il modello del tiburio del duomo di Milano (1487-1490), gli apparati per le feste sforzesche del 1489 e 1491, lavori di idraulica e di bonifica (1494), progetti architettonici vari completano l'attività pratica, e almeno dal 1489 datano gli appunti e i disegni di quella enciclopedica attività teorica che durò tutta la vita. Alla caduta del ducato (Leonardo aveva quarantasette anni e una fama grandissima) seguirono le peregrinazioni da Milano a Vaprio; a Mantova, dove disegnò un ritratto di Isabella d'Este, a Venezia. Nel 1501 fu a Firenze ospite dei serviti, nel 1502 in Romagna e Umbria, architetto e ingegnere di Cesare Borgia, nel 1503 di nuovo a Firenze ove iniziò La Gioconda (Parigi, Louvre) e ricevette la commissione di dipingere su una parete del salone dei Cinquecento nel palazzo della Signoria un episodio della storia fiorentina, la Battaglia di Anghiari. Chiamato da Luigi XII re di Francia, nel 1506 tornò a Milano consigliere del luogotenente Carlo d'Amboise, progettista di una nuova statua equestre a Giangiacomo Trivulzio, di un palazzo per il governatore, della chiesetta di Santa Maria della Fontana, ma soprattutto immerso in speculazioni scientifiche, studi biologici e fisici, ricerche anatomiche, idrologiche, geofisiche e matematiche. Tali studi egli proseguì a Roma ove, protetto dal cardinale Giuliano de' Medici, si trasferì ormai sessantenne. È di questo tempo l'enigmatico San Giovanni Battista (Parigi, Louvre). E infine, ultimo traguardo, nel 1517 lasciò Roma per la Francia su invito di Francesco I, che ne apprezzava l'alto talento, e ivi, progettando un castello che non fu realizzato, organizzando feste principesche, riordinando la moltitudine dei suoi studi, creando i disegni della Fine del mondo (castello di Windsor), trascorse gli ultimi anni. Morì a Cloux il 2 maggio 1519 nel castelletto messo a sua disposizione dal re, e fu sepolto a Saint- Florentin in Amboise. Le sue ceneri vennero disperse nei disordini delle guerre ugonotte, mentre la chiesa e la tomba furono distrutte nel 1789, all'epoca della Rivoluzione. (Un cenotafio di Leonardo si conserva però nella cappella di Sant'Uberto del castello di Amboise.) Questo il sommario percorso di una vita eccezionale, intensissima, di una prodigiosa attività, della quale ci rimangono pochi dipinti e una massa di scritti e disegni per un complesso di circa tremilacinquecento fogli, residuo di studi e quaderni smembrati sparsi nei musei di tutto il mondo, ai quali si sono aggiunti dal 1967 i due volumi (seicento fogli) scoperti nella Biblioteca reale di Madrid e dei quali si è iniziato lo studio.
Dei non numerosi dipinti solo il San Girolamo e l'Adorazione dei Magi del primo periodo fiorentino, ambedue incompiuti, Il Cenacolo, del quale sono rimasti miracolosamente salvi lo scheletro compositivo e, con i colori originali, appena qualche brano, del periodo milanese, infine La Gioconda, sostanzialmente intatta, non hanno mai dato luogo a dispareri. Fra le opere giovanili attribuite quasi senza incertezze sono la Madonna Dreyfus e il Ritratto di giovane donna già Dama Liechtenstein(Washington, National Gallery), dalle stupende trasparenze del colore, la Madonna Benois (Leningrado, Ermitage) e quella cosiddetta dei Fiori (Monaco, Alte Pinakothek), l'Annunciazione degli Uffizi, dalla delicata grazia idillica, e quella del Louvre. Le progressive conquiste della pittura leonardesca sono comunque riconoscibili seguendo alcune tappe fondamentali. Dopo la personalissima creazione dell'incompiuto San Girolamo penitente, un sicuro punto d'arrivo è rappresentato dall'Adorazione dei Magi, dove intorno alla Madonna si dispone una folla gesticolante su uno sfondo di porticati e scalee, creando, in un gioco di luci e di ombre, un ritmo compositivo che viene a dare un significato nuovo alla leggenda evangelica. In un'autentica atmosfera di visione, nella quale le forme emergono dalla luce crepuscolare della grotta, sono invece collocate le figure della Vergine delle rocce, che, di due anni appena posteriore all'Adorazione dei Magi, dimostra quanto debba lo sfumato leonardesco alla luce argentea e velata dei paesaggi lombardi, ma al tempo stesso rivela la facoltà tutta personale dell'artista di immergere nella luce e nell'ombra gli oggetti, facendone quasi immagini di trasparenza irreale. Al paragone di questo capolavoro, del quale una variante più tarda è nella National Gallery di Londra, le opere presumibilmente composte nello stesso periodo, ma non tutte concordemente attribuite a Leonardo (la Madonna Litta [Leningrado, Ermitage], la Dama dell'ermellino, la Belle Ferronnière, il Musicista e il Ritratto di donna dell'Ambrosiana), rappresentano esperienze minori e meno significative. Ma negli anni milanesi la pittura leonardesca toccò la vetta più alta nel Cenacolo di Santa Maria delle Grazie, con la sua chiara struttura spaziale, dentro la quale il ritmo dei gesti trascorrenti dall'una all'altra figura lega tra loro i personaggi e gli oggetti in una composizione armonica che non ha precedenti nella storia della pittura. Per questo Il Cenacolo, nonostante la sua tragica rovina, resta il supremo esemplare dell'arte classica, la più perfetta composizione del Rinascimento. Sorte peggiore che al Cenacolo toccò all'opera di maggiore impegno del secondo soggiorno fiorentino: la Battaglia di Anghiari. Il dipinto fu danneggiato da un artificioso processo di essiccamento e poi distrutto, e del cartone perduto, accanto a una congerie di piccoli disegni preliminari, non ci restano che alcune copie famose del gruppo centrale di cavalieri combattenti intorno all'asta di una bandiera. Quanto basta tuttavia per comprendere come l'artista avesse concepito il vasto quadro storico, componendo in una forma chiusa e raccolta e fissando in una tensione serrata la furibonda dinamica dei combattenti. Accanto a questo capolavoro così difficilmente ricostruibile, vicine nel tempo ma espressione di una diversa concezione della realtà si collocano le due grandi tavole del secondo soggiorno fiorentino conservate al Louvre: Sant'Anna e La Gioconda. La calma composta, la serenità raccolta delle figure danno in queste opere l'idea di un ordine al quale sono sconosciute le tempeste delle passioni, anche se al di là di quella calma l'artista lascia indovinare una misteriosa e difficilmente definibile tensione psicologica. Dopo il secondo periodo fiorentino sempre più di rado Leonardo riprese il pennello, e piuttosto che il San Giovanni Battista e il Bacco(Parigi, Louvre) preferiamo ricordare le già menzionate visioni della Fine del mondo (castello di Windsor, Biblioteca reale), disegnate indipendentemente da ogni iconografia tradizionale del tema biblico del diluvio.
Sebbene il catalogo dell'artista sia costituito da pochi esempi e per giunta incompleti o assai mal ridotti, le opere di Leonardo ebbero immediatamente (e mantennero nei secoli) una fama enorme, indice di una rivoluzione non meno radicale di quelle di Giotto e di Masaccio. E questa rivoluzione fu tanto profonda perché, pur non rinnegando l'idea della posizione privilegiata dell'uomo nella natura, l'artista mirava a un dominio più alto di tutta la realtà nella quale l'uomo vive. La forma, sentita nel Quattrocento toscano quale elemento dello spazio e creata col segno e col volume, subì con Leonardo una totale modificazione. Al volume, al tono plastico è sostituito un tono nettamente pittorico, alla figura che si rileva sullo spazio di cui fa parte è sostituita una figura che vibra nel solo spazio ed è intessuta con gli stessi lumi che vibrano nell'atmosfera del quadro. Alla luce e all'ombra che si posano e modellano il volume come elementi necessari alla percezione ma indipendenti, si sostituiscono una luce e un'ombra che creano il volume e talora, come nella Madonna dell'Adorazione dei Magi, ne irradiano. Già le due Annunciazioni giovanili non sono insigni soltanto perché con spirito rinnovatore Leonardo le portò all'aperto, a contatto diretto di una favolosa natura, ma perché con la fluidità delle tinte e il vibrare dei contorni atmosferici creò due scene in cui la rievocazione fantastica si fonde con una inedita espressione di intima umanità. La luce disgrega le forme della tradizione e crea un nuovo mezzo costruttivo, l'ombra. E con l'ombra il moto, non solo il moto apparente ma il moto occulto, quello che sta per esprimersi ma non è ancora espresso. Così quello spazio che Piero della Francesca, Andrea del Verrocchio e il Pollaiolo scandivano di innumeri piani cristallini, crea nella sua pittura la realtà magica e fluente nella quale vivono i suoi paesaggi. Non sarebbero bastati il semicerchio della folla emergente attorno alla Madonna dell'Adorazione o la grotta umida della Vergine delle rocce o il groppo di cavalli della Battaglia o la scarnita testa del San Girolamo, pur creazioni nuovissime e sconvolgenti, a fare il genio di Leonardo senza questa nuova visione della natura che, attraverso mezzi che nessuno seppe riprendere, ci ha dato una delle più alte espressioni poetiche della pittura di tutti i tempi.
Non diversamente che in altri grandi artisti del suo tempo, in Leonardo la pratica della pittura presuppone un'appassionata e infaticabile ricerca scientifica. Ma quello che fa di lui un genio ineguagliato è la sua drammatica concezione della realtà. Leonardo non strumentalizzò la ricerca scientifica ai fini della rappresentazione pittorica, ma si tormentò per scoprire l'accordo segreto che serra tra loro gli aspetti visibili della natura e la vita segreta che sta celata dietro i fenomeni e ne costituisce la vera essenza. Lo sfumato leonardesco, il gioco delle ombre e delle luci, l'atmosfera di sogno dalla quale le figure sembrano emergere, nonostante la minuziosa precisione dei particolari hanno la loro ragione di essere nel sentire il mondo delle forme legato a una misteriosa energia spirituale. Così nella pittura leonardesca non giungevano soltanto a un più alto grado di maturità le varie e ardite esperienze degli artisti del Quattrocento, ma trovavano una risposta le opposte concezioni dello spiritualismo e del naturalismo rinascimentali. Non meno dei pensieri disseminati nei taccuini, l'imponente serie di disegni sta a testimoniare l'inesauribile ricerca del pensatore e dell'artista, e non solo i disegni che servirono di preparazione diretta alle opere pittoriche, ma i moltissimi che Leonardo ci ha lasciati, nei quali con spontaneità impressionante e con minuzia di segno sottilissima egli veniva annotando, come la parola non avrebbe saputo fare, le sue osservazioni di meccanica, i suoi studi di anatomia, le varie impressioni che una figura o un luogo suscitavano nella sua mente di osservatore acutissimo.
• Sull'attività di Leonardo scultore si sono fatte lunghe indagini e scritti saggi e volumi senza uscire dal campo delle supposizioni, talché prive di qualsiasi fondamento storico o critico sono da considerarsi le tentate attribuzioni di piccole opere in marmo, in terracotta, in bronzo. Pure Leonardo stesso e altre fonti ci attestano della sua capacità nello scolpire, nel modellare e nel fondere, acquisita e usata sin dall'inizio dell'apprendistato presso il Verrocchio. E può essere legittimo pensare a una collaborazione leonardesca ai numerosi lavori scultorei di Andrea, ma si è pur sempre nel vago delle ipotesi. Resta la documentazione sul grande cavallo per il monumento a Francesco Sforza, rimodellato più volte dal 1483 al 1498 sino a giungere a quell'enorme matrice in creta di sette metri di altezza, pronta per la fusione, che forse venne ammirata alle nozze di Bianca Maria Sforza con l'imperatore Massimiliano I nel 1493, e che fu distrutta dalla soldataglia francese alla caduta del ducato, nel 1499. A essa si ricollegano una lunga serie di disegni e gli accaniti studi sull'anatomia del cavallo. Il secondo monumento equestre, quello commissionatogli dal Trivulzio per la sua tomba, non andò probabilmente oltre i progetti grafici e i minutissimi studi per la fusione. In tali condizioni possiamo ben dire che conosciamo meglio Leonardo architetto che non Leonardo scultore, anche se nulla di suo in pietra e mattoni è rimasto, e nulla forse fu costruito direttamente, esplicando egli la sua attività di ingegnere ducale come consulente e non come costruttore. Ma i taccuini e i fogli sparsi della sua attività grafica sono così pieni di schizzi, piante, progetti di edifici sacri e profani, di fortificazioni, di sistemazioni urbanistiche, di studi su prototipi architettonici e sulla tecnica delle costruzioni, e tali schizzi sono talmente nuovi, rivoluzionari, avveniristici, da documentarci un architetto in potenza tale da superare lo stesso Bramante, presente con lui alla corte di Ludovico il Moro. Tra i suoi disegni vi sono quelli di templi a pianta centrale con ritmi di spazi e giochi di volte da competere con Santa Sofia di Costantinopoli, di fortezze seminterrate, con salienti, rivellini, cinte bastionate studiate per resistere alle artiglierie, di perfezione e complessità che non furono raggiunte dai teorici e architetti italiani del Cinquecento né dai fin troppo celebrati ingegneri francesi del Seicento. Vi sono disegni urbanistici con strade e svincoli su diversi piani che potrebbero essere ideati dai più preparati architetti moderni. Di fronte a questa documentazione diventano trascurabili i lavori cui Leonardo mise o poté mettere mano, come il progetto del tiburio del duomo di Milano, la consulenza per il duomo di Pavia, i progetti di palazzi per il governatore francese di Milano e per la regina madre di Francia, le consulenze per le fortezze del Milanese o per quelle del duca Valentino. Da un avveduto riordinamento di fogli arbitrariamente dispersi tra i vari codici, e dal commento che forniscono numerosi appunti, si profila piuttosto il proposito, realizzato in parte, di un grande trattato di architettura che voleva unificare le sparse cognizioni dell'epoca in una sola dottrina della forma e della costruzione dell'arte e della tecnica. In una prima parte avrebbe trovato luogo la teoria dei tipi e delle forme architettoniche, aiutata da quei disegni che fissano sistematicamente e per la prima volta i modi della grafica architettonica in piano e in prospettiva sino alla sezione prospettica degli interni; la seconda parte avrebbe riguardato la tecnica e la scienza costruttiva, ivi compresi gli studi sulla dottrina dell'arco e quelli sulla causa della rovina degli edifici.
Ma l'opera più nota di Leonardo artista scienziato è il Trattato della pittura, che tuttavia anche nella redazione più completa, quella del Codice urbinate vaticano 1270, geniale mosaico di pensieri autografi, è una devota compilazione di Francesco Melzi dai manoscritti ereditati dal maestro, alla quale non solo mancano i disegni con cui Leonardo aveva accompagnato il testo, ma che presenta lacune e scelte arbitrarie. Capolavoro comunque di sparsa dottrina, oltre che di lingua e di stile, il Trattato della pittura era stato concepito in due parti, la prima teorica con l'insegnamento delle proporzioni e della prospettiva lineare ed aerea e la funzione in essa del colore e la teoria delle luci e delle ombre e una teoria completa dei colori; la seconda pratica con le tecniche del disegno e del colore, con lo studio della figura umana in stasi e in moto, con il modo di rendere espressioni e sentimenti, con l'anatomia umana e animale, con le regole della composizione, per chiudere con quello studio della natura che Leonardo affrontò nella teoria per il primo: monti e valli, nuvole e atmosfera, acque e piante, strutture geologiche e forme e forze del cosmo.
• È soltanto un'esigenza di chiarezza espositiva che obbliga a trattare separatamente dell'attività di Leonardo tecnico e scienziato, sebbene in lui gli infiniti interessi fossero profondamente compenetrati. La sua preparazione scientifica non fu né regolare né approfondita. Conobbe la geometria di Euclide e di Al Hazin e l'opera di Archimede, ma non studiò mai l'aristotelismo; dalle stesse lacune della sua cultura Leonardo fu portato tuttavia ad approfondire l'istinto di acutissimo osservatore della natura e a rifiutare ogni dogmatismo. Nella sua attività di scienziato è del resto caratteristico il risalire alla speculazione teorica dai problemi che gli ponevano le ricerche di tecnico e d'ingegnere. Questo tipico procedere della sua attività mentale dal particolare al generale trova espressione in molti campi diversi; ma poiché Leonardo, uomo del suo tempo, non aveva a disposizione gli strumenti necessari alla concreta realizzazione della maggior parte dei suoi numerosissimi progetti, questi rimasero generalmente allo stato di geniali intuizioni che trovarono più tardi sviluppo. Nell'idraulica l'interesse per i problemi di ingegneria si rivela nella progettazione di macchine, come draghe ed escavatori, di organi di conche come le porte, nella direzione dei lavori per la bonifica delle paludi; l'aspetto scientifico si rivela nell'aver enunciato il principio di continuità, per cui la portata di un condotto si mantiene costante al variare della sezione, nell'aver fondato la teoria del moto delle onde marine, nella conoscenza dei principi dei vasi comunicanti e di quello poi enunciato da Pascal, nell'aver spiegato il paradosso idrostatico.
Nella meccanica, il tecnico e l'ingegnere si rivelano in un numero enorme di disegni e progetti: catene di acciaio a rulli, argani, macchine da guerra di offesa e di difesa (casematte semoventi, ripari mobili, carri d'assalto, cannoni a retrocarica, enormi catapulte), meccanismi di ponti girevoli, torniperforatrici, segatrici, filettatrici e persino il giunto realizzato poi da Gerolamo Cardano. Sembra anche, da quel che risulta nel Codice atlantico, che abbia ideato un'autovettura a molla e intuito il funzionamento del differenziale. Il contributo scientifico alla meccanica ha peraltro alcuni aspetti controversi. Nella statica è suo merito l'aver indicato il metodo di determinazione del baricentro di alcune figure piane e solide (come il tetraedro), la nozione di momento di una forza rispetto a un asse, i teoremi di composizione delle forze e dei momenti, la soluzione del problema dell'equilibrio di un corpo su di un piano inclinato, e non inclinato, la spiegazione dell'attrito, con la nozione del coefficiente d'attrito. Fra le definizioni più originali di Leonardo è quella dell'arco: «una fortezza causata da due debolezze», dove la «debolezza» è ciascuna metà dell'arco. È certo che a Leonardo debba essere attribuito il principio di azione e reazione; è invece discusso il merito dell'enunciazione chiara e completa del principio di inerzia sebbene non vi siano dubbi sul suo contributo in proposito; riguardo al secondo principio della dinamica Leonardo invece seguiva le idee aristoteliche, considerando la forza come causa della velocità anziché dell'accelerazione. In ottica, dal lato tecnico, Leonardo ci ha lasciato una precisa descrizione della camera oscura, che già gli Arabi conoscevano; dal lato scientifico scoprì la persistenza delle immagini sulla retina e spiegò per primo l'origine della luce emessa dalla Luna. Leonardo ebbe chiara la nozione del carattere ondulatorio della propagazione del fenomeno luminoso, carattere che egli estendeva non solo al fenomeno sonoro, ma anche al magnetismo, al calore e perfino al pensiero umano.
Nel campo aerodinamico sono opera di ingegneria i progetti di alianti (per volo a vela o «col favor di vento»), il primo progetto del paracadute e dell'elicottero, l'elica del quale «si fa femmina dell'aria». Appartiene alla ricerca scientifica l'aver capito, osservando il volo degli uccelli (che oltre che «a vela» volano anche «per batter d'ale»), che la forza sostentatrice nasce dalla compressione dell'aria sotto le ali e l'aver chiarito per primo il concetto di resistenza del mezzo.
Leonardo fu un precursore anche nelle scienze naturali e biologiche, benché la sua vastissima produzione scientifica, rimasta inedita per secoli, quindi ignota ai contemporanei, abbia avuto un'incidenza storica pressoché nulla. Intraprese su basi sperimentali vaste ricerche anatomiche sezionando cadaveri umani (nonostante innumerevoli difficoltà) e utilizzando tecniche da lui ideate che sarebbero poi state ampiamente sfruttate nei secoli futuri. Non portò a termine il trattato in centoventi libri che si era prefisso di compilare, ma lasciò interessantissimi studi di anatomia funzionale. Inoltre, dall'esame comparativo delle strutture umane e animali, da cui emergono le affinità morfologiche e funzionali dell'uomo e degli altri mammiferi, dedusse il fondamento dell'anatomia comparata, affermando che l'uomo è «prima bestia fra gli animali». Lasciò infine interessantissime applicazioni anche in botanica e geologia, che precorrevano genialmente i progressi di queste discipline. L'insaziabile sete di ricerca portò Leonardo a concepire l'arte come conoscenza e dominio di quella stessa realtà che era l'oggetto dei suoi interessi di scienziato. Per questo egli affrontò tutto lo scibile del suo tempo perseguendo forse il sogno di ridurlo in unità: intese la matematica come base di ogni scienza, l'ottica come presupposto di ogni percezione, la meccanica come studio delle forze e delle leggi fisiche e della creazione di strumenti atti a produrle e a dominarle, l'anatomia umana e animale come base di una biologia degli esseri viventi, la geologia come studio delle forme e delle leggi della natura inorganica e della composizione ed evoluzione della crosta terrestre.
Leonardo non fu filosofo, se per filosofo si intende un pensatore che racchiuda in un sistema la sua concezione del mondo, ma se nella storia del pensiero ha diritto di cittadinanza chi abbia saputo raccogliere in una visione organica la molteplicità degli aspetti del reale, Leonardo vi tiene un posto di altissimo rilievo. La sua concezione del mondo potrebbe essere definita come «umanesimo scientifico», nel senso che in esso la scienza, come del resto l'arte, ha la funzione di intermediaria tra la natura e l'uomo. Da una parte sta l'uomo, con la sua ragione; dall'altra la natura, anch'essa dominata da una sua razionalità segreta, che solo la «sperienza» può svelare. Scienza e arte coincidono, grazie alla concezione dell'esperienza, la quale è dapprima apprensione immediata delle cose, poi ordinata dalla ragione dell'uomo che ne mostra i vari legami, ovvero scopre l'altrimenti ignota ragione della natura. A questo punto nascono come sorelle la scienza e l'arte: la prima si ferma a calcolare i rapporti quantitativi; la seconda (e segnatamente la pittura) va oltre, tesa com'è a cogliere gli aspetti qualitativi; entrambe hanno lo scopo sublime di concedere all'uomo il dominio della natura.
• I frutti del geniale e accanito lavoro di Leonardo sono dispersi e frammentati in oltre quattromila fogli. Si ricordano, accanto al più celebre Codice atlantico(Milano, Ambrosiana) e ai dodici taccuini dell'Istituto di Francia (Parigi), il miscellaneo Codice Trivulzio (Milano, Raccolte trivulziane), i codici A e B sull'anatomia (castello di Windsor), il Codice sul volo degli uccelli della Biblioteca reale di Torino, il Codice Leicester miscellaneo (Holkham Hall, presso Norfolk), il Codice Arundel (Londra, British Museum), i due codici della Biblioteca reale di Madrid, per citare i principali. Tutti ebbero dalla seconda metà del XIX sec. a oggi edizioni critiche con integrali riproduzioni in facsimile e trascrizione critica dei testi (tranne i due volumi miscellanei di Madrid recentemente scoperti). Accanto a esse si collocano le compilazioni realizzate da specialisti secondo i vari temi: gli scritti letterari a cura di A. Marinoni (1952), la meccanica a cura di A. Uccelli (1941), gli scritti sul volo degli uccelli a cura di R. Giacomelli (1936), gli appunti grammaticali e lessicografici a cura di A. Marinoni (1944-1952), gli scritti sul moto e la misura dell'acqua (1923), oltre al Trattato della pittura che, nella più completa redazione del Codice urbinate vaticano 1270, ebbe numerose edizioni anche straniere. La maggior parte dell'attività, del genio di Leonardo è racchiusa in questi fogli al cui studio sistematico e completo è insufficiente la vita di un uomo.
La prima difficoltà che pongono gli scritti leonardeschi è di natura filologica. Leonardo non giunse mai alla stesura di un'opera organica, e anche dei libri che forse si proponeva di scrivere non ha lasciato nessuna traccia sicura. Gli editori si trovano pertanto di fronte a una congerie di frammenti, il cui riordinamento rischia sempre di dare in qualche cosa di arbitrario. Ma è ben vero che Leonardo scriveva per sé, in una specie di soliloquio (nella sua caratteristica scrittura, quasi cifrata, che tracciava da destra verso sinistra), e che quelli che annotava erano pensieri che la memoria non voleva perdere, e che si collegavano spesso più idealmente che materialmente ad altri pensieri o presupponevano un ulteriore approfondimento. In lui non c'era la fiducia nella parola, che è propria dell'uomo di lettere. Anzi la parola restava uno strumento, meno capace di fissare gli aspetti della realtà di quanto non fosse il disegno; e necessariamente il valore intrinseco delle tante notazioni è assai vario, ché se a volte queste hanno la luminosa rapidità delle intuizioni nelle quali la parola nasce spontaneamente all'unisono col pensiero, altrove la preoccupazione della compiutezza porta a una forma rigida e scolorita. Posta questa necessaria distinzione, restano tuttavia sorprendenti la ricchezza e l'originalità di Leonardo prosatore. È soprattutto nell'osservazione della natura e delle sue forze segrete che egli si rivela scrittore ineguagliabile, ben diverso dai grandi prosatori scienziati che pure vanta la letteratura italiana. Quello che più lo appassiona sono i fenomeni nei quali meglio si avverte la misteriosa potenza della natura: la crosta della terra segnata dalle rivoluzioni geologiche, una nube in cielo, la fiamma, l'acqua con la sua forza latente o scatenata. Nello studiare questi aspetti della vita il tono, che vuol essere quello pacato dell'osservatore, si anima improvvisamente di una grande forza poetica. Ed è soprattutto per questi non rari momenti che Leonardo «omo sanza lettere» resta uno degli scrittori più personali e grandi, non solo dell'età rinascimentale.
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Leonardo da Vinci: pittore, architetto, scultore, scrittore, teorico dell'arte, scienziato e ingegnere italiano (Vinci, Firenze, 1452 - castello di Cloux [od. Clos-Lucé] presso Amboise, Indre e Loira, 1519). Creatore di una pittura nuova che concluse la rivoluzione di Masaccio dell'inizio del secolo, ricercatore in ogni campo allora possibile della natura e della scienza, prosatore originalissimo, Leonardo è un genio universale, quale soltanto la civiltà del Rinascimento italiano poteva esprimere. Figlio naturale di ser Piero, notaio, e di Caterina «donna di buon sangue» poi moglie di Acattabriga di Piero del Vacca, crebbe e fu educato in Vinci, nella casa del nonno paterno ove era nato, sino al sedicesimo anno di età, per passare poi, con la famiglia, a Firenze ove nel 1469 circa entrò nella bottega di Andrea del Verrocchio, che frequentò come discepolo e collaboratore per circa otto anni. Ma già nel 1472 era iscritto nella Compagnia dei pittori. Dal 1476 sino al 1482, anno della partenza per Milano, visse indipendente a Firenze: di questo primo decennio, oltre un disegno di paesaggio datato 1473, sono l'angelo e il paesaggio nel Battesimo del Verrocchio (Firenze, Uffizi), le due Annunciazioni (Firenze, Uffizi e Parigi, Louvre), il Ritratto di giovane donna, già Dama Liechtenstein (Washington, National Gallery), le Madonne Dreyfus (Washington, National Gallery), Benois(Leningrado, Ermitage) e dei Fiori (Monaco, Alte Pinakothek), il San Girolamo incompiuto della Vaticana e l'Adorazione dei Magi lasciata allo stato di abbozzo (Firenze, Uffizi). L'occasione o le ragioni per le quali l'artista trentenne lasciò Firenze per la Milano di Ludovico Sforza non sono del tutto note e chiare, ma l'uomo Leonardo con le sue virtù e le sue contraddizioni acquistò corpo e realtà nella capitale lombarda ove rimase sino al 1499, alla caduta del Moro. La Vergine delle rocce(Parigi, Louvre), una statua equestre a Francesco Sforza che non fu mai fusa, Il Cenacolo sono le tre opere che riempiono i documenti e le cronache di quest'epoca milanese di Leonardo, ma non la sua attività giacché, oltre la sala delle Asse nel Castello Sforzesco, documentata, Leonardo avrebbe dipinto la Dama dell'ermellino (Cracovia, Museo Czartoryski), creduto ritratto di Cecilia Gallerani, la Belle Ferronnière (Parigi, Louvre), il Ritratto di donna e il Musicista (Milano, Ambrosiana). Il modello del tiburio del duomo di Milano (1487-1490), gli apparati per le feste sforzesche del 1489 e 1491, lavori di idraulica e di bonifica (1494), progetti architettonici vari completano l'attività pratica, e almeno dal 1489 datano gli appunti e i disegni di quella enciclopedica attività teorica che durò tutta la vita. Alla caduta del ducato (Leonardo aveva quarantasette anni e una fama grandissima) seguirono le peregrinazioni da Milano a Vaprio; a Mantova, dove disegnò un ritratto di Isabella d'Este, a Venezia. Nel 1501 fu a Firenze ospite dei serviti, nel 1502 in Romagna e Umbria, architetto e ingegnere di Cesare Borgia, nel 1503 di nuovo a Firenze ove iniziò La Gioconda (Parigi, Louvre) e ricevette la commissione di dipingere su una parete del salone dei Cinquecento nel palazzo della Signoria un episodio della storia fiorentina, la Battaglia di Anghiari. Chiamato da Luigi XII re di Francia, nel 1506 tornò a Milano consigliere del luogotenente Carlo d'Amboise, progettista di una nuova statua equestre a Giangiacomo Trivulzio, di un palazzo per il governatore, della chiesetta di Santa Maria della Fontana, ma soprattutto immerso in speculazioni scientifiche, studi biologici e fisici, ricerche anatomiche, idrologiche, geofisiche e matematiche. Tali studi egli proseguì a Roma ove, protetto dal cardinale Giuliano de' Medici, si trasferì ormai sessantenne. È di questo tempo l'enigmatico San Giovanni Battista (Parigi, Louvre). E infine, ultimo traguardo, nel 1517 lasciò Roma per la Francia su invito di Francesco I, che ne apprezzava l'alto talento, e ivi, progettando un castello che non fu realizzato, organizzando feste principesche, riordinando la moltitudine dei suoi studi, creando i disegni della Fine del mondo (castello di Windsor), trascorse gli ultimi anni. Morì a Cloux il 2 maggio 1519 nel castelletto messo a sua disposizione dal re, e fu sepolto a Saint- Florentin in Amboise. Le sue ceneri vennero disperse nei disordini delle guerre ugonotte, mentre la chiesa e la tomba furono distrutte nel 1789, all'epoca della Rivoluzione. (Un cenotafio di Leonardo si conserva però nella cappella di Sant'Uberto del castello di Amboise.) Questo il sommario percorso di una vita eccezionale, intensissima, di una prodigiosa attività, della quale ci rimangono pochi dipinti e una massa di scritti e disegni per un complesso di circa tremilacinquecento fogli, residuo di studi e quaderni smembrati sparsi nei musei di tutto il mondo, ai quali si sono aggiunti dal 1967 i due volumi (seicento fogli) scoperti nella Biblioteca reale di Madrid e dei quali si è iniziato lo studio.
Dei non numerosi dipinti solo il San Girolamo e l'Adorazione dei Magi del primo periodo fiorentino, ambedue incompiuti, Il Cenacolo, del quale sono rimasti miracolosamente salvi lo scheletro compositivo e, con i colori originali, appena qualche brano, del periodo milanese, infine La Gioconda, sostanzialmente intatta, non hanno mai dato luogo a dispareri. Fra le opere giovanili attribuite quasi senza incertezze sono la Madonna Dreyfus e il Ritratto di giovane donna già Dama Liechtenstein(Washington, National Gallery), dalle stupende trasparenze del colore, la Madonna Benois (Leningrado, Ermitage) e quella cosiddetta dei Fiori (Monaco, Alte Pinakothek), l'Annunciazione degli Uffizi, dalla delicata grazia idillica, e quella del Louvre. Le progressive conquiste della pittura leonardesca sono comunque riconoscibili seguendo alcune tappe fondamentali. Dopo la personalissima creazione dell'incompiuto San Girolamo penitente, un sicuro punto d'arrivo è rappresentato dall'Adorazione dei Magi, dove intorno alla Madonna si dispone una folla gesticolante su uno sfondo di porticati e scalee, creando, in un gioco di luci e di ombre, un ritmo compositivo che viene a dare un significato nuovo alla leggenda evangelica. In un'autentica atmosfera di visione, nella quale le forme emergono dalla luce crepuscolare della grotta, sono invece collocate le figure della Vergine delle rocce, che, di due anni appena posteriore all'Adorazione dei Magi, dimostra quanto debba lo sfumato leonardesco alla luce argentea e velata dei paesaggi lombardi, ma al tempo stesso rivela la facoltà tutta personale dell'artista di immergere nella luce e nell'ombra gli oggetti, facendone quasi immagini di trasparenza irreale. Al paragone di questo capolavoro, del quale una variante più tarda è nella National Gallery di Londra, le opere presumibilmente composte nello stesso periodo, ma non tutte concordemente attribuite a Leonardo (la Madonna Litta [Leningrado, Ermitage], la Dama dell'ermellino, la Belle Ferronnière, il Musicista e il Ritratto di donna dell'Ambrosiana), rappresentano esperienze minori e meno significative. Ma negli anni milanesi la pittura leonardesca toccò la vetta più alta nel Cenacolo di Santa Maria delle Grazie, con la sua chiara struttura spaziale, dentro la quale il ritmo dei gesti trascorrenti dall'una all'altra figura lega tra loro i personaggi e gli oggetti in una composizione armonica che non ha precedenti nella storia della pittura. Per questo Il Cenacolo, nonostante la sua tragica rovina, resta il supremo esemplare dell'arte classica, la più perfetta composizione del Rinascimento. Sorte peggiore che al Cenacolo toccò all'opera di maggiore impegno del secondo soggiorno fiorentino: la Battaglia di Anghiari. Il dipinto fu danneggiato da un artificioso processo di essiccamento e poi distrutto, e del cartone perduto, accanto a una congerie di piccoli disegni preliminari, non ci restano che alcune copie famose del gruppo centrale di cavalieri combattenti intorno all'asta di una bandiera. Quanto basta tuttavia per comprendere come l'artista avesse concepito il vasto quadro storico, componendo in una forma chiusa e raccolta e fissando in una tensione serrata la furibonda dinamica dei combattenti. Accanto a questo capolavoro così difficilmente ricostruibile, vicine nel tempo ma espressione di una diversa concezione della realtà si collocano le due grandi tavole del secondo soggiorno fiorentino conservate al Louvre: Sant'Anna e La Gioconda. La calma composta, la serenità raccolta delle figure danno in queste opere l'idea di un ordine al quale sono sconosciute le tempeste delle passioni, anche se al di là di quella calma l'artista lascia indovinare una misteriosa e difficilmente definibile tensione psicologica. Dopo il secondo periodo fiorentino sempre più di rado Leonardo riprese il pennello, e piuttosto che il San Giovanni Battista e il Bacco(Parigi, Louvre) preferiamo ricordare le già menzionate visioni della Fine del mondo (castello di Windsor, Biblioteca reale), disegnate indipendentemente da ogni iconografia tradizionale del tema biblico del diluvio.
Sebbene il catalogo dell'artista sia costituito da pochi esempi e per giunta incompleti o assai mal ridotti, le opere di Leonardo ebbero immediatamente (e mantennero nei secoli) una fama enorme, indice di una rivoluzione non meno radicale di quelle di Giotto e di Masaccio. E questa rivoluzione fu tanto profonda perché, pur non rinnegando l'idea della posizione privilegiata dell'uomo nella natura, l'artista mirava a un dominio più alto di tutta la realtà nella quale l'uomo vive. La forma, sentita nel Quattrocento toscano quale elemento dello spazio e creata col segno e col volume, subì con Leonardo una totale modificazione. Al volume, al tono plastico è sostituito un tono nettamente pittorico, alla figura che si rileva sullo spazio di cui fa parte è sostituita una figura che vibra nel solo spazio ed è intessuta con gli stessi lumi che vibrano nell'atmosfera del quadro. Alla luce e all'ombra che si posano e modellano il volume come elementi necessari alla percezione ma indipendenti, si sostituiscono una luce e un'ombra che creano il volume e talora, come nella Madonna dell'Adorazione dei Magi, ne irradiano. Già le due Annunciazioni giovanili non sono insigni soltanto perché con spirito rinnovatore Leonardo le portò all'aperto, a contatto diretto di una favolosa natura, ma perché con la fluidità delle tinte e il vibrare dei contorni atmosferici creò due scene in cui la rievocazione fantastica si fonde con una inedita espressione di intima umanità. La luce disgrega le forme della tradizione e crea un nuovo mezzo costruttivo, l'ombra. E con l'ombra il moto, non solo il moto apparente ma il moto occulto, quello che sta per esprimersi ma non è ancora espresso. Così quello spazio che Piero della Francesca, Andrea del Verrocchio e il Pollaiolo scandivano di innumeri piani cristallini, crea nella sua pittura la realtà magica e fluente nella quale vivono i suoi paesaggi. Non sarebbero bastati il semicerchio della folla emergente attorno alla Madonna dell'Adorazione o la grotta umida della Vergine delle rocce o il groppo di cavalli della Battaglia o la scarnita testa del San Girolamo, pur creazioni nuovissime e sconvolgenti, a fare il genio di Leonardo senza questa nuova visione della natura che, attraverso mezzi che nessuno seppe riprendere, ci ha dato una delle più alte espressioni poetiche della pittura di tutti i tempi.
Non diversamente che in altri grandi artisti del suo tempo, in Leonardo la pratica della pittura presuppone un'appassionata e infaticabile ricerca scientifica. Ma quello che fa di lui un genio ineguagliato è la sua drammatica concezione della realtà. Leonardo non strumentalizzò la ricerca scientifica ai fini della rappresentazione pittorica, ma si tormentò per scoprire l'accordo segreto che serra tra loro gli aspetti visibili della natura e la vita segreta che sta celata dietro i fenomeni e ne costituisce la vera essenza. Lo sfumato leonardesco, il gioco delle ombre e delle luci, l'atmosfera di sogno dalla quale le figure sembrano emergere, nonostante la minuziosa precisione dei particolari hanno la loro ragione di essere nel sentire il mondo delle forme legato a una misteriosa energia spirituale. Così nella pittura leonardesca non giungevano soltanto a un più alto grado di maturità le varie e ardite esperienze degli artisti del Quattrocento, ma trovavano una risposta le opposte concezioni dello spiritualismo e del naturalismo rinascimentali. Non meno dei pensieri disseminati nei taccuini, l'imponente serie di disegni sta a testimoniare l'inesauribile ricerca del pensatore e dell'artista, e non solo i disegni che servirono di preparazione diretta alle opere pittoriche, ma i moltissimi che Leonardo ci ha lasciati, nei quali con spontaneità impressionante e con minuzia di segno sottilissima egli veniva annotando, come la parola non avrebbe saputo fare, le sue osservazioni di meccanica, i suoi studi di anatomia, le varie impressioni che una figura o un luogo suscitavano nella sua mente di osservatore acutissimo.
• Sull'attività di Leonardo scultore si sono fatte lunghe indagini e scritti saggi e volumi senza uscire dal campo delle supposizioni, talché prive di qualsiasi fondamento storico o critico sono da considerarsi le tentate attribuzioni di piccole opere in marmo, in terracotta, in bronzo. Pure Leonardo stesso e altre fonti ci attestano della sua capacità nello scolpire, nel modellare e nel fondere, acquisita e usata sin dall'inizio dell'apprendistato presso il Verrocchio. E può essere legittimo pensare a una collaborazione leonardesca ai numerosi lavori scultorei di Andrea, ma si è pur sempre nel vago delle ipotesi. Resta la documentazione sul grande cavallo per il monumento a Francesco Sforza, rimodellato più volte dal 1483 al 1498 sino a giungere a quell'enorme matrice in creta di sette metri di altezza, pronta per la fusione, che forse venne ammirata alle nozze di Bianca Maria Sforza con l'imperatore Massimiliano I nel 1493, e che fu distrutta dalla soldataglia francese alla caduta del ducato, nel 1499. A essa si ricollegano una lunga serie di disegni e gli accaniti studi sull'anatomia del cavallo. Il secondo monumento equestre, quello commissionatogli dal Trivulzio per la sua tomba, non andò probabilmente oltre i progetti grafici e i minutissimi studi per la fusione. In tali condizioni possiamo ben dire che conosciamo meglio Leonardo architetto che non Leonardo scultore, anche se nulla di suo in pietra e mattoni è rimasto, e nulla forse fu costruito direttamente, esplicando egli la sua attività di ingegnere ducale come consulente e non come costruttore. Ma i taccuini e i fogli sparsi della sua attività grafica sono così pieni di schizzi, piante, progetti di edifici sacri e profani, di fortificazioni, di sistemazioni urbanistiche, di studi su prototipi architettonici e sulla tecnica delle costruzioni, e tali schizzi sono talmente nuovi, rivoluzionari, avveniristici, da documentarci un architetto in potenza tale da superare lo stesso Bramante, presente con lui alla corte di Ludovico il Moro. Tra i suoi disegni vi sono quelli di templi a pianta centrale con ritmi di spazi e giochi di volte da competere con Santa Sofia di Costantinopoli, di fortezze seminterrate, con salienti, rivellini, cinte bastionate studiate per resistere alle artiglierie, di perfezione e complessità che non furono raggiunte dai teorici e architetti italiani del Cinquecento né dai fin troppo celebrati ingegneri francesi del Seicento. Vi sono disegni urbanistici con strade e svincoli su diversi piani che potrebbero essere ideati dai più preparati architetti moderni. Di fronte a questa documentazione diventano trascurabili i lavori cui Leonardo mise o poté mettere mano, come il progetto del tiburio del duomo di Milano, la consulenza per il duomo di Pavia, i progetti di palazzi per il governatore francese di Milano e per la regina madre di Francia, le consulenze per le fortezze del Milanese o per quelle del duca Valentino. Da un avveduto riordinamento di fogli arbitrariamente dispersi tra i vari codici, e dal commento che forniscono numerosi appunti, si profila piuttosto il proposito, realizzato in parte, di un grande trattato di architettura che voleva unificare le sparse cognizioni dell'epoca in una sola dottrina della forma e della costruzione dell'arte e della tecnica. In una prima parte avrebbe trovato luogo la teoria dei tipi e delle forme architettoniche, aiutata da quei disegni che fissano sistematicamente e per la prima volta i modi della grafica architettonica in piano e in prospettiva sino alla sezione prospettica degli interni; la seconda parte avrebbe riguardato la tecnica e la scienza costruttiva, ivi compresi gli studi sulla dottrina dell'arco e quelli sulla causa della rovina degli edifici.
Ma l'opera più nota di Leonardo artista scienziato è il Trattato della pittura, che tuttavia anche nella redazione più completa, quella del Codice urbinate vaticano 1270, geniale mosaico di pensieri autografi, è una devota compilazione di Francesco Melzi dai manoscritti ereditati dal maestro, alla quale non solo mancano i disegni con cui Leonardo aveva accompagnato il testo, ma che presenta lacune e scelte arbitrarie. Capolavoro comunque di sparsa dottrina, oltre che di lingua e di stile, il Trattato della pittura era stato concepito in due parti, la prima teorica con l'insegnamento delle proporzioni e della prospettiva lineare ed aerea e la funzione in essa del colore e la teoria delle luci e delle ombre e una teoria completa dei colori; la seconda pratica con le tecniche del disegno e del colore, con lo studio della figura umana in stasi e in moto, con il modo di rendere espressioni e sentimenti, con l'anatomia umana e animale, con le regole della composizione, per chiudere con quello studio della natura che Leonardo affrontò nella teoria per il primo: monti e valli, nuvole e atmosfera, acque e piante, strutture geologiche e forme e forze del cosmo.
• È soltanto un'esigenza di chiarezza espositiva che obbliga a trattare separatamente dell'attività di Leonardo tecnico e scienziato, sebbene in lui gli infiniti interessi fossero profondamente compenetrati. La sua preparazione scientifica non fu né regolare né approfondita. Conobbe la geometria di Euclide e di Al Hazin e l'opera di Archimede, ma non studiò mai l'aristotelismo; dalle stesse lacune della sua cultura Leonardo fu portato tuttavia ad approfondire l'istinto di acutissimo osservatore della natura e a rifiutare ogni dogmatismo. Nella sua attività di scienziato è del resto caratteristico il risalire alla speculazione teorica dai problemi che gli ponevano le ricerche di tecnico e d'ingegnere. Questo tipico procedere della sua attività mentale dal particolare al generale trova espressione in molti campi diversi; ma poiché Leonardo, uomo del suo tempo, non aveva a disposizione gli strumenti necessari alla concreta realizzazione della maggior parte dei suoi numerosissimi progetti, questi rimasero generalmente allo stato di geniali intuizioni che trovarono più tardi sviluppo. Nell'idraulica l'interesse per i problemi di ingegneria si rivela nella progettazione di macchine, come draghe ed escavatori, di organi di conche come le porte, nella direzione dei lavori per la bonifica delle paludi; l'aspetto scientifico si rivela nell'aver enunciato il principio di continuità, per cui la portata di un condotto si mantiene costante al variare della sezione, nell'aver fondato la teoria del moto delle onde marine, nella conoscenza dei principi dei vasi comunicanti e di quello poi enunciato da Pascal, nell'aver spiegato il paradosso idrostatico.
Nella meccanica, il tecnico e l'ingegnere si rivelano in un numero enorme di disegni e progetti: catene di acciaio a rulli, argani, macchine da guerra di offesa e di difesa (casematte semoventi, ripari mobili, carri d'assalto, cannoni a retrocarica, enormi catapulte), meccanismi di ponti girevoli, torniperforatrici, segatrici, filettatrici e persino il giunto realizzato poi da Gerolamo Cardano. Sembra anche, da quel che risulta nel Codice atlantico, che abbia ideato un'autovettura a molla e intuito il funzionamento del differenziale. Il contributo scientifico alla meccanica ha peraltro alcuni aspetti controversi. Nella statica è suo merito l'aver indicato il metodo di determinazione del baricentro di alcune figure piane e solide (come il tetraedro), la nozione di momento di una forza rispetto a un asse, i teoremi di composizione delle forze e dei momenti, la soluzione del problema dell'equilibrio di un corpo su di un piano inclinato, e non inclinato, la spiegazione dell'attrito, con la nozione del coefficiente d'attrito. Fra le definizioni più originali di Leonardo è quella dell'arco: «una fortezza causata da due debolezze», dove la «debolezza» è ciascuna metà dell'arco. È certo che a Leonardo debba essere attribuito il principio di azione e reazione; è invece discusso il merito dell'enunciazione chiara e completa del principio di inerzia sebbene non vi siano dubbi sul suo contributo in proposito; riguardo al secondo principio della dinamica Leonardo invece seguiva le idee aristoteliche, considerando la forza come causa della velocità anziché dell'accelerazione. In ottica, dal lato tecnico, Leonardo ci ha lasciato una precisa descrizione della camera oscura, che già gli Arabi conoscevano; dal lato scientifico scoprì la persistenza delle immagini sulla retina e spiegò per primo l'origine della luce emessa dalla Luna. Leonardo ebbe chiara la nozione del carattere ondulatorio della propagazione del fenomeno luminoso, carattere che egli estendeva non solo al fenomeno sonoro, ma anche al magnetismo, al calore e perfino al pensiero umano.
Nel campo aerodinamico sono opera di ingegneria i progetti di alianti (per volo a vela o «col favor di vento»), il primo progetto del paracadute e dell'elicottero, l'elica del quale «si fa femmina dell'aria». Appartiene alla ricerca scientifica l'aver capito, osservando il volo degli uccelli (che oltre che «a vela» volano anche «per batter d'ale»), che la forza sostentatrice nasce dalla compressione dell'aria sotto le ali e l'aver chiarito per primo il concetto di resistenza del mezzo.
Leonardo fu un precursore anche nelle scienze naturali e biologiche, benché la sua vastissima produzione scientifica, rimasta inedita per secoli, quindi ignota ai contemporanei, abbia avuto un'incidenza storica pressoché nulla. Intraprese su basi sperimentali vaste ricerche anatomiche sezionando cadaveri umani (nonostante innumerevoli difficoltà) e utilizzando tecniche da lui ideate che sarebbero poi state ampiamente sfruttate nei secoli futuri. Non portò a termine il trattato in centoventi libri che si era prefisso di compilare, ma lasciò interessantissimi studi di anatomia funzionale. Inoltre, dall'esame comparativo delle strutture umane e animali, da cui emergono le affinità morfologiche e funzionali dell'uomo e degli altri mammiferi, dedusse il fondamento dell'anatomia comparata, affermando che l'uomo è «prima bestia fra gli animali». Lasciò infine interessantissime applicazioni anche in botanica e geologia, che precorrevano genialmente i progressi di queste discipline. L'insaziabile sete di ricerca portò Leonardo a concepire l'arte come conoscenza e dominio di quella stessa realtà che era l'oggetto dei suoi interessi di scienziato. Per questo egli affrontò tutto lo scibile del suo tempo perseguendo forse il sogno di ridurlo in unità: intese la matematica come base di ogni scienza, l'ottica come presupposto di ogni percezione, la meccanica come studio delle forze e delle leggi fisiche e della creazione di strumenti atti a produrle e a dominarle, l'anatomia umana e animale come base di una biologia degli esseri viventi, la geologia come studio delle forme e delle leggi della natura inorganica e della composizione ed evoluzione della crosta terrestre.
Leonardo non fu filosofo, se per filosofo si intende un pensatore che racchiuda in un sistema la sua concezione del mondo, ma se nella storia del pensiero ha diritto di cittadinanza chi abbia saputo raccogliere in una visione organica la molteplicità degli aspetti del reale, Leonardo vi tiene un posto di altissimo rilievo. La sua concezione del mondo potrebbe essere definita come «umanesimo scientifico», nel senso che in esso la scienza, come del resto l'arte, ha la funzione di intermediaria tra la natura e l'uomo. Da una parte sta l'uomo, con la sua ragione; dall'altra la natura, anch'essa dominata da una sua razionalità segreta, che solo la «sperienza» può svelare. Scienza e arte coincidono, grazie alla concezione dell'esperienza, la quale è dapprima apprensione immediata delle cose, poi ordinata dalla ragione dell'uomo che ne mostra i vari legami, ovvero scopre l'altrimenti ignota ragione della natura. A questo punto nascono come sorelle la scienza e l'arte: la prima si ferma a calcolare i rapporti quantitativi; la seconda (e segnatamente la pittura) va oltre, tesa com'è a cogliere gli aspetti qualitativi; entrambe hanno lo scopo sublime di concedere all'uomo il dominio della natura.
• I frutti del geniale e accanito lavoro di Leonardo sono dispersi e frammentati in oltre quattromila fogli. Si ricordano, accanto al più celebre Codice atlantico(Milano, Ambrosiana) e ai dodici taccuini dell'Istituto di Francia (Parigi), il miscellaneo Codice Trivulzio (Milano, Raccolte trivulziane), i codici A e B sull'anatomia (castello di Windsor), il Codice sul volo degli uccelli della Biblioteca reale di Torino, il Codice Leicester miscellaneo (Holkham Hall, presso Norfolk), il Codice Arundel (Londra, British Museum), i due codici della Biblioteca reale di Madrid, per citare i principali. Tutti ebbero dalla seconda metà del XIX sec. a oggi edizioni critiche con integrali riproduzioni in facsimile e trascrizione critica dei testi (tranne i due volumi miscellanei di Madrid recentemente scoperti). Accanto a esse si collocano le compilazioni realizzate da specialisti secondo i vari temi: gli scritti letterari a cura di A. Marinoni (1952), la meccanica a cura di A. Uccelli (1941), gli scritti sul volo degli uccelli a cura di R. Giacomelli (1936), gli appunti grammaticali e lessicografici a cura di A. Marinoni (1944-1952), gli scritti sul moto e la misura dell'acqua (1923), oltre al Trattato della pittura che, nella più completa redazione del Codice urbinate vaticano 1270, ebbe numerose edizioni anche straniere. La maggior parte dell'attività, del genio di Leonardo è racchiusa in questi fogli al cui studio sistematico e completo è insufficiente la vita di un uomo.
La prima difficoltà che pongono gli scritti leonardeschi è di natura filologica. Leonardo non giunse mai alla stesura di un'opera organica, e anche dei libri che forse si proponeva di scrivere non ha lasciato nessuna traccia sicura. Gli editori si trovano pertanto di fronte a una congerie di frammenti, il cui riordinamento rischia sempre di dare in qualche cosa di arbitrario. Ma è ben vero che Leonardo scriveva per sé, in una specie di soliloquio (nella sua caratteristica scrittura, quasi cifrata, che tracciava da destra verso sinistra), e che quelli che annotava erano pensieri che la memoria non voleva perdere, e che si collegavano spesso più idealmente che materialmente ad altri pensieri o presupponevano un ulteriore approfondimento. In lui non c'era la fiducia nella parola, che è propria dell'uomo di lettere. Anzi la parola restava uno strumento, meno capace di fissare gli aspetti della realtà di quanto non fosse il disegno; e necessariamente il valore intrinseco delle tante notazioni è assai vario, ché se a volte queste hanno la luminosa rapidità delle intuizioni nelle quali la parola nasce spontaneamente all'unisono col pensiero, altrove la preoccupazione della compiutezza porta a una forma rigida e scolorita. Posta questa necessaria distinzione, restano tuttavia sorprendenti la ricchezza e l'originalità di Leonardo prosatore. È soprattutto nell'osservazione della natura e delle sue forze segrete che egli si rivela scrittore ineguagliabile, ben diverso dai grandi prosatori scienziati che pure vanta la letteratura italiana. Quello che più lo appassiona sono i fenomeni nei quali meglio si avverte la misteriosa potenza della natura: la crosta della terra segnata dalle rivoluzioni geologiche, una nube in cielo, la fiamma, l'acqua con la sua forza latente o scatenata. Nello studiare questi aspetti della vita il tono, che vuol essere quello pacato dell'osservatore, si anima improvvisamente di una grande forza poetica. Ed è soprattutto per questi non rari momenti che Leonardo «omo sanza lettere» resta uno degli scrittori più personali e grandi, non solo dell'età rinascimentale.
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