Materie: | Appunti |
Categoria: | Fisica |
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Data: | 05.10.2001 |
Numero di pagine: | 27 |
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Testo
Luce
Rifrazione
La fisica moderna ha ricondotto il concetto di luce a quello più generale di energia raggiante: la luce corrisponde semplicemente alle radiazioni elettromagnetiche di frequenza tale da eccitare le facoltà di percezione dell'occhio umano; il significato e la natura della moderna concezione potranno essere meglio compresi con un rapido esame dello sviluppo storico delle teorie sulla luce.
Il concetto di luce attraverso la storia
Polarizzazione
Nell'osservazione dei fenomeni luminosi, si associò innanzi tutto la sensazione visiva a un agente che si propaga in linea retta tra la sorgente di luce e l'occhio: la propagazione rettilinea tra la sorgente luminosa e l'occhio fu rilevata fin dall'antichità e fu una delle prime nozioni di ottica geometrica. Mentre però per la scuola atomistica di Democrito lungo i «raggi» si propagano particelle luminose emesse dalla sorgente, per altri (quali ad es. Erone, autore di una corretta teoria della riflessione) è l'occhio stesso a proiettare i raggi sugli oggetti circostanti, sì da renderli visibili: l'antichità classica non approfondì comunque gli studi sulla natura della luce esaurendo i propri risultati nell'ambito dell'ottica geometrica. Il problema cominciò a essere oggetto di più attente indagini nel Cinquecento e si delinearono due indirizzi di pensiero opposti: una teoria ondulatoria, sostenuta inizialmente dagli aristotelici, per i quali la luce doveva essere un fenomeno di movimento analogo al suono, e una corpuscolare, secondo cui lungo i raggi luminosi si aveva un flusso velocissimo di particelle molto piccole. Andava intanto crescendo il numero delle proprietà ottiche conosciute: nel 1675 Roemer realizzò una determinazione astronomica della velocità della luce, che, pur avendo fornito per questa un valore troppo elevato, ebbe il merito di stabilire per la prima volta in modo sperimentale che la propagazione della luce non è istantanea. Venne così confutata l'opinione tradizionale che la luce avesse velocità infinita, affermazione questa che era stata posta in discussione, anche da Galilei, solo agli inizi del Seicento. Nello stesso periodo furono scoperti gli importanti fenomeni della diffrazione (a opera del Grimaldi, che cercò di studiare l'effetto nell'ambito della concezione corpuscolare), della doppia rifrazione in cristalli quali lo spato d'Islanda e delle frange di interferenza, apparse per la prima volta a Hooke come fenomeni di colorazione delle lamine sottili. Si giunse così, alla fine del Seicento, alle prime formulazioni che cercavano di inquadrare tutti i fenomeni luminosi noti in uno schema concettualmente unitario: tali formulazioni costituirono la teoria corpuscolare di Newton e quella ondulatoria di Huygens. Con la prima, il fisico inglese si propose di fondare l'ottica su basi puramente meccaniche: l'emissione di luce è interpretata come emissione di corpuscoli piccolissimi uscenti dalle sorgenti luminose e la velocità con cui essi si propagano in un dato mezzo risente dell'attrazione, del tipo di quella gravitazionale, che i corpuscoli stessi subiscono a opera delle particelle del mezzo. La rifrazione, essendo un cambiamento di direzione dei raggi nel passaggio da un mezzo a un altro di diversa densità, è quindi ricondotta semplicemente a un effetto della variazione di velocità, che è maggiore dove l'attrazione da parte del mezzo è più grande: secondo Newton la luce ha perciò velocità più elevata nei mezzi più densi; in particolare, segue di qui che non ha un valore massimo nel vuoto. Il fisico inglese studiò poi attentamente il fenomeno della dispersione e lo poté spiegare nell'ambito della sua teoria: i diversi colori in cui si separa la luce bianca quando attraversa un mezzo dispersivo (quale un prisma di vetro) furono interpretati come un effetto della propagazione di corpuscoli di massa diversa, capaci quindi di subire una diversa forza di attrazione. Poiché un fascio di luce bianca entrante nel prisma si scinde in raggi cromatici meno o più deviati dal rosso al violetto, secondo Newton la luce bianca è una sovrapposizione delle luci colorate (anzi, proprio Newton distinse sette colori fondamentali: rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco, violetto) e la velocità di queste, approssimativamente uguale nell'aria, è diversa nel vetro ed è massima per il violetto, più deviato. Newton studiò anche il fenomeno dell'interferenza: anzi, realizzò condizioni particolarmente adatte all'osservazione delle frange mettendo a contatto una superficie piana con una sferica e generando così gli anelli di interferenza ancora oggi noti con il suo nome. Nonostante alcuni tentativi di attribuire una «polarità» ai corpuscoli luminosi, tale che la sovrapposizione di due opposti di questi potesse dare eventualmente un'elisione della luce, Newton non riuscì in realtà a spiegare né l'interferenza, né la diffrazione (che cercò di ricondurre a fenomeni di rifrazione ai bordi degli ostacoli), né la doppia rifrazione o la riflessione parziale sulle superfici. Tuttavia, la teoria corpuscolare fu quasi universalmente accettata e per tutto il Settecento predominò su quella ondulatoria, di cui Huygens aveva dato una formulazione completa nel suo Trattato sulla luce (1690). In quest'opera la luce viene interpretata come una propagazione nello spazio di onde elastiche: in questo ambito si possono spiegare bene tutti i fenomeni noti, e cioè riflessione, rifrazione, dispersione, interferenza, diffrazione. Secondo tale teoria, i diversi colori corrispondono a vibrazioni di diversa lunghezza d'onda; inoltre la velocità della luce deve essere massima nel vuoto e proprio la diminuzione di velocità nell'entrare in un mezzo meno denso determina la rifrazione, secondo il principio di Huygens-Fresnel: in modo opposto alla concezione di Newton, si conclude quindi che nella dispersione il rosso, meno deviato, ha nel prisma di vetro velocità maggiore del violetto, più deviato. La difficoltà principale della concezione ondulatoria risiedeva però nel fatto che la propagazione di vibrazioni elastiche di natura meccanica richiede l'esistenza di un mezzo materiale, sede delle vibrazioni stesse: e poiché vi sono sostanze trasparenti alla luce e questa si propaga anche nel vuoto, tale mezzo (etere) dovrebbe essere presente ovunque, permeando anche gli interstizi dei corpi. Huygens ne postulò l'esistenza e ammise inoltre che le vibrazioni di esso fossero di tipo longitudinale, come nel caso delle onde sonore. Agli inizi dell'Ottocento furono finalmente stabiliti alcuni risultati decisamente favorevoli alla concezione ondulatoria: l'inglese Young formulò rigorosamente il principio di interferenza delle onde, come esaltazione o elisione dell'intensità dei fasci luminosi a seconda delle differenze di fase delle onde stesse e spiegò così la formazione delle frange di interferenza. Il francese Fresnel diede una teoria completa della diffrazione, attraverso l'uso degli inviluppi di onde elementari di Huygens e del concetto di fase e di interferenza correlata alla differenza di fase; perfezionò inoltre la teoria di Huygens della doppia rifrazione, che riconduceva correttamente il fenomeno alla generazione, entro certi cristalli particolari, di due inviluppi di onde: da un esame più attento dell'effetto giunse anche a rilevare la polarizzazione dei raggi rifratti. Un ampio studio dei fenomeni di polarizzazione in genere portò Fresnel a concludere, contrariamente a Huygens, che le vibrazioni della luce dovevano essere trasversali, risultato questo di grande importanza anche per la concezione dell'etere cosmico. Infine, la teoria corpuscolare di Newton fu riconosciuta decisamente insostenibile quando esperimenti diretti (Fizeau 1849 - Foucault 1862) mostrarono che la velocità della luce non è maggiore nei mezzi più densi, anzi in questi diminuisce. Restava dunque provata la teoria ondulatoria e divenne perciò importante soprattutto il problema di quell'etere, che doveva essere sede di vibrazioni trasversali e comportarsi quindi come un solido perfettamente elastico, capace d'altronde di permeare non solo il vuoto ma tutti i corpi trasparenti alla luce. Nello stesso tempo lo studio dei fenomeni elettrici e magnetici portò a stabilire che lo spazio è sede di campi elettromagnetici e Maxwell espresse l'ipotesi che questi si propagassero per onde, con velocità uguale alla velocità della luce. Nacque di qui l'idea che i due tipi di fenomeni non fossero distinti: Maxwell stesso nel 1873 formulò la teoria della luce come particolare caso di onda elettromagnetica, assumendo come mezzo di propagazione ancora l'etere cosmico. Era già nota d'altronde l'esistenza di fenomeni analoghi a quelli luminosi, anche se non visibili: nella dispersione di un fascio di luce bianca (ad es., quella del sole) alle estremità delle radiazioni visibili si erano rilevate infatti altre componenti, capaci di un effetto termico (l'infrarosso scoperto da Herschel) o tali da annerire una lamina di nitrato di argento (l'ultravioletto, scoperto da Ritter e Wollaston). Finalmente, nel 1887 Hertz provò sperimentalmente la validità della teoria di Maxwell e dimostrò che le onde generate da un oscillatore elettromagnetico subivano realmente gli stessi fenomeni di riflessione, rifrazione, interferenza, polarizzazione, di quelle luminose. Fu quindi ancora più interessante il problema dell'etere: dopo che l'esperienza di Michelson e Morley (1887) ebbe dimostrato che la velocità della luce nel vuoto è indipendente dal moto dell'osservatore rispetto all'etere stesso, si cominciò a capire che l'ipotesi dell'esistenza dell'etere non aveva alcun carattere rilevante ed Einstein giunse finalmente alla conclusione che non si doveva ammettere. Inoltre, proprio la costanza della velocità della luce nel vuoto, indipendentemente dal moto dell'osservatore, portò Einstein a formulare la teoria della relatività ristretta (1905). Quasi nello stesso tempo il concetto di luce subì un'altra profonda trasformazione, per la scoperta di certi caratteri di discontinuità: nel 1900 Planck, studiando l'irraggiamento del corpo nero, aveva rilevato che lo spettro di questo poteva essere correttamente previsto solo se si ammetteva che a ogni radiazione di una certa frequenza corrispondesse un'energia che non poteva variare con continuità, ma era sempre multipla intera di un valore fondamentale (quanto di energia) dato dalla relazione Eo = hv, dove h è la costante di Planck. L'esistenza di tali quantità discrete fu provata poi anche dallo studio dell'effetto fotoelettrico e in seguito dell'effetto Compton, dell'effetto Raman, ecc.; lo schema teorico che diede una spiegazione di tali caratteri di discontinuità dell'energia emessa o assorbita da un corpo fu poi il modello dell'atomo di Bohr.
La luce nella moderna teoria della radiazione elettromagnetica
La fisica quantistica
Secondo la moderna concezione, la luce è costituita dall'insieme delle onde elettromagnetiche di frequenza tale da essere percepite dall'occhio umano: ma al di fuori dell'intervallo delle radiazioni visibili in senso stretto (con lunghezza d'onda compresa tra 7.600 · 10-8 e 3.800 · 10-8 cm dal rosso al violetto) vi sono ancora radiazioni dello stesso tipo quali l'infrarosso, le microonde e le onde hertziane da una parte e l'ultravioletto, i raggi X e i raggi y dall'altra. Per tutte le radiazioni, il fenomeno dell'emissione è dovuto a una transizione della sorgente da uno stato con una certa energia a un altro con energia inferiore: in particolare, se un atomo in una condizione fisica cui è associata l'energia E1 passa a un'altra cui compete l'energia E2 (minore di E1), viene emessa una radiazione di frequenza v, tale che sia E1 E2= h; possiamo anche dire che è emesso un fotone di energia hve che si propaga quindi un'onda di frequenza v. Se n atomi della sorgente compiono la transizione, vi saranno n fotoni emessi e quindi sarà E = nhvl'energia totale irraggiata: essa è cioè multipla del quanto fondamentale hvcorrispondente a quella certa frequenza. In modo analogo l'assorbimento della radiazione avviene per transizione del ricevitore dall'energia E1all'energia E2 = hv+ E1. Il caso particolare della luce è quello dei fotoni con frequenza nella regione del visibile; la natura quantistica del meccanismo di transizione tra stati di diversa energia permette di spiegare la legge di Kirchhoff che correla gli spettri di assorbimento e di emissione di una determinata sostanza. Si noti infine che nella teoria quantistica moderna, che in un certo senso ha riunito in sé entrambe le tradizionali concezioni, corpuscolare e ondulatoria, il dualismo onda-corpuscolo è una caratteristica essenziale e generale; a ogni particella di impulso p è dunque associata un'onda di lunghezza λ= h/p, così come inversamente all'onda elettromagnetica è associato il fotone. Fenomeni diversi metteranno poi in rilievo soprattutto l'aspetto corpuscolare, o piuttosto quello ondulatorio: così l'interferenza o la diffrazione richiedono in modo essenziale l'uso delle proprietà di onda, l'assorbimento o l'emissione quello delle proprietà corpuscolari dei fotoni.
Luce di sincrotrone
In natura essa viene emessa per esempio da elettroni liberi che si muovono nei campi magnetici galattici. Sorgenti artificiali di questa radiazione sono gli acceleratori circolari di elettroni (in genere di particelle cariche) aventi un'energia massima di qualche centinaio di MeV. Fino a qualche tempo fa l'emissione di questa radiazione, per esempio negli elettrosincrotroni, veniva considerata come un inevitabile sottoprodotto, oggi si costruiscono macchine dedicate a produrre solo radiazioni di sincrotrone (RS). Un elettrone accelerato su di una traiettoria circolare a bassa energia emette una radiazione di dipolo diretta in tutte le direzioni; quando l'energia supera l'energia di riposo dell'elettrone, e la velocità si avvicina a quella della luce, gli effetti relativistici costringono la radiazione entro uno stretto cono puntato nella direzione del moto, mentre l'intensità emessa aumenta enormemente. La radiazione emessa è inoltre fortemente polarizzata con il vettore E nel piano dell'orbita degli elettroni.
L'energia elettromagnetica viene emessa a tutte le frequenze con uno spettro continuo dalle frequenze più basse (microonde) fino a una frequenza «critica» cui corrisponde un'energia della radiazione ec che è legata all'energia massima degli elettroni, e al raggio di curvatura dell'orbita, dalla semplice relazione:
ec = 2,22 (E³/R):
ec = energia critica radiazione emessa misurata in KeV;
E = energia degli elettroni misurata in GeV; R = raggio dell'orbita misurato in m.
Negli attuali anelli di accumulazione nei quali gli elettroni circolano con energie dell'ordine di 20 GeV si ottiene luce di sincrotrone fino a energia superiore ai 50 KeV, corrispondenti a una lunghezza d'onda di frazioni di Ångstrom. L'inserzione di speciali dispositivi magnetici sull'orbita consente di ottenere radiazione a lunghezze d'onda ancora inferiori (raggi X molli). La potenza irraggiata come R.S. dagli anelli di accumulazione (PEP in USA, PETRA nella Germania Occidentale) è di diversi megawatt. Le caratteristiche uniche della R.S. ne fanno uno strumento ineguagliabile di ricerca scientifica e tecnologica; essa costituisce infatti una sorgente intensa, stabile, e a lunghezza d'onda variabile con continuità, con emissione a piccolissimo angolo di apertura, polarizzata, sotto vuoto spinto, con struttura temporale a impulsi (di nanosecondi di durata). Ciò consente ricerche e applicazioni in vari campi.
Velocità della luce
Fin dall'antichità si suppose che la luce si propagasse istantaneamente e solo nel Seicento furono tentati i primi esperimenti per determinare se la velocità fosse veramente infinita: Roemer nel 1675 utilizzò un metodo astronomico, fondato sull'osservazione delle eclissi dei satelliti di Giove, viste da posizioni diverse della Terra sulla sua orbita; poiché occorreva però conoscere le misure dei diametri dell'orbita terrestre, note ancora con scarsa precisione, il risultato di Roemer riuscì troppo grande (350.000 km/s circa): provò comunque che la propagazione non è in realtà istantanea. Nell'Ottocento furono compiute determinazioni anche in mezzi diversi dal vuoto o dall'aria con il metodo della ruota dentata di Fizeau (1849) e con il metodo dello specchio rotante di Foucault (1862). Il dispositivo di Fizeau è costituito sostanzialmente da una ruota a denti quadrati posta perpendicolarmente a un fascio di luce che, uscendo da una sorgente luminosa, percorre un certo cammino rettilineo e viene riflesso da uno specchio piano. Quando la velocità angolare della ruota non è tanto elevata, la luce che passa per una scanalatura tra due denti dopo la riflessione ritorna attraverso la stessa scanalatura e raggiunge l'osservatore. Aumentando la velocità della ruota a un valore opportuno ω, nel tempo impiegato dalla luce a percorrere lo spazio l tra la ruota e lo specchio piano e viceversa, la scanalatura viene rimpiazzata da un dente che interrompe il flusso luminoso dallo specchio all’osservatore, dimodoché l'osservatore non vede più la luce riflessa. Dalla misura della velocità angolare ω si risale alla velocità della luce c mediante la relazione c = 2 (l ω n/π, dove n è il numero dei denti della ruota.
Nel metodo dello specchio rotante di Foucault il dispositivo è costituito da uno specchio piano che ruota ad altissima velocità attorno a un suo asse e da un altro specchio concavo fisso. La luce emessa dalla sorgente e focalizzata dalla lente viene riflessa dallo specchio piano sul secondo specchio che la rinvia allo specchio piano. Nel tempo impiegato dalla luce a percorrere questo cammino, lo specchio piano è ruotato di un piccolo angolo, perciò il raggio non viene riflesso sulla sorgente ma forma un'immagine leggermente spostata rispetto all'immagine a quella che si sarebbe ottenuta se non si fosse ruotato lo specchio. Dalla misura di questo spostamento, conoscendo la velocità di rotazione dello specchio, si risale alla velocità della luce.
I metodi di Fizeau e Foucault provarono che la velocità della luce è minore nei mezzi più densi convalidando così la teoria ondulatoria.
Le determinazioni più recenti e più precise della velocità della luce (o, più in generale, delle radiazioni elettromagnetiche) sono state fatte usando anche metodi elettronici e non solo ottici. Nel 1972 è stata ottenuta al National Bureau of Standards (Boulder, Colorado) una misura della velocità della luce c nel vuoto, mediante la misurazione della frequenza f di una radiazione emessa da un laser a He-Ne stabilizzato e quella della corrispondente lunghezza d'onda λ. La velocità, ottenuta mediante la relazione c = λ f, è risultata:
c = 299.792,4562 0,0011 km/s.
Produzione della luce
A causa della relazione che lega radiazione emessa e transizioni energetiche, perché una sostanza possa essere sorgente di luce occorre che essa si trovi in uno stato eccitato di energia, sicché da questo possa tornare al livello normale di energia emettendo fotoni: se ad es. si riscalda un corpo, l'eccitazione termica lo rende luminoso quando la temperatura è abbastanza elevata. Nelle varie sorgenti di luce più in uso, sono utilizzati anche diversi metodi elettrici di eccitazione. Alcune sostanze sono anche sorgenti di luce per luminescenza: sottoposte a talune radiazioni (specialmente nella regione dell'ultravioletto) emettono luce visibile; se l'emissione cessa quasi al cessare dell'eccitazione, la sostanza è detta fluorescente; se invece può durare ancora per un certo tempo, è detta fosforescente.
Propagazione e assorbimento della luce
Nello studio della propagazione, si distinguono in genere due campi di fenomeni abbastanza nettamente separati, oggetto rispettivamente dell'ottica geometrica e dell'ottica ondulatoria: la prima si basa sul concetto della propagazione rettilinea dei raggi in un mezzo omogeneo e studia in special modo la riflessione e la rifrazione della luce. La seconda abbraccia tutti i casi in cui la natura ondulatoria della luce non è trascurabile e quindi particolarmente i fenomeni dovuti alla presenza nel mezzo di ostacoli o inomogeneità, di dimensioni comparabili con la lunghezza d'onda della luce stessa: l'interferenza e la diffrazione ne sono tipici esempi. Infine, quando la luce cade su un corpo, in parte è riflessa alla superficie di questo e in parte penetra nel corpo stesso: la riflessione, variabile a seconda della frequenza della radiazione incidente, è in genere massima sulla superficie dei metalli (riflessione metallica), che sono caratterizzati da una grande opacità rispetto alle radiazioni visibili; è minore alla superficie di corpi trasparenti (quali il vetro: riflessione vetrosa); e diventa una diffusione quando la superficie del corpo non è levigata, ma piuttosto scabra. La radiazione che penetra nel corpo può essere in parte trasmessa e in parte assorbita, a seconda dei fenomeni di eccitazione che può provocare nella sostanza: l'assorbimento è quindi diverso al variare della frequenza della luce.
Botanica
L'azione della luce sulle piante è molteplice. Molti organismi acquatici si spostano verso la sorgente luminosa (fototattismo positivo) o in direzione opposta. Con questi movimenti si spiegano, ad es., le variazioni giornaliere della posizione del plancton nelle acque. Negli organismi pluricellulari fissati al substrato, la luce influisce limitando l'allungamento delle cellule (e quindi degli organi e della stessa pianta) attraverso modifiche della distribuzione nelle cellule di sostanze di crescita. Per tale motivo quando la luce colpisce di lato un organo, si verifica un allungamento ineguale delle cellule illuminate e di quelle più in ombra, con la conseguente curvatura dell'organo verso la sorgente luminosa (fototropismo positivo) o in direzione opposta. La luce agisce anche sulla morfologia della pianta e sulla sua struttura anatomica interna, come conseguenza, soprattutto, della sua azione sulla traspirazione, che viene grandemente incrementata dalla luce. Per tale motivo le piante di luoghi molto soleggiati (piante eliofile) hanno particolari adattamenti contro i pericoli di un'eccessiva perdita di acqua. Le piante che crescono all'ombra (sciafite) hanno invece strutture opposte, e posseggono anche caratteristiche fisiologiche ben differenti da quelle delle eliofile (diverso punto di compensazione nella fotosintesi ecc.). In assenza di luce la maggior parte delle piante non sono capaci di formare clorofilla e divengono eziolate. Esse cioè sono di colore gialliccio, hanno rami lunghi e sottili, ricchi di tessuti parenchimatici e con pochissimi tessuti di sostegno, ecc. Oltre che sulla sintesi della clorofilla, la luce influisce anche sullo stesso processo fotosintetico, e precisamente nella prima fase di tale processo. Particolarmente attiva, sotto questo punto di vista, è la luce di lunghezza d'onda del rosso, che viene assorbita preferenzialmente dalla clorofilla. Dato che queste luci di particolari lunghezze d'onda sono arrestate anche da limitati strati di acqua, le piante che vivono fissate sul fondo dei mari posseggono pigmenti particolari (ficofeina e ficoeritrina delle alghe brune e rosse), che consentono di utilizzare per la fotosintesi le radiazioni blu che più facilmente giungono fino a esse. La luce ha notevole influenza anche sulla germinazione dei semi, alcuni dei quali si manifestano fotoblastici, cioè si dimostrano capaci di germinare solo se vengono prima illuminati per un determinato periodo. Altri semi, all'opposto, perdono la capacità di germinare se sono esposti alla luce (semi afotoblastici). Anche in questi casi luci di differente lunghezza d'onda hanno effetti molto diversi.
La luce, oltre che per la sua qualità e la sua intensità, può agire anche in relazione alla sua durata. La fioritura, la cessazione della quiescenza, la germogliazione delle piante possono infatti essere fortemente influenzate dalla durata del periodo di illuminazione e di quello oscuro.
Luce
Rifrazione
La fisica moderna ha ricondotto il concetto di luce a quello più generale di energia raggiante: la luce corrisponde semplicemente alle radiazioni elettromagnetiche di frequenza tale da eccitare le facoltà di percezione dell'occhio umano; il significato e la natura della moderna concezione potranno essere meglio compresi con un rapido esame dello sviluppo storico delle teorie sulla luce.
Il concetto di luce attraverso la storia
Polarizzazione
Nell'osservazione dei fenomeni luminosi, si associò innanzi tutto la sensazione visiva a un agente che si propaga in linea retta tra la sorgente di luce e l'occhio: la propagazione rettilinea tra la sorgente luminosa e l'occhio fu rilevata fin dall'antichità e fu una delle prime nozioni di ottica geometrica. Mentre però per la scuola atomistica di Democrito lungo i «raggi» si propagano particelle luminose emesse dalla sorgente, per altri (quali ad es. Erone, autore di una corretta teoria della riflessione) è l'occhio stesso a proiettare i raggi sugli oggetti circostanti, sì da renderli visibili: l'antichità classica non approfondì comunque gli studi sulla natura della luce esaurendo i propri risultati nell'ambito dell'ottica geometrica. Il problema cominciò a essere oggetto di più attente indagini nel Cinquecento e si delinearono due indirizzi di pensiero opposti: una teoria ondulatoria, sostenuta inizialmente dagli aristotelici, per i quali la luce doveva essere un fenomeno di movimento analogo al suono, e una corpuscolare, secondo cui lungo i raggi luminosi si aveva un flusso velocissimo di particelle molto piccole. Andava intanto crescendo il numero delle proprietà ottiche conosciute: nel 1675 Roemer realizzò una determinazione astronomica della velocità della luce, che, pur avendo fornito per questa un valore troppo elevato, ebbe il merito di stabilire per la prima volta in modo sperimentale che la propagazione della luce non è istantanea. Venne così confutata l'opinione tradizionale che la luce avesse velocità infinita, affermazione questa che era stata posta in discussione, anche da Galilei, solo agli inizi del Seicento. Nello stesso periodo furono scoperti gli importanti fenomeni della diffrazione (a opera del Grimaldi, che cercò di studiare l'effetto nell'ambito della concezione corpuscolare), della doppia rifrazione in cristalli quali lo spato d'Islanda e delle frange di interferenza, apparse per la prima volta a Hooke come fenomeni di colorazione delle lamine sottili. Si giunse così, alla fine del Seicento, alle prime formulazioni che cercavano di inquadrare tutti i fenomeni luminosi noti in uno schema concettualmente unitario: tali formulazioni costituirono la teoria corpuscolare di Newton e quella ondulatoria di Huygens. Con la prima, il fisico inglese si propose di fondare l'ottica su basi puramente meccaniche: l'emissione di luce è interpretata come emissione di corpuscoli piccolissimi uscenti dalle sorgenti luminose e la velocità con cui essi si propagano in un dato mezzo risente dell'attrazione, del tipo di quella gravitazionale, che i corpuscoli stessi subiscono a opera delle particelle del mezzo. La rifrazione, essendo un cambiamento di direzione dei raggi nel passaggio da un mezzo a un altro di diversa densità, è quindi ricondotta semplicemente a un effetto della variazione di velocità, che è maggiore dove l'attrazione da parte del mezzo è più grande: secondo Newton la luce ha perciò velocità più elevata nei mezzi più densi; in particolare, segue di qui che non ha un valore massimo nel vuoto. Il fisico inglese studiò poi attentamente il fenomeno della dispersione e lo poté spiegare nell'ambito della sua teoria: i diversi colori in cui si separa la luce bianca quando attraversa un mezzo dispersivo (quale un prisma di vetro) furono interpretati come un effetto della propagazione di corpuscoli di massa diversa, capaci quindi di subire una diversa forza di attrazione. Poiché un fascio di luce bianca entrante nel prisma si scinde in raggi cromatici meno o più deviati dal rosso al violetto, secondo Newton la luce bianca è una sovrapposizione delle luci colorate (anzi, proprio Newton distinse sette colori fondamentali: rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco, violetto) e la velocità di queste, approssimativamente uguale nell'aria, è diversa nel vetro ed è massima per il violetto, più deviato. Newton studiò anche il fenomeno dell'interferenza: anzi, realizzò condizioni particolarmente adatte all'osservazione delle frange mettendo a contatto una superficie piana con una sferica e generando così gli anelli di interferenza ancora oggi noti con il suo nome. Nonostante alcuni tentativi di attribuire una «polarità» ai corpuscoli luminosi, tale che la sovrapposizione di due opposti di questi potesse dare eventualmente un'elisione della luce, Newton non riuscì in realtà a spiegare né l'interferenza, né la diffrazione (che cercò di ricondurre a fenomeni di rifrazione ai bordi degli ostacoli), né la doppia rifrazione o la riflessione parziale sulle superfici. Tuttavia, la teoria corpuscolare fu quasi universalmente accettata e per tutto il Settecento predominò su quella ondulatoria, di cui Huygens aveva dato una formulazione completa nel suo Trattato sulla luce (1690). In quest'opera la luce viene interpretata come una propagazione nello spazio di onde elastiche: in questo ambito si possono spiegare bene tutti i fenomeni noti, e cioè riflessione, rifrazione, dispersione, interferenza, diffrazione. Secondo tale teoria, i diversi colori corrispondono a vibrazioni di diversa lunghezza d'onda; inoltre la velocità della luce deve essere massima nel vuoto e proprio la diminuzione di velocità nell'entrare in un mezzo meno denso determina la rifrazione, secondo il principio di Huygens-Fresnel: in modo opposto alla concezione di Newton, si conclude quindi che nella dispersione il rosso, meno deviato, ha nel prisma di vetro velocità maggiore del violetto, più deviato. La difficoltà principale della concezione ondulatoria risiedeva però nel fatto che la propagazione di vibrazioni elastiche di natura meccanica richiede l'esistenza di un mezzo materiale, sede delle vibrazioni stesse: e poiché vi sono sostanze trasparenti alla luce e questa si propaga anche nel vuoto, tale mezzo (etere) dovrebbe essere presente ovunque, permeando anche gli interstizi dei corpi. Huygens ne postulò l'esistenza e ammise inoltre che le vibrazioni di esso fossero di tipo longitudinale, come nel caso delle onde sonore. Agli inizi dell'Ottocento furono finalmente stabiliti alcuni risultati decisamente favorevoli alla concezione ondulatoria: l'inglese Young formulò rigorosamente il principio di interferenza delle onde, come esaltazione o elisione dell'intensità dei fasci luminosi a seconda delle differenze di fase delle onde stesse e spiegò così la formazione delle frange di interferenza. Il francese Fresnel diede una teoria completa della diffrazione, attraverso l'uso degli inviluppi di onde elementari di Huygens e del concetto di fase e di interferenza correlata alla differenza di fase; perfezionò inoltre la teoria di Huygens della doppia rifrazione, che riconduceva correttamente il fenomeno alla generazione, entro certi cristalli particolari, di due inviluppi di onde: da un esame più attento dell'effetto giunse anche a rilevare la polarizzazione dei raggi rifratti. Un ampio studio dei fenomeni di polarizzazione in genere portò Fresnel a concludere, contrariamente a Huygens, che le vibrazioni della luce dovevano essere trasversali, risultato questo di grande importanza anche per la concezione dell'etere cosmico. Infine, la teoria corpuscolare di Newton fu riconosciuta decisamente insostenibile quando esperimenti diretti (Fizeau 1849 - Foucault 1862) mostrarono che la velocità della luce non è maggiore nei mezzi più densi, anzi in questi diminuisce. Restava dunque provata la teoria ondulatoria e divenne perciò importante soprattutto il problema di quell'etere, che doveva essere sede di vibrazioni trasversali e comportarsi quindi come un solido perfettamente elastico, capace d'altronde di permeare non solo il vuoto ma tutti i corpi trasparenti alla luce. Nello stesso tempo lo studio dei fenomeni elettrici e magnetici portò a stabilire che lo spazio è sede di campi elettromagnetici e Maxwell espresse l'ipotesi che questi si propagassero per onde, con velocità uguale alla velocità della luce. Nacque di qui l'idea che i due tipi di fenomeni non fossero distinti: Maxwell stesso nel 1873 formulò la teoria della luce come particolare caso di onda elettromagnetica, assumendo come mezzo di propagazione ancora l'etere cosmico. Era già nota d'altronde l'esistenza di fenomeni analoghi a quelli luminosi, anche se non visibili: nella dispersione di un fascio di luce bianca (ad es., quella del sole) alle estremità delle radiazioni visibili si erano rilevate infatti altre componenti, capaci di un effetto termico (l'infrarosso scoperto da Herschel) o tali da annerire una lamina di nitrato di argento (l'ultravioletto, scoperto da Ritter e Wollaston). Finalmente, nel 1887 Hertz provò sperimentalmente la validità della teoria di Maxwell e dimostrò che le onde generate da un oscillatore elettromagnetico subivano realmente gli stessi fenomeni di riflessione, rifrazione, interferenza, polarizzazione, di quelle luminose. Fu quindi ancora più interessante il problema dell'etere: dopo che l'esperienza di Michelson e Morley (1887) ebbe dimostrato che la velocità della luce nel vuoto è indipendente dal moto dell'osservatore rispetto all'etere stesso, si cominciò a capire che l'ipotesi dell'esistenza dell'etere non aveva alcun carattere rilevante ed Einstein giunse finalmente alla conclusione che non si doveva ammettere. Inoltre, proprio la costanza della velocità della luce nel vuoto, indipendentemente dal moto dell'osservatore, portò Einstein a formulare la teoria della relatività ristretta (1905). Quasi nello stesso tempo il concetto di luce subì un'altra profonda trasformazione, per la scoperta di certi caratteri di discontinuità: nel 1900 Planck, studiando l'irraggiamento del corpo nero, aveva rilevato che lo spettro di questo poteva essere correttamente previsto solo se si ammetteva che a ogni radiazione di una certa frequenza corrispondesse un'energia che non poteva variare con continuità, ma era sempre multipla intera di un valore fondamentale (quanto di energia) dato dalla relazione Eo = hv, dove h è la costante di Planck. L'esistenza di tali quantità discrete fu provata poi anche dallo studio dell'effetto fotoelettrico e in seguito dell'effetto Compton, dell'effetto Raman, ecc.; lo schema teorico che diede una spiegazione di tali caratteri di discontinuità dell'energia emessa o assorbita da un corpo fu poi il modello dell'atomo di Bohr.
La luce nella moderna teoria della radiazione elettromagnetica
La fisica quantistica
Secondo la moderna concezione, la luce è costituita dall'insieme delle onde elettromagnetiche di frequenza tale da essere percepite dall'occhio umano: ma al di fuori dell'intervallo delle radiazioni visibili in senso stretto (con lunghezza d'onda compresa tra 7.600 · 10-8 e 3.800 · 10-8 cm dal rosso al violetto) vi sono ancora radiazioni dello stesso tipo quali l'infrarosso, le microonde e le onde hertziane da una parte e l'ultravioletto, i raggi X e i raggi y dall'altra. Per tutte le radiazioni, il fenomeno dell'emissione è dovuto a una transizione della sorgente da uno stato con una certa energia a un altro con energia inferiore: in particolare, se un atomo in una condizione fisica cui è associata l'energia E1 passa a un'altra cui compete l'energia E2 (minore di E1), viene emessa una radiazione di frequenza v, tale che sia E1 E2= h; possiamo anche dire che è emesso un fotone di energia hve che si propaga quindi un'onda di frequenza v. Se n atomi della sorgente compiono la transizione, vi saranno n fotoni emessi e quindi sarà E = nhvl'energia totale irraggiata: essa è cioè multipla del quanto fondamentale hvcorrispondente a quella certa frequenza. In modo analogo l'assorbimento della radiazione avviene per transizione del ricevitore dall'energia E1all'energia E2 = hv+ E1. Il caso particolare della luce è quello dei fotoni con frequenza nella regione del visibile; la natura quantistica del meccanismo di transizione tra stati di diversa energia permette di spiegare la legge di Kirchhoff che correla gli spettri di assorbimento e di emissione di una determinata sostanza. Si noti infine che nella teoria quantistica moderna, che in un certo senso ha riunito in sé entrambe le tradizionali concezioni, corpuscolare e ondulatoria, il dualismo onda-corpuscolo è una caratteristica essenziale e generale; a ogni particella di impulso p è dunque associata un'onda di lunghezza λ= h/p, così come inversamente all'onda elettromagnetica è associato il fotone. Fenomeni diversi metteranno poi in rilievo soprattutto l'aspetto corpuscolare, o piuttosto quello ondulatorio: così l'interferenza o la diffrazione richiedono in modo essenziale l'uso delle proprietà di onda, l'assorbimento o l'emissione quello delle proprietà corpuscolari dei fotoni.
Luce di sincrotrone
In natura essa viene emessa per esempio da elettroni liberi che si muovono nei campi magnetici galattici. Sorgenti artificiali di questa radiazione sono gli acceleratori circolari di elettroni (in genere di particelle cariche) aventi un'energia massima di qualche centinaio di MeV. Fino a qualche tempo fa l'emissione di questa radiazione, per esempio negli elettrosincrotroni, veniva considerata come un inevitabile sottoprodotto, oggi si costruiscono macchine dedicate a produrre solo radiazioni di sincrotrone (RS). Un elettrone accelerato su di una traiettoria circolare a bassa energia emette una radiazione di dipolo diretta in tutte le direzioni; quando l'energia supera l'energia di riposo dell'elettrone, e la velocità si avvicina a quella della luce, gli effetti relativistici costringono la radiazione entro uno stretto cono puntato nella direzione del moto, mentre l'intensità emessa aumenta enormemente. La radiazione emessa è inoltre fortemente polarizzata con il vettore E nel piano dell'orbita degli elettroni.
L'energia elettromagnetica viene emessa a tutte le frequenze con uno spettro continuo dalle frequenze più basse (microonde) fino a una frequenza «critica» cui corrisponde un'energia della radiazione ec che è legata all'energia massima degli elettroni, e al raggio di curvatura dell'orbita, dalla semplice relazione:
ec = 2,22 (E³/R):
ec = energia critica radiazione emessa misurata in KeV;
E = energia degli elettroni misurata in GeV; R = raggio dell'orbita misurato in m.
Negli attuali anelli di accumulazione nei quali gli elettroni circolano con energie dell'ordine di 20 GeV si ottiene luce di sincrotrone fino a energia superiore ai 50 KeV, corrispondenti a una lunghezza d'onda di frazioni di Ångstrom. L'inserzione di speciali dispositivi magnetici sull'orbita consente di ottenere radiazione a lunghezze d'onda ancora inferiori (raggi X molli). La potenza irraggiata come R.S. dagli anelli di accumulazione (PEP in USA, PETRA nella Germania Occidentale) è di diversi megawatt. Le caratteristiche uniche della R.S. ne fanno uno strumento ineguagliabile di ricerca scientifica e tecnologica; essa costituisce infatti una sorgente intensa, stabile, e a lunghezza d'onda variabile con continuità, con emissione a piccolissimo angolo di apertura, polarizzata, sotto vuoto spinto, con struttura temporale a impulsi (di nanosecondi di durata). Ciò consente ricerche e applicazioni in vari campi.
Velocità della luce
Fin dall'antichità si suppose che la luce si propagasse istantaneamente e solo nel Seicento furono tentati i primi esperimenti per determinare se la velocità fosse veramente infinita: Roemer nel 1675 utilizzò un metodo astronomico, fondato sull'osservazione delle eclissi dei satelliti di Giove, viste da posizioni diverse della Terra sulla sua orbita; poiché occorreva però conoscere le misure dei diametri dell'orbita terrestre, note ancora con scarsa precisione, il risultato di Roemer riuscì troppo grande (350.000 km/s circa): provò comunque che la propagazione non è in realtà istantanea. Nell'Ottocento furono compiute determinazioni anche in mezzi diversi dal vuoto o dall'aria con il metodo della ruota dentata di Fizeau (1849) e con il metodo dello specchio rotante di Foucault (1862). Il dispositivo di Fizeau è costituito sostanzialmente da una ruota a denti quadrati posta perpendicolarmente a un fascio di luce che, uscendo da una sorgente luminosa, percorre un certo cammino rettilineo e viene riflesso da uno specchio piano. Quando la velocità angolare della ruota non è tanto elevata, la luce che passa per una scanalatura tra due denti dopo la riflessione ritorna attraverso la stessa scanalatura e raggiunge l'osservatore. Aumentando la velocità della ruota a un valore opportuno ω, nel tempo impiegato dalla luce a percorrere lo spazio l tra la ruota e lo specchio piano e viceversa, la scanalatura viene rimpiazzata da un dente che interrompe il flusso luminoso dallo specchio all’osservatore, dimodoché l'osservatore non vede più la luce riflessa. Dalla misura della velocità angolare ω si risale alla velocità della luce c mediante la relazione c = 2 (l ω n/π, dove n è il numero dei denti della ruota.
Nel metodo dello specchio rotante di Foucault il dispositivo è costituito da uno specchio piano che ruota ad altissima velocità attorno a un suo asse e da un altro specchio concavo fisso. La luce emessa dalla sorgente e focalizzata dalla lente viene riflessa dallo specchio piano sul secondo specchio che la rinvia allo specchio piano. Nel tempo impiegato dalla luce a percorrere questo cammino, lo specchio piano è ruotato di un piccolo angolo, perciò il raggio non viene riflesso sulla sorgente ma forma un'immagine leggermente spostata rispetto all'immagine a quella che si sarebbe ottenuta se non si fosse ruotato lo specchio. Dalla misura di questo spostamento, conoscendo la velocità di rotazione dello specchio, si risale alla velocità della luce.
I metodi di Fizeau e Foucault provarono che la velocità della luce è minore nei mezzi più densi convalidando così la teoria ondulatoria.
Le determinazioni più recenti e più precise della velocità della luce (o, più in generale, delle radiazioni elettromagnetiche) sono state fatte usando anche metodi elettronici e non solo ottici. Nel 1972 è stata ottenuta al National Bureau of Standards (Boulder, Colorado) una misura della velocità della luce c nel vuoto, mediante la misurazione della frequenza f di una radiazione emessa da un laser a He-Ne stabilizzato e quella della corrispondente lunghezza d'onda λ. La velocità, ottenuta mediante la relazione c = λ f, è risultata:
c = 299.792,4562 0,0011 km/s.
Produzione della luce
A causa della relazione che lega radiazione emessa e transizioni energetiche, perché una sostanza possa essere sorgente di luce occorre che essa si trovi in uno stato eccitato di energia, sicché da questo possa tornare al livello normale di energia emettendo fotoni: se ad es. si riscalda un corpo, l'eccitazione termica lo rende luminoso quando la temperatura è abbastanza elevata. Nelle varie sorgenti di luce più in uso, sono utilizzati anche diversi metodi elettrici di eccitazione. Alcune sostanze sono anche sorgenti di luce per luminescenza: sottoposte a talune radiazioni (specialmente nella regione dell'ultravioletto) emettono luce visibile; se l'emissione cessa quasi al cessare dell'eccitazione, la sostanza è detta fluorescente; se invece può durare ancora per un certo tempo, è detta fosforescente.
Propagazione e assorbimento della luce
Nello studio della propagazione, si distinguono in genere due campi di fenomeni abbastanza nettamente separati, oggetto rispettivamente dell'ottica geometrica e dell'ottica ondulatoria: la prima si basa sul concetto della propagazione rettilinea dei raggi in un mezzo omogeneo e studia in special modo la riflessione e la rifrazione della luce. La seconda abbraccia tutti i casi in cui la natura ondulatoria della luce non è trascurabile e quindi particolarmente i fenomeni dovuti alla presenza nel mezzo di ostacoli o inomogeneità, di dimensioni comparabili con la lunghezza d'onda della luce stessa: l'interferenza e la diffrazione ne sono tipici esempi. Infine, quando la luce cade su un corpo, in parte è riflessa alla superficie di questo e in parte penetra nel corpo stesso: la riflessione, variabile a seconda della frequenza della radiazione incidente, è in genere massima sulla superficie dei metalli (riflessione metallica), che sono caratterizzati da una grande opacità rispetto alle radiazioni visibili; è minore alla superficie di corpi trasparenti (quali il vetro: riflessione vetrosa); e diventa una diffusione quando la superficie del corpo non è levigata, ma piuttosto scabra. La radiazione che penetra nel corpo può essere in parte trasmessa e in parte assorbita, a seconda dei fenomeni di eccitazione che può provocare nella sostanza: l'assorbimento è quindi diverso al variare della frequenza della luce.
Botanica
L'azione della luce sulle piante è molteplice. Molti organismi acquatici si spostano verso la sorgente luminosa (fototattismo positivo) o in direzione opposta. Con questi movimenti si spiegano, ad es., le variazioni giornaliere della posizione del plancton nelle acque. Negli organismi pluricellulari fissati al substrato, la luce influisce limitando l'allungamento delle cellule (e quindi degli organi e della stessa pianta) attraverso modifiche della distribuzione nelle cellule di sostanze di crescita. Per tale motivo quando la luce colpisce di lato un organo, si verifica un allungamento ineguale delle cellule illuminate e di quelle più in ombra, con la conseguente curvatura dell'organo verso la sorgente luminosa (fototropismo positivo) o in direzione opposta. La luce agisce anche sulla morfologia della pianta e sulla sua struttura anatomica interna, come conseguenza, soprattutto, della sua azione sulla traspirazione, che viene grandemente incrementata dalla luce. Per tale motivo le piante di luoghi molto soleggiati (piante eliofile) hanno particolari adattamenti contro i pericoli di un'eccessiva perdita di acqua. Le piante che crescono all'ombra (sciafite) hanno invece strutture opposte, e posseggono anche caratteristiche fisiologiche ben differenti da quelle delle eliofile (diverso punto di compensazione nella fotosintesi ecc.). In assenza di luce la maggior parte delle piante non sono capaci di formare clorofilla e divengono eziolate. Esse cioè sono di colore gialliccio, hanno rami lunghi e sottili, ricchi di tessuti parenchimatici e con pochissimi tessuti di sostegno, ecc. Oltre che sulla sintesi della clorofilla, la luce influisce anche sullo stesso processo fotosintetico, e precisamente nella prima fase di tale processo. Particolarmente attiva, sotto questo punto di vista, è la luce di lunghezza d'onda del rosso, che viene assorbita preferenzialmente dalla clorofilla. Dato che queste luci di particolari lunghezze d'onda sono arrestate anche da limitati strati di acqua, le piante che vivono fissate sul fondo dei mari posseggono pigmenti particolari (ficofeina e ficoeritrina delle alghe brune e rosse), che consentono di utilizzare per la fotosintesi le radiazioni blu che più facilmente giungono fino a esse. La luce ha notevole influenza anche sulla germinazione dei semi, alcuni dei quali si manifestano fotoblastici, cioè si dimostrano capaci di germinare solo se vengono prima illuminati per un determinato periodo. Altri semi, all'opposto, perdono la capacità di germinare se sono esposti alla luce (semi afotoblastici). Anche in questi casi luci di differente lunghezza d'onda hanno effetti molto diversi.
La luce, oltre che per la sua qualità e la sua intensità, può agire anche in relazione alla sua durata. La fioritura, la cessazione della quiescenza, la germogliazione delle piante possono infatti essere fortemente influenzate dalla durata del periodo di illuminazione e di quello oscuro.