Il colore

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Testo

IL COLORE
Sappiamo che la luce è una sensazione del nostro cervello che viene stimolata da una reazione fotochimica nella retina dell’ occhio, che attiva la sensazione cerebrale la quale può ricomparire anche durante la notte al buio durante il sogno, attivata in tal caso da processi mnemonici. I nostri occhi percepiscono i cambiamenti di frequenza delle radiazioni ed attivano la percezione cerebrale sotto forma di cambiamenti di colore.
La luce è composta da onde elettromagnetiche e al variare della lunghezza d'onda varia il colore percepito. Le onde visibili sono quelle comprese tra i 380 e i 780 nanometri, cioè tra il violetto e il rosso, passando per azzurro, verde, gialloverde (intorno ai 550 nanometri, dove la sensibilità dell'occhio umano è massima), giallo e arancio. Al di sotto dei 380 nm si ha la luce ultravioletta e al di sopra dei 780 nm quella infrarossa. Si ha una luce monocromatica quando la sua composizione è data esclusivamente da onde elettromagnetiche di uguale lunghezza d'onda. Normalmente, invece, la luce che percepiamo comprende varie lunghezze d'onda e, in particolare, quella del sole comprende tutta la gamma di lunghezze d'onda visibili.
Un oggetto, che non emette luce propria, appare di un certo colore perché riflette quelle determinate radiazioni luminose. Nel valutare l'emissione di sorgenti luminose viene presa in considerazione anche la temperatura di colore, misurata in gradi Kelvin (K). Bassi valori della temperatura di colore corrispondono a tonalità calde e viceversa alti valori corrispondono a tonalità fredde.
La luce dunque non è colorata (e nemmeno gli oggetti sono colorati), ma è in grado di generare la percezione del colore quando stimola l'occhio e il sistema nervoso. In natura, senza l'occhio dell'osservatore, non esiste il colore, c'è solo la luce.
La percezione dei colori
la percezione dei colori è caratterizzata da tre fenomeni:
l'opponenza cromatica
il contrasto simultaneo
la costanza dei colori
Al fenomeno di opponenza cromatica si assiste osservando come rispettivamente le sensazioni di verde e rosso, giallo e blu e bianco e nero sembrino in antagonismo fra loro, tendano, cioè a cancellarsi reciprocamente.
Il fenomeno del contrasto cromatico simultaneo si osserva a livello dei margini della sagoma di un oggetto. Un oggetto grigio, ad esempio, visto su uno sfondo rosso acquista una sfumatura di verde; se invece è visto su uno sfondo verde, acquista una sfumatura di rosso.
La costanza dei colori è la terza proprietà importante della visione cromatica. Quando la composizione della luce incidente varia, i meccanismi che presiedono alla visione dei colori compensano queste variazioni, cosicché il colore degli oggetti sembra sempre lo stesso.
Attributi percettivi del colore
Essendo concetti psicologici soggettivi ed individuali, relativi a come "vediamo" il colore, gli attributi del colore non si prestano ad una definizione precisa né ad una misura oggettiva. Si suddividono in due gruppi:
-attributi quantitativi (quelli che riguardano la "quantità" del colore)
-attributi qualitativi o di cromaticità (quelli che riguardano la sua "qualità")
Brillanza
Il primo attributo è la brillanza cioè la quantità totale di luce che il colore appare emettere (è definibile sia per luci che per gli oggetti, isolati o non isolati).
Osservando la luce di una lampadina rossa da 10 watt percepiamo un certo grado di brillanza che potremmo esprimere dicendo che è un rosso “fioco” o “debole”. Se la lampadina è di 100 watt percepiamo una brillanza maggiore e possiamo dire che il rosso appare “luminoso”, “intenso”. Con una lampadina da 1000 watt il rosso appare “abbagliante”.
La brillanza può riferirsi anche ad un oggetto isolato (cioè tale che la luce arrivi all’occhio solo dall’oggetto e da nient’altro). Per esempio osservando in una camera oscura un foglio di carta rossa illuminato da un faretto di luce bianca, percepiamo un colore rosso del quale possiamo giudicare la brillanza.
La chiarezza
Si può considerare il concetto di brillanza relativa che è così importante che ha un nome: chiarezza; la chiarezza è la brillanza di un oggetto giudicata relativamente ad un’altra area similmente illuminata che appare bianca.
Un quadrato grigio su un pezzo di carta bianca, visto dentro casa ha una certa brillanza mentre alla luce del sole ha una brillanza maggiore, ma se tale brillanza viene giudicata in relazione a quella del bianco della carta (cioè se viene giudicata la chiarezza) questa è costante.
Il bianco di riferimento può anche non essere presente: costanza della chiarezza.
Un fazzoletto bianco appare bianco sia di giorno che di notte.
La chiarezza si indica con parole come nero, grigio chiaro, grigio scuro, bianco.
Per giudicare la chiarezza il sistema visivo scarta l’illuminazione dalla brillanza, dunque gli oggetti appaiono mantenere la loro chiarezza anche in condizioni diverse di illuminazione.
L'occhio ha la capacità di giudicare differenze di chiarezza. Vi è quindi la possibilità di costruire una scala uniforme di chiarezza, cioè un insieme ordinato di colori, in modo che la differenza percepita tra le chiarezze di due colori adiacenti sia costante. Se ci si limita ai grigi la scala sviluppata è detta scala di grigi. Una scala di grigi è una scala uniforme di chiarezza, con vari gradi di grigio che vanno da bianco a nero che dunque, fissato il numero, sono sempre gli stessi, indipendentemente dall’illuminazione.
La tinta
Il principale attributo percettivo del colore è la tinta, cioè quella caratteristica del colore che si indica con i nomi rosso, giallo, verde, blu, viola, arancio e così via (quello che talvolta nel linguaggio comune si chiama semplicemente "colore"). Dicendo "rosso", o "verde" o "viola" comunichiamo ad altri l'idea di una particolare tinta. Una tinta non è un colore, ma una famiglia di colori. Quando si cita una tinta, per esempio "rosso", non si intende parlare di un colore rosso particolare, ma dell’intera famiglia di tutti i rossi, dai più saturi ai meno saturi e dai più luminosi ai meno luminosi. In questo senso, i colori rosso e rosa fanno parte della stessa famiglia, cioè hanno la stessa tinta.
Non tutti i colori hanno una tinta: bianco, nero e varie gradazioni di grigio sono colori senza una tinta, ovvero colori acromatici. I colori cromatici sono quelli che hanno una tinta (eventualmente mescolata con bianco, nero e grigio). Pare che l'occhio umano possa distinguere circa 250 tinte diverse. Di queste ce ne sono solo quattro che non vengono percepite come mescolanze di altre tinte: si tratta del rosso, del giallo, del verde e del blu che sono dette tinte unarie. Giallo e blu sono tinte "opponenti", non è possibile pensare ad una loro mescolanza (non è possibile immaginare un giallo bluastro o un blu giallastro). Anche rosso e verde sono tinte opponenti. Le tinte non unarie (binarie) vengono percepite come mescolanza di due tinte unarie non opponenti. Più precisamente come mescolanza di
• verde e giallo: per esempio muschio;
• giallo e rosso: per esempio arancio;
• rosso e blu: per esempio viola, violetto, magenta;
• blu e verde: per esempio turchese.
Le quattro tinte unarie più il bianco e il nero (che non sono tinte, ma sono colori) sono considerati i colori primari psicologici: il bianco si oppone al nero, il rosso al verde e il giallo al blu.
Si parla di combinazione additiva dei colori quando, proiettando su uno schermo tre fasci di luce colorata, per sovrapposizione di due colori se ne ottiene un terzo, in questo caso, ogni fascio di luce aggiunge le sue caratteristiche; la sovrapposizione dei tre colori primari genera il bianco.
La combinazione sottrattiva si ottiene viceversa con la luce solare, eliminando in modo specifico alcune componenti attraverso specifici filtri: si può per esempio ottenere luce gialla eliminando le lunghezze d'onda del blu, porpora, eliminando il verde, turchese, eliminando il rosso; sovrapponendo fra loro i colori giallo, magenta e turchese così ottenuti, si ha la presenza contemporanea di due o tre filtri: quando i tre colori si sovrappongono non passa nessuna luce, se invece se ne sovrappongono solo due, filtrerà soltanto la luce che non è stata bloccata; questo fenomeno può essere semplicemente verificato attraverso la creazione di ombre colorate.
La pienezza
Descrive la quantità assoluta della parte cromatica percepita. Si riferisce sia alle luci che agli oggetti. La pienezza esprime la quantità relativa della componente cromatica rispetto a quella bianca, cioè la concentrazione della componente cromatica. Blu e celeste hanno la stessa tinta, ma il blu ha una pienezza maggiore del celeste, è più ricco, e lo stesso si può dire di viola e lilla, rosso e rosa.
La croma
È la pienezza di un’area in proporzione alla brillanza di un oggetto similmente illuminato che appare bianco (o molto trasmittente, nel caso di oggetti trasparenti). Ha senso parlare di croma solo per gli oggetti.
La saturazione
Descrive la pienezza di un’area in proporzione alla brillanza del colore dell’area stessa (prodotta dalla parte cromatica e dalla parte acromatica). Ha senso parlare di saturazione sia per gli oggetti che per le luci. Pare che l’apparato visivo umano possa discriminare tra circa 100 livelli di saturazione in un ordinamento lineare, da un minimo ad un massimo.
Lo spettro
Ad ogni lunghezza d’onda corrisponde una determinata sensazione di colore. Se mettiamo di seguito tutte le radiazioni monocromatiche visibili, indicate con la loro lunghezza d’onda, e i rispettivi colori percepiti, possiamo costruire lo spettro dei colori. Un colore di spettro (percepito) è dunque in corrispondenza biunivoca con una radiazione monocromatica (stimolo).
DIFETTI DELLA VISIONE DEL COLORE
I difetti della visione del colore si suddividono in due principali categorie:
1. Difetti congeniti nella visione dei colori
2. Difetti acquisiti nella visione dei colori.
La distinzione tra i due diversi raggruppamenti è rappresentata dal fatto che i difetti acquisiti spesso sono il risultato di alcuni processi patologici che interessano i recettori della visione dei colori o i percorsi neurali a livello più elevato. I difetti congeniti nella visione dei colori sono collegati a
fattori genetici.
I difetti nella visione dei colori vengono classificati mediante il numero di colori primari
dello spettro necessari a un individuo per il riconoscimento di qualsiasi altro colore
dello spettro. L'individuo normale solitamente necessita di tre colori primari e viene
classificato come tricromate. Gli individui che presentano difetti nella visione del colore si classificano in: acromati, dicromati e tricromati anomali.
Daltonismo
Descritto per la prima volta da John Dalton, scienziato inglese che ne era affetto al quale, Thomas Young nel 1798 diagnosticò per la prima volta un disturbo nella percezione dei colori. Il colore di un geranio era apparso diverso a Dalton alla luce naturale e a quella di una candela, a differenza di quanto accadeva a tutte le altre persone presenti tranne suo fratello. Secondo il resoconto del medico, Dal ton non percepiva il rosso. In realtà, lo studio dell'occhio di Dalton, conservato a Manchester, ha rivelato che il chimico inglese non apprezzava il verde, ma anche la percezione del disturbo era evidentemente alterata
Si tratta di individui dicromati, mancanti di uno dei 3 tipi di coni.
Se il disturbo è legato ad un gene difettoso nel cromosoma X, gli individui affetti possono o non essere sensibili alle lunghezze d'onda del rosso (protanopi) o a quelle del verde(deuteranopi); nel primo caso, così l'individuo non è in grado di distinguere il verde dall'arancione, anche se spesso le persone affette sono in grado di distinguere il rosso dal verde, in quanto quest'ultimo appare più luminoso. Un altro disturbo, più raro del precedente, è quello legato alla mancata discriminazione fra i blu e i gialli (tritanopi); si tratta di una malattia ereditaria, legata ad un gene presente sul cromosoma 7.
I tricromati anomali, invece, necessitano di 3 colori primari che agiscono da stimolo, che vanno
fatti coincidere con la fonte dello stimolo, ma tali coincidenze non rispettano le condizioni normali;
anche i tricromatri anomali si dividono in deuteranopi ,protanopi e tritanopi: i protanopi confondono i blu-verdi e i grigi con il rosso e il marrone. I deuteranopi si sbagliano con i blu-verdi e il rosso porpora. Infine i tritanopi confondono il giallo e il violetto.
Esistono però anche forme meno gravi di daltonismo. Infatti una persona dicromate potrebbe accorgersi della sua anomalia semplicemente guardando l’arcobaleno, al cui interno vedrebbe una banda bianca in quanto a seconda del tipo di cono assente dalla sua retina, vi sarà almeno una lunghezza d’onda della luce dell’arcobaleno che stimola ugualmente i due soli tipi di coni presenti in una retina affetta da tale disturbo.

Acromatismo
Si tratta di casi estremamente rari di completa cecità ai colori; gli individui affetti vedono il mondo in bianco e nero, con varie sfumature di grigio; in questo caso , se il difetto è dell'occhio, si tratta di individui che mancano completamente di coni, possiedono bassa acuità visiva e sono disturbati da elevate condizioni di luminosità. È solo presente la discriminazione tra luce e buio. Si tratta di una malattia presente in 1/30.000 individui; la completa cecità ai colori può anche essere determinata da lesioni che interessano la corteccia.
Per la rilevazione del daltonismo e delle acromatopsie in genere si utilizzano le Tavole di Ishihara e il Test di Fansworth.
42
37
58
Le persone dotate di normale capacità di discriminazione dei colori, nei riquadri leggono rispettivamente i numeri: 42, 37 e 58; Quelle affette dalla più comune forma di daltonismo (totale confusione tra rosso e verde) leggono: 2, 7, 58.

CHARLES MERYON,UN PITTORE DALTONICO
La breve parabola dell'attività di Charles Meryon (1821-1863), molto noto in Francia, forse meno in Italia, coincide con il periodo, nelle arti figurative e in letteratura, chiamato del "Realismo", circa corrispondente al Secondo Impero di Napoleone III°. Dopo alcuni viaggi nella Francia settentrionale, in Belgio e a Londra, si stabilì a Parigi: al Louvre, iniziò lo studio della pittura come allievo di Jacques-Louis David. A quell'epoca risale anche il riconoscimento della discromatopsia.
Da quel momento, Meryon si dedicò in modo quasi esclusivo al disegno e alla stampa.
Lo studio del dipinto “Le vaisseau fantôme” ha indotto a dedicare a Charles Meryon una breve monografia nel Notiziario della Società Oftalmologica Italiana: apparentemente, Meryon ha evitato tutte le tonalità dei rossi e dei verdi, limitandosi solo a quelle dei blu e dei gialli. Analoghe considerazioni valgono anche per gli altri suoi rari dipinti ad olio o a pastello, per esempio "La barca da pesca", anch'esso nelle collezioni del Louvre: come ne "La nave fantasma", anche in quel caso il mare non ha le consuete sfumature verdi più o meno intense alle quali siamo abituati, mentre il cielo appare dominato dai toni del giallo e dell'arancio.
La discromatopsia di Charles Meryon era probabilmente una debolezza di visione dei colori rossi e verdi, di gran lunga la più comune varietà clinica di daltonismo. ma non sappiamo con esattezza se questo fosse il problema di Meryon perché non abbiamo referti medici ufficiali e dobbiamo basarci solo sullo studio dei suoi pochi dipinti.
Fu proprio per l'alterata visione dei colori suggerita da questi dipinti che Meryon decise di dedicarsi soprattutto alla stampa e al disegno, divenendo un grande incisore di acqueforti: uno dei più grandi nella storia dell'arte.
L’IMPRESSIONISMO E I COLORI
Intorno al 1870 prese forma in Francia un movimento artistico che, pur non facendo a capo ad un programma teorico ben definito, era deciso ad opporsi alle istituzioni accademiche. Le scelte degli impressioniste furono influenzate da molti caratteri portanti del movimento romantico quali la negazione del valore intrinseco dell’oggetto, l’importanza della pittura di paesaggio, ma soprattutto l’interesse per il colore più che per il disegno. Per non perdere l’impressione suscitata dall’osservazione, i pittori impressionisti dipingevano en plein air , all’aria aperta, e attraverso una nuova tecnica in grado di rendere gli effetti istantanei e mutevoli della percezione visiva: i colori vengono stesi in una successione di rapidi tocchi che annullano il contorno delle figure. Vengono usati sulla tela direttamente i colori puri, non miscelati sulla tavolozza, le immagini prendono forma nella fusione che avviene nella retina che ricompone i tocchi, le pennellate sono indipendenti e vanno lasciate asciugare per evitare che si mischino perdendo luminosità; per ottenere questo i pittori impressionisti utilizzavano talvolta una tela grezza sulla quale il colore si rapprende in modo da rendere l’effetto di luce vibrante. Rispetto a questa nuova tecnica, grosso peso ebbero le nuove acquisizioni scientifiche e tecniche ottocentesche. Chevreul, chimico che lavorava per le manifatture Gobelin, pubblicò un trattato scientifico sull’ottica e sul comportamento dei colori che influenzò gli impressionisti, e che venne poi applicato in modo rigoroso dai neoimpressionisti: gli assunti principali dicono come nella formazione chimica del colore si formino sostanze spurie che tolgono luminosità al pigmento, mischiando due colori sulla tavolozza si ha la somma delle sostanze spurie e si abbassa la luminosità del colore; inoltre per la legge del contrasto simultaneo, ogni colore riflette sul colore vicino il proprio complementare, quindi accostando colori complementari si ottiene una pittura molto luminosa.
I colori posti su una tela agiscono sempre operando una sintesi sottrattiva: più i colori si mischiano e si sovrappongono, meno luce riflette il quadro. L’intento degli impressionisti è proprio evitare al minimo la perdita di luce riflessa, così da dare alle loro tele la stessa intensità visiva che si ottiene da una percezione diretta della realtà. Per ottenere questo non diluiscono i colori per realizzare il chiaro-scuro, che nelle loro tele è del tutto assente, non usano mai il nero e anche le ombre sono colorate.
Anche l’avvento della fotografia ebbe un riscontro sulla pittura impressionista, soprattutto perché la fotografia rende visibili infinite cose che l’occhio umano, più lento e meno preciso, non può afferrare. Pittori come Degas e Toulouse Lautrec si sono serviti di materiale fotografico per le loro opere. La fotografia poteva fermare ciò che era transitorio, fermare il tempo. In pittura sarà Monet a fermare la successione degli istanti attraverso le pitture in serie per registrare la mutevolezza della luce, i cambiamenti di uno stesso soggetto al variare di una condizione di luce nelle diverse ore del giorno.
Ciò che distingue due atteggiamenti fondamentalmente diversi, tra i pittori impressionisti, è il risultato a cui essi tendono:
da un lato ci sono pittori, come Monet, che vaporizzano le forme dissolvendole nella luce, dall’altro ci sono pittori, come Cézanne e Degas, che ricostruiscono le forme, ma utilizzando solo la luce e il colore.
IL COLORE
Sappiamo che la luce è una sensazione del nostro cervello che viene stimolata da una reazione fotochimica nella retina dell’ occhio, che attiva la sensazione cerebrale la quale può ricomparire anche durante la notte al buio durante il sogno, attivata in tal caso da processi mnemonici. I nostri occhi percepiscono i cambiamenti di frequenza delle radiazioni ed attivano la percezione cerebrale sotto forma di cambiamenti di colore.
La luce è composta da onde elettromagnetiche e al variare della lunghezza d'onda varia il colore percepito. Le onde visibili sono quelle comprese tra i 380 e i 780 nanometri, cioè tra il violetto e il rosso, passando per azzurro, verde, gialloverde (intorno ai 550 nanometri, dove la sensibilità dell'occhio umano è massima), giallo e arancio. Al di sotto dei 380 nm si ha la luce ultravioletta e al di sopra dei 780 nm quella infrarossa. Si ha una luce monocromatica quando la sua composizione è data esclusivamente da onde elettromagnetiche di uguale lunghezza d'onda. Normalmente, invece, la luce che percepiamo comprende varie lunghezze d'onda e, in particolare, quella del sole comprende tutta la gamma di lunghezze d'onda visibili.
Un oggetto, che non emette luce propria, appare di un certo colore perché riflette quelle determinate radiazioni luminose. Nel valutare l'emissione di sorgenti luminose viene presa in considerazione anche la temperatura di colore, misurata in gradi Kelvin (K). Bassi valori della temperatura di colore corrispondono a tonalità calde e viceversa alti valori corrispondono a tonalità fredde.
La luce dunque non è colorata (e nemmeno gli oggetti sono colorati), ma è in grado di generare la percezione del colore quando stimola l'occhio e il sistema nervoso. In natura, senza l'occhio dell'osservatore, non esiste il colore, c'è solo la luce.
La percezione dei colori
la percezione dei colori è caratterizzata da tre fenomeni:
l'opponenza cromatica
il contrasto simultaneo
la costanza dei colori
Al fenomeno di opponenza cromatica si assiste osservando come rispettivamente le sensazioni di verde e rosso, giallo e blu e bianco e nero sembrino in antagonismo fra loro, tendano, cioè a cancellarsi reciprocamente.
Il fenomeno del contrasto cromatico simultaneo si osserva a livello dei margini della sagoma di un oggetto. Un oggetto grigio, ad esempio, visto su uno sfondo rosso acquista una sfumatura di verde; se invece è visto su uno sfondo verde, acquista una sfumatura di rosso.
La costanza dei colori è la terza proprietà importante della visione cromatica. Quando la composizione della luce incidente varia, i meccanismi che presiedono alla visione dei colori compensano queste variazioni, cosicché il colore degli oggetti sembra sempre lo stesso.
Attributi percettivi del colore
Essendo concetti psicologici soggettivi ed individuali, relativi a come "vediamo" il colore, gli attributi del colore non si prestano ad una definizione precisa né ad una misura oggettiva. Si suddividono in due gruppi:
-attributi quantitativi (quelli che riguardano la "quantità" del colore)
-attributi qualitativi o di cromaticità (quelli che riguardano la sua "qualità")
Brillanza
Il primo attributo è la brillanza cioè la quantità totale di luce che il colore appare emettere (è definibile sia per luci che per gli oggetti, isolati o non isolati).
Osservando la luce di una lampadina rossa da 10 watt percepiamo un certo grado di brillanza che potremmo esprimere dicendo che è un rosso “fioco” o “debole”. Se la lampadina è di 100 watt percepiamo una brillanza maggiore e possiamo dire che il rosso appare “luminoso”, “intenso”. Con una lampadina da 1000 watt il rosso appare “abbagliante”.
La brillanza può riferirsi anche ad un oggetto isolato (cioè tale che la luce arrivi all’occhio solo dall’oggetto e da nient’altro). Per esempio osservando in una camera oscura un foglio di carta rossa illuminato da un faretto di luce bianca, percepiamo un colore rosso del quale possiamo giudicare la brillanza.
La chiarezza
Si può considerare il concetto di brillanza relativa che è così importante che ha un nome: chiarezza; la chiarezza è la brillanza di un oggetto giudicata relativamente ad un’altra area similmente illuminata che appare bianca.
Un quadrato grigio su un pezzo di carta bianca, visto dentro casa ha una certa brillanza mentre alla luce del sole ha una brillanza maggiore, ma se tale brillanza viene giudicata in relazione a quella del bianco della carta (cioè se viene giudicata la chiarezza) questa è costante.
Il bianco di riferimento può anche non essere presente: costanza della chiarezza.
Un fazzoletto bianco appare bianco sia di giorno che di notte.
La chiarezza si indica con parole come nero, grigio chiaro, grigio scuro, bianco.
Per giudicare la chiarezza il sistema visivo scarta l’illuminazione dalla brillanza, dunque gli oggetti appaiono mantenere la loro chiarezza anche in condizioni diverse di illuminazione.
L'occhio ha la capacità di giudicare differenze di chiarezza. Vi è quindi la possibilità di costruire una scala uniforme di chiarezza, cioè un insieme ordinato di colori, in modo che la differenza percepita tra le chiarezze di due colori adiacenti sia costante. Se ci si limita ai grigi la scala sviluppata è detta scala di grigi. Una scala di grigi è una scala uniforme di chiarezza, con vari gradi di grigio che vanno da bianco a nero che dunque, fissato il numero, sono sempre gli stessi, indipendentemente dall’illuminazione.
La tinta
Il principale attributo percettivo del colore è la tinta, cioè quella caratteristica del colore che si indica con i nomi rosso, giallo, verde, blu, viola, arancio e così via (quello che talvolta nel linguaggio comune si chiama semplicemente "colore"). Dicendo "rosso", o "verde" o "viola" comunichiamo ad altri l'idea di una particolare tinta. Una tinta non è un colore, ma una famiglia di colori. Quando si cita una tinta, per esempio "rosso", non si intende parlare di un colore rosso particolare, ma dell’intera famiglia di tutti i rossi, dai più saturi ai meno saturi e dai più luminosi ai meno luminosi. In questo senso, i colori rosso e rosa fanno parte della stessa famiglia, cioè hanno la stessa tinta.
Non tutti i colori hanno una tinta: bianco, nero e varie gradazioni di grigio sono colori senza una tinta, ovvero colori acromatici. I colori cromatici sono quelli che hanno una tinta (eventualmente mescolata con bianco, nero e grigio). Pare che l'occhio umano possa distinguere circa 250 tinte diverse. Di queste ce ne sono solo quattro che non vengono percepite come mescolanze di altre tinte: si tratta del rosso, del giallo, del verde e del blu che sono dette tinte unarie. Giallo e blu sono tinte "opponenti", non è possibile pensare ad una loro mescolanza (non è possibile immaginare un giallo bluastro o un blu giallastro). Anche rosso e verde sono tinte opponenti. Le tinte non unarie (binarie) vengono percepite come mescolanza di due tinte unarie non opponenti. Più precisamente come mescolanza di
• verde e giallo: per esempio muschio;
• giallo e rosso: per esempio arancio;
• rosso e blu: per esempio viola, violetto, magenta;
• blu e verde: per esempio turchese.
Le quattro tinte unarie più il bianco e il nero (che non sono tinte, ma sono colori) sono considerati i colori primari psicologici: il bianco si oppone al nero, il rosso al verde e il giallo al blu.
Si parla di combinazione additiva dei colori quando, proiettando su uno schermo tre fasci di luce colorata, per sovrapposizione di due colori se ne ottiene un terzo, in questo caso, ogni fascio di luce aggiunge le sue caratteristiche; la sovrapposizione dei tre colori primari genera il bianco.
La combinazione sottrattiva si ottiene viceversa con la luce solare, eliminando in modo specifico alcune componenti attraverso specifici filtri: si può per esempio ottenere luce gialla eliminando le lunghezze d'onda del blu, porpora, eliminando il verde, turchese, eliminando il rosso; sovrapponendo fra loro i colori giallo, magenta e turchese così ottenuti, si ha la presenza contemporanea di due o tre filtri: quando i tre colori si sovrappongono non passa nessuna luce, se invece se ne sovrappongono solo due, filtrerà soltanto la luce che non è stata bloccata; questo fenomeno può essere semplicemente verificato attraverso la creazione di ombre colorate.
La pienezza
Descrive la quantità assoluta della parte cromatica percepita. Si riferisce sia alle luci che agli oggetti. La pienezza esprime la quantità relativa della componente cromatica rispetto a quella bianca, cioè la concentrazione della componente cromatica. Blu e celeste hanno la stessa tinta, ma il blu ha una pienezza maggiore del celeste, è più ricco, e lo stesso si può dire di viola e lilla, rosso e rosa.
La croma
È la pienezza di un’area in proporzione alla brillanza di un oggetto similmente illuminato che appare bianco (o molto trasmittente, nel caso di oggetti trasparenti). Ha senso parlare di croma solo per gli oggetti.
La saturazione
Descrive la pienezza di un’area in proporzione alla brillanza del colore dell’area stessa (prodotta dalla parte cromatica e dalla parte acromatica). Ha senso parlare di saturazione sia per gli oggetti che per le luci. Pare che l’apparato visivo umano possa discriminare tra circa 100 livelli di saturazione in un ordinamento lineare, da un minimo ad un massimo.
Lo spettro
Ad ogni lunghezza d’onda corrisponde una determinata sensazione di colore. Se mettiamo di seguito tutte le radiazioni monocromatiche visibili, indicate con la loro lunghezza d’onda, e i rispettivi colori percepiti, possiamo costruire lo spettro dei colori. Un colore di spettro (percepito) è dunque in corrispondenza biunivoca con una radiazione monocromatica (stimolo).
DIFETTI DELLA VISIONE DEL COLORE
I difetti della visione del colore si suddividono in due principali categorie:
1. Difetti congeniti nella visione dei colori
2. Difetti acquisiti nella visione dei colori.
La distinzione tra i due diversi raggruppamenti è rappresentata dal fatto che i difetti acquisiti spesso sono il risultato di alcuni processi patologici che interessano i recettori della visione dei colori o i percorsi neurali a livello più elevato. I difetti congeniti nella visione dei colori sono collegati a
fattori genetici.
I difetti nella visione dei colori vengono classificati mediante il numero di colori primari
dello spettro necessari a un individuo per il riconoscimento di qualsiasi altro colore
dello spettro. L'individuo normale solitamente necessita di tre colori primari e viene
classificato come tricromate. Gli individui che presentano difetti nella visione del colore si classificano in: acromati, dicromati e tricromati anomali.
Daltonismo
Descritto per la prima volta da John Dalton, scienziato inglese che ne era affetto al quale, Thomas Young nel 1798 diagnosticò per la prima volta un disturbo nella percezione dei colori. Il colore di un geranio era apparso diverso a Dalton alla luce naturale e a quella di una candela, a differenza di quanto accadeva a tutte le altre persone presenti tranne suo fratello. Secondo il resoconto del medico, Dal ton non percepiva il rosso. In realtà, lo studio dell'occhio di Dalton, conservato a Manchester, ha rivelato che il chimico inglese non apprezzava il verde, ma anche la percezione del disturbo era evidentemente alterata
Si tratta di individui dicromati, mancanti di uno dei 3 tipi di coni.
Se il disturbo è legato ad un gene difettoso nel cromosoma X, gli individui affetti possono o non essere sensibili alle lunghezze d'onda del rosso (protanopi) o a quelle del verde(deuteranopi); nel primo caso, così l'individuo non è in grado di distinguere il verde dall'arancione, anche se spesso le persone affette sono in grado di distinguere il rosso dal verde, in quanto quest'ultimo appare più luminoso. Un altro disturbo, più raro del precedente, è quello legato alla mancata discriminazione fra i blu e i gialli (tritanopi); si tratta di una malattia ereditaria, legata ad un gene presente sul cromosoma 7.
I tricromati anomali, invece, necessitano di 3 colori primari che agiscono da stimolo, che vanno
fatti coincidere con la fonte dello stimolo, ma tali coincidenze non rispettano le condizioni normali;
anche i tricromatri anomali si dividono in deuteranopi ,protanopi e tritanopi: i protanopi confondono i blu-verdi e i grigi con il rosso e il marrone. I deuteranopi si sbagliano con i blu-verdi e il rosso porpora. Infine i tritanopi confondono il giallo e il violetto.
Esistono però anche forme meno gravi di daltonismo. Infatti una persona dicromate potrebbe accorgersi della sua anomalia semplicemente guardando l’arcobaleno, al cui interno vedrebbe una banda bianca in quanto a seconda del tipo di cono assente dalla sua retina, vi sarà almeno una lunghezza d’onda della luce dell’arcobaleno che stimola ugualmente i due soli tipi di coni presenti in una retina affetta da tale disturbo.

Acromatismo
Si tratta di casi estremamente rari di completa cecità ai colori; gli individui affetti vedono il mondo in bianco e nero, con varie sfumature di grigio; in questo caso , se il difetto è dell'occhio, si tratta di individui che mancano completamente di coni, possiedono bassa acuità visiva e sono disturbati da elevate condizioni di luminosità. È solo presente la discriminazione tra luce e buio. Si tratta di una malattia presente in 1/30.000 individui; la completa cecità ai colori può anche essere determinata da lesioni che interessano la corteccia.
Per la rilevazione del daltonismo e delle acromatopsie in genere si utilizzano le Tavole di Ishihara e il Test di Fansworth.
42
37
58
Le persone dotate di normale capacità di discriminazione dei colori, nei riquadri leggono rispettivamente i numeri: 42, 37 e 58; Quelle affette dalla più comune forma di daltonismo (totale confusione tra rosso e verde) leggono: 2, 7, 58.

CHARLES MERYON,UN PITTORE DALTONICO
La breve parabola dell'attività di Charles Meryon (1821-1863), molto noto in Francia, forse meno in Italia, coincide con il periodo, nelle arti figurative e in letteratura, chiamato del "Realismo", circa corrispondente al Secondo Impero di Napoleone III°. Dopo alcuni viaggi nella Francia settentrionale, in Belgio e a Londra, si stabilì a Parigi: al Louvre, iniziò lo studio della pittura come allievo di Jacques-Louis David. A quell'epoca risale anche il riconoscimento della discromatopsia.
Da quel momento, Meryon si dedicò in modo quasi esclusivo al disegno e alla stampa.
Lo studio del dipinto “Le vaisseau fantôme” ha indotto a dedicare a Charles Meryon una breve monografia nel Notiziario della Società Oftalmologica Italiana: apparentemente, Meryon ha evitato tutte le tonalità dei rossi e dei verdi, limitandosi solo a quelle dei blu e dei gialli. Analoghe considerazioni valgono anche per gli altri suoi rari dipinti ad olio o a pastello, per esempio "La barca da pesca", anch'esso nelle collezioni del Louvre: come ne "La nave fantasma", anche in quel caso il mare non ha le consuete sfumature verdi più o meno intense alle quali siamo abituati, mentre il cielo appare dominato dai toni del giallo e dell'arancio.
La discromatopsia di Charles Meryon era probabilmente una debolezza di visione dei colori rossi e verdi, di gran lunga la più comune varietà clinica di daltonismo. ma non sappiamo con esattezza se questo fosse il problema di Meryon perché non abbiamo referti medici ufficiali e dobbiamo basarci solo sullo studio dei suoi pochi dipinti.
Fu proprio per l'alterata visione dei colori suggerita da questi dipinti che Meryon decise di dedicarsi soprattutto alla stampa e al disegno, divenendo un grande incisore di acqueforti: uno dei più grandi nella storia dell'arte.
L’IMPRESSIONISMO E I COLORI
Intorno al 1870 prese forma in Francia un movimento artistico che, pur non facendo a capo ad un programma teorico ben definito, era deciso ad opporsi alle istituzioni accademiche. Le scelte degli impressioniste furono influenzate da molti caratteri portanti del movimento romantico quali la negazione del valore intrinseco dell’oggetto, l’importanza della pittura di paesaggio, ma soprattutto l’interesse per il colore più che per il disegno. Per non perdere l’impressione suscitata dall’osservazione, i pittori impressionisti dipingevano en plein air , all’aria aperta, e attraverso una nuova tecnica in grado di rendere gli effetti istantanei e mutevoli della percezione visiva: i colori vengono stesi in una successione di rapidi tocchi che annullano il contorno delle figure. Vengono usati sulla tela direttamente i colori puri, non miscelati sulla tavolozza, le immagini prendono forma nella fusione che avviene nella retina che ricompone i tocchi, le pennellate sono indipendenti e vanno lasciate asciugare per evitare che si mischino perdendo luminosità; per ottenere questo i pittori impressionisti utilizzavano talvolta una tela grezza sulla quale il colore si rapprende in modo da rendere l’effetto di luce vibrante. Rispetto a questa nuova tecnica, grosso peso ebbero le nuove acquisizioni scientifiche e tecniche ottocentesche. Chevreul, chimico che lavorava per le manifatture Gobelin, pubblicò un trattato scientifico sull’ottica e sul comportamento dei colori che influenzò gli impressionisti, e che venne poi applicato in modo rigoroso dai neoimpressionisti: gli assunti principali dicono come nella formazione chimica del colore si formino sostanze spurie che tolgono luminosità al pigmento, mischiando due colori sulla tavolozza si ha la somma delle sostanze spurie e si abbassa la luminosità del colore; inoltre per la legge del contrasto simultaneo, ogni colore riflette sul colore vicino il proprio complementare, quindi accostando colori complementari si ottiene una pittura molto luminosa.
I colori posti su una tela agiscono sempre operando una sintesi sottrattiva: più i colori si mischiano e si sovrappongono, meno luce riflette il quadro. L’intento degli impressionisti è proprio evitare al minimo la perdita di luce riflessa, così da dare alle loro tele la stessa intensità visiva che si ottiene da una percezione diretta della realtà. Per ottenere questo non diluiscono i colori per realizzare il chiaro-scuro, che nelle loro tele è del tutto assente, non usano mai il nero e anche le ombre sono colorate.
Anche l’avvento della fotografia ebbe un riscontro sulla pittura impressionista, soprattutto perché la fotografia rende visibili infinite cose che l’occhio umano, più lento e meno preciso, non può afferrare. Pittori come Degas e Toulouse Lautrec si sono serviti di materiale fotografico per le loro opere. La fotografia poteva fermare ciò che era transitorio, fermare il tempo. In pittura sarà Monet a fermare la successione degli istanti attraverso le pitture in serie per registrare la mutevolezza della luce, i cambiamenti di uno stesso soggetto al variare di una condizione di luce nelle diverse ore del giorno.
Ciò che distingue due atteggiamenti fondamentalmente diversi, tra i pittori impressionisti, è il risultato a cui essi tendono:
da un lato ci sono pittori, come Monet, che vaporizzano le forme dissolvendole nella luce, dall’altro ci sono pittori, come Cézanne e Degas, che ricostruiscono le forme, ma utilizzando solo la luce e il colore.

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