Schopenhauer: l'irrazionalità del mondo e l'ascesi atea

Materie:Riassunto
Categoria:Filosofia
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Schopenhauer: l'irrazionalità del mondo e l'ascesi atea

2. Le radici culturali.
Il pensiero di Schop. è un punto di incontro con filosofia eterogenee quali quella di Platone, Kant, l'illuminismo, il romanticismo e la spiritualità indiana. Da Platone il nostro filosofo sottrae l'idea delle idee, intesi come forme eterne lontane dal nostro mondo; da Kant deriva l'impostazione soggettivistica della sua gnoseologia. Importante nella filosofia di Schop. è anche l'idealismo, che viene indicato come filosofia che non è al servizio della verità. Importante è anche l'interpretazione che il filosofo della tradizione filosofica dell'India.

3. Il mondo della rappresentazione come "velo di Maya".
Schopenhauer parte dalla distinzione tra fenomeno e cosa in sé. Lui si distacca molto dalla definizione che ne aveva dato Kant, infatti, per Kant il fenomeno rappresentava la realtà, mentre la cosa in sé rappresentava un concetto limite. Per il nostro filosofo il fenomeno è una illusione ovvero ciò che nella tradizione antica indiana veniva definita velo di Maya; mentre la cosa in sé è una realtà che si nasconde dietro questo velo, e che il filosofo ha il compito di scoprire. Possiamo notare come il nostro filosofo presenti il suo fenomeno e cosa in sé come un qualcosa di diverso dalla ragion pura. Se per Kant il fenomeno è l'oggetto della rappresentazione che esiste fuori della coscienza, il fenomeno di cui parla Schopenhauer è una rappresentazione che esiste solo dentro la coscienza.
La rappresentazione ha due aspetti essenziali, la cui distinzione costituisce la forma generale della conoscenza: da un lato abbiamo il soggetto rappresentante, dall'altro abbiamo l'oggetto rappresentato. Entrambi possono esistere soltanto all'interno della rappresentazione in nessuno dei due può sussistere indipendentemente.
Schopenhauer ritiene che la nostra mente sia corredata da una serie di forme a fiori. Queste sono solo tre: spazio, tempo e casualità. La casualità rappresenta l'unica categoria, in quanto tutte sono riconducibili ad essa.
Schopenhauer paragona le forme a priori a dei vetri attraverso cui la visione delle immagini si deforma, e così considera la rappresentazione come un qualcosa di ingannevole, concludendo che la vita è sogno, c'è un tessuto di apparenze. Al di là della sogno e del fenomeno esiste la realtà vera sulla quale l'uomo non può fare a meno che interrogarsi. Infatti, sostiene Schopenhauer, l'uomo è un animale metafisico, che è portato a stupirsi della propria esistenza e ad interrogarsi sull'essenza ultima nella vita.

4. La volontà di vivere.
Ma se la nostra mente e che c'è l'orizzonte della rappresentazione, come possiamo lacerare il velo? Schopenhauer dice che noi siamo dati a noi medesimi non solo come rappresentazione, ma anche come corpo, noi non ci limitiamo a vederci fuori, bensì anche da dentro. È proprio questo che ci consente di squarciare il velo del fenomeno e di afferrare la cosa in sé. Infatti, ripiegandoci se noi stessi riusciamo a comprendere che l'essenza profonda del nostro io e la volontà di vivere, c'è un qualcosa che parte da dentro è che ci spinge ad esistere. Fondandosi sul principio di analogia, Schopenhauer afferma che la volontà di vivere non è il sol tanto la radice noumenica dell'uomo, ma anche l'essenza segreta di tutte le cose, ossia la cosa in sé dell'universo. Infatti, la volontà di vivere pervade ogni essere della natura.

5. Caratteri di manifestazioni della "volontà di vivere ".
Essendo un qualcosa che va al di là del fenomeno, la volontà presenta dei caratteri opposti a quelli del mondo della rappresentazione: in quanto si sottrae alle forme proprie di quest'ultimo. Innanzi tutto la volontà primordiale è inconscia, in quanto consapevolezza e intelletto sono delle sue manifestazioni secondarie. La volontà, prese in senso metafisico, rappresenta il concetto di energia o impulso. La volontà è poi unica, in quanto esistendo al di fuori dello spazio e del tempo, che tendono a moltiplicare gli enti e a dividere, si sottrae al principio di individuazione. Essendo oltre la forma del tempo, la volontà è anche eterna, ossia un principio senza inizio i senza fine. La volontà si configura anche come una forza libera e cieca, ossia un'energia senza un perché e senza uno scopo. Schopenhauer ci rivela la crudele verità sul mondo, in quanto dice, che gli esseri non vivono che per continuare a vivere. Anche se gli uomini hanno cercato di mascherare questa verità postulando un dio, cui sarebbe finalizzata la loro vita. Dio, dell'universo doloroso di Schopenhauer, non può esistere e l'unico assoluto è la volontà stessa. Schopenhauer è convinto che l’unica e infinita Volontà si manifesti nel mondo fenomenico attraverso due fasi logicamente distinguibili. Nella prima, la volontà si oggettiva in un sistema di forme immutabili, aspaziali e atemporali, che egli chiama idee, nella seconda, la volontà si oggettiva nei vari individui del mondo naturale, che rappresentano la moltiplicazione delle idee. Tra individui e idee esiste un rapporto di copia, per il quale i singoli esseri risultano semplici riproduzioni di quell'unico prototipo originario è l'idea.
Il mondo delle realtà naturali si struttura per gradi in ordine ascendente. In grado più basso dell’oggettivazione della volontà è costituito dalle forze naturali. I gradi superiori sono le piante e gli animali. Questa specie di piramide culmina nell'uomo, nel quale la volontà diviene pienamente consapevole; ma ciò che acquista in coscienza, la volontà per le in sicurezza.

6. La vita è dolore.
Dire che la volontà raggiunge il suo culmine nell'uomo, equivale a dire che la vita è dolore per essenza. Infatti volere significa desiderare, è desiderare significa qualcosa che fa star male, per la mancanza di qualcosa. Il desiderio e quindi assenza, vuoto: ossia dolore. E perché nell'uomo la volontà è più cosciente, egli risulta il più bisognoso e mancante e gli esseri, e destinato a non trovarsi mai in uno stato di serenità. Soltanto l'appagamento riesce a porre fine, soltanto temporaneamente, alla sofferenza. Ma per ogni desiderio appagato, ne rimangono altri dieci. Inoltre il desiderio dura a lungo, l'appagamento invece è brevissimo. Il piacere, l'appagamento, non è nient'altro che una cessazione temporanea del dolore, ossia lo scarico di uno stato preesistente. Schopenhauer ritiene che per esserci il piacere bisogna che ci sia stato un precedente stato di sofferenza. Quindi, mentre il dolore, identificandosi con il desiderio, che è la struttura stessa della vita, è un dato permanente, il piacere risulta essere solo una funzione derivata del dolore.
Accanto al piacere e al dolore, Schopenhauer, pone la noia, la quale subentra quando manca il desiderio. Di conseguenza dice Schopenhauer la vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando attraverso l'intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia. Secondo il filosofo poiché la volontà di vivere si basa su un desiderio perennemente inappagato; il dolore allora non riguarda soltanto l'uomo ma tutte le creature. Tutto soffre.
In questo modo, Schopenhauer, perviene ad una delle più radicali riforme di pessimismo cosmico di tutta la storia del pensiero, ritenendo che male si trovi un principio stesso da cui il mondo dipende. Infatti, secondo il filosofo, l'unico fine della natura sembra essere quella di perpetuare la vita, e, con la vita, il dolore.
Il fatto che alla natura interessi solo la sopravvivenza della specie trova una sua manifestazione emblematica nell'amore, fenomeno che Schopenhauer ritiene basilare per l'individuo, e di cui la filosofia deve quindi occuparsi. Infatti l’amore è uno dei più forti stimoli dell'esistenza. Però l'unico fine dell’amore, per cui esso è voluto dalla natura, è solo l’accoppiamento. Da questo Schopenhauer concepisce l’amore procreativo come peccato e vergogna. Infatti, essendo l’amore, nient’altro che due infelicità che si incontrano, due infelicità che si scambiano ed una terza infelicità che si separa, l'unico amore di cui si può essere elogio non è quello dell'eros, ma soltanto quello disinteressato della pietà.

7 le vie di liberazione dal dolore.
Secondo quanto detto fino adesso secondo e potrebbe pensare che Schopenhauer apostoli una filosofia del suicidio universale. Invece e gli rifiuta questa tesi per due motivi: primo perché il suicidio è un atto di forte affermazione della volontà stessa, in quanto suicida vuole la vita ed è solo malcontento delle condizioni che gli sono toccate, quindi anziché negare la volontà egli nega la vita; secondo perché il suicidio sopprime unicamente l'individuo. Quindi secondo il filosofo, la risposta al dolore non consiste il suicidio di massa, ma nella liberazione dalla stessa volontà di vivere. Per riuscire a fare questo, Schopenhauer, dice che il cammino della liberazione dalla bisogno perviene quando voluntas tende a farsi noluntas ossia negazione progressiva di sé medesima, in altre parole per giungere alla liberazione dalla volontà, bisogna acquisire una presa di coscienza del dolore. Tre sono i momenti essenziali per giungere a questa liberazione:
a) l'arte:è una forma di conoscenza libera e disinteressata, poiché si rivolge alle idee, ossia alle forme pure e ai modelli eterni. Tutto ciò accade è perché nell'arte, in questo o per quello, si trasformano in essenze immutabili di determinati fenomeni. Il soggetto che contempla le idee, così, non è più l'individuo naturale, sottoposto alle esigenze della volontà, ma il puro soggetto del conoscere, il puro occhio del mondo. Per questa capacità di estrapolare l’individuo dalla sensorialità e di condurlo in un mondo di forme eterne, l’arte lo sottrae alla catena dei bisogni e dei desideri, con un appagamento compiuto. Le varie arti corrispondono ai gradi diversi di manifestazione della volontà. L’architettura costituisce il grado più basso, mentre invece la scultura, pittura e la poesia hanno per oggetto le idee del mondo vegetale, animale e umano. La musica invece occupa un posto a sé, essa viene considerata da Schopenhauer come l’arte suprema, quella più profonda e dotata di un linguaggio universale. La musica è in grado di metterci a contatto con le radici stesse della vita, riuscendo a scavalcare i limiti della ragione; essa viene definita come una vera e propria metafisica in suoni. Ogni arte risulta quindi liberatrice, perché riesce a porre fine al bisogno con il piacere. Ma la sua funzione liberatrice è sempre temporanea, di conseguenza essa non può aiutarci ad uscire dalla vita, ma solo darci un conforto alla vita stessa.
b) L’eticità della pietà: l’etica è un tentativo di superare l’egoismo e di vincere quella lotta che contrappone gli individui e che è la maggior causa del dolore. Il filosofo afferma che il disinteresse in noi, si forma non dalla ragione, ma dalla pietà, attraverso cui noi avvertiamo nostre le sofferenze degli altri. La morale si concretizza in due virtù cardinali: la giustizia e la carità. la giustizia ha un carattere negativo, in quanto consiste nel non fare il male. La carità, invece, è positiva in quanto è mossa per fare del bene al prossimo. Essa è differente dall’eros, in quanto risulta interessato e quindi un falso amore, la carità essendo disinteressata, risulta un vero amore. Sebbene la carità implichi una vittoria sull’egoismo, essa risulta essere sempre all’interno della vita e ne presuppone quindi un attaccamento ad essa.
c) L’ascesi: essa rappresenta il traguardo ultimo, in quanto rappresenta una liberazione totale e non parziale come l’arte e l’eticità che rimanevano legate alla vita. L’ascesi nasce dall’esperienza per la quale l’uomo cessa di volere la vita e il volere stesso, si propone di estirpare il proprio desiderio di esistere. Il primo passo è la castità perfetta che libera dal prima manifestazione della volontà di vivere, ovvero l’impulso alla propagazione della specie. La soppressione della volontà di vivere, di cui l’ascesi rappresenta la tecnica, è l’unico vero atto di libertà che sia possibile all’uomo. Quando l’uomo riesce a liberarsi dalla voglia di vivere, diviene veramente libero e allora tanto sarà entrato in uno stato di grazia. L’ascesi mistica di Schopenhauer culmina con il nirvana buddista, che rappresenta l’esperienza del nulla. Questo nulla non è un niente, ma un nulla relativo al mondo, ovvero una negazione del mondo stesso, quello che rimane dopo la soppressione completa della volontà. Il nirvana rappresenta, per l’ascesi Shopenhaueriano un tutto, ovvero un oceano di pace, in cui si dissolve l’io.

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