Sartre

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Testo

Sartre

Sartre ha scritto molti testi che nella maggior parte dei casi appartengono alla prima fase del pensiero sartiano , durante la quale Sartre ha elaborato una teoria dell’esistenza che gli ha consentito di diventare un esponente dell’esistenzialismo. Il testo intitolato “ questioni di metodo” appartiene invece alla seconda fase del pensiero di Sartre durante la qual ha tentato di attuare una sintesi tra l’esistenzialismo e il marxismo che secondo le sue intenzioni avrebbe dovuto consentire:
• All’esistenzialismo: di aprirsi ai contributi ricavabili dall’interpretazione scientifica della storia che sarebbe resa possibile dal materialismo storico
• Al marxismo: porre rimedio a quella degenerazione che dopo Marx avrebbe determinato la trasformazione del materialismo storico da un semplice metodo scientifico di indagine dei fenomeni storici ad un sapere astratto e dogmatico sulla storia.
Sartre si è avvicinato alla filosofia grazie allo studio di Bergson e in seguito è giunto ad elaborare una propria originale forma di esistenzialismo grazie allo studio della fenomenologia di Husserl e dell’analitica esistenziale di Heidegger che gli hanno consentito di:
1. Di avviare ricerche di psicologia fenomenologica che hanno avuto ad oggetto l’io, l’immaginazione e le emozioni
2. Di preparare il terreno per la propria analisi dell’esistenza umana che Sartre ha offerto ne “L’essere e il nulla”.
Alla base dell’esistenzialismo sartriano c’è la nozione husserliana di “intenzionalità della coscienza”, che Sartre ha reinterpretato. Husserl si è proposto di far si che la filosofia diventasse una scienza rigorosa, e che a tale scopo egli l’aveva concepita come una descrizione dei fenomeni la quale avrebbe dovuto assumere come proprio campo d’indagine la coscienza stessa giacché fenomeno è ciò che si manifesta alla coscienza nel suo essere sempre coscienza “internazionale”.
Da questo punto di vista Husserl aveva precisato che l’analisi fenomenologica della coscienza non doveva essere confusa con la psicologia empirica, giacché essa non avrebbe dovuto assumere ad oggetto i singoli fatti psichici ma le “essenze ” di essi costituite dalle diverse modalità(il percepire, il ricordare, l’immaginare, il desiderare, il valutare etc)dell’intenzionalità della coscienza, da concepire come le strutture fondamentali o trascendentali della coscienza a sua volta intesa come coscienza pura o realtà non mondana, alle quali corrispondono i diversi modi di darsi di ciò che alla coscienza si manifesta, o le essenze di ciò che alla coscienza si manifesta. E a questo scopo Husserl aveva elaborato il metodo della “riduzione fenomenologica” il quale attraverso la sospensione del giudizio (epochè)sull’esistenza reale del mondo come una realtà esterna alla coscienza(tesi realistica)- il quale, ovviamente, in linea il principio non può mai rientrare nel campo dei fenomeni, o di ciò che si manifesta la coscienza-, che l’epochè non nega ma si limita a mettere tra parentesi , consente di accedere tramite “l’intuizione eidetica” (intuizione delle essenze) al campo della coscienza trascendentale che costituisce il “residuo fenomenologico” che deriva dall’esercizio dell’epochè e che deve essere concepito come l’insieme della modalità dell’intenzionalità della coscienza e dei corrispondenti modi di darsi all’oggetto che ad essa si manifesta e che sono alla base delle concrete esperienze vissute(erlebnisse) della coscienza. In questo modo Husserl facendo leva sulla nozione di intenzionalità della coscienza ha evidenziato, tramite l’analisi della coscienza trascendentale, la correlazione originaria o priori esistente tra il soggetto e l’oggetto individuando inoltre un’alternativa al realismo e all’idealismo che gli consentiva di :
• Evitare di ridurre l’oggetto al soggetto: cioè di concepire l’oggetto come un prodotto del soggetto come accade nel caso dell’idealismo
• Di appiattire il modo d’essere del soggetto su quello dell’oggetto come accade sul caso del realismo
Infatti, sulla base dell’epochè che implica la sospensione del giudizio sulla tesi realistica dell’indipendenza dell’oggetto dalla coscienza va rivelato che:
• L’oggetto:in quanto correlato intenzionale della coscienza, proprio a causa della mancata negazione della tesi realistica, non deve essere concepito come un mero contenuto di coscienza e tantomeno come un prodotto della coscienza stessa ma come qualcosa che non essendo prodotto dalla coscienza rimane trascendente rispetto al soggetto (anche se poi tale trascendenza non può essere identificata con quella proposta dalla tesi realistica).
Dall’altro lato però la mancata accettazione della tesi realistica consentiva ad Husserl di sospendere la nozione di essere in se delle cose, che essendo applicabile anche alla coscienza avrebbe finito per eliminare la differenza tra il soggetto e l’oggetto appiattendo il modo d’essere del primo su quello del secondo e così facendo si che anche il soggetto (coscienza)potesse e dovesse essere concepito come una realtà mondana.

Sartre
ha avviato la propria produzione filosofica cercando di applicare la prospettiva fenomenologica nell’ambito delle indagini psicologiche e ciò in polemica con la psicologia dell’età positivistica che aveva cercato di trasformare la psicologia in una scienza sperimentale che avrebbe dovuto trattare i fenomeni psichici come dei meri fatti da studiare per cogliere le leggi che li governano e i rapporti che li collegano ai fatti fisici o fisiologici (psicofisica). I primi saggi di Sartre presentano delle indagini di psicologia fenomenologica che accettano il metodo husserliano della riduzione fenomenologica e della intuizione eidetica per risalire dal piano dei fatti psichici a quello della coscienza trascendentale allo scopo di cogliere l’essenza trascendentale di determinati fenomeni psichici e attraverso essa ciò che tali fenomeni rivelano circa il modo d’essere dell’uomo, che inevitabilmente condiziona il rapporto dell’uomo con il mondo.
Pur accettando il metodo della riduzione fenomenologia e la tematica husserliana della coscienza trascendentale e la possibilità di superare sia l’idealismo che il realismo, Sartre nel suo primo scritto filosofico sulla trascendenza dell’ego è entrato in polemica con Husserl riguardo alla possibilità di ritagliare all’interno della coscienza trascendentale uno spazio per un io trascendentale da concepire come polo soggettivo della correlazione internazionale, perché tale io, potendo essere distinto dall’orientamento della coscienza verso l’oggetto, finisce per essere concepito come qualcosa che non si risolve nell’atto di trascendenza della coscienza verso l’oggetto, e quindi come una sorta di supporto o i sostegno nei confronti degli atti intenzionali della coscienza.
Husserl :in tal modo, mentre Husserl, avendo imboccato tale strada e avendo evidenziato all’interno della coscienza trascendentale, la presenza di un io trascendentale da concepire, appunto in quanto polo soggettivo della correlazione internazionale, proprio come il sostrato che funge da supporto o sostegno nei confronti di tutti gli atti internazionali della coscienza, aveva finito, all’interno dell’analisi fenomenologica della coscienza, per sottolineare l’importanza che a tale io deve essere attribuita per il fatto di essere responsabile di una attività costitutiva datrice di senso che, condizionando l’internazionalità della coscienza, sarebbe ciò che da ultimo determina il modo attraverso il quale qualsivoglia fenomeno si presenta alla coscienza, giungendo così ad interpretare l’analisi fenomenologica della coscienza nei termini di un “idealismo trascendentale” che privilegia l’io potendolo in un certo senso isolare rispetto alle altre componenti strutturali della coscienza.
Sartre: al contrario Sartre ha potuto invece avviare il proprio distacco da Husserl, giungendo ad affermare che “l’io non è un abitante della coscienza” giacché secondo lui esso si risolverebbe integralmente nell’orientamento della coscienza verso l’oggetto; e questo perché secondo Sartre l’atto dell’autocoscienza può darsi soltanto nell’ambito degli atti con i quali la coscienza si proietta verso l’oggetto, e non può mai essere separato da tali atti per consentire all’io di costituire in una sua interiorità che lo isoli dal rapporto con il mondo.
Sulla base di queste considerazioni Sartre ha potuto inserire nella tematica husserliana della coscienza trascendentale la concezione heideggeriana dell’esistenza come “essere nel mondo” , la quale lo ha spinto a concepire l’analisi fenomenologica come un analisi trascendentale o strutturale dei rapporti che la coscienza intrattiene con il mondo effettuando allo scopo di illuminare il modo d’essere dell’uomo inteso come un esistente concreto che è “gettato nel mondo” e che da esso non può mai prescindere. Intatti, fin dalle sue prima indagini emerge che l’analisi fenomenologica per Sartre(a DIFFERENZA DI HUSSERL)non deve raggiungere il piano della coscienza trascendentale mettendo semplicemente tra parentesi la tesi di realtà che la coscienza concreta attribuisce al mondo, ma oltre questa prospettiva, ed evitando di considerare l’io come il supporto o il sostegno degli atti intenzionali della coscienza, dopo avere operato ciò per attuare la riduzione fenomenologica della coscienza e raggiungere così il livello della coscienza trascendentale, deve inoltre premurarsi di recuperare tale tesi sul piano della determinazione trascendentale delle modalità internazionali della coscienza allo di evidenziare come l’intenzionalità della coscienza sia originariamente determinata dalla attribuzione di realtà al mondo, e come quindi l’essere nel mondo costituisca una struttura che è alla base di ogni modalità intenzionale della coscienza stessa.

Ha concepito e praticato la fenomenlogia nella direzione che eragià stata indicata da Heidegger, cioè come analisi delle strutture proprie dell’esistenza intesa come modo d’essere dell’uomo che ha nell’essere - nel – mondo una struttura fondamentale che può essere evidenziata soltanto mantenendo fermo il senso originario dell’intenzionalità della coscienza che deve essere fatto consistere in quella attribuzione di realtà al mondo attraverso la quale la coscienza fa esperienza della sua “gettatezza” nel mondo, e quindi del suo stesso essere - nel – mondo.
Nel saggio sulla teoria delle emozioni S. ha interpretato:
• la coscienza come essere - nel – mondo;
• l’emozione come un modo d’essere della coscienza, una modificazione magica del mondo che interverrebbe quando la coscienza, di fronte ai pericoli e agli ostacoli che si presentano nel mondo, reagisce a tali pericoli modificando l’orizzonte di senso al cui interno avviene l’incontro con le cose che fanno parte del mondo, e facendo sì che il mondo appaia come una totalità indifferenziata in cui tutto diventa possibile.

Saggi sull’immaginazione: ha mostrato come la capacità che la coscienza ha di produrre immagini attesti la capacità, da parte della coscienza, di negare, attraverso la posizione di qualcosa di irreale (immagine), la realtà che è data nella percezione; e come ciò testimoni la costitutiva libertà che caratterizza l’essere – nel – mondo che è proprio della coscienza.

Attraverso indagini fenomenologiche specifiche S. raggiunse dei risultati che per il loro collegamento all’essere – nel – mondo avrebbero potuto assumere un significato più generale che sarebbe stato fatto consistere nella messa in luce del fatto che l’incontro della coscienza con le cose avviene sempre all’interno di un orizzonte complessivo che decide del significato che ad essa viene attribuito e che, dipendendo dal modo con il quale la coscienza si orienta verso di esse, manifesta la libertà che la coscienza possiede nei loro confronti.

Questo ampliamento è stato effettuato nel testo L’essere e il nulla nel quale S. ha:
• riferito all’essere – nel – mondo tutte le modalità intenzionali della coscienza;
• ha assunto una struttura o5riginaria e fondamentale della coscienza come una base su cui far leva per ricavare da essa una vera e propria ontologia, ossia per fare di essa e della sua analisi il centro il centro generatore di una teoria generale dell’essere.

Due diverse modalità dell’essere:
1. L’essere in sé: l’essere inteso come l’oggetto della coscienza, che la coscienza si trova davanti a sé e di cui è cosciente come qualcosa di reale che essa distingue da sé, e che nel suo essere in sé è privo di coscienza perché privo di qualsiasi rapporto a sé, e quindi di quella capacità di essere cosciente di sé, nella quale si esprime l’essere stesso della coscienza. Inoltre l’essere in sé in relazione ala propria datità, è un fatto privo di qualsiasi senso e di qualsiasi ragion d’essere e quindi risulta assolutamente contingente. Considerato prescindendo totalmente dal suo rapporto con la coscienza, esso deve essere concepito come assolutamente pieno d’essere e per niente affatto dal non essere. Secondo S. in quanto ess è dato dalla coscienza e non esiste indipendentemente dal suo darsi alla coscienza, esso in realtà è affetto dal non essere proprio a causa del suo rapporto con la coscienza, la quale lo frantuma nella molteplicità ed inesauribile delle sue manifestazione che fanno parte di esso, poiché esso coincide con la totalità delle sue manifestazioni, che è “transfenomenale” perché tale da oltrepassare ogni sua singola manifestazione e ogni possibile serie di esse.
2. L’essere per sé: secondo S. dee essere fatto consistere nell’essere della coscienza, che è presente a sé e cosciente di sé, ma non come essere in sé, quanto piuttosto come coscienza riflessa, e dunque cosciente di sé, dell’essere in sé come qualcosa che trascende la coscienza e che la coscienza manifesta distinguendolo da sé.

Pertanto secondo Sartre la coscienza, essendo definibile soltanto sulla base del suo rapporto con l’esser in sé e non potendo essere dotata di un proprio essere in sé è quel modo d’essere che introduce nell’essere il nulla, e che si configura, con il proprio non essere in sé e ciò significa che al coscienza non può che progettare il proprio essere attribuendo così un senso all’essere in sé, il quale è in se stesso privo di senso; e inoltre che essa posa negare l’essere in sé che ad essa è dato, e quindi che possa sempre trascendere la situazione in cui il singolo è gettato.

La libertà:
Ha evidenziato come essa sia un elemento costitutivo dell’esistenza umana, e come sia incondizionata, dal momento che la stessa accettazione della situazione nella quale ciascuno si trova gettato si configura come un atto di libertà (e non è mai possibile parlare di situazioni assolutamente necessitanti).
E difatti secondo S. L’uomo è ciò che esso diventa grazie all’esercizio della libertà che lo costituisce. Ad esso si presenta l’assoluta contingenza e inesattezza dell’essere in sé che alla coscienza è dato, che provocano nell’uomo il sentimento della nausea, che si configura come una tonalità emotiva che è inseparabile dall’esperienza dell’essere in sé.
Gettata nel mondo la coscienza inserisce l’essere in sé che ad essa è dato nel progetto del proprio essere, e in tal modo o decide di trascenderlo scegliendo di essere attiva, oppure inganna se stessa ritenendo in mala fede di essere assolutamente determinata da esso, e così sceglie di essere passiva nascondendo a se stessa tale scelta.
Evidenziando che la libertà deve essere considerata un elemento strutturale dell’esistenza umana, S. è giunto a sostenere che la libertà ci rende responsabili di tutto ciò che è giacché essa decide nel senso complessivo che attribuiamo al mondo, e essa si esprime nel progetto che è allabase delle singole scelte e delle decisioni e dal quale esse derivano.

Pur avendo teorizzato l’ incondizionatezza della libertà dell’ uomo, Sartre ha anche affermato che l’ uomo non può decidere di essere libero cioè, esso è condannato alla libertà e soprattutto che non può essere considerato realizzabile il progetto che egli ha posto alla base di ogni altro progetto che è elaborato dall’ uomo e che secondo lui deve essere fatto consistere nel tentativo, che la coscienza persegue, di fondare se stessa dandosi quell’ essere in sé del quale essa si sa priva. Secondo Sarte, l’ uomo utilizzerebbe la libertà per far sì che il per sé sia in grado di diventare anche in sé, dimostrando così di essere caratterizzato dal desiderio di diventare Dio. Questo è un desiderio che è in linea di principio irrealizzabile, giacchè in realtà il per sé e l’ in sé si escludono reciprocamente negandosi a vicenda. E difatti Sartre ha fatto leva proprio su questo punto per affermare che “la vita è una passione inutile”, valutazione negativa dell’ esistenza umana che scaturisce dall’ analisi condotta ne “L’ essere e il nulla”. Questa visione negativa dell’esistenza si è accompagnata ad un radicale indifferentismo etico, giacchè Sartre ha fatto sorgere i valori dalla libera scelta dell’ uomo, e così li ha considerati non preesistenti all’ esercizio della libertà, nella quale secondo lui i vari progetti che essa elabora hanno come unico valore quello di donare consistenza alla vita dell’ uomo tramite il trascendimento della situazione che rende l’ uomo attivo e non consentono nessuna discriminazione di valore. Da questo punto di vista l’ unica discriminazione possibile riguarda la scelta della libertà contro quella dell’ inerzia, perché secondo Sartre importante è scegliere di essere attivi, non ciò che si decide di diventare.
All’ essere per sé e all’ essere in sé Sartre ha aggiunto, l’ essere per altri, categoria tramite la quale Sartre ha teorizzato l’ impossibile riconoscimento reciproco tra le singole coscienze e l’ insuperabile conflittualità che caratterizzerebbe i rapporti interumani.
La coscienza da un lato nega l’ altro riducendolo ad oggetto e inserendolo nel proprio progetto, e dall’ altro non può fare esperienza della soggettività dell’ altro sennò quando viene in sé stessa negata e costretta a riassumere la forma dell’ oggetto. Questa dinamica conflittuale che regolerebbe i rapporti intersoggettivi secondo S. caratterizzerebbe anche i rapporti d’ amore, nei quali gli amanti ricercherebbero il dominio dell’ altro proponendosi come oggetto assoluto nei confronti dell’ altro. Il rapporto d’ amore costituisce un rapporto contraddittorio che manifesta di nuovo l’ impossibile riconoscimento reciproco delle singole soggettività.
Nel breve saggio “L’ esistenzialismo è un umanismo” S. ha proclamato l’ esistenza di un “universale umano”, cioè di una comune condizione umana che, evidenziando come l’ esercizio della libertà da parte del singolo condizioni la libertà degli altri e viceversa, dovrebbe consentire l’ affermazione di un etica della responsabilità basata sull’ assunto che la libertà degli altri è condizione della nostra libertà, e quindi sull’ invito a proporsi come fine la tutela della libertà altrui nell’ ambito dell’ esercizio della nostra libertà. Questa impostazione non è compatibile con le tesi di fondo de “L’ essere e il nulla”, che rendono inconcepibile un esercizio della libertà altrui che non si configuri come una negazione della nostra libertà e viceversa.
Non è strano che una effettiva giustificazione teorica della possibilità di una collaborazione fra uomini sia stata guadagnata da S. soltanto quando, proponendosi di attuare una sorta di sintesi tra il marxismo e l’ esistenzialismo, egli ha infine riconosciuto che il progetto globale complessivo che è alla base delle singole scelte di ogni singolo uomo è sempre limitato dalla situazione di partenza, storicamente determinata, in cui tale progetto si colloca ed è gettato giungendo così di fatto ad abbandonare l’ idea della incondizionatezza della libertà, e ponendosi nelle condizioni di rinvenire nella lotta contro le condizioni storiche che opprimono l’ uomo la possibilità di una azione solidale degli individui.

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