S.Agostino e Kant

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Testo

Nella storia della filosofia occidentale, la nozione del tempo ha costituito uno dei problemi costanti della riflessione filosofica e scientifica.
Inizialmente abbiamo una concezione realistica del tempo, idealizzato come un flusso unico ed omogeneo, nel quale sono immerse le cose soggette a mutamento. Per il pensiero greco tale flusso è per lo più circolare, rappresentato da una ruota che sta ad indicare il ritorno del “κάoς” sul “χόσμος”, scanditi tra loro da una ritmica successione di fasi durante le quali si svolge il divenire della natura. In seguito con Parmenide e Zenone, negando il movimento, si coinvolge in tale negazione anche la realtà del tempo, che, opposto all’eternità e all’immutabilità dell’uomo, diviene una semplice apparenza ed è reale solo l’immobile presenza dell’eternità. Aristotele definisce il tempo come “misura del movimento rispetto al prima e al dopo”; per lui, come per Platone, esiste una realtà privilegiata, immutabile e necessaria allo stesso modo dell’essere espresso dall’essere di Parmenide, che si colloca fuori dal tempo. Per Epicureo, poi, è un “accidente di accidenti” e quindi, in poche parole, non esiste.
L’interiorizzazione del tempo e la sua riduzione a dimensione della coscienza sono nel pensiero antico posizioni tipiche di Plotino e di Sant’Agostino.
Quest’ultimo, nell’XI libro delle Confessioni, sviluppa una delle sue più celebri meditazioni filosofiche sulla natura del tempo:
”che cos’e il tempo? Chi saprebbe spiegarlo in forma piana e breve? Se nessuno mi interroga lo so.Se volessi spiegarlo a chi mi interroga non lo so. Questo però posso dire con fiducia di sapere senza nulla che passi non esisterebbe un tempo passato, senza nulla che venga non esisterebbe un tempo futuro, senza nulla che esista non esisterebbe un tempo presente.Due di questi tempi, il passato e il futuro come esistono dal momento che il primo non è più e il secondo non è ancora? E quanto al presente se fosse sempre presente, senza tradursi in passato, non sarebbe più tempo ma eternità. Se dunque il presente, per essere tempo deve tradursi in passato, come possiamo dire anche di lui che esiste, se la ragione per cui esiste e’ che non esisterà? E’ inesatto dire che i tempi sono tre, cioè presente, passato e futuro; allora sarebbe meglio dire presente del passato (memoria), presente del presente (visione), presente del futuro (attesa).”
( S.Agostino, la confessione XI, 12-13,14).
Quale è la natura del tempo? Come è possibile misurarlo? Sono queste le domande alle quali egli cerca di dare risposta, costruendo le sue basi su delle fondamenta consolidate anche da Plotino, secondo cui il tempo è un tutt’uno con l’attività dell’anima e che è quindi “vita dell’anima”: da qui Agostino partirà per costruire quella che è forse la più creativa indagine sul tempo che la filosofia antica ci abbia mai tramandato. Questo propone infatti l’identificazione del tempo con la “distentio animae”che mostra la relazione tra questo concetto e il pensiero, mettendone in risalto l’interiorizzazione di questi e, mostrando come il passato e il futuro hanno realtà solo nel presente della coscienza, come memoria e come aspettazione. Si abbandona perciò la concezione ciclica dl tempo per assumerne una nuova di carattere lineare-progressivo. Il pensiero cristiano non rifiuterà tale nozione realistica e preciserà, sulla linea del Timeo di Platone, l’origine ed i confini del tempo: questo è nato con la creazione del mondo (e quindi per Sant’Agostino ogni domanda sul prima della creazione non ha senso) e finirà con la fine di esso ( la fine del mondo intesa come compimento del tempo).
Nell’XI libro delle Confessioni, che si occupa di tale tema, la narrazione di vicende personali viene allargata e trasformata in una meditazione universale sull’uomo come creatura di Dio. Il percorso esistenziale personale di ogni uomo viene reinterpretato attraverso un’analisi razionale della rivelazione.
Il problema del tempo è posto quindi come frutto della connessione tra l’esperienza di ogni individuo e il suo significato universale, posto dal punto di vista della creatura finita, l’uomo, che vive nel tempo come tutte le creature la cui creazione è avvenuta “in principio”. Ma la stessa creazione non è avvenuta nel tempo: il tempo è creatura di Dio e come tale ha avuto inizio da lui; Dio lo ha istituito assieme a tutte le cose e proprio per questo non è eterno.
Agostino, ai manichei che chiedevano cosa facesse Dio prima di creare il cielo e la terra, rispose che non c’è un prima attribuibile a Dio, che rappresenta l’eternità non collocabile nel tempo. Ciò fa capire la linea che segue Agostino per analizzare il tempo, mostrando la sua distanza rispetto il precedente pensiero greco. L’atto della creazione inserisce infatti in un nuovo livello l’ontologia, la scienza dell’essere in quanto essere, dove il problema viene affrontato su due piani: da una parte Dio e l’eternità nella loro permanenza attraverso ed oltre il tempo, e che costituiscono un punto di riferimento; dall’altra il creato, che si trova dentro il tempo ed è perciò soggetto al mutamento e all’instabilità. Agostino contrappone perciò l’eternità sia del mondo che del tempo, professata dai greci, alla contingenza e alla storicità del creato; al tempo ciclico quello lineare.
Ma come si misura il tempo? Anche ad Agostino si presentano le difficoltà, già note nelle precedenti filosofie, dell’inaffidabilità del presente, del passato che non è più e del futuro che non è ancora, con le relative conseguenze sul piano della meditazione.
La natura del tempo ha quindi una triplice dimensione passato-presente-futuro. L’analisi di ciò ha dimostrato l’incompatibilità di un’analisi oggettiva mettendo in risalto il soggetto. Il passato e il futuro risultano perciò essere i modi dell’attività dell’anima, sotto forma di memoria, per il primo, e di attesa, per il secondo. Entrambi sono ricondotti al presente, inteso come attualità delle percezioni appartenenti al soggetto. La dimensione in cui si ha il procedere del tempo è quindi quella di un “presente fluente” (presente-passato, presente-presente, presente-futuro). Ciò è però valido solo per la creatura finita, che vive dentro il tempo, mentre non è valido per dio, presenza che costituisce la stessa eternità e che ha una totale e simultanea visione del passato, del presente e del futuro.
Sempre nell’XI libro, Agostino discute le teorie che identificavano il tempo con il movimento dei corpi celesti. Questi propongono anche la risoluzione al problema della misurazione, individuando nei movimenti dei corpi celesti il parametro per un riferimento oggettivo. Tempo e movimento non possono essere identificati: il movimento è nel tempo, ma non è il tempo. Non si misura il tempo attraverso il movimento, ma viceversa.
E la richiesta della regolarità dei corpi celesti non può essere un riferimento oggettivo (afferma Agostino in contrasto con il pensiero greco): infatti non c’è nulla che vieti a Dio di variegare o arrestare il moto degli astri come è scritto nelle Sacre Scritture.
Già Aristotele aveva negato l’identificazione tra tempo e movimento. Ma qui Agostino si muove su di un altro terreno, andando da un riferimento oggettivo all’esperienza dell’anima. Ciò corrisponde al movimento di ritrovare le verità “in interiore nomine”, che costituisce il perno di tutta la filosofia agostiniana.
Infine possiamo dire che la meditazione agostiniana sul tempo è racchiusa in una specie di arco che ha origine dal rapporto Dio/creatura, eternità/tempo.
In contrasto alla perfetta ed immobile eternità di Dio, il tempo viene contrassegnato dall’instabilità dell’essere delle creature finite, l’uomo, che è esperienza di errore, morte e peccato. Nel tempo questo vive la sua lacerazione provocata dalla lontananza da Dio. Comunque è proprio nel tempo che questo nuovo uomo sceglie la via dell’eternità: come l’anima unifica la pluralità di tutti i tempi vissuti, così l’uomo peccatore è chiamato alla conversione: l’”inquietudo” diviene ricerca di pace.
La riflessione agostiniana sul tempo costituisce un momento essenziale della considerazione e dell’autocomprensione del proprio io, di ricostruzione della propria vita interiore e di chiarimento del proprio cammino verso Dio e quindi verso la salvezza dell’uomo.
Durante il Settecento, in seguito alle” postulazioni delle teorie di spazio e tempo assoluti” di Newton, alcuni filosofi si opposero strenuamente alle teorie sostenute da S. Agostino:
Newton stesso suppose l’esistenza di uno spazio e tempo assoluti,
Hume criticò le idee tradizionali di spazio e tempo di S. Agostino, sostenendo che spazio e tempo sono riconducibili al quadro ideale dell’estensione e della durata,
Leibniz negò che spazio e tempo avessero una realtà in se stessi e aveva proposto di considerarli come semplici relazioni tra corpi,
Kant cercò di conciliare le teorie di Newton con quelle di Leibniz, giungendo alla soluzione che spazio e tempo non sono una realtà oggettiva in se stessa, né semplici relazioni tra oggetti, ma piuttosto forme a-priori della sensibilità umana. Nella “Dissertatio”, Kant affronta il problema analizzando la natura della nostra conoscenza sensibile. Noi conosciamo sensibilmente in quanto siamo modificati dall’esterno, dagli oggetti che agiscono sulla nostra capacità di rappresentazione. La sensazione è l’effetto prodotto in noi da tale azione. Con la sensazione noi non conosciamo, infatti, gli oggetti come sono in se stessi, bensi’ come essi ci appaiono attraverso le modificazioni che producono in noi. Per questo l’oggetto della conoscenza sensibile è chiamato da Kant fenomeno. Se cosi’ stanno le cose, spazio e tempo, che accompagnano necessariamente ogni nostra conoscenza sensibile, non possono essere una realtà oggettiva, come voleva Newton, e neppure una relazione propria degli oggetti in se stessi come voleva Leibniz, bensi’ debbono essere forme caratteristiche del nostro mondo soggettivo di ricevere le modificazioni sensibili da parte degli oggetti. Essi vanno quindi considerati come forme della nostra sensibilità, che condizionano ogni nostro modo di conoscere sensibilmente. Kant dice che Spazio e Tempo non derivano dall’esperienza, ma sono condizioni a-priori dell’esperienza. Cioè precedono ogni esperienza sensibile e la rendono possibile come esperienza della spazio-temporalità delle cose.
Lo spazio
Lo spazio non e’ una realtà oggettiva in se stessa, né semplici relazioni fra oggetti. Lo SPAZIO e’ la forma a-priori del senso esterno.
Cio’ significa che noi disponiamo nello spazio, secondo rapporti e relazioni nostri, le cose che sono esterne a noi. Lo spazio come forma a-priori perciò non puo’ essere ricavata dall’esperienza: infatti, osservando due oggetti e la loro distanza, si presuppone già la loro collocazione in un ordinamento spaziale.
Kant percio’la definisce come la forma di tutti i fenomeni dei sensi esterni cioè la condizione soggettiva della sensibilita’, sotto la quale soltanto ci e’ possibile l’intuizione esterna.
Il tempo
Nello stesso modo il tempo non è altro che la forma del senso interno, cioè dell’intuizione di noi stessi e del nostro stato interno.Ciò significa che noi ordiniamo nel tempo tutti i dati della nostra sensibilita’, disponendoli unitariamente e stabilmente secondo l’ordine della coesistenza e della successione.Il tempo perciò non è ricavato astraendo da una successione di fenomeni, ma al contrario, e’ ciò che rende possibile che noi ci rappresentiamo determinati fenomeni in coesistenza o successione.

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