Materie: | Appunti |
Categoria: | Filosofia |
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Testo
PASCAL (Clermont, od. Clermont-Ferrand, 1623 - Parigi 1662): il padre, Etienne, rimasto vedovo fin dal 1626, si prese cura personalmente dell'educazione del secondogenito Blaise e delle due figlie, Gilberte e Jacqueline. Nel 1631 si stabilì a Parigi e, frequentando assiduamente i circoli letterari e scientifici, fra cui quello dell'abate Mersenne, contribuì anche per questa via a stimolare la vocazione precoce del figlio. Blaise compose appena undicenne un trattato di acustica, iniziò da solo l'anno successivo lo studio della geometria, e infine, ammesso anche lui alle riunioni del circolo del padre Mersenne, scrisse a sedici anni un Saggio sulle coniche (1640). Nel 1642, per aiutare il padre, che era stato incaricato nel 1639 di una difficile missione presso l'amministrazione fiscale della Normandia, progettò una «macchina aritmetica», capostipite delle macchine calcolatrici a ingranaggi, il modello definitivo della quale fu pronto peraltro solo nel 1652. In quegli stessi anni nella famiglia di Pascal circolarono gli scritti di Giansenio, del Saint-Cyran e di A. Arnauld e sotto tale ispirazione il cristianesimo assunse agli occhi del giovane una fisionomia rigoristica e ascetica.
Stabilitosi dal 1647 a Parigi insieme con la sorella Jacqueline, proseguì le ricerche scientifiche, nonostante le condizioni della sua salute, gravemente compromessa. Ebbe anche due incontri con Cartesio (settembre 1647), ma pare che i due grandi uomini non riuscissero a trovare un terreno di intesa, e fra i motivi di contrasto dovettero figurare le loro opposte concezioni del vuoto. Su questo argomento Pascal poco dopo pubblicò il resoconto delle prime esperienze da lui eseguite a Rouen nel 1646, le quali ripetevano in sostanza quella di Torricelli (Nuove esperienze riguardanti il vuoto, 1647). In questo stesso periodo scrisse inoltre la mirabile Prefazione per un trattato sul vuoto, che contiene il suo punto di vista sui metodi propri delle varie scienze. Il 19 settembre 1648, dietro sua indicazione, il cognato Périer eseguì sulla vetta del Puy-de-Dôme un'altra esperienza a verifica delle ipotesi di Torricelli. Scrivendo verso la fine del 1648 il Racconto della grande esperienza Pascal poteva così affermare che l'horror vacui attribuito dalla fisica tradizionale alla natura andava più semplicemente spiegato con la pressione atmosferica. Pascal ripeté poi lui stesso l'esperimento sulla torre del convento di Saint-Jacques a Parigi.
Dopo la morte del padre (1651) e dopo l'entrata di Jacqueline fra le suore di Port- Royal (1652), Pascal si impegnò ancora più febbrilmente nella ricerca scientifica. Contemporaneamente frequentava la compagnia di alcuni amici, spiriti liberi ed emancipati, se non proprio libertini nel preciso significato storico del termine: fra essi il duca di Roannez, Mitton e il cavaliere di Méré, che fu un po' il suo «maestro di belle maniere». Questo periodo «mondano» della vita di Pascal ebbe termine nel 1654. I vizi e la perdizione di tale parentesi, che tormentò più tardi la sua coscienza implacabile, si ridussero in realtà alla frequentazione di salotti intellettuali, all'abbandono al soave piacere della gloria e a un progetto di matrimonio, subito rientrato. È difficile dire quanto abbia influito sulle successive decisioni di Pascal l'incidente stradale sul ponte di Neuilly, dal quale uscì miracolosamente incolume. Resta il fatto che egli, dopo l'estasi notturna del 23 novembre 1654, della quale reca testimonianza il Memoriale, compì il passo decisivo, preparato del resto da tutto il suo precedente travaglio. Il colloquio con Dio esigeva solitudine e silenzio e Pascal, consigliato dal Singlin, da lui scelto come direttore spirituale, nel gennaio del 1655 si ritirò a Port-Royal, dove tornò poi spesso in seguito da amico e da penitente. Il miracolo della Santa spina verificatosi l'anno seguente (la miracolata fu proprio la nipote, Marguerite Périer) contribuì a rafforzare la sua decisione.
Quando Arnauld si trovò sotto la minaccia di una condanna da parte della Sorbona, Pascal fu sollecitato a difenderlo e rivelò in tale occasione un insospettato vigore di polemista. Dal gennaio del 1656 al marzo del 1657 pubblicò le diciotto Lettere provinciali (v. provinciali [Le]), attaccando la Sorbona, i gesuiti e in particolare gli abusi e le storture dei casuisti. Se gli Scritti sulla grazia testimoniano il perdurare dell'interesse per le questioni teologiche e la costante ispirazione giansenistica, Pascal tornò in questo periodo con rinnovata passione anche agli studi scientifici. Nel 1654 partecipò ai lavori dell'Accademia matematica, entro la quale si continuava l'attività del circolo del padre Mersenne. Risolse il problema della roulette, vale a dire della cicloide, improvvisando e utilizzando metodi di calcolo che anticipano in certa misura il calcolo integrale. Affrontò anche problemi pratici e fu tra l'altro fondata per suo impulso un'impresa di trasporti pubblici, che gestì la prima linea di omnibus urbani e ottenne nel 1662 l'autorizzazione del parlamento di Parigi. Questo singolare settore di interessi della sua multiforme personalità, unitamente ad altri episodi della sua vita familiare, per lo più tendenziosamente interpretati, è alla base delle accuse di eccessivo attaccamento al danaro che gli fu mossa da qualche contemporaneo poco benevolo ed è stata ripresa da alcuni biografi.
Fin dal 1647 Pascal si era proposto di scrivere un'apologia del cristianesimo. Ne aveva in seguito cominciato la stesura, dopo aver raccolto e schedato molto materiale. Nella seconda metà del 1658, durante una visita a Port-Royal, aveva esposto ad alcuni intimi le idee direttrici e il piano della sua Apologia della religione cristiana. Ma la malattia che l'aveva tormentato tutta la vita si aggravò bruscamente e da allora in poi non gli lasciò più respiro. Nonostante ciò Pascal partecipò ancora appassionatamente al dramma di coscienza dei giansenisti, ai quali era stato intimato nel 1661 dall'Assemblea del clero di firmare il formulario di condanna della dottrina di Giansenio. Sotto l'influenza della sorella, che, profondamente turbata dagli eventi, morì nel corso dello stesso anno, sostenne il partito dell'intransigenza contro gli stessi maestri della teologia giansenistica, Arnauld e Nicole, che erano inclini a sottomettersi e a firmare. Solo dinanzi alla resistenza dei moderati si ritirò dalla lotta.
Purificato dalle sofferenze e sempre più distaccato dal mondo, impegnato in una disciplina ascetica di crescente severità, come testimonia la Preghiera per il buon uso della malattia, Pascal si stava ormai avvicinando alla morte. Nel 1662, quando sentì che le sue forze erano allo stremo, si fece trasportare in casa della sorella maritata Périer, nella parrocchia di Saint-Etienne-du-Mont, e lì morì il 19 agosto, dopo lunga agonia.
L'Apologia, che avrebbe dovuto essere la sua opera capitale, restava così incompiuta. Gli amici raccolsero le sue note e, dopo aver apportato numerosi ritocchi al testo originale, le pubblicarono nel 1670, sotto il titolo di Pensieri
Pensieri (Pensées), è il titolo sotto il quale furono pubblicati nel 1670 dagli amici di Port-Royal gli appunti e le annotazioni che Pascal aveva scritto in vista di quella Apologia del Cristianesimo, che la malattia e la morte gli impedirono di portare a compimento. L'edizione del 1670 era il risultato di una scelta arbitraria di pagine e di frammenti, presentati per di più in un ordine discutibile. Dopo la prima edizione integrale (Faugère, 1844) numerosi lavori, fra cui quelli di Couchoud, Michaut, Brunschvicg, Tourneur e Lafuma, hanno mirato a restituire un testo più conforme alle intenzioni originali dell'autore. Gli argomenti della filosofia e della teologia razionale non hanno presa sul «libertino», sull'incredulo lontano da Cristo, al quale l'apologetica pascaliana si rivolge. I discorsi dei teologi possono consolidare le certezze del credente, non svegliare nel miscredente l'inquietudine e produrre quella presa di coscienza sulla quale si radica e cresce l'esigenza religiosa. L'apologetica pascaliana dell'immanenza (come è stata più tardi caratterizzata) muove perciò dall'esplorazione della condizione dell'uomo e, portando alla luce con rigorosa insistenza i contrasti e le contraddizioni, dai quali essa è lacerata, mostra alla fine che l'appello alla trascendenza e la fede nel Cristo mediatore danno senso a un dramma altrimenti assurdo e senza esito.
Più che alla ragione ci si rivolge dunque in questa indagine alle «ragioni del cuore», più che all'esprit de géométrie, all'esprit de finesse . E in verità la scissione e la fondamentale ambiguità sono i tratti distintivi dell'uomo. Questo essere contraddittorio cerca soprattutto la verità e non può mai raggiungerla. Da essa lo tengono lontano le «potenze ingannatrici» insite nella sua stessa natura. I sensi, la volontà, l' «amore di sé», la ragione, e, prima fra tutti, l'immaginazione, «maestra di errore e di falsità», lo confondono e lo fuorviano. L'uomo aspira inoltre all'ordine e alla giustizia, ma è condannato a sottostare ai capricci dell'opinione e dell'arbitrio. I costumi sono assurdi (ciò che è vero al di qua dei Pirenei è falso al di là), i regimi politici poggiano sull'irrazionale, il diritto si basa sulla forza. Anche l'anelito verso la felicità è perennemente deluso e al posto di essa l'uomo trova solo «la miseria e la morte». E poiché d'altronde nessuno dei sistemi filosofici da lui escogitati può soddisfarlo, l'uomo tenta, ma invano, di sfuggire alla sua condizione con il divertissement, lasciandosi assorbire dalle occupazioni e dalle distrazioni.
E tuttavia, malgrado la sua miseria, e proprio per il fatto che ne è consapevole, l'uomo è grande. È «una canna, ma una canna pensante». La coscienza è il sigillo della incontestabile superiorità dell'uomo. Abisso di grandezza e di piccolezza, né angelo né bruto, enigma vivente, l'uomo può trovare la spiegazione di se stesso solo nella religione. E fra tutte le religioni la cattolica è quella che rende meglio conto della nostra natura, in quanto spiega la nostra grandezza con la creazione divina, la nostra debolezza col peccato originale e la possibilità del riscatto con la croce di Cristo. Vale la pena di rischiare una perdita insignificante per un premio infinitamente grande, dice il celebre argomento della scommessa. Se, comunque, la fede ci sarà data, allora capiremo anche il valore di quelle altre prove, che di per sé non sono certo pienamente convincenti: la storia del popolo ebraico, le profezie, i miracoli, la perpetuità della Chiesa di Cristo. Con la figura raggiante del Figlio di Dio doveva concludersi l'opera: è Lui il punto di arrivo di questo itinerario e la soluzione di tutti i drammi dell'uomo.
Esprit de finesse: lo spirito di finezza, con cui Pascal, nei Pensieri, indica il «ragionamento per sentimento», corrispondente all'incirca con l'intuizione, in antitesi con l'esprit de géométrie («spirito di geometria») che è il ragionamento rigidamente razionale.
Scomméssa : argomento usato da Pascal in favore della fede cristiana, si trova nei Pensieri poiché la ragione non è in grado di produrre prove decisive sulla questione dell'esistenza o inesistenza di Dio, scommettere diventa legittimo, «dal momento che bisogna di necessità scegliere». Ora, chi punta sull'esistenza di Dio mette come posta solo la propria ragione, visto che le verità della religione non sono razionali, e la propria libertà, nel senso che questa sarà vincolata dalle particolari obbligazioni imposte dalla religione. Rispetto all'infinità del premio, la posta è assolutamente insignificante. «Ogni giuocatore rischia con certezza per vincere con incertezza; e nondimeno rischia con certezza il finito per vincere con incertezza il finito, senza peccare contro la ragione...» Tanto più conforme a ragione sarà allora lo scommettere, «quando si rischia il finito in un giuoco in cui le probabilità di vincere e di perdere sono simili e in cui si può vincere l'infinito». All'argomento sono state mosse molte obiezioni: taluni negano la premessa, che l'esistenza di Dio non sia razionalmente dimostrabile, altri più sottilmente fanno rilevare che la riduzione della posta a un valore insignificante presuppone in qualche modo la realtà del premio infinito, e così la fede precederebbe la scommessa, che è chiamata a fondarla.