Marx

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Testo

MARX
Per Marx il soggetto del momento dialettico non è lo spirito, ma la materia. Questa materia, però, non è quella di tipo meccanicistico: Marx è materialista, ma non meccanicista. La materia è quel principio vivente e intelligente che produce l’uomo e quindi anche la sua intelligenza e la sua coscienza. Per Marx, dunque, non si può conoscere la materia studiando la sua realizzazione nell’uomo e nella storia: l’ intelletto separante (spiegare il più a partire dal meno) è per Marx un modo sbagliato di procedere. Il capitalismo è appunto un prodotto dell’intelletto separante.
Natura – Uomo – Natura
Uomo – Natura – Uomo
L’uomo e la natura sono due prodotti della materia, e solo in apparenza uomo e natura, certe volte, sono in conflitto tra loro. L’uomo non è altro che lo strumento attraverso cui la natura si rinnova.
Quasi tutti gli animali sono capaci di modificare il mondo (la formica e l’ape), ma l’uomo è capace di progettare queste modifiche; per questo il peggior architetto è migliore della migliore delle api. Ciò che fa l’uomo, comunque, non è una violenza nei confronti della natura: uomo e natura in realtà non sono in conflitto.
Mentre in Hegel la storia è chiusa e si arriva ad un punto in cui ogni contraddizione si risolve definitivamente, Marx considera la storia aperta, non è più un circolo chiuso, bensì una specie di spirale infinita che ricorda un po’ Fichte; per Marx le contraddizioni si possono superare, ma non si arriva mai ad un punto in cui non si ha nessuna contraddizione; la risoluzione delle contraddizioni odierne consisterebbe nella realizzazione della società comunista, ma Marx dice che, una volta realizzata, ci potrebbero essere ulteriori contraddizioni, che i filosofi futuri dovranno risolvere.
L’economia regola il movimento dialettico della natura. Il rapporto tra uomo e natura è indicato da Marx con il termine lavoro, o produzione; produrre significa creare e distruggere, modificare, progredire: è la produzione che muove il mondo.
[Natura – Uomo – Natura] è il rapporto dialettico di base; quando l’uomo lavora, innesca un ulteriore processo di tesi antitesi e sintesi.
Forze produttive - Rapporti di produzione - Forze produttive
- Le forze produttive sono tutte quelle forze che vengono impiegate nella produzione; l’uomo è la forza produttiva per eccellenza.
- Queste forze si devono organizzare, e lo fanno attraverso i rapporti di produzione,
che sono i modi attraverso cui l’uomo organizza il lavoro.
- Le forze produttive sono come un bambino che ha freddo, i rapporti di produzione
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sono come un vestito che lo ripara. Ma il bambino cresce, e quindi il vestito a
lungo andare non è più adeguato. Le forze produttive si organizzano attraverso
rapporti di produzione, ma l’uomo non è statico, quindi dopo un po’ di tempo
questi rapporti di produzione diventano delle gabbie, in quanto inadeguati, e
quindi non risultano più utili ma dannosi, e vanno sostituiti con una forma di
organizzazione più evoluta.
Il sistema feudale, in Europa, era necessario ed utile per superare il periodo di barbarie, ma con l’evoluzione della società questo sistema feudale non risultava più adeguato e venne tolto di mezzo dalla nuova classe emergente, la borghesia. Quindi per Marx non si deve disprezzare il passato, anche se alcuni periodi storici ci possono apparire dominati dalla barbarie o dall’ingiustizia, dal momento che quando nascono dei rapporti di produzione, questi sono i sistemi più positivi e utili che ci possono essere in quel determinato momento della storia; è solo in seguito, con l’evoluzione dell’uomo e della società, che divengono inadeguati e devono essere sostituiti.
La classe operaia nasce inizialmente come subordinata, ma col tempo essa è destinata a crescere, svilupparsi, e diventare la classe egemone. Si riprende il rapporto servo-padrone di Hegel, in cui il servo, col tempo, si impone sul padrone.
Marx dice: “la storia è fatta dai servi”; infatti come la borghesia, inizialmente subordinata all’aristocrazia, ha poi preso il controllo totale, lo stesso accadrà con la classe operaia.
Marx dice che il mondo va sì studiato e capito, ma va anche modificato, la comprensione del mondo non deve rimanere astratta, ma si deve applicare intervenendo sull’economia. Questa è una critica a Hegel e Feuerbach, la cui conoscenza del mondo non incide sullo sviluppo della società. La vera filosofia, dunque, è quella che cambia il mondo, che mette in moto il processo storico.
Viene fuori a questo punto un grosso problema: il rapporto tra pensiero e processo storico. L’intelligenza per Marx non è superflua, esterna al processo storico: il rinnovamento, il processo storico, l’economia, si basano su progetti, e quindi sull’intelligenza. Quindi non si può scindere il pensiero dall’economia e dallo sviluppo storico.
Il movimento storico è formato da strutture e sovrastutture; la struttura è l’economia,
che è l’ “elemento pesante”, portante.
La sovrastuttura è costituita dal piano
Sovrastuttura: IDEOLOGIA ideologico: tutte le attività dell’uomo
Struttura : ECONOMIA in campo artistico, letterario, ecc. hanno
fondamento nell’economia. Si può dire
che “l’uomo pensa in base a quello che mangia”. Sono le condizioni economiche che condizionano tutti movimenti ideologici dell’uomo, e non viceversa. Ma a questo punto emerge un problema: se ciò che dice Marx è vero, allora anche le sue stesse parole sono condizionate dalla realtà storica, economica del suo tempo.
Il discorso di Marx fu interpretato in modo un po’ dogmatico dai cosiddetti “catastrofisti” (Kautsky), che affermavano l’inutilità della rivolta: il capitalismo dovrà crollare, quindi non resta che attendere questo
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crollo. Questa visione, rifiutata in seguito, tra gli altri, da Rosa Luxemburg e Lenin, fu moderata da
un’interpretazione correttiva, formulata da Lucash e Gramsci: è vero che la struttura condiziona la sovrastuttura, ma la sovrastuttura, a sua volta, si ripercuote sulla struttura. Si cerca quindi di instaurare un rapporto dialettico tra la struttura e la sovrastuttura. Tuttavia anche questo correttivo ha un difetto, in quanto la teoria di Marx continuerebbe a risultare una sovrastuttura, un’ideologia tra le tante.
La sovrastuttura per Marx è una visione alienata della realtà, in cui il progetto dell’uomo diventa erroneo e contraddittorio. La sua teoria non è un’ideologia, non è una visione inadeguata della realtà; infatti il motore che elimina la sovrastuttura, l’alienazione, è la filosofia. Il progetto di Marx, dunque, non fa parte dell’ideologia, che egli considera un’alienazione, ma fa parte dell’economia, della struttura; per questo il suo proposito di realizzare una società comunista è definitivo e non mutevole. Del resto è sbagliato considerare l’intelligenza tutta nell’ideologia, e vedere l’economia semplicemente come forza motrice di fondo: l’intelligenza sta prima di tutto sul piano economico, non c’è economia senza intelligenza, poiché l’economia è progetto.
Anche se Marx non usa questo termine, si può parlare di destino, che consiste nel necessario superamento delle contraddizioni, nel toglimento dell’alienazione. Questa sorta di destino, però, non è definitivo, concluso, infatti Marx non usa mai la parola destino. Esso è solo una meta ideale, a differenza di Hegel. Ogni contraddizione è una foglia secca, essa è destinata ad essere eliminata da quella forza che è la razionalità del reale; tuttavia, mentre Hegel vede la fine di ogni contraddizione nello spirito assoluto, Marx si limita a cercare di eliminare le contraddizioni attuali, ma non si spinge oltre: le contraddizioni future dovranno essere studiate dai filosofi futuri.
In Marx economia può avere il significato di realtà, in quanto coincide con il rapporto uomo-natura; ma c’è anche un senso più stretto del termine, cioè quello di forze produttive, di rapporti di produzione, ecc. Per capire il movimento dell’economia si utilizza l’economia politica, che non è una scienza che raccoglie in sé tutto ciò che costituisce l’uomo, ma è una scienza che studia l’economia in senso stretto (come la fisica studia il mondo, ma non esaurisce la totale essenza del mondo).
Marx individua uno sviluppo dialettico che va avanti per contraddizioni.
MERCE viene dal latino merco = scambio, commercio.
Marx chiama merce tutto ciò che l’uomo può usare; originariamente l’uomo vive in un mondo pieno di oggetti utili che egli può utilizzare. Questi oggetti, inizialmente, non vengono visti come un qualcosa che si può vendere o comprare: gli oggetti hanno un valore d’uso (la casa mi ripara dalle intemperie, il cibo mi permette di vivere, ecc.), non ha senso chiedersi che valore commerciale essi possono avere.
Ma in un secondo tempo gli oggetti, gli uten-
Oggetti : valore d’uso sili, diventano merce. Questo accade quando
l’uomo non ne ha più un bisogno immediato,
quando si ha un surplus e l’uomo si rende
Merce : valore di scambio conto che si possono realizzare degli scambi.
Il passaggio dal valore d’uso al valore di
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scambio è, per Marx, inevitabile; nasce il concetto di ricchezza: l’oggetto tende a perdere la sua concretezza materiale e comincia ad essere il simbolo della ricchezza. Siamo così già in cammino verso il denaro. A un certo punto gli individui trovano l’utilità di usare dei metalli rari (oro e argento) come moneta, come valore di scambio; l’oro è il valore di scambio in assoluto. La produzione umana è sempre meno finalizzata all’utilità immediata dell’oggetto che produce, ed è sempre più finalizzata alla realizzazione della ricchezza.
Per Marx, nonostante questo processo sia inevitabile, il valore di scambio tende ad isolare, ad alienare l’uomo dalla realtà in cui vive; infatti l’uomo, lavorando, non si rende conto dell’utilità immediata di ciò che fa, ma lavora per produrre ricchezza, che però è una qualità astratta dell’uomo.
Nel capitalista si ha il momento più profondo di questa contraddizione, di questa alienazione. Il capitalista considera la ricchezza come un qualcosa di fine a se stesso: se egli ha un sacco di oro, pensa esclusivamente a come fare per raddoppiarlo, per averne due.
All’inizio,quando appare il denaro, l’uomo ha ancora in vista l’utilità di quest’ultimo:
il denaro è lo strumento, la merce; questo si ha
fino al ‘500 , ‘600. Con lo sviluppo del capitali-
M – D – M (Soc. precapitalistica) smo, invece, il denaro diventa lo scopo. Non si
D – M – D’ (Soc. capitalistica) produce per consumare, ma si produce per guada-
gnare. Il denaro diventa il padrone della situazio-
M = merce ne, mentre il valore d’uso diventa lo strumento
D = denaro dell’accumulo della ricchezza.
Il capitalista, quando mette in piedi un’azienda, non lo fa in base al bisogno che c’è di qualche oggetto, ma lo fa con lo scopo di aumentare la propria ricchezza. Il capitalismo utilizza l’uomo in funzione dell’arricchimento, e questo per Marx è il frutto di una profonda alienazione. Si possono qui ritrovare il Dio di Feuerbach e il padrone di Hegel: anch’esse sono forme di alienazione simili a quella del capitalista.
La vita del capitalista è dedicata esclusivamente al raddoppio di un numero, quello che rappresenta la propria ricchezza; quando il capitalista morirà, il raddoppio di questo numero non avrà alcun effetto su di lui, ma avrà avuto un grande, negativo effetto su centinaia di persone che gli sono sottoposte. Quando Calvino dice che il denaro è il segno divino della grazia di Dio, dice Marx, egli intende parlare da religioso, ma in realtà il suo è un discorso economico, che consiste nella visione del denaro come scopo. Nel capitalismo si ha il rapporto D – M – D’ ; D’ non è uguale a D, appunto perché si cerca di incrementare il denaro, la ricchezza, attraverso la merce.
Pascal diceva: “L’uomo che desidera, desidera di desiderare”, è il divertissement: l’uomo in realtà vuole rimandare la resa dei conti, cioè la morte, “impegnando” la sua mente con qualunque cosa la possa distogliere dal pensiero ultimo della morte. Il
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desiderio, in Pascal, è dunque alienazione. In Marx ritroviamo un po’ questo
discorso: il capitalista dedica la sua vita al fantasma del denaro, u fantasma che si sottrae ogni volta che viene raggiunto. Tuttavia Marx, da un punto di vista della condizione umana, è più ottimista: per Pascal l’uomo è necessariamente e inevitabilmente alienato, mentre Marx ritiene che questa alienazione sia superabile; esiste un movimento dialettico che toglierà di mezzo l’alienazione, e questo movimento consiste nell’eliminazione del sistema capitalistico e nel ritorno al valore d’uso.
Secondo Marx la situazione in cui si trova il capitalismo è talmente alienata che sta
per scoppiare: si avrà quindi l’affermazio-
ne del comunismo, che costituisce la
“Oggetto” : valore d’uso sintesi della triade dialettica, e che vede un
[carattere sociale della produzione] ritorno al valore d’uso.
Il valore d’uso è legato al carattere
sociale della produzione: questo non si ha
“Merce” : valore di scambio in una società di tipo contrattualistico, ma
[M – D – M] in una società di uomini che collaborano,
[D – M – D’] che è già sociale.
L’uomo primitivo non è isolato, fuori
dalla società, come diceva Hobbes; il
“Comunismo” : valore d’uso commercio non è l’elemento che mette
[carattere sociale della produzione] in contatto tra loro gli uomini, anzi,
l’uomo primitivo è già un uomo sociale,
e l’avvento del commercio e dello
scambio è un pericolo: è l’inizio della disgregazione. Il comunismo, dunque, recupera non solo il valore d’uso, ma soprattutto il carattere sociale della produzione.
Marx parla di FETICISMO della merce: il feticismo è un atteggiamento che tende a isolare un oggetto dal suo contesto; quando si perde di vista il valore d’uso e si passa al valore di scambio, si ha un’alienazione, in quanto si isola la merce e si separa il lavoro dal prodotto del lavoro. Nella società capitalistica questo feticismo è portato all’eccesso. L’operaio lavora con strumenti non suoi, per produrre qualcosa che a lui non interessa, e questa è una forte forma di alienazione. Ma il capitalista è non meno alienato dell’operaio; infatti egli pensa a produrre esclusivamente con lo scopo di raddoppiare il proprio denaro; il capitalismo non ha quindi identità sociale. Con il denaro, infatti, si perde l’aspetto qualitativo e si esalta l’aspetto quantitativo: non è importante chi sei e cosa fai, è importante quanti soldi hai; in questo consiste la perdita di identità sociale: l’uomo viene ridotto ad un numero, il numero che rappresenta la propria ricchezza.
Questa struttura somiglia all’alienazione dello spirito in Hegel, che pensa di dipendere dalla natura, dalla realtà materiale; allo stesso modo l’uomo esce di scena e sulla scena appare solo la merce e il suo valore di scambio, e dunque il denaro.
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Secondo Marx anche il denaro si aliena; infatti il denaro all’inizio è un mezzo, ma poi diventa lo scopo supremo, e quindi perde le sue qualità materiali (la quantità effettiva di oro o di argento) e diventa un numero, un concetto astratto. Naturalmente il denaro può alienarsi solo in quanto entità usata dall’uomo.
L’operaio è la figura più alienata della storia: egli è un uomo totalmente privo dei mezzi di produzione, che cede una parte della sua vita, del suo tempo al capitalista, in cambio di una certa somma di denaro, senza curarsi di ciò che produce. Ma c’è anche una controparte a questa forte alienazione: l’operaio può infatti sviluppare una coscienza di classe, che è il presupposto della rivoluzione. Il capitalismo va sì criticato aspramente, ma Marx riconosce che esso costituisce il momento in cui si profila un possibile cambiamento, un rovesciamento della società; è lo stesso discorso che Hegel fa per il momento dell’antitesi: è il momento negativo-razionale, che mette in luce l’errore e ne permette il superamento. Il capitalismo è l’abisso dell’alienazione, ma è un momento, una tappa necessaria per arrivare alla realizzazione della società comunista.
Marx definisce la propria filosofia un socialismo scientifico: egli dice che il suo non è un processo filosofico umanitario, utopistico. Quest’ultimo è un tipo di filosofia che dice come deve essere il mondo. Marx invece non dice come deve essere il mondo, la sua è un’identità di essere e dover essere; egli non dice che sarebbe meglio per l’umanità eliminare il capitalismo, dice che il processo dialettico della storia porterà inevitabilmente alla caduta del capitalismo e alla venuta del comunismo.
Marx chiama “Robinsonate” le tesi di Rousseau o Locke, secondo cui gli uomini, inizialmente isolati come tanti Robinson Crusoe sulle loro isolette, si avvicinano e fondano una comunità basata su principi contrattualistici. Marx, al contrario, è profondamente anti-contrattualista, per lui l’uomo è di per sé sociale.
La società, secondo Marx, non si costituisce grazie ad un contratto sottoscritto da tanti individui separati: la società è un sistema organico di individui che stanno insieme per la loro stessa natura, in quanto l’uomo è “animale politico”. Il contrattualismo, dunque, risulta essere una tipica sovrastuttura, un’ideologia priva di fondamento che cerca di giustificare il capitalismo; l’uomo è visto come un essere individuale libero di legarsi agli altri uomini (e quindi anche l’operaio è libero di legarsi a un certo padrone). Ma in realtà la vera economia è quella sociale, e quindi nel capitalismo si ha un’alienazione dell’economia, un’economia basata sugli interessi privati e gli egoismi.
Lo Stato Etico che profilava Hegel, incarnato nello stato tedesco dell’ ‘800, è per Marx il trionfo degli egoismi; esso è in realtà il mascheramento degli interessi privati. Tuttavia per Marx esiste un vero Stato etico, che consiste nella società comunista, nella quale si ha un vero recupero dell’organicità ed un totale superamento degli interessi e degli egoismi privati.
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Il punto di partenza delle analisi economiche di Marx è l’economia classica di Smith e Ricardo, tanto che spesso si dice che Marx sia un economista classico. Tuttavia Marx è molto critico nei confronti di tutta l’economia che lo precede, dal momento che secondo lui questa ha un vizio di fondo, quello di considerare gli uomini liberi di entrare in contatto tra loro tramite un contratto. In un’analisi dell’economia di Marx, comunque, non si possono trascurare i principi dell’economia classica, che stanno alla base del pensiero del filosofo.
Smith diceva: “lasciate gli uomini liberi di intraprendere la strada che vogliono, e vedrete che l’economia si stabilizzerà da sola” (è la famosa teoria della mano invisibile). Gli economisti come Smith, interrogandosi sulla questione sociale (cioè sul problema della sempre crescente povertà degli operai e sull’arricchimento dei capitalisti), dicevano che la previsione di Smith era giusta, ma che questa si sarebbe realizzata solo a lungo periodo. Essi ammettevano dunque l’esistenza di questi squilibri, ma affermavano che, avendo un po’ di pazienza, la mano invisibile avrebbe sistemato inevitabilmente la situazione.
Principi economici di Smith

1) Il valore di una merce è dato dalle ore di lavoro necessarie per produrla
2) I prezzi tendono ad uniformarsi ai valori
Il valore è una proprietà intrinseca dell’oggetto, e dipende dal numero di ore di lavoro necessarie; i prezzi invece possono variare a seconda di quello che decide il produttore. Tuttavia ci sarà una concorrenza che tenderà ad abbassare i prezzi, finchè si arriva ad un prezzo pressochè uniforme al valore dell’oggetto (è questa la funzione della mano invisibile).
Il primo punto non è valido soltanto per gli oggetti inanimati, ma anche per il costo del lavoro operaio; secondo l’ottica di Smith il lavoro di un operaio vale esattamente ciò che serve a quell’operaio per vivere e per essere in grado di lavorare.
In n ore di lavoro l’operaio riceve un salario S. Supponiamo che le ore di lavoro siano 10, e il salario 70.
Marx afferma che l’ operaio non
viene mai pagato per quello che
Ore di lavoro Ricchezza prodotta veramente produce; infatti se egli
lavora 10 ore, soltanto 7 gliene
10 100 saranno retribuite, e percepirà un
salario di 70. Ma in realtà la ric-
7 3 70 30 chezza che è stata prodotta grazie
al suo lavoro non è 70, ma 100.
[Pluslavoro] [Salario] [Plusvalore] Dunque egli avrà lavorato 3 ore
“gratis”; queste tre ore costitui-
scono il pluslavoro, e avrà
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prodotto una ricchezza “in più”, il plusvalore, che va tutta a vantaggio del capitalista.
Il profitto ingiustificato dell’imprenditore, infatti, è dovuto proprio a quelle tre ore in cui l’operaio lavora senza essere retribuito.
Marx introduce a questo punto il concetto di forza – lavoro .
La forza lavoro è una merce che fa eccezione, che si distingue da tutte le altre merci; per Marx Smith ha ragione in generale (una maglietta vale le ore di lavoro necessarie a produrre la maglietta), ma la sua teoria non è valida per quanto riguarda la forza-lavoro. Per tutte le merci vale la regola che se io metto 10 ore a produrla, il valore che ne esce è ancora 10; per quanto riguarda la forza-lavoro, invece, se io investo 7, come abbiamo visto, ottengo una ricchezza di 10. Dunque questo tipo particolare di merce sembra produrre valore nel momento in cui entra nel processo produttivo.
7 forza – lavoro 10
Ma la forza-lavoro è una merce così strana perché non è una merce; in essa stanno degli individui, delle libertà umane che vengono ridotte a strumento. La ricchezza dunque viene prodotta sulle spalle di questi individui, che vengono sfruttati e sacrificati in nome della ricchezza dell’imprenditore.
La forza-lavoro è il tempo dell’operaio, e quindi vita umana; essa si fa merce solo alienandosi, in quanto l’uomo è un fine, e non può essere considerato un mezza, come invece fa il capitalismo.
Questa visione è simile in qualche modo a quella cristiana: l’uomo è stato posto da Dio nel mondo con la facoltà di dominare sulle cose e sugli altri animali: non c’è niente di male nel far crescere un animale allo scopo di mangiarlo. Ma nessun uomo deve essere posto al livello di un animale, non deve mai essere considerato un mezzo, ma sempre e comunque un fine.
Il plusvalore è ciò che il capitalista non paga all’operaio, quindi risulta la radice del profitto, ovvero quello che di fatto il capitalista si mette in tasca. Ma il plusvalore non si trasforma tutto in profitto.
Per Marx sono in gioco 5 variabili:
Pv = plusvalore
Ts = tasso di sfruttamento
Cv = capitale variabile
Cc = capitale corrente
Tp = tasso di profitto

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Ts : esprime la misura in cui il lavoratore viene sfruttato (è il rapporto tra le ore
pagate e le ore non pagate).
Pv
Ts =
Cv
Cv è la totalità di ricchezza che nel sistema capitalista si usa per pagare gli operai, e dunque per comprare la loro forza-lavoro. Marx la chiama capitale variabile, perché la quota di ricchezza che il capitalista investe non gli ritorna uguale, ma aumenta, grazie alla caratteristica particolare della forza-lavoro, che a differenza delle altre merci produce ricchezza.
Il Cc è il denaro che il capitalista investe in tutte le altre merci e materie prime che non sono la forza lavoro, e che non fanno fruttare il capitale investito.
Tp, il tasso di profitto, è il rapporto tra il plusvalore e il capitale variabile + il capitale costante. Dunque Tp è direttamente proporzionale a Pv, cioè quanto più aumenta il plusvalore, tanto più aumenta il tasso di profitto:
Pv
Tp =
Cv + Cc
Il nodo della questione, per Marx, sta nel capitale corrente Cc.
Marx si rende conto dell’incidenza sempre maggiore della tecnologia nell’efficienza produttiva; mentre le materie prime mantengono più o meno lo stesso costo, le macchine tendono ad avere un costo sempre maggiore. E in un sistema di libera concorrenza il capitalista che non vuole rimanere soffocato è costretto ad investire in maniera sempre maggiore in tecnologia. Quando una macchina invece di 100 magliette ne produce 1000, certamente aumenta il plusvalore, e quindi aumenta anche il tasso di sfruttamento; infatti l’operaio, anche se produce 10 volte di più, riceverà un salario uguale o di poco superiore, ma comunque non certamente moltiplicato per 10, come invece dovrebbe essere per equilibrare la maggiore ricchezza prodotta.
Tuttavia, dice Marx, neanche il capitalista guadagna in questa situazione; infatti la concorrenza porta inevitabilmente ad una corsa sfrenata, e il Cc (rappresentato dalle macchine, dalle nuove tecnologie) è portato a crescere in modo vertiginoso.
In questo modo, tendendo Cc a + ∞, Tp tenderà a 0, e si arriverà ad un punto in cui il capitalista, a causa della sua bramosia di arricchirsi, distrugge il proprio profitto.
Il capitalista investe in tecnologia, e lo sfruttamento dell’operaio sembra aumentare, ma ad un certo punto il profitto crolla inevitabilmente a 0; è a quel punto che si ha la fine del capitalismo.
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Marx, con questa formula economica, dimostra che il capitalismo non ha futuro, poiché ha al suo interno una contraddizione che è appunto intrinseca, e che lo porterà al crollo. Ma il filosofo non dice che bisogna attendere che questo crollo si verifichi: gli operai devono ribellarsi al capitalismo e accelerare questo processo.
Tra il momento in cui la classe operaia prenderà il potere e quello in cui la classe borghese svanirà e si avrà la società comunista senza classi, ci sarà, secondo Marx, un inevitabile e necessario periodo di transizione, che potrebbe essere anche molto lungo. Questo periodo è chiamato da Marx dittatura del proletariato, durante la quale la classe operaia prende il potere e lo esercita in modo dittatoriale, autoritario.
Nella società comunista spariranno lo Stato, la famiglia, il commercio, il denaro, la religione (in questo le previsioni di Marx sembrano molto simili a quelle dell’anarchico Bakunin).
Per abolizione della famiglia Marx non intende la scomparsa dei sentimenti, degli affetti tra i componenti della famiglia; egli intende dire che l’organizzazione attuale della famiglia, della religione, del lavoro, ecc. è una sovrastuttura condizionata dal sistema economico attuale. Tolto di mezzo il capitalismo, non si distruggono gli affetti familiari, anzi, si ristruttura la famiglia, la religione, ecc. in modo più naturale e spontaneo (Marx fu marito e padre esemplare).
La società comunista, secondo Marx, è il toglimento di numerose contraddizioni millenarie, ma l’uomo in questa società, anche se notevolmente più sereno, non sarà perfetto. La storia non finisce con la società comunista; anch’essa presenterà delle contraddizioni, che tuttavia non sta alla filosofia di oggi analizzare e risolvere.

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Esempio