La figura del "saggio" nelle scuole filosofiche ellenistiche

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Testo

Chi è l’uomo saggio e felice? Le scuole filosofiche dell’età ellenistica hanno cercato di rispondere a questo interrogativo e l’hanno fatto in modo sostanzialmente simile. Traccia un identikit dell’uomo saggio e perciò felice da esse proposto considerando gli elementi comuni attraverso l’illustrazione di questi concetti: bene, virtù, realizzazione di sé, scelte, valore, vizio, emozioni.

Le scuole dell’età ellenistica si trovano a nascere e a formarsi nel periodo post-Alessandrino, poiché di fatto, alla morte di Alessandro Magno comincia una nuova età, sia politica che ovviamente di pensiero.
Passando dalla pòleis ai grandi regni di questo periodo, il cittadino si ritrova estraniato dalla vita politica e così portato a una visione più individualista della vita.
Non c’è da sorprendersi quindi, che la visione del saggio per queste scuole, non stia più nell’uomo politico, che seguendo anni di studio arrivi ad un grado di sapienza e rettitudine tale da consentirgli l’accesso al governo della polis. Altresì il saggio, è l’uomo che ricerca la felicità, per mezzo della filosofia, che ha una funzione strumentale e propedeutica per questa ricerca. Questa felicità però non è intesa come l’attimo di estasi con la quale è intesa oggigiorno, più che altro uno stato duraturo di pace e serenità interiore.
C’è da puntualizzare poi, anche un’altra particolarità delle scuole ellenistiche, il fine della filosofia non è più la ricerca delle verità naturali del mondo, come poteva essere per Pitagora, Eraclito, Empedocle, e più in generale, per la filosofia precedente, ma ha scopi più pratici. Ciò dovuto sempre al contesto storico nel quale si sono sviluppate, nel periodo cioè in cui i greci vennero a contatto con la cultura romana, per via della conquista da parte dei Romani della Macedonia.
Finita questa premessa, potrebbe sembrare che le tre scuole ellenistiche, stoicismo, epicureismo e scetticismo, abbiano percorso cammini simili per scopi comuni. Ciò non è del tutto corretto. Il fine comune era ovviamente il raggiungimento della felicità, accessibile solo all’uomo saggio, ma i cammini portati avanti sono stati diversi.
Dunque, partiamo dai punti in comune. Ovviamente lo scopo di queste tre scuole di pensiero è lo stesso: il raggiungimento della pace interiore, della serenità dello spirito, ricercato mediante la filosofia.
Prendendo gli stoici, il saggio deve ricercare tale felicità per mezzo delle virtù, che sono raggiungibili attraverso il compimento dei doveri, o meglio, del dovere retto, una volta consolidato tale usanza, il dovere divenuto bene, costituirà una virtù, essendosi ripetuto più volte. La scelta delle azioni giuste e rette secondo gli stoici è pertanto il dovere, inteso come quelle azioni consigliate dalla ragione, invece per quanto riguarda gli epicurei, essi inseguono la verità dettata dalle sensazioni, e scelgono ciò che è bene in base a ciò che costituisce piacere, ovvero l’appagamento dei bisogni. Per questa caratteristica l’etica epicurea può essere confusa come una filosofia che inseguiva i piaceri terreni e fisici, nulla di più sbagliato. Se stoicismo ed epicureismo dissentono sul particolare appena citato, possiamo quindi metaforicamente dire che le dottrine si allontanano l’una dall’altra, si ritrovano immediatamente dopo.
Abbiamo detto che gli epicurei vedono nel piacere un criterio di scelta, si tende al piacere rifuggendo il dolore, ma esistono due tipi di piacere, quello stabile e quello in movimento. Il secondo tipo di piacere è paragonabile alla moderna idea di felicità, cioè alla gioia momentanea e sfuggente, la prima invece, quella propria dell’uomo saggio, non è altro che la privazione del dolore, definita dagli epicurei atarassia e aponia. Pertanto il soddisfacimento dei bisogni non deve essere totale, portando l’uomo al rischio di divenire schiavo degli stessi, vanno distinti i bisogni naturali e quelli vani, appagando solo i primi. Ma la divisione dei bisogni, come anche la scelta di quali soddisfare è dovuta a un calcolo possibile solo grazie alla saggezza. La saggezza intesa come una delle virtù, necessarie per la felicità.
Tutto ciò ci riporta agli stoici, che grazie all’esercizio delle virtù raggiungevano la sapienza. E l’uomo sapiente era consapevole che ogni emozione era riducibile a quattro fondamentali:
- brama dei beni futuri, letizia dei beni presenti
- timore dei mali futuri, afflizione dei mali presenti.
Tenendo presente che per gli stoici, fondamentale condizione del saggio era l’equilibrio con se stesso e col cosmo, non ci sorprende che l’idea dell’emozione fosse negativa, poiché dettata dalla leggerezza, e non da forze o situazioni naturali. Difatti nell’uomo saggio, a tre delle emozioni fondamentali corrispondono tre stati normali: volontà, gioia e precauzione, che altro non sono che stati di serenità ed equilibrio. Questa particolare condizione di apatia, ovvero “negazione del pathos”, riconduce in maniera inequivocabile all’atarassia e all’aponia epicuree.
Perciò mediante percorsi sostanzialmente differenti vengono raggiunti concetti fondamentalmente molto simili.
Per quanto riguarda la politica invece, se entrambe le scuole di pensiero riconoscono la necessità delle leggi e dello stato, poiché basilari per il quieto vivere comune, Epicuro sconsiglia al saggio l’avvicinamento alla vita di governo, e consiglia quindi il distacco dagli affari pubblici poiché fonte di distrazione dalla ricerca dell’atarassia.
Sostanzialmente il saggio epicureo è un uomo non costretto al rispetto delle leggi, per paura della punizione, bensì dalla propria rettitudine morale, egli semplicemente non commetterà ingiustizia poiché sbagliato farlo. Ciò ricorda il concetto di virtù stoica, secondo il quale il dovere diviene virtù una volta che lo si è ripetuto ed è divenuto quindi una disposizione costante dell’uomo saggio.
La concezione di legge negli stoici è invece un po’ più particolare e moderna. Il saggio stoico è cosmopolita, cittadino del mondo quindi, poiché egli segue le leggi naturali, quelle leggi cioè comuni a tutte le nazioni, a tutti gli uomini, al di là di ogni confine. A ciò è strettamente collegato l’idea di schiavitù, assente nella dottrina stoica, secondo cui l’unica schiavitù è quella dell’ignoranza, come Epicuro d’altronde, il quale riteneva più ragguardevole una saggezza sfortunata, ad una stoltezza fortunata, la schiavitù imposta dall’uomo sull’uomo, non è quindi, che pura malvagità.
Insomma il saggio è un uomo che ricerca il bene, mediante l’esercizio delle virtù, che lo portano a compiere delle scelte, compiute propendendo ai valori ed eliminando ogni sorta di vizio, tralasciando le emozioni, soprattutto quelle negative, ricercando la serenità e la calma interiore.
Ma a tutto ciò, come si collega la terza scuola ellenistica, cioè lo scetticismo?
Tale scuola di pensiero, dal termine stesso che la denomina, è portata a indagare e a dubitare di ogni dottrina. Difatti gli scettici, erano sfiduciati dalla molteplicità di dottrine presenti al mondo, alcune delle quali addirittura contrastanti tra di loro.
Per gli scettici quindi il saggio era colui il quale era in grado di riconoscere l’uguale fallacità di ogni pensiero filosofico, riconoscendo che la verità ultima è impossibile da raggiungere per la sola intelligenza dell’uomo, e quindi il solito fine della pace interiore è da ricercare mediante la critica di ogni dottrina. Gli scettici si occupavano di criticare e opporsi ad ogni dottrina di pensiero, alla distruzione pura e semplice di tutte, in particolar modo ovviamente, di quelle contemporanee: stoicismo ed epicureismo.
Ciò però non porta assolutamente ad una fine della ricerca filosofica, tutt’altro. Gli scettici adottavano un comportamento definito epoché. Essi infatti convinti dell’impossibilità del raggiungimento della verità finale, definendo fallace ogni dottrina, evitavano semplicemente di porre limiti alla ricerca, opponendo sempre nuovi dubbi. Il saggio scettico esaminava ogni scuola di pensiero, senza mai giungere a una fine conclusiva, faceva epoché, continuando la sua ricerca all’infinito.
La morte della ricerca filosofica era ben lontana.

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