Karl Marx

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Testo

KARL MARX
1818 Nasce a Treviri da una famiglia ebrea, convertitasi al cristianesimo, ma di fatto di posizioni agnostiche. Dal padre, un avvocato, riceve un educazione di stampo razionalistico e liberale.
Si iscrive alla facoltà di giurisprudenza a Bonn e poi a Berlino, dove conosce gli scritti di Hegel.
Si laurea a Jena dopo essere passato a filosofia, con la tesi “Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e di Epicuro”.
Si dedica al giornalismo politico e diventa capo redattore della Gazzetta Renana, che però viene soppressa.
Si trasferisce così a Parigi, dove conosce Jenny, appartenente all’aristocrazia renana, che diventa sua moglie.
1843 “Critica alla filosofia del diritto di Hegel”, in cui critica Hegel di conservatorismo.
1844 Pubblica gli “Annali franco-tedeschi”, che segnano il passaggio esplicito al comunismo.
Stringe amicizia con Engels.
Approfondisce gli studi economici e stende i “Manoscritti economico-filosofici”, una critica alla proprietà privata e al capitalismo.
Viene espulso dalla Francia e si trasferisce a Bruxelles, dove con l’amico scrive la “Sacra Famiglia”, contro la Sinistra hegeliana.
Matura anche il distacco con tutta la filosofia tedesca, che si concretizza con le “Tesi su Feuerbach” e soprattutto ne “L’ideologia tedesca”, in cui pone le basi per la sua concezione materialistica della storia.
1847 Si tiene il primo Congresso della Lega dei Comunisti.
Pubblica “Miseria della filosofia”; che rappresenta il polemico distacco da Proudhon.
Viene incaricato di elaborare un documento teorico programmatico della Lega, e nel
1848 pubblica il “Manifesto del partito comunista”.
1849 Parte per l’Inghilterra, sempre con Engels, e inizia a lavorare per il British Museum, aiutato economicamente da Engels.
1866 Inizia il primo libro de “Il Capitale”, pubblicato l’anno dopo (i volumi successivi saranno pubblicati postumi da Engels).
1881 Muore Jenny.
1882 Muore.

Caratteristiche del marxismo
Una delle principali caratteristiche dell’analisi marxiana è la sua irriducibilità alla dimensione puramente filosofica, sociologica ed economica, e il suo porsi come un’analisi globale della società e della storia, in grado di comprendere tutto l’assetto strutturale (economico) e sovra-strutturale (filosofia, religione cristiana) del capitalismo, cioè il mondo borghese e tutte le sue sfaccettature.
Inoltre, il suo legame con la prassi (dal greco, azione), cioè la tendenza a fornire un’interpretazione dell’uomo e del suo mondo che sia anche impegno di trasformazione rivoluzionaria.
(Nella sua tesi di laurea, Marx dichiara di preferire la filosofia epicurea, rispetto a quella di Democrito, perché giustifica l’azione dell’uomo).
Il punto chiave del marxismo, consiste nella volontà di tradurre in atto quell’incontro tra realtà e razionalità che Hegel aveva solo pensato, e che Marx vuole attuare con la prassi, mediante l’edificazione di una nuova società.
L’uomo potrebbe accontentarsi di una semplice osservazione della realtà se fosse veramente libero, ma dal momento che essendo un’entità storica, è condizionato da necessità economico-sociali, con la sua filosofia deve passare alla prassi, diventando guida dell’azione rivoluzionaria.
Sono tre le influenze culturali alla sua filosofia:
- la filosofia classica tedesca (da Hegel a Feuerbach);
- l’economia politica borghese (da Smith a Ricardo);
- il pensiero socialista (da S. Simon a Owen);
ripensate all’interno di una sintesi critica e creativa.
La critica al “misticismo logico” di Hegel
Il rapporto di Marx con il pensiero hegeliano è piuttosto complesso e può sottintendere una continuità o una rottura, a seconda delle interpretazioni; è comunque innegabile che la filosofia di Hegel ha esercitato un notevole influsso. Marx si avvicina inizialmente molto alla dottrina hegeliano, per poi distaccarsene in modo deciso.
Il primo testo in cui si discute della filosofia di Hegel è la “Critica alla filosofia hegeliana del diritto”, del 1843. Si tratta di un’opera filosofico-politica, divisibile in due parti:
I. filosofico-metodologica: questa prima parte colpisce al “cuore” il metodo di Hegel: secondo Marx infatti lo “stratagemma” del filosofo è quello di fare delle realtà empiriche delle manifestazioni necessarie dello Spirito (quindi invece di limitarsi a constatare che per esempio in certi ordinamenti storici esiste la monarchia, Hegel afferma che lo Stato presuppone per forza una sovranità che si incarna necessariamente nel monarca). Per Marx, Hegel interpreta il mondo al contrario, fa diventare verità filosofiche quelli che sono puri fatti storici ed empirici. A questo metodo “mistico”, Marx contrappone un metodo trasformatici, per ricapovolgere i rapporti di predicazione, perché quello di Hegel porta a santificare l’esistente, a razionalizzare dati di fatto, trasformandoli in manifestazioni razionali e necessarie dello spirito.
Tuttavia Marx riconosce a Hegel il merito di aver introdotto la visione dialettica, cioè la concezione generale della realtà come totalità storico-processuale costituita da elementi concatenanti tra di loro e mossa da opposizioni, ma apporta una precisazione: nella realtà tra gli opposti, non c’è sintesi ma solo la lotto ed esclusione di uno dei due.
II. storico-politica. (Qua sotto…)
La critica della civiltà moderna e del liberalismo
Alla base del passaggio di Marx al comunismo (reso esplicito negli “Annali franco-tedeschi”) c’è una critica globale alla civiltà moderna e allo stato liberale.
Il punto di partenza è la convinzione che la categoria del “moderno” si identifichi con quella della “scissione”, che prende corpo innanzitutto nella frattura società civile – stato.
Nel mondo moderno infatti l’uomo è costretto come a vivere due vite:
- una “in terra” come borghese (nell’ambito dell’egoismo e degli interessi particolari della società civile),
- e l’altra “in cielo”, come cittadino (nella sfera superiore dello Stato e dell’interesse comune).
Ma in cielo dello Stato è puramente illusorio, perché la sua pretesa di porsi come universale è falsa! Infatti è la società civile che imbroglia lo stato, abbassandolo a semplice strumento degli interessi particolari delle classi più forti.
La stessa proclamazione dell’uguaglianza formale, implica una disuguaglianza sostanziale. Quindi la società moderna rappresenta allo stesso tempo la società dell’egoismo e delle particolarità “reali”, e della fratellanza e delle universalità “illusorie”.
Gli individui dell’epoca borghese, come i Cristiani, si consolano di essere uguali di fronte allo Stato, pur essendo tutti diseguali nella società civile.
Secondo Marx la falsa universalità dello Stato deriva dal tipo di società che si è formata nel mondo moderno, e scorge i tratti essenziali di una civiltà moderna nell’individualismo e nell’atomismo, cioè nella separazione del singolo dal tessuto comunitario. E dal momento che lo Stato post-rivoluzionario legalizza questa situazione, riconoscendo, quali diritti dell’uomo, la libertà individuale e la proprietà privata, non è altro che la proiezione politica strutturalmente a-sociale o contro sociale.
Marx finisce per rifiutare in blocco la società liberale, compreso il principio della “rappresentanza” e quello della libertà individuale.
Ritiene che l’unico mezzo per realizzare questo modello di comunità solidale sia l’eliminazione delle disuguaglianze reali tra gli uomini ed in particolare del principio stesso di tali disuguaglianze: la proprietà privata.
Nella “Critica” del ’43, dichiara che lo strumento per ottenere ciò sia il suffragio universale.
Negli “Annali” del ’44, l’arma è la rivoluzione sociale, di cui il soggetto esecutore sarebbe il proletariato, la classe che soffre in maniera maggiore l’alienazione prodotta dalla società borghese, quella destinata ad eseguire la condanna storica della civiltà proprietaria ed egoistica, e a realizzare la democrazia comunitaria.
Di conseguenza all’ideale dell’emancipazione politica, che mira alla democrazia formale, Marx contrappone l’ideale di un’emancipazione umana che mira alla democrazia e all’uguaglianza sostanziale.
La critica dell’economia borghese e la problematica dell’alienazione
I “Manoscritti economico-filosofici”del ‘44, segnano il decisivo approccio di Marx all’economia politica e rappresentano l’applicazione in chiave economica degli schemi critico-dialettici, applicati prima in campo politico.
Nei confronti dell’economia borghese l’atteggiamento di Marx è duplice:
• da un lato la considera un’espressione teorica della società capitalistica, e quindi una valida “anatomia” di essa;
• dall’altra l’accusa di fornire un’immagine globalmente “mistificata”, cioè falsa, del mondo borghese.
Ciò è dovuto alla sua incapacità di pensare in modo dialettico, infatti anziché collocarsi in una prospettiva storico-processuale, “eternizza” il sistema capitalistico, considerandolo non come uno tra i tanti della storia ma come il modo naturale, immutabile, e razionale di produrre e distribuire ricchezza; la stessa proprietà privata diviene un dato di fatto. Inoltre l’economia politica non scorge la struttura contraddittoria del proprio oggetto, cioè la conflittualità che caratterizza il sistema capitalistico, e che si incarna soprattutto nell’opposizione reale tra capitale e lavoro salariato, ossia tra borghesia e proletariato.
Questa contraddizione la esprime nei “Manoscritti”, mediante il concetto di alienazione (da cui deriva la proprietà privata).
Marx dà un significato nuovo a questo concetto: si rifà soprattutto a Feuerbach, da cui accetta la struttura formale del meccanismo dell’alienazione, intesa appunto come una condizione patologica di scissione, dipendenza, auto-estraniazione. Tuttavia in Marx questa non rimane a livello psicologico, ma diviene un fatto reale, di natura socio-economica, in quanto si identifica con la condizione storica del salariato nell’ambito della società capitalistica.
Ha quindi carattere economico-sociale.
In pratica Marx trova uomini alienati, espropriati dal loro valore di uomo, ad opera dell’espropriazione o alienazione del loro lavoro. Il lavoro sociale è antropogeno: distingue l’uomo dagli altri animali; l’uomo infatti può trasformare la natura, oggettivarsi in essa, umanizzarla. Ma ora il lavoro umano non viene più fatto così, non viene compiuto per il bisogno di oggettivizzare la propria umanità nelle materie prime, l’uomo lavora per la sua sussistenza. La proprietà privata, fondata sulla divisione del lavoro, rende il lavoro costrittivo e in questo modo l’operaio viene mutilato nella sua creatività e umanità, è una merce nelle mani del capitale.
L’alienazione per Marx ha quattro aspetti principale, strettamente connessi tra di loro:
➢ il lavoratore è alienato rispetto al prodotto della sua attività, perché produce un oggetto che non gli appartiene, e che si costituisce come una potenza dominatrice nei suoi confronti;
➢ è alienato rispetto alla sua stessa attività, che prende la forma di un lavoro obbligato e costrittivo, in cui è strumento di fini estranei, con la conseguenza che l’uomo si sente “bestia” quando dovrebbe sentirsi veramente uomo, e si sente uomo quando fa la bestia (nel compimento dei piaceri fisici, come mangiare, bere, sesso…):
➢ il lavoratore è alienato rispetto alla sua stessa “essenza” o genere, perché la prerogativa dell’uomo dei confronti dell’animale è il lavoro libero, creativo, universale, mentre nella società capitalistica è costretto ad un lavoro forzato, ripetitivo, unilaterale;
➢ è alienato rispetto al prossimo, perché l’altro per lui è soprattutto il capitalista, ossia un individuo che lo tratta come un mezzo e lo espropria del frutto della sua fatica.
Il lavoro è quindi estraneo all’operaio, mentre dovrebbe essere l’attività in cui si costruisce l’essenza sociale dell’individuo; il lavoro alienato è quindi anche sottrazione di umanità. Non è soddisfacimento di un bisogno ma soltanto un mezzo per soddisfare bisogni estranei.
Tutta la causa del meccanismo dell’alienazione risiede nella proprietà privata dei mezzi di produzione. Quindi la dis-alienazione dell’uomo potrà avvenire solo con il suo superamento del regime di proprietà privata e con l’avvento del comunismo.
Di conseguenza per Marx la storia si configura come il luogo della perdita e della riconquista della propria essenza, e il comunismo diviene la soluzione dell’enigma della storia.
→L’uomo, dopo aver smarrito sé stesso nella civiltà di classe, ritrova finalmente se medesimo nella società assoluta del comunismo.
Il distacco da Feuerbach e l’interpretazione della religione in chiave sociale
Anche Feuerbach ha avuto un notevole ruolo nel pensiero marxista. Nei “Manoscritti”, afferma che Feuerbach è il solo che abbia fatto notevoli scoperte. Ma già nelle “Tesi su Feuerbach” e ne “L’ideologia tedesca”, il rapporto con questo pensatore era già stato consumato.
Per Marx la principale rivoluzione teoretica di Feuerbach consiste nella rivendicazione della naturalità e concretezza dell’uomo vivente e nel rifiuto dell’hegelismo teologicizzante, che ha ridotto l’uomo ad autocoscienza e a manifestazione di un soggetto spirituale infinito; gli riconosce inoltre il fatto di aver teorizzato il rovesciamento materialistico di soggetto-predicato, concreto-astratto, che ha permesso la demistificazione della dialettica hegeliana.
D’altra parte però, ha perso di vista la storicità dell’uomo, non rendendosi conto che più che natura, l’uomo è società, e quindi storia, in quanto “l’essere uomo non è un’astrazione immanente all’individuo singolo”, bensì l’insieme dei rapporti sociali. Infatti Marx afferma che l’uomo è reso tale dalla società storica in cui vive, per cui non esiste l’uomo in astratto, ma l’uomo figlio e prodotto di una determinata società e di uno specifico mondo storico.
In questo modo corregge Hegel con Feuerbach e Feuerbach con Hegel.
Allo stesso tempo può sostenere che ogni discorso sull’uomo si risolva inevitabilmente in un discorso sulla società e sulla storia, preparando il passaggio dalla problematica antropologica all’indagine storico e socio-economica, secondo un processo che può essere visto come transizione dalla filosofia alla scienza.
Un altro punto in comune è l’interpretazione della religione, anche se Feuerbach, secondo Marx, non è stato in grado di cogliere le cause reali del fenomeno religioso, né di offrire validi mezzi per il suo superamento. Perché l’uomo crea la religione? A Feuerbach è sfuggito che chi produce la religione non è un soggetto astratto, avulso dalla storia ed immutabilmente uguale a sé stesso, ma un individuo che è un prodotto sociale, quindi le radici del fenomeno religioso vanno ricercate all’interno di un determinato contesto storico di società.
Da qui la teoria della religione come “oppio per il popoli”, secondo cui la religione in sostanza il prodotto di un’umanità alienata e sofferente per causa delle ingiustizie sociale, che cerca illusoriamente nell’aldilà, ciò che le è negato nell’aldiquà.
Quindi se la religione è sintomo di una condizione sociale alienata, l’unico modo per eliminarla non è la critica filosofica, come diceva Feuerbach, ma la trasformazione rivoluzionaria della società.
→ La disalienazione religiosa ha come suo presupposto la disalienazione economica.
Un altro limite del pensiero di Feuerbach risiede nel tendenziale contemplativismo e teoreticismo. Infatti per Marx, Feuerbach ha ignorato l’aspetto attivo della natura umana e ha cercato la soluzione dei problemi reali nella dimensione della teoria.
Marx oppone un nuovo materialismo, che considera l’uomo soprattutto come prassi, ritenendo che la soluzione sia l’azione.
La concezione materialistica della storia
La critica a Feuerbach segna il passaggio dall’umanismo al materialismo storico (indagine storico-sociale-economica). Il testo che si prende in considerazione è “Ideologia1 tedesca” del ’44. L’originalità dell’opera consiste nel tentativo di cogliere il “movimento reale” della storia. A Marx l’ideologia appare come falsa rappresentazione della realtà, una comprensione deformata dei rapporti tra gli uomini.
Lo scopo di Marx è quindi quello di svelare al verità della storia, attraverso il raggiungimento di un punto di vista oggettivo sulla società, e questo ovviamente comporta la distruzione della vecchia filosofia idealistica e l’inaugurazione di una nuova “scienza”. L’umanità intesa in modo scientifico, per Marx, è una specie evoluta, composta da individui associati che lottano per la sopravvivenza. La storia di conseguenza non è altro che un fatto materiale, fondata sulla dialettica bisogno-soddisfacimento.
«La prima azione storica è dunque la creazione dei mezzi per soddisfare i bisogni, la produzione della vita materiale stessa…»
Marx supera la posizione del vecchio materialismo e cioè che l’uomo è un prodotto naturale dell’ambiente e muta a seconda di esso; lo accetta ma dice anche che è vero il contrario, e cioè che l’ambiente muta perché è l’uomo che vuole mutarlo. Infatti per Marx, gli uomini si distinguono dagli animali per la conoscenza, la religione, la coscienza morale, ma cominciarono di fatto a distinguersi quando iniziarono a produrre i loro mezzi di sussistenza.
Alla base della storia vi è quindi il LAVORO, che Marx intende come creatore di civiltà e cultura, e come ciò attraverso cui l’uomo si rende tale, emergendo dall’animalità primitiva e distinguendosi dagli altri esseri viventi.
In questa “produzione sociale” dell’esistenza si distinguono due elementi di fondo:
➢ le forze produttive: con questo termine, Marx intende tutti gli elementi necessari al processo di produzione, e cioè:
- la forza-lavoro (gli uomini che producono);
- i mezzi (terre, macchine)
- le conoscenze tecniche e scientifiche di cui si servono per organizzare e migliorare la loro produzione.
➢ i rapporti di produzione: cioè i rapporti che si instaurano tra gli uomini nel corso della produzione e che regolano il possesso e l’impiego dei mezzi di produzione, nonché la ripartizione di ciò che tramite essi producono. Trovano la loro espressione giuridica nei rapporti di proprietà.
Insieme, forze produttive e rapporti di produzione, costituiscono il “modo di produzione”, che insieme alla relativa dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione, costituisce la struttura, cioè lo scheletro economico della società; rappresenta infatti il piedistallo concreto su cui si eleva la sovrastruttura giuridico-politico-sociale, e cioè i rapporti giuridici, le forze politiche, le dottrine etiche, artistiche, religiose, filosofiche.
«Non è la coscienza che determina la vita, ma è la vita che determina la coscienza.»
(Con coscienza = sovrastruttura
e
vita = struttura)
La scoperta del condizionamento della sovrastruttura da parte della struttura economica, servì a Marx da filo conduttore per dimostrare che il cambiamento di struttura economica comportava lo sconvolgimento più o meno rapido di tutta la sovrastruttura.
Quindi, alla fine, è la struttura economica che determina le leggi, lo Stato, le religioni, le filosofia, ecc.
Esistono diverse interpretazioni del rapporto tra struttura e sovrastruttura. […] vd.p.14fotocopie.
Per Marx, la contraddizione dialettica tesi-antitesi, si risolve nella contraddizione tra forze di produzione e rapporti di produzione, cioè sulla lotta tra sfruttatori e sfruttati, sulla lotta di classe.
Marx ritiene che a una determinato grado di sviluppo delle forze produttive, tendono a corrispondere determinati rapporti di produzione e di proprietà, ma si arriva a un punto in cui le forze produttive si sviluppano più rapidamente rispetto ai rapporti di produzione. In pratica il progresso tecnico avanza mentre le relazioni di proprietà rimangono statiche, assecondando gli interessi della classe dominante.
Generalmente, le nuove forze produttive sono incarnate da una classe in ascesa, mentre i vecchi rapporti di produzione da una classe dominante al tramonto. Alla fine risulta inevitabile il confronto, a livello sociale e culturale, che viene vinto necessariamente dalla classe che risulta espressione delle nuove forze produttive, che riesce ad imporre la propria maniera di produrre e di distribuire la ricchezza, e anche la sua specifica visione del mondo.
La lotta è l’anima della storia, la quale è stata segnata da quattro grandi formazioni economiche:
• l’asiatica o tribale: gli uomini uniscono le proprie forze contro la natura, nessuna distinzione di classe, né di lavoro, unica differenza determinata dal sesso;
• antica: coltivazione della terra, suolo ripartito in lotti, assegnato alle varie famiglie. La gestione si trasforma in proprietà privata; evolversi delle tecniche porta alla suddivisione del lavoro; prigionieri di guerra fatti schiavi; possibile l’incremento delle forze produttive e il miglioramento delle tecniche, l’utilizzazione dei proprietari per attività di tipo culturale;
• feudale: schiavitù cessa di essere produttiva, perché gli schiavi costano più di quanto producono; terra frazionata o affittata a coloni; scompaiono gli schiavi; nascono i servi della gleba, considerati come persone e non come cose;
• capitalista: il trapasso avviene quando la manifattura agricola e casalinga si trasforma in opificio, dove operai salariati lavorano per un capitalista. La struttura industriale-capitalista prevale su quella agricola-feudale.
Marx effettua delle considerazioni sulla borghesia, e si può rintracciare un duplice atteggiamento:
• da un lato, riconosce a questa classe il merito di aver abbattuto le barriere feudali, di aver promosso lo sviluppo della scienza moderna e di aver dinamicizzato i rapporti sociali;
• dall’altro, la paragona a un mago, che ha generato dal nulla il suo avversario, e non è più in grado di fronteggiarlo, infatti nel capitalismo moderno si delinea la contraddizione tra forze produttive “sociali” e rapporti di produzione “privatistici” che portano con sé il socialismo, in quanto genera per la prima volta nella storia le condizioni oggettive favorevoli ad una rivoluzione comunista mondiale.
Ogni epoca, comunque, corrisponde ai gradini di una sequenza che va dall’inferiore al superiore, e quindi al carattere progressivo della storia.
Hegel quindi è sempre presente: infatti per Marx, come per Hegel, la storia si configura come una totalità processuale, dominata dalle contraddizioni, e mettente capo a un risultato finale; sussistono però alcune differenze, per esempio:
• il soggetto del divenire storico è la struttura economica (non lo Spirito);
• la dialetticità del divenire storico è concepita empiricamente, ed è scientificamente provabile;
• le opposizione che muovono la storia sono concrete e determinate, cioè la dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione.
→ Marx ed Engels considerano gli esponenti della Sinistra hegeliana ideologi, intendendo dire che questi vivono nella falsa coscienza, ossia non si rendono conto che le idee, in quanto rispecchiano le relazioni materiali degli uomini, non hanno un’esistenza autonoma. E in questo modo gli ideologi finiscono per sopravvalutare la funzione delle idee e degli intellettuali, per presentare le loro idee come universalmente valide e per credere che tutto il negativo derivi dalle idee sbagliate.
Sintesi del “Manifesto” (1848)
Il “Manifesto del Partito Comunista” si propone di esporre gli scopi e i metodi dell’azione rivoluzionaria, e rappresenta una “summa” della concezione marxista del mondo.
1) Analisi della funzione storica della borghesia: Marx rileva nella borghesia sia meriti che limiti. La classe borghese nasce all’interno della società feudale, ed è la negazione di questa, che poi ha superato. Le numerose scoperte avvenute dopo il Medioevo hanno dato uno slancio mai conosciuto alla classe borghese e all’industria, comportando un rapido sviluppo dell’elemento rivoluzionario entro la società feudale già in disgregazione. Crescevano i mercati, e fu allora che il vapore e le macchine rivoluzionarono la prassi industriale, e all’industria manifatturiera subentrò la grande industria moderna. Alla fine, i rapporti feudali della proprietà non corrispondevano più alle forze produttive ormai sviluppate, e nacque così la libera concorrenza con la sua proprio costituzione politica e sociale. Differentemente dalle classi dominanti del passato, la borghesia non può sussistere senza un continuo rivoluzionamento degli strumenti di produzione e dei rapporti sociale; di conseguenza appare una classe costituzionalmente dinamica e positiva.
Ma ha generato forze avverse troppo grandi da poter essere affrontate: infatti le moderne forze produttive, sempre più sociali, si rivoltano contro i vecchi rapporti di proprietà (privatistici e sottomessi alla logica del profitto personale), generando crisi terribili, che mettono in forse l’esistenza stessa del capitalismo. Tanto che alla fine il proletariato, attraverso la lotta di classe, giungerà al superamento del capitalismo.
2) Concetto della storia come lotta di classe: in questa seconda parte del “Manifesto”, Marx individua come soggetto autentico della storia, la lotta di classe (a differenza di quanto diceva nell’ “Ideologia tedesca” del ’44. La storia infatti viene concepita come un continuo contrasto tra oppressi e oppressori; questa lotta volge sempre o alla trasformazione rivoluzionaria di tutta la società, o alla comune rovina delle classi in lotta. Quindi per Marx parlare di lotta di classe, e di contraddizione tra rapporti di produzione e forza produttiva, è la stessa cosa.
Marx non si attribuisce il merito di aver “scoperto” l’esistenza delle classi nella società moderna, né la lotta esistente tra di loro; piuttosto, il suo contributo originale consiste nell’aver puntualizzato che:
a. l’esistenza delle classi è legata a determinate fasi storiche della produzione;
b. le classi si definiscono in relazione alla proprietà o meno dei mezzi di produzione, la quale fa si che in ogni epoca vi siano due classi fondamentali;
c. la lotta di classe conduce attraverso la dittatura del proletariato, necessariamente alla soppressione di tutte le classi e a una società senza classi.
Una classe si trasforma in soggetto rivoluzionario solo quando perviene alla “coscienza di classe” e aderisce al partito comunista.
Marx insiste sull’internazionalismo della lotta proletaria, e termina il “Manifesto”con lo slogan:
«Proletari di tutto il mondo, unitevi».
3) Critica dei socialismi non-scientifici: in questa terza parte dell’opera, Marx distingue tra il socialismo “scientifico” suo e di Engels, da quelli precedenti.
Il socialismo scientifico infatti, è una dottrina che si arroga la precisione, nonché la freddezza della scienza, e per giungere a questo scopo rivolge l’attenzione ai fatti e da essi “induce” leggi generale. La suprema di queste leggi è quella della rivoluzione comunista mondiale, che porrà fine all’età dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo; una rivoluzione sanguinosa ma inevitabile.
Altri tipi di socialismo sono:
- socialismo reazionario (recupera passato pre-borghese)
- socialismo conservatore o borghese (Proudhon – vuole rimediare agli errori senza distruggere il sistema)
- socialismo utopistico (S. Simon, Fourier, Owen – riconosce la lotta tra le classi ma non l’importanza del proletariato, fa appello a tutte le classi).
“Il Capitale” (1867)
Nel “Capitale”, Marx si propone di studiare i meccanismi del sistema capitalistico.
Rappresenta il testo-chiave della sua dottrina.
Marx non contesta l’analisi del sistema capitalistico compiuta da Smith e Ricardo; piuttosto critica ai due economisti la mancanza di una prospettiva storico-dialettica, infatti non si interrogano sulla genesi del sistema capitalista, né sugli sviluppi. Lo accettano come se si trattasse di una sorta di necessità naturale. Marx invece è convinto che
• non esistano leggi universali dell’economia e che ogni formazione sociale abbia caratteri o leggi storiche specifiche;
• che la società borghese porti in sé stessa le contraddizioni che ne minano la solidità, ponendo la base oggettiva della sua fine;
• che l’economia deve far uso dello schema dialettico hegeliano della totalità processuale organica, studiando il capitalismo come una struttura.
Marx vuole studiare il capitalismo distinguendone gli elementi di fondo, mettendo in evidenza caratteristiche strutturali e tendenze di sviluppo per poi formulare su di esse alcune previsioni (ma non profezie!).
Per Marx la caratteristica specifica del modo di produzione capitalistico è di essere produzione generalizzata di merci; per questo la prima parte del “Capitale” è dedicata all’analisi del fenomeno “merci”.
La merce ha un duplice valore:
a. valore d’uso: è posseduto da tutte le merci, perché questa deve poter servire a qualcosa, essere utile, dal momento che nessuno acquista qualcosa che non venga incontro a determinati bisogni;
b. valore di scambio: garantisce la possibilità di essere scambiata con altre merci, anche molto diverse tra loro, perché costituisce qualcosa di identico tra merci differenti, rendendole scambiabili in date proporzioni piuttosto che in altre.
Il valore di scambio deriva dall’equazione valore = lavoro, e discende dalla quantità di lavoro socialmente utile per produrla. Una merce quindi non si può scambiare se il lavoro necessario per produrne una non corrisponde a quello necessario per produrre l’altra.
Tuttavia il valore non si identifica con il prezzo, infatti sul prezzo influiscono altri fattori contingenti.
Un’altra caratteristica del sistema capitalistico è che la produzione non è finalizzata al consumo ma all’accumulazione di denaro.
Di conseguenza il ciclo capitalistico non è quello “semplice”, prevalente nelle società pre-borghesi, descrivibile con la formula MDM (merce-denaro-merce), cioè con quel processo per cui una certa quantità di merce viene trasformata in denaro, e questo in un'altra merce (formula a cui sono rimasti legati i proletari);
bensì quello descrivibile nella formula DMD’ (denaro-merce-più denaro); formula che utilizzano i capitalisti. Al termine del ciclo il profitto deve essere maggiore, altrimenti non avrebbe senso. Ma allora da dove deriva il plus-valore? (lol)
Secondo Marx gli economisti classici hanno dimenticato che lo scambio di merci non è tanto un rapporto tra le cose, quanto un rapporto tra gli uomini, perché la merce in sé è frutto del lavoro umano, ma il lavoro a sua volta è una merce che il proletario vende in cambio di un salario, che il capitalista paga in rapporto alla quantità di lavoro necessaria la sussistenza del lavoratore e della sua famiglia. Tuttavia l’operaio ha la capacità di produrre un valore maggiore rispetto a quello che gli viene corrisposto con il salario; di conseguenza il valore equivalente al salario deve per forza essere inferiore al valore globale del prodotto dell’operaio.
(L’operaio lavora 10 ore, 4 no retribuite: qui nasce il plus-lavoro, che determina il plus-valore – offerto gratis.)
Il plus-valore determina il profitto.
Con questa teoria, Marx dà una spiegazione scientifica dello sfruttamento del capitalista.
Per Marx però, il plus-valore e il profitto non sono esattamente la stessa cosa: infatti il profitto presuppone il plus-valore, ma non si identifica con esso. Marx differenzia infatti tra
• capitale variabile (mobile, investito nei salari)
• capitale costante (investito nelle macchine e in tutto ciò che serve alla produzione)
Il plus-valore nasce solo in relazione ai salari, ossia al capitale variabile;
allora il saggio del plus-valore risiede nel rapporto espresso in percentuale tra plus-valore e capitale variabile:

plus-valore
Saggio (tasso) del plus-valore = ________________

capitale variabile
Ma il capitalista, per poter dirigere la fabbrica, è costretto ad investire non solo in salari, ma anche in impianti, macchine, strumenti (capitale costante).
Il profitto si ha quindi sia in relazione al capitale variabile, sia in relazione al capitale costante.
plus-valore
Saggio del profitto = _____________________________________

capitale costante + capitale variabile
Di conseguenza, il saggio del profitto è sempre minore rispetto al saggio del plus-valore, ed esprime in modo più preciso il guadagno del capitalista.
Bisogna quindi mantenere alto il saggio del plus-valore, e per far questo, algebricamente è necessario:
a) aumentare il numeratore (plus-valore), prolungando la giornata lavorativa, o aumentando la produttività;
b) diminuendo il denominatore (capitale variabile), riducendo i salari.
È quindi proprio nella formula del saggio del plus-lavoro che nasce il conflitto di classe: infatti il proletario tende ad elevare il valore del capitale variabile e a diminuire il plus-lavoro;
il capitalista invece, l’esatto contrario.
Il conflitto di classe quindi è parte integrante del sistema capitalistico.
I capitalisti cercano di ovviare al problema, introducendo le macchine, aumentando così enormemente la quantità di merce prodotta nello stesso tempo e con lo stesso numero di operai.
Ma proprio l’aumento della produttività, accanto alla conflittualità sociale, genere anche il fenomeno delle crisi cicliche di sovrapproduzione proprie del capitalismo.
La necessitò di un continuo rinnovamento tecnologico genera un altro inconveniente strutturale:
la caduta tendenziale del profitto: accrescendosi smisuratamente il capitale costante, rispetto al variabile, diminuisce la forza per il saggio del profitto.
È questo il “tallone d’Achille” del sistema capitalistico, infatti questa legge finisce per produrre l’ultima e decisiva tendenza del capitalismo, che è la scissione della società in due sole classi antagoniste, una minoranza industriale ricchissima, e una massa sempre più grande di salariati, disoccupati.
Questa situazione dovrà essere infine spezzata e superata…
«Suona l’ultima ora della proprietà privata capitalistica:
gli espropriatori vengano espropriati.»
La rivoluzione e la dittatura del proletariato
Le contraddizioni della società borghese rappresentano la base della rivoluzione del proletariato, il quale, impadronendosi del potere politico, dà avvio alla trasformazione globale della vecchia società, attuando il passaggio dal capitalismo al comunismo.
Il proletariato si manifesta come l’antitesi della borghesia, e l’alba della rivoluzione è un giorno inevitabile, che segnerà la resurrezione dell’intera umanità.
Di conseguenza, il proletariato per Marx appare investito di una specifica missione storico-universale; infatti, mentre le fratture rivoluzionarie del passato si traducevano nel trionfo di un nuovo modo di produrre e di distribuire la ricchezza, la rivoluzione comunista non abolisce solo un tipo particolare di società, di divisione del lavoro, e di dominio di classe, ma cancella ogni forma di proprietà privata, di divisione del lavoro, e di dominio di classe, dando origine a una nuova epoca.
Lo strumento tecnico è la socializzazione dei mezzi di produzione di scambio, che pongono fine al fenomeno del plus-valore e dello sfruttamento di classe.
Per quanto riguarda i metodi, Marx propone una rivoluzione violenta, anche se negli ultimi anni sembra ammettere la possibilità di una via pacifica al socialismo.
Violenta o pacifica che sia, la rivoluzione proletaria deve comunque mirare come primo traguardo, all’abbattimento dello Stato borghese e delle sue forme istituzionali.
Il compito del proletariato non è quindi quello di impadronirsi della macchina dello stato borghese, ma quello di spezzarne o distruggerne i meccanismi istituzionali di fondo.
Per Marx lo Stato è sì una macchina, ma non una macchina che ognuno possa utilizzare a suo piacimento, in quanto è costretto a forgiare una macchina statale a seconda delle proprie esigenze.
Questo rifiuto delle istituzioni dello stato borghese prende corpo nella dittatura rivoluzionaria del proletariato, che si pone come momento di stallo tra la società capitalistica e quella comunista. Il proletariato non può fare a meno di instaurare una sua dittatura che, a differenza delle altre storicamente esistite che erano dittature di minoranze di oppressori, appare invece come una dittatura della maggioranza degli oppressi su una minoranza di (ex) oppressori, destinata a scomparire.
Per quanto riguarda le forme concrete che devono delineare questo periodo di transizione, Marx ha taciuto per parecchio tempo, finché l’esperienza della Comune parigina si è configurata come la forma politica nella quale si poteva compiere l’emancipazione economica del lavoro.
Le caratteristiche fondamentali che Marx trae dalla Comune sono:
• la sostituzione dell’esercito permanente con organizzazioni di operai armati, garanzia reale del carattere di classe della nuova organizzazione politica;
• soppressione del parlamentarismo nominalmente responsabile davanti al popolo ma di fatto autonomo e sovrapposto ad esso;
• sostituzione del parlamento con delegati eletti a suffragio universale, direttamente responsabili del loro operato e revocabili in qualsiasi momenti, retribuiti con salari corrispondenti a un normale salario operaio, ecc.
Se tutti gli Stati storicamente esistiti si sono sempre configurati come strumento di oppressione e come dittature di classe, il proletariato, abolendo le classi, pone le basi per quella che sarà l’estinzione dello Stato.
Vi è dunque una componente anarchica in questo comunismo marxista, ma a differenza di Bakunin, Marx ritiene che l’auspicata società senza Stato non si possa raggiungere subito, ma solo in prospettiva futura.
Solo quando l’edificazione del socialismo sarà compiuta, lo Stato potrà davvero estinguersi e far posto all’ideale di un autogoverno di produttori associati, in cui, secondo Lenin, il dominio sugli uomini sarà completamente sostituito dalla semplice amministrazione della cose.
Le fasi della futura società comunistica
Marx comunque non delinea un prototipo ideale dettagliato della futura società comunista, ma si trovano vari accenni in alcuni scritti. Il fatto che abbia tralasciato questa parte ha suscitato varie interpretazioni:
- per alcuni, è una positiva ed encomiabile manifestazione della sua mentalità scientifica e anti-utopistica tesa ad evitare discorsi nebulosi sul futuro;
- per altri, costituirebbe un “vuoto teorico”di un pensiero che predica la distruzione del capitalismo, senza avere in mente un modello di società e di Stato con cui sostituirlo.
Nei “Manoscritti”, Marx distingue tra:
• comunismo “rozzo”, in cui la proprietà privata viene abolita solo per trasformarla in proprietà di tutti, per universalizzarla. Di conseguenza, la comunità viene ad assumere il ruolo di un grande capitalista che non abolisce ma nazionalizza la situazione dell’individuo nella società borghese. La rozzeria di questa società post-capitalista ma ancora pre-comunista, è svelata dalla “comunione delle donne”;
• comunismo inteso come “effettiva soppressione della proprietà privata”, in cui l’uomo, superato completamente l’orizzonte sociale e antropologico della proprietà privata, cessa di intrattenere con le cose, con il mondo, rapporti di puro possesso e consumo.
All’homo oeconomicus, ossessionato dall’avere, Marx contrappone un uomo nuovo, considerato come un essere “onnilaterale” e “totale”, che esercita in modo creativo l’insieme delle sue potenzialità, intrattenendo un rapporto poliedrico con la realtà e con gli altri uomini.
Nella “Critica al programma di Gotha”, movendosi su un terreno più socio-politico, distingue due fasi della società futura:
1. socialismo: in cui si ha a che fare con una società comunista come emergente dalla società capitalistica. In questa fase si ha già avuto la socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio che fa della società l’unico datore di lavoro, e trasforma tutti in salariati.
Il principio di uguaglianza che regge questa fase consiste dunque nel misurare con una misura uguale al lavoro erogato. Tuttavia l’ “uguale diritto” si rivela ancora di tipo borghese, in quanto non tiene in considerazione le differenze individuali.
L’uguaglianza ancora imperfetta di questa prima fase richiede di essere messa da parte a favore di una superiore forma di uguaglianza e comunismo, che tenga conto dei bisogni e non solo delle capacità.
2. comunismo:
- dopo la scomparsa della subordinazione asservitrice degli individui alla divisione del lavoro e del contrasto tra lavoro intellettuale e fisico;
- dopo che il lavoro è diventato il primo bisogno di vita;
- dopo che con lo sviluppo onnilaterale degli individui sono cresciute anche le forze produttive e tutte le sorgenti della ricchezza collettiva scorrono in tutta la loro pienezza,

solo allora l’angusto orizzonte giuridico borghese, potrà essere superato e la società potrà vivere

«Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni»

Quindi per finire:
Società comunista
➢ senza divisione del lavoro
➢ senza proprietà privata
➢ senza classi
➢ senza sfruttamento
➢ senza divisione tra gli uomini
➢ senza Stato
1 Ideologia: termine coniato alla fine del ‘700, per indicare la scelta delle idee, come queste si formano dalla sensibilità, dalla memoria, dal giudizio, dalla volontà. In età napoleonica assume il valore negativo di concezione astratta e arbitraria. E Marx assume questo significato.
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