Materie: | Appunti |
Categoria: | Filosofia |
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Data: | 06.11.2001 |
Numero di pagine: | 19 |
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Testo
Kant
In lui confluiscono tre correnti filosofiche:
1. Esigenza di concretezza dell’empirismo,
2. Esigenze formali e sistematiche del razionalismo,
3. Lo spirito critico dell’Illuminismo.
Il compito della filosofia fino a Kant era stato quello di essere una metafisica dell’essere o dell’oggetto. Kant demolisce la presunzione metafisica del pensiero e colloca l’uomo al centro della conoscenza e dell’azione; in questo modo prepara l’avvento di una metafisica del soggetto o del Io (Idealismo). Se la filosofia non può illudersi di conoscere l’essere in sé, il bello, il bene assoluto, può chiarire però le ragioni di questa sua impotenza metafisica e cercare di indagare quali sono le condizioni trascendentali delle nostre attività conoscitive e pratiche che le rendano possibili e universalmente valide.
La filosofia di Kant si chiama “Criticismo” e rappresenta la maturità della ragione. Kant ha portato la ragione “davanti al tribunale della ragione stessa per stabilirne le possibilità e i limiti”. Kant vede in questi termini la situazione generale del pensiero:
a) la fisica si era venuta conoscendo come scienza rigorosa, ma la critica empiristica si era conclusa con lo scetticismo di Hume.
b) La metafisica, come scienza razionale del trascendente era il campo delle trascendenze, anche se l’animo umano non può fare a meno di porsi queste domande.
c) La moralità si era posta alle dipendenze della metafisica e, quindi, era minacciata anch’essa dallo scetticismo.
Da qui scaturiscono i tre compiti che Kant assegna alla filosofia:
1. dimostrare, contro lo scetticismo di Hume, la validità oggettiva del sapere scientifico;
2. dimostrare che quelle stesse ragioni che convalidano il sapere nei limiti dell’esperienza, escludono la possibilità della metafisica come scienza, anche se ne confermano la legittimità come esigenza umana e disposizione dell’anima;
3. attingere alla coscienza morale degli ideali per delineare un mondo trascendete che soddisfi l’esigenza metafisica.
Razionalismo ed empirismo erano giunti a conclusioni inconciliabili. Il Razionalismo voleva accogliere gli elementi primi della conoscenza che identificava nelle idee innate che davano luogo a conoscenze universali e necessarie. Per Kant il Razionalismo ha costituito sistemi ideali coerenti che rappresentano mondi possibili, ma non è riuscito a dimostrare nulla dell’effettiva realtà di questi mondi; parte da presunte idee innate ma che esse abbiano valore oggettivo è un’affermazione dovuta ad un arbitrario dogmatismo. Quindi per Kant è giusta l’istanza empiristica, che parte dai dati dell’esperienza, ma si rifiuta di ammettere che l’esperienza si riduca ad un insieme di impressioni sensoriali soggettive, perché queste si presentano secondo lui in un contesto ordinato. Kant accoglie, dunque, l’esperienza come organo rivelatore della realtà, però la sottopone ad una critica per scoprire in essa una ragione che le dia una struttura universale e necessaria.
Il contrasto tra Razionalismo e Empirismo si configura nella contrapposizione logica tra giudizio analitico a priori e sintetico a posteriori. Per Kant conoscere è giudicare e giudicare è affermare qualcosa di qualcos'altro. Il giudizio analitico è affermare esplicitamente nel predicato ciò che è già implicito nel concetto che fa da soggetto (IL CORPO E’ ESTESO). I giudizi analitici sono a priori e si basano sul principio di non - contraddizione. I giudizi sintetici hanno il predicato che aggiunge qualcosa di nuovo rispetto al concetto che fa da soggetto. I giudizi analitici sono esplicanti ma non estensivi delle conoscenza; i giudizi sintetici sono estensivi ma incapaci di costruire una scienza se per scienza si intende la conoscenza delle leggi dei fenomeni, cioè i rapporti necessari e universali.
L’ideale l conoscere per Kant è quello costituito da giudizi che siano estensivi e quindi sintetici e insieme universali e necessari, quindi rispondenti a condizioni non derivabili dall’esperienza e cioè a priori. Per Kant i giudizi devono essere sintetici a priori e costituiscono la scienza, cioè una conoscenza fatta di esperienza e ragione, che si arricchisce sempre di nuovi dati, ma che è anche capace di conferire a questi dati un ordine razionale, cioè universale e necessario. Dobbiamo vedere come siano necessari i giudizi sintetici a priori. La soluzione del problema è data da Kant attraverso la “rivoluzione copernicana”. La filosofia tradizionale parte dal presupposto che ci sia un ordinamento naturale già costituito, cioè un sistema di leggi inerenti alla natura che è compito della scienza da scoprire. Esisterebbero due ordini, quello delle cose fuori di noi e quello delle idee che è in noi: per conoscerli bisognerebbe averli presenti tutti e due mentre la mente conosce solo il secondo. Per Kant bisogna ammettere che l’ordine naturale è formato dall’intelletto, siamo noi a costruirlo e a condizionarlo. Indipendentemente dalla nostra costruzione, l’ordine non esiste: esso è formato dall’intelletto che, secondo le sue leggi costitutive, indipendenti dall’esperienza (cioè a priori), sintetizza i dati sensibili: sintesi a priori. Si definisce rivoluzione copernicana perché, come Copernico aveva posto l’eliocentrismo invece del geocentrismo, così Kant ritiene che sia l’Io al centro della conoscenza (è il suo intelletto che sintetizza i dati sensibili mediante forme a priori) e dell’azione.
CRITICA DELLA RAGION PURA
L'opera si divide in tre parti:
1) estetica trascendentale, in cui Kant si pone il problema se la matematica sia una scienza, oppure no;
2) analitica trascendentale, in cui Kant si pone il problema se la fisica sia una scienza, oppure no;
3) dialettica trascendentale, in cui Kant si pone il problema se la metafisica sia una scienza oppure no.
La scienza è possibile solo se è formulabile mediante giudizi sintetici a priori.
Estetica trascendentale
Cerca le condizioni a priori delle nostre sensazioni. Nelle nostre esperienze noi abbiamo una materia, cioè la sensazione e dei rapporti spazio - temporali che costituiscono la forma a priori di questa materia. Spazio e tempo sono le forme a priori delle sensazioni; la sensazione si presenta " hic et nunc" quindi noi intuiamo le cose nello spazio e nel tempo. Il senso esterno intuisce le cose nello spazio, il senso esterno ( coscienza) nel tempo.
Poiché le rappresentazioni del senso esterno rientrano anche loro nella coscienza e sono modificazioni del senso interno, si può dire che il tempo è la forma generale di tutti i fenomeni ; spazio e tempo sono dunque forme a priori della sensibilità, cioè "intuizioni pure" che non derivano dalle sensazioni anzi, le condizionano. Tempo e spazio condizionano l'oggettività delle matematiche. I giudizi delle matematiche sono sintetici a priori : il matematico non potrebbe costruire le sue figure geometriche se non intuisse lo spazio ideale nella sua assolutezza, cioè a priori, né potrebbe compiere la più semplice delle operazioni aritmetiche se non intuisse il tempo, cioè una successione ideale entro la quale aggiungere, o togliere unità.
Le matematiche dunque sono possibili come scienze oggettive, ma il loro valore è soltanto fenomenico, cioè non si estende oltre i limiti dell'esperienza possibile.
Analitica trascendentale
La sensazione collocata nello spazio e nel tempo è chiamata da Kant intuizione, essa è la prima fase dell'intelletto conoscitivo, ma visto che non c'è autentica scienza se non nell'atto dell'intelletto, le intuizioni diventano materia delle forme dell'intelletto. L'atto essenziale dell'intelletto è il giudizio e l'atto del giudicare presuppone concetti, ma non concetti empirici, bensì concetti puri, o categorie che condizionano il funzionamento dell'intelletto e non traggono nessun contenuto dall'esperienza.
Per Kant le categorie sono regole di funzionamento dell'intelletto, modi del predicare e sono diverse dalle categorie di Aristotele, per il quale erano dieci ed erano i generi sommi della realtà e del pensiero, cioè quindi avevano funzione logica e ontologica, mentre per Kant sono dodici e hanno solo funzione logica.
Kant riunisce in quattro gruppi i diversi giudizi possibili:
1) QUANTITA': giudizi singolari (unità),
giudizi particolari (pluralità),
giudizi universali (totalità);
2) QUALITA': giudizi affermativi (realtà),
giudizi negativi (negazioni),
giudizi infiniti (limitazioni);
3) RELAZIONE: giudizi categorici (sostanza e accidente),
giudizi ipotetici (causa - effetto),
giudizi disgiuntivi (reciprocità);
4) MODALITA': giudizi problematici (possibilità),
giudizi assertori (esistenza),
giudizi apodittici (necessità).
La sintesi intellettiva di materia (intuizione) e forme a priori (dodici categorie) è il vero oggetto della conoscenza, il fenomeno conoscibile: le categorie non sono dunque oggetti, ma condizioni della funzione oggettivante dell'intelletto. La sostanza per i razionalisti era una cosa esistente in se per se , Kant invece afferma che è una categoria, cioè "un modo di funzionamento dell'intelletto". Se le intuizioni a priori della sensibilità condizionano la possibilità della matematica come scienza, le categorie condizionano la possibilità della fisica come scienza i cui giudizi sono anch'essi sintetici a priori (ad esempio, la pietra illuminata dal sole è calda).
L'IO TRASCENDENTALE
Se il soggetto pensante si riducesse al complesso dei suoi fatti psichici, il sapere scientifico non sarebbe possibile. Le nostre rappresentazioni sono materia di conoscenza solo se sono unificabili, cioè oggettivabili e questa unificazione esige che l'io conservi la sua "identità di autocoscienza". Solo riconoscendo questa identità e riferendo ad essa le rappresentazioni, l'io può stabilire fra queste dei rapporti e unificarle in un oggetto. Kant chiama io penso o io trascendentale questa identità perché accompagna tutte le intuizioni. L'io come autocoscienza originaria è percezione trascendentale: non è quindi l'io empirico (singolo uomo), ma l'Io trascendentale che condiziona la vita psicologica dell'io singolo.
LO SCHEMATISMO TRASCENDENTALE
Una grande aporia sembra scaturire dalla gnoseologia kantiana: sensibilità ed intelletto sembrano eterogenei tanto da rendere problematica la mediazione tra intuizione e concetti puri: dobbiamo chiederci se sia possibile un loro accordo, cioè come il particolare possa essere universalizzato e le sensazioni ridotte a concetti e d'altra parte come l'universale possa essere particolarizzato. E' necessaria una facoltà intermedia che Kant chiama "immaginazione pura a priori" e che rende possibile l'opera mediatrice. Questa facoltà agisce inconsapevolmente determinando e conformando le percezioni in modo che risultino quali "prefigurazioni di concetti". Sono questi i cosiddetti schemi trascendentali, prodotti da questa facoltà mediatrice tra sensibilità ed intelletto che è omogenea da un lato con le categorie dall'altro con il fenomeno.
DIALETTICA TRASCENDENTALE
La matematica e la fisica sono valide entro i limiti dell'esperienza, cioè per tutte le cose che possono cadere sotto i nostri sensi. Il compito della filosofia critica sembra concludersi qui, con il riconoscimento che nessun'altra conoscenza è possibile al pensiero umano. Le metafisiche perciò esistono di fatto e presumono di possedere una validità oggettiva. E' necessario sottoporre ad esame critico questa presunzione per vedere se possono esistere anche di diritto. Questo è il compito della dialettica trascendentale che con l'analitica forma la logica trascendentale. In essa la ragione arriva al massimo della sua autocoscienza in quanto comprende e dimostra non solo le sue condizioni, ma anche i suoi limiti. Gli oggetti del conoscere sono i fenomeni e il fenomeno è sintesi di materia e forma. Se parliamo di fenomeni dobbiamo parlare anche di "cose in se". Poiché il conoscibile è soltanto il sensibile, l'inconoscibile è il puro pensabile: il NOUMENO. Questo è il limite della conoscenza; la ragione dimostra che la conoscenza è oggettiva ma dimostra anche che è e può essere solo fenomenica. La metafisica come scienza è dimostrata impossibile nel momento stesso in cui si dimostra che è possibile la scienza dei fenomeni. Le metafisiche però esistono di fatto, anche se non sono legittime, e testimoniano una vocazione dell'uomo, quindi una dimensione del suo spirito. Kant chiama RAGIONE questo aspetto del pensiero che si illude di conoscere le cose in se. I problemi affrontati dai metafisici di ogni tempo sono anima, mondo, Dio, cioè psicologico, cosmologico, teologico; questi sarebbero la sintesi suprema della ragione. Anima, mondo e Dio non possono essere sintesi perché manca l'elemento materiale che è richiesto affinché le forme a priori non restino vuote. Kant le chiama idee della ragione, non sono né intuizioni né concetti, ma pure nozioni pensate, cioè noumeni. I noumeni sono dei principi regolativi del pensiero; la loro funzione è quella di mantenere l’intelletto consapevole del valore fenomenico delle sue conoscenze.
CRITICA DELLA PSICOLOGIA RAZIONALE
L'anima è l'oggetto della psicologia razionale cioè di quella parte della metafisica che studia il soggetto in se. Prima di Kant l'anima era considerata il substrato di tutti i fatti psichici e veniva perciò definita come "sostanza spirituale semplice, indipendente dal corpo, immortale ecc...". La sostanza che per Kant è invece una categoria, valida solo nei limiti del sensibile, è qui usata per sostanzializzare l' "Io". L'osservazione della psicologia razionale "l'anima è una sostanza", non è un giudizio possibile, ma un PARALOGISMA, cioè un falso ragionamento, una sofisticazione della ragione, che usa la categoria di sostanza in modo trascendente.
CRITICA DELLA COSMOLOGIA RAZIONALE
Con il termine mondo si intende la totalità delle manifestazioni fenomeniche. La cosmologia razionale presume di fare di questa idea un oggetto di conoscenza e così la ragione è destinata ad oscillare tra proposizioni antitetiche, cioè a precipitare nelle antinomie. Si ha un antinomia quando il pensiero non può dare una soluzione inequivocabile, ma oscilla fra un tesi e un’antitesi. Kant individua quattro antinomie, le prime due sono definite matematiche, le seconde due dinamiche.
TESI
ANTITESI
1)Il mondo è finito nel tempo e nello spazio
1)Il mondo è infinito nel tempo e nello spazio
Il mondo come totalità non è un fenomeno che cade entro l’ambito delle nostre esperienze, ma è una pura idea pensata.
2)Ogni sostanza composta nel mondo consta di parti semplici e non esiste in nessun luogo se non il semplice.
2)Nessuna cosa composta nel mondo consta di parti semplici.
La disivibilità all’infinito, affermata dall’antitesi, è legittima quando non presuma di valere entro l’ambito fenomenico, illegittima è la presunzione di elevare tale disivibilità sul piano metafisico.
3)La causalità, secondo le leggi della natura, non è la sola da cui possano essere derivati i fenomeni del mondo; è necessario ammettere, per la spiegazione di questi, anche la libertà.
3)Non c’è nessuna libertà, ma tutto nel mondo accade secondo le leggi della natura.
In questa antinomia si esprime una situazione esorbitante dalle condizioni della conoscenza possibile, ma a differenza delle due antinomie matematiche, la terza offre una soluzione possibile se ammettiamo due ordini di realtà, noumenico e fenomenico: la libertà può essere attribuita al primo, la causalità al secondo.
4)Nel mondo c’è qualcosa che o come sua parte o come sua causa è un essere assolutamente necessario.
4)In nessun luogo esiste un essere necessario né nel mondo, né fuori dal mondo come sue cause.
Anche la quarta antinomia è superabile in quanto si attribuisce la necessità di Dio al mondo noumenico e la contingenza a livello fenomenico.
CRITICA DELLA TEOLOGIA RAZIONALE
Noi pensiamo a Dio come unità assoluta che comprende la totalità; finché ci limitiamo a pensare questa idea nessun errore è possibile. L’errore è inevitabile quando la ragione crede di dimostrare l’esistenza. Nella storia della teologia le prove più famose dell’esistenza di Dio sono l’argomento ontologico di S. Anselmo e le cinque vie di Tommaso. Kant riduce le cinque prove tomiste a due fondamentali: la cosmologia(dall’esistenza delle cose contingente conclude all’esistenza di un essere necessario) e la fisico teologica o la teleologica (finalistica che dalla finalità, dall’ordine e dalla bellezza della natura arriva all’esistenza di Dio come ordinatore del tutto).
Nel confutare le prove Kant dimostra che la prova teleologica rimanda alla cosmologica e che questa a sua volta presuppone l’argomento ontologico: pertanto la demolizione della prova anselmiana ha valore definitivo. Secondo Anselmo l’idea di Dio presuppone necessariamente tutti gli attributi della perfezione e perciò anche l’esistenza. Kant obbietta che l’idea di Dio in quanto è pensata, implica solo i predicati logici che la costituiscono come idea e che l’esistenza uno è uno di questi.
La proposizione “Dio esiste” per Anselmo sarebbe un giudizio analitico a priori, per Kant un giudizio esistenziale è sintetico a priori: che una cosa esista vuol dire che essa è data anche nelle realtà. Altri dati per noi non esistono se non quelli percettivi, ma poiché dio è fuori dall’esperienza possibile, non può essere provato esistente.
MORALE E RELIGIONE
La religione nasce dalla morale ed ha nella morale il suo fondamento; la morale, a sua volta, deve integrarsi nella fede religiosa. Nella vita religiosa, intesa come comunione di spiriti, come chiesa invisibile, unione di volontà buone, l’umanità raggiunge il punto più alto di spiritualità. Quel “regno dei fini” che gli uomini in quanto esseri ragionevoli costituiscono idealmente, trova nell’organizzazione religiosa la sua espressione visibile. Nel Nuovo Testamento, Kant scopre tutti gli elementi della religione morale. Cristo è l’incarnazione del principio del bene, il modello vivente della perfezione morale. Dio è l’essere perfetto, legislatore della chiesa invisibile ed universale. Ma gli uomini organizzarono una chiesa visibile, concepirono la religione più come un culto che come l’adempimento dei doveri morali. Per Kant la religione deve essere ricondotta alla sua essenza morale: perciò la vera chiesa è quella invisibile, formata da tutti colori che, indipendentemente dalla confessione religiosa, vivono ed agiscono secondo quella fede(questa è la sua autentica cattolicità).
CRITICA DELLA RAGIONE PRATICA
La conoscenza del mondo noumenico ci è preclusa, non possiamo dimostrarne l'esistenza ma non possiamo nemmeno escludere che possa esistere e che quindi le relative idee (A.-M.-D. ) possano giustificarsi per una via diversa. SE NON ESISTE altra conoscenza che quella dei fenomeni, di noi stessi possiamo conoscere solo i nostri stati fenomenici. Poiché gli elementi del mondo sono collegati da una connessione causale, anche le nostre azioni volontarie dovrebbero essere concepite all'interno di questo determinismo causale. Questa conclusione però è incompatibile con le esigenze della moralità: per agire moralmente occorre una volontà che sia libera, altrimenti non potremmo attribuire responsabilità all’azione dell'uomo. Per Kant è un fatto indubbio che la moralità esista perciò vuole esaminarne le condizioni a priori e gli elementi costitutivi. Kant prescinde dalla ricerca del contenuto della legge morale, perché il contenuto cambia secondo I 'esperienza, varia da caso a caso secondo lo viluppo storico e ricerca, invece, il fondamento dell'universalità della legge morale: cioè i principi a priori ( universali e necessari) della legge morale. La coscienza ci attesta che noi siamo soggetti ad alcune leggi, diverse dalle leggi fisiche, che si chiamano IMPERATIVI; questi comandano una certa condotta (con una necessità che però non è fatale) L'attività pratica ha il suo inizio in un impulso, ma l 'uomo, che è dotato di ragione può prendere posizione contro lo stimolo ed inibirlo. L'uomo possiede una volontà che è perciò ragione pratica che si propone fini di cui è consapevole. La ragione che è legislatrice in campo conoscitivo, è tale anche in campo morale. Sulla ragione infatti si fonda la legge morale che è a priori ( ed universale) e assoluta, e si distingue dalle massime pratiche le quali, dato che hanno un contenuto determinato, rappresentano le condizioni storiche ed ambientali dell’individuo. Invece le azioni comandate dalla legge morale hanno valore indipendente da tutti i fatti che possono accadere, e sono comandate dalla ragione. La ragione si esprime attraverso una legge che si estende tutti gli i esseri razionali e prende la forma di un ”imperativo". Kant fa la distinzione tra imperativo ipotetico e categorico. 1) IMPERATIVI IPOTETICI : sono quelli che comandano un’azione come mezzo per raggiungere un fine. Se il fine è possibile, l ' imperativo si chiama PROBLEMATICO e prescrive regole di abilità; se il fine è reale l'imperativo si definisce ASSERTORlO e offre solo consigli di prudenza. 2) IMPERATIVO CATEGORICO: quando non è solo il mezzo per un fine ma è fine esso stesso, e lega la volontà incondizionatamente; perciò è APODITTICO in quanto impone di necessità una legge alla quale bisogna obbedire anche contro le proprie inclinazioni sensibili. L'imperativo categorico è uno solo, ed è l'imperativo della moralità, perché è nel carattere della moralità esigere una subordinazione assoluta senza altra considerazione dì utilità o di premio. Solo allora l ' atto è morale, quando si compie unicamente per il dovere; I’ imperativo categorico deve essere espressione solo della volontà buona, e la volontà è buona indipendentemente dal raggiungimento di un fine (per esempio: basta che sia buona l'intenzione). La volontà è buona quando ha il carattere della razionalità, che è quello dell’universalità e necessità. L'imperativo categorico è perciò precetto universale e necessario della ragione pratica: esso non può essere che formale, infatti ogni contenuto empirico ne renderebbe limitato il valore, ed è formale perché scaturisce dalla forma stessa della ragione. L'imperativo categorico è unico, “tu devi”, ma si può esprimere attraverso tre formule:
1. “Agisci solo secondo quella massima che la tua volontà possa elevare a legge universale”, vale come principio di legislazione oggettiva (opera in modo che il criterio della tua condotta possa elevarsi ).
2. “Agisci in modo da trattare l ' umanità sempre come fine, mai come mezzo”; si fonda qui la dignità della persona e l ' unità spirituale dell’umanità.
3. “Agisci in modo che la tua volontà possa essere considerata come istituente una legislazione universale”; fonda l ' autonomia della sfera etica: la volontà buona ha in se stessa la sua legge e non soggiace a nessuna volontà superiore
La morale di Kant è dunque formale per il carattere della legge che rifiuta ogni contenuto e che ha valore obbligante; è rigoristica in quanto esclude qualsiasi compromesso con fini edonistici (riguardanti il piacere), utilitaristici ed empiristici ed esige che il dovere sia compiuto in nome della pura legge del dovere per il dovere; è autonoma perché non è subordinata a nessuna teologia e metafisica.
I POSTULATI DELLA RAGIONE PRATICA
1) La vita morale non è possibile se l'uomo non è libero: se l'imperativo categorico impone di necessità il suo " tu devi" vuole dire che egli può. D'altra parte la libertà non è oggetto di conoscenza :dove c'è conoscenza c'è rapporto di causa ed effetto; la causalità è una categoria dell'intelletto e quindi ha nell'esperienza sensibile la sua conferma, mentre la libertà, essendo una pura idea della ragione non può avere questa conferma sperimentale. Nella prima critica, Kant aveva dichiarato superabile l'antinomicità, postulando l'esistenza di due mondi: il fenomenico ed il noumenico e riferendo al primo la causalità, al secondo la libertà. Dei due mondi solo quello fenomenico poteva essere conoscibile, l'altro rimaneva pensabile ma non impossibile. La libertà, che rappresentava una pura possibilità nelle conclusioni della prima critica, diventa nella critica della ragione pratica una condizione necessaria alla possibilità della moralità stessa: come tale essa è un postulato. Allo stesso modo, anche le altre due idee della ragione, e cioè l'immortalità dell'anima e l'esistenza di Dio, trovano nell'ambito della moralità la loro piena giustificazione, cioè diventano postulati.
2) L'immoralità dell'anima diventa oggetto di fede morale; infatti è dovere della volontà buona conformarsi alla legge morale: la conformità completa della volontà alla legge morale è la santità.
MORALE
Ragione Volontà (Buona)
Legge del dovere per il dovere
“Tu devi " ( imperativo categorico)
Uno solo che può essere espresso in 3 formule
RAGIONE PURA RAGIONE PRATICA
Campo della conoscenza Campo della morale
noumeni postulati
anima immortalità dell’anima
mondo libertà
Dio esistenza di Dio
Ma la santità può essere trovata solo in un processo all'infinito poiché l'uomo è anche istinto e sentimento: e allora è doveroso postulare un'esistenza che continui all'infinito, cioè l 'immortalità'. lì postulato dell’immortalità dell'anima, teoreticamente indimostrabile, compie una funzione morale: solo se crediamo nella nostra immortalità le nostre aspirazioni alla santità non sono contraddittorie. L'esistenza di Dio è il terzo postulato. Benché I 'uomo agisca con volontà buona e debba operare disinteressatamente, noi riconosciamo che la giustizia non è possibile se alla virtù non è congiunta la felicità come suo premio. Ma sulla terra non è possibile però raggiungere il " sommo bene", a causa della natura umana. E' dunque moralmente necessario postulare l'esistenza di Dio, cioè di un essere perfettissimo che garantisca l'ordine morale del mondo, cioè l'attuazione del sommo bene. Così le tre idee della ragione, che in sede teoretica erano illusioni trascendentali, sono sul piano morale l'espressione della volontà buona. Entro questi limiti, Kant può parlare di un "primato della ragione pratica sulla ragione pura". La ragione speculativa non ha il diritto di trascendere i limiti dell'esperienza e di dare una soluzione ai problemi metafisici; la ragione pratica ha il dovere di postulare l'esistenza di quella realtà noumenica che la conoscenza aveva dichiarato inaccessibile.
LA CRITICA DEL GIUDIZIO (teoria del “come se”)
Nella prima critica si individuarono le condizioni a priori della conoscenza del mondo fenomenico (il principio di causalità come la più importante delle categorie, da cui deriva il meccanicismo o il determinismo). Nella seconda critica si sono individuate le condizioni trascendentali dell’attività morale; ci sono due mondi, quello sensibile della necessità e della conoscenza scientifica e quella morale della libertà e dello spirito. Kant si chiede se non sia possibile formulare un principio sintetico superiore per cui il mondo fenomenico sia compreso nel regno della libertà. Accanto alla facoltà del conoscere e del volere c’è una terza facoltà umana che è quella del sentimento. Questa superiore unità sintetica per essere valida deve fondarsi sull’esistenza di una forma razionale di sentimento, ciò di una attività sentimentalmente universale e necessaria. Ci si chiede dunque se siano possibili sentimenti a priori. Forma a priori del sentimento è per Kant una forma particolare di giudizio che chiama riflettente, per distinguerlo dal giudizio determinante. Il giudizio determinante sottostà alle leggi dell’intelletto e costituisce il sapere scientifico. Nel giudizio riflettente invece non determiniamo il fenomeno nella sua connessione necessaria con altri fenomeni, ma lo consideriamo dal punto di vista del fine, come se fosse costituito in funzione di una finalità da attuare. Il giudizio riflettente non è espressione dell’attività conoscitiva e pratica, ma del sentimento. La finalità di un oggetto può essere rappresentata in due modi: I) da un punto di vista soggettivo, come se gli oggetti si costituissero in vista del sentimento di piacere che suscitano in noi e in questo caso il giudizio si chiama estetico; II) da un punto di vista oggettivo, come se gli oggetti si costituissero in vista della realizzazione di un proprio disegno interno e il giudizio allora è teleologico.
GIUDIZIO DETERMINANTE GIUDIZIO RIFLETTENTE: - estetico (sogg.)
(conoscenza) (fine) - teleologico (ogg.)
GIUDIZIO ESTETICO
Il giudizio estetico ha a che vedere con il fine della bellezza, è un giudizio di gusto, il cui principio non è nel conoscere o nel volere, ma nel sentimento. Il bello è ciò che piace, ma il piacere è puro, disinteressato e vale per tutti. Il carattere della bellezza è di essere una finalità senza fine, una finalità formale: si esclude qualunque fine determinato, utilitaristico o etico che sia, e la finalità consiste nel puro aspetto formale, ciò nell’accordo delle parti in un tutto armonico, che è connesso con il sentimento di piacere. Il bello, infine, è ciò che è riconosciuto come piacere necessario: chi dichiara una “bella”, pretende che ciascuno debba dichiararla bella. Le facoltà spirituali dell’uomo si dispiegano in un libero gioco in cui fantasia ed intelletto si intrecciano ed armonizzano, ed il sentimento estetico è la conoscenza di questo libero gioco. Diciamo “bella” una cosa, perché in occasione della sua rappresentazione avvertiamo in noi un libero accordo delle nostre facoltà spirituali; è “come se” si presentasse a noi per realizzarlo. Il bello suscita in noi un senso di “calma contemplazione”; diverso è il sublime che ci suscita un senso di commozione. Ecco è dato dal libero contrasto di fantasia e ragione (es. la vista del cielo o del mare). Da un lato ci sgomenta perché incombe sulla nostra sensibilità, dall’altro, in quanto suggerisce l’idea di infinito che risponde alle superiori esigenze della ragione, ci infonde entusiasmo. Noi chiamiamo sublime lo spettacolo che ha occasionato il nostro sentimento, ma è sublime solo l’emozione dell’uomo che avverte la sua dignità di essere razionale, superiore ai limiti del sensibile. Il sublime è matematico quando è connesso alla visione di una grandezza infinita; dinamico quando nasce al contatto di una forza infinita. Questo ci rende consapevoli della nostra finitezza fenomenica, ma anche di possedere, come esseri morali, un valore noumenico che trascende ogni forza della natura. Questa teoria del sublime sarà cara ai Romantici.
GIUDIZIO TELEOLOGICO
La conoscenza che il sapere scientifico può offrirci è la concezione meccanicistica che è valida per i fenomeni nei limiti dell’esperienza, ma non per la cosa in sé. Con il giudizio teleologico Kant ricerca nel finalismo della natura l’integrazione dei concetti meccanicistici. Il giudizio teleologico è un giudizio riflettente come quello estetico e la sua validità è estranea al sapere scientifico: infatti sul piano della conoscenza non possiamo introdurre principi di finalità; sul piano della moralità invece abbiamo il dovere di agire e giudicare finalisticamente. Il concetto di finalità, nasce dunque sul piano etico. Se noi non tendessimo ad un fine non potremmo giudicare la natura finalisticamente: giudicando teleologicamente cose, organismi, eventi, proiettiamo su di essi la nostra capacità di agire secondo fini e li interpretiamo “come se” fossero anch’essi polarizzati verso uno scopo razionale. Il giudizio teleologico, interpretando la vita organica come espressione di una finalità che subordina le parti all’unità del tutto, intende integrare la spiegazione meccanicistica che si rivelava insufficiente. Per quanto la scienza ci raffiguri un universo soggetto al determinismo, noi come persone morali, dobbiamo credere in una natura che collabori con noi, che sia orientata verso le stesse finalità, che sia ostacolo al nostro impegno morale, ma ostacolo dialettico, cioè mezzo per un’elevazione.