Kant

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KANT -CRITICA DEL GIUDIZIO ESTETICO E TEORIA DEL GENIO

1. ANALITICA DEL SUBLIME
1.1 STORIA DEL CONCETTO
Il concetto di sublime fu introdotto nel dibattito estetico nel 1674 con la traduzione, fatta da Boileau, del "Trattato del Sublime", testo in lingua greca, scritto intorno al III sec. d.C. di autore anonimo. In questa prima fase il sublime è definito come ciò che conduce ad un’esaltazione senza limiti del sentimento travolgendo la ragione.
Sarà l'inglese Burke che riprenderà, in una sua opera del 1756, questo concetto. Secondo Burke il sublime è la percezione contemporanea del senso dell'infinito e del terrore che di fronte ad esso nasce nell'uomo. Tale duplice sentimento nascerebbe dalla percezione di ciò che è oscuro, disarmonico, indeterminato, cioè da tutto ciò che, proprio per non avere dei limiti precisi, dà all'uomo l'idea dell'infinito.
Attraverso la mediazione di Burke il concetto di sublime arrivò sino a Kant che ne diede una trattazione sistematica nella "c.d.g".

1.2 DEFINIZIONE
Kant definisce il sublime come: quel sentimento prodotto da ciò le cui dimensioni sono tali da risultare incommensurabili con il soggetto umano. Quindi tutto ciò la cui vastità è tale per cui l'uomo non è in grado di ricondurlo alle sue dimensioni (alla sua scala).
Esistono secondo Kant due tipi di sublime:
1.2a IL SUBLIME MATEMATICO:
in questo caso la vastità delle dimensione è data dalla "grandezza spaziale". Si ha quindi quando viene percepita qualcosa smisuratamente grande rispetto all'uomo. Kant fa l'esempio della vista del mare, del cielo o di una montagna.
1.2b IL SUBLIME DINAMICO:
(dinamico = dal greco "dynamys", forza, energia) in questo caso non si tratta tanto della percezione di una grandezza spaziale smisurata ma di una forza smisurata. Kant cita come esempio tutti quei casi in cui la natura si manifesta all'uomo come una minaccia alla sua stessa esistenza perché dotata di energie enormemente più ampie di quelle umane (mare in tempesta, uragano, terremoto, eruzione ecc.).
1.2c In entrambi i casi il sublime produce uno stato ambivalente del soggetto:
a) immaginazione-angoscia: attraverso la sua immaginazione l'uomo prova un senso di angoscia totale per la sua piccolezza (s. matematico) e per la sua impotenza (s. dinamico). Infatti di fronte a grandezze e forze talmente a lui superiori l'uomo prova un senso di annichilimento, l'uomo diviene in questo modo consapevole del valore quasi nullo della sua vita (esempio: quale valore attribuirebbe alla sua vita un organismo il cui ciclo vitale è di poche ore, se fosse in grado di essere consapevole della durata della vita umana?).

b) ragione-esaltazione: d'altra parte proprio nella percezione dei suoi limiti fisico-naturali, l'uomo diviene consapevole di se come essere naturale ma che si distingue dalla natura per il possesso della ragione. Il senso di inferiorità che egli prova di fronte alla grandezza della natura viene in questo modo a capovolgersi nella consapevolezza della superiorità dell'uomo sulla natura in quanto essere razionale. Come sempre in Kant la dignità e superiorità dell'uomo risiedono nella consapevolezza che con la sua ragione egli acquista dei suoi limiti (per tornare all'esempio dell'organismo fatto precedentemente, si può notare che il difetto di quell'esempio consiste proprio nel fatto che nessun organismo a parte l'uomo può "essere consapevole". Proprio per il fatto di essere consapevole dei suoi limiti l'uomo raggiunge la certezza della sua superiorità sulla natura a cui manca la "consapevolezza").
Pertanto l'uomo si riscatta ed emancipa dalla sua finitudine in due modi:
• si emancipa dal terrore prodotto dal s. matematico perché è in grado di concepire l'idea di infinito di fronte alla quale anche la più grande realtà naturale appare infinitamente piccola;
• si riscatta dal senso di finitudine provato di fronte al s. dinamico, perché grazie alla sua ragione egli può dominare la natura.
Pertanto lo stato di inferiorità dovuto alla finitudine fisica umana, viene superato nella scoperta della infinitezza della vita spirituale dell'uomo. Il sublime si articola quindi in due momenti, il primo negativo, poiché rivela all'uomo la sua finitudine su un piano naturale, il secondo positivo in quanto afferma la superiorità dell'uomo sul piano spirituale:

PRIMO MOMENTO

NATURA

GRANDEZZA-> -> PICCOLEZZA ->S.MATEMATICO
| IMMAGINAZIONE -> ANGOSCIA
POTENZA -> -> IMPOTENZA ->S.DINAMICO

SECONDO MOMENTO

GRANDEZZA -> INFINITO ->S.MATEMATICO
RAGIONE -> -> ESALTAZIONE
POTENZA -> RAZIONALITÀ' ->S.DINAMICO

1.3 DIFFERENZA BELLO/SUBLIME:
la differenza tra sublime e bello è dovuta al fatto che, mentre il sublime rivela un profondo disaccordo tra uomo e natura, il bello si fonda invece su di un loro armonico accordo.
a) bello: l'immaginazione o sensibilità, mostra all'uomo l'oggetto naturale che si caratterizza nella sua armonica organizzazione interna come corrispondente alla struttura dell'intelletto. Pertanto tra i due termini, uomo-natura, si ha nel bello armonia o proporzione;
b) sublime: nel sublime si ha invece sproporzione e disarmonia in quanto il rapporto uomo natura vede la prevalenza sul piano naturale della natura rispetto all'uomo, mentre tale rapporto viene ad invertirsi sul piano della spiritualità.
b1) da un punto di vista scientifico-naturalistico l'uomo appare come una parte della natura ed è sovrastato da quest'ultima, anche il suo intelletto appare finito e limitato;
b2) da un punto di vista razionale, l'uomo sovrasta la natura poiché con la sua ragione. che si differenzia in questo dall'intelletto, pretende di superare la stessa natura attraverso l'idea di infinito. Naturalmente l'idea di infinito non viene intesa da Kant in senso conoscitivo, poiché l'infinito è una realtà noumenica e quindi inconoscibile, ma acquista il valore di una esigenza che è propria della natura umana ed a cui l'uomo non può rinunciare.

2 TEORIA DEL GENIO
2.1 SIGNIFICATO DEL TERMINE
Il termine "genio" deriva dal sostantivo latino "genius" che a sua volta è connesso con il verbo "geno" = "generare". Il significato originario di tale termine era quello di "genio" con cui si indicavano quelle divinità tutelari che assistevano l'uomo durante il corso di tutta la sua vita. In seguito il termine "genius" assimilò i significati di un altro termine latino: "ingenium" derivante dal verbo "in - geno". Durante il corso della storia della lingua il significato di "genius" si andò precisando in tre sensi diversi:
a) ciò che è generato con una determinata qualità ad esso inerente sin dal momento della nascita = "indole o disposizione innata".
b) Riferito a capacità intellettuali il termine "genius" venne ad indicare "ingegno e intelligenza".
c) Riferito ad una attività indica l'azione consistente nel produrre qualcosa secondo un'ispirazione originale.
Queste tre diverse accezioni del termine possono essere sintetizzate in un'unica definizione di "genio" = capacità di creare, per mezzo di un talento innato che si manifesta come ispirazione, qualcosa di originale.

2.2 STORIA DEL CONCETTO
La storia del concetto di genio nell'estetica moderna si sviluppa a partire dalle polemiche che sono al centro del dibattito sulla natura dell'arte nella filosofia inglese del XVIII sec.
In tale sede il "problema del genio" acquista un notevole peso nella polemica contro la concezione "neoclassica" dell'arte come imitazione e viene utilizzato per elaborare una nuova teoria sul significato e la natura dell'arte. I principali punti in cui si articola tale polemica sono tre: a) opposizione genio/imitazione: l'opposizione tra questi due termini è incentrata sulla nozione di originalità. Il "neoclassicismo" aveva posto il massimo ideale artistico proprio nella non originalità dell'opera d'arte. Infatti la regola fondamentale dell’attività artistica veniva riassunta nel "principio d'imitazione" secondo cui scopo dell'arte era l'imitazione della natura e dell'arte antica. Contro questa concezione comincia ad emergere l'idea che il valore dell'arte consista nella "originalità" dell'opera d'arte, nel fatto che essa sia capace di produrre qualcosa di nuovo e non riducibile a modelli già esistenti. In tale contesto il concetto di "genio" viene ad indicare colui che crea qualcosa di completamente diverso da tutto ciò che prima era esistito proprio perché si rifiuta di seguire il principio di imitazione ma crea secondo la propria personale ispirazione.
b) opposizione genio/regole: in quanto capacità di creare qualcosa di nuovo e originale l’attività artistica del "genio" non segue nessuna regola esterna all'artista stesso. L'arte non è quindi riducibile ad un insieme di regole che possono essere applicate meccanicamente da chiunque, ma è frutto di una "energia ispiratrice" che si sottrae a qualsiasi regola che non sia quella della libertà creativa dell'artista.
c) analogia genio - natura: Il genio in quanto portatore di una attività creatrice non governata da regole viene paragonato alla natura. La natura infatti è concepita come una forza creatrice che opera spontaneamente e senza seguire, almeno consapevolmente, alcuna regola. Allo stesso modo l'essenza del genio è la capacità di generare-creare senza seguire alcuna regola razionale.
La problematica connessa al concetto di "genio" si diffuse sul finire del XVIII sec. in Germania, dove Kant elaborò una "teoria del genio" che costituirà uno dei punti di riferimento essenziali del romanticismo tedesco.

2.3 IL PARADOSSO DELL'ARTE BELLA
Il concetto di genio viene da Kant utilizzato per risolvere il paradosso dell'arte bella. Esaminando il problema dell'arte Kant si convinse infatti che alla base dell’attività artistica vi era una contraddizione:
a) l'arte è governata da regole: da un lato l'oggetto (quadro, statua, ecc.) prodotto dall'arte è il risultato di una attività finalizzata alla sua produzione nella quale l'artista, servendosi delle regole proprie della sua arte, esegue la sua opera. Ne risulta quindi che la produzione artistica è un’attività governata da regole.
b) l'arte è libera da qualsiasi regola: d'altra parte l'oggetto artistico è tale in quanto risulta creato spontaneamente, senza seguire alcuna regola. Se infatti la bellezza artistica fosse riducibile alla semplice esecuzione di un insieme di regole prestabilite, l'arte sarebbe una attività puramente meccanica. Si potrebbe imparare la professione di artista come si impara qualsiasi altra professione e le opere d'arte potrebbero essere eseguite automaticamente. L'arte è quindi tale proprio perché non segue nessuna regola prestabilita.
Il paradosso consiste quindi nel fatto che l'arte bella è tale solo se si presenta come un’attività che crea spontaneamente il suo oggetto, anche se tale oggetto è in realtà frutto di un’attività consapevole e finalizzata.
Questo dipende dal fatto che secondo Kant il bello artistico deve presentarsi come l'esatto contrario del bello di natura. Mentre il bello di natura è tale proprio perché ha l'apparenza dell'arte, in quanto si presenta come risultato di un’attività finalizzata della natura senza esserlo in realtà, il bello d'arte, pur essendo risultato di un’attività finalizzata, deve presentare il suo oggetto come prodotto di un’attività spontanea. Se l'oggetto naturale bello deve avere l'apparenza dell'arte, l'oggetto d'arte bello deve invece possedere l'apparenza di natura.
E' importante osservare come la definizione dell'arte come coincidenza di spontaneità e finalità, sia assimilabile alle distinzioni che in ambito romantico vengono postulate per rappresentare la differenza tra arte classica ed arte moderna.
La caratteristica essenziale dell'arte classica viene infatti individuata dai principali autori romantici nella immediatezza e spontaneità con cui è raffigurata la natura a differenza di quanto accade nell'arte moderna, caratterizzata dal prevalere di un rapporto con la natura mediato dal sentimento o dall'intelletto. Schiller parlerà a questo riguardo di opposizione tra Naive Dichtung (poesia ingenua) e sentimentalische Dichtung (poesia sentimentale), Schlegel opererà una distinzione simile parlando di due generi poetici distinti: poesia oggettiva e poesia soggettiva.

2.4 SOLUZIONE DEL PARADOSSO - TEORIA DEL GENIO

2.4.1 GENIO TRA REGOLA E LIBERTÀ'
Il concetto di genio viene definito da Kant come "quel talento innato la cui caratteristica principale consiste nella funzione di porre regole autonome all'arte. L'artista quindi nel su lavoro opera seguendo delle regole, ma queste stesse regole non sono a lui imposte dall'esterno, è il genio stesso che, liberamente, pone le regole alla sua attività. Il paradosso viene quindi a cadere, risulta infatti vero in un senso che l'arte è governata da regole, ma poiché queste regole sono il risultato della libertà del genio, sarà anche vera, in un altro senso, l'affermazione che l'arte produce spontaneamente il suo oggetto:
a) "l'arte è un’attività che segue regole", in quanto l'artista agisce seguendo le regole della sua arte;
b) "l'arte è un’attività spontanea", in quanto è un processo autoregolantesi in cui il genio pone autonomamente le regole dell'arte.
• prima definizione di "genio": genio è colui che crea seguendo delle regole da lui stesso liberamente poste.

2.4.2 GENIO E NATURA
Nel compimento del suo "atto creativo" l'azione dell'artista viene a coincidere con l'attività stessa della natura, infatti come questa crea il mondo naturale, allo stesso modo l'artista diviene il creatore di "una seconda natura".
Occorre a questo punto chiarire in che cosa consista per Kant l'essenza dell'atto creativo del genio.
Si è più volte visto come l'oggetto naturale sia il risultato della organizzazione della materia del fenomeno, data in modo uguale a tutti gli uomini tramite la sensibilità, secondo regole a priori (le categorie). Essendo le categorie patrimonio comune della struttura a priori dell'intelletto umano, risulta che tutti gli uomini, necessariamente, organizzano un certo materiale sensibile allo stesso modo. La differenza tra l'attività con cui il normale soggetto umano organizza i fenomeni e l'atto creativo del genio artistico, è da ricercare proprio in questa fase del processo di costituzione degli oggetti. Il genio infatti organizza la materia del fenomeno non secondo le regole comuni a tutti gli uomini, ma secondo combinazioni o connessioni diverse e da lui stesso create. Il genio quindi ordina lo stesso materiale sensibile in modi "nuovi", secondo regole originali che lui stesso ha create.
• seconda definizione di genio: si può ricavare quindi una seconda e più approfondita definizione di "genio" da questo paragone che Kant stabilisce tra "genio" e "natura": genio è colui che crea una "seconda natura" elaborando il materiale fenomenico-sensibile secondo regole da lui stesso poste.

2.4.3 ARTE - GENIO - NATURA
Per completare la teoria kantiana del genio rimane da affrontare un'ultima questione: da dove deriva al genio questa capacità di creare dal nulla le regole dell'arte in base a cui egli crea le sue opere?
La facoltà dell'artista di produrre regole è in lui "innata", ma questo significa che tale capacità deriva all'artista dalla natura. In base a tale premessa si può allora sostenere che se la capacità tramite cui l'artista pone le sue regole all'arte è innata e si identifica con la natura, allora è "la natura che tramite la mediazione del genio da le sue regole all'arte".
Si giunge quindi ad una:
• terza definizione del genio: genio è colui attraverso il quale la natura da le sue regole all'arte.
-CONSIDERAZIONI SULLE RELAZIONI TRA TEORIA KANTIANA DEL GENIO E CONCEZIONE ROMANTICA DELL'ARTISTA
La teoria kantiana del genio sarà il presupposto teorico-filosofico su cui verrà ad innestarsi la concezione romantica dell'arte.
1) il poeta-dio: la tesi kantiana del genio come "creatore di una seconda natura" sarà alla base della tesi romantica che ponendo l'essenza dell'atto artistico nella "creazione di un mondo", giunge alla "divinizzazione" dell'artista. Come il dio della genesi crea con il suo "verbo" l'universo, così il dio-poeta crea con la sua parola nuovi mondi.
2) il poeta sacerdote: dalla tesi kantiana secondo cui "la natura realizza il suo potere creativo attraverso il genio artistico", deriva anche la concezione mistico-religiosa propria del romanticismo che vede nell'artista il sacerdote della natura divinizzata. Secondo la prospettiva panteistica tipica del primo romanticismo, naturale e "divino", "finito" e "infinito" vengono a coincidere. Se quindi nel genio kantiano si rivela semplicemente il potere creatore della natura, tradotta in ambito romantico la concezione kantiana acquista una valenza religiosa che in Kant era assente. La natura che si impossessa dell'artista e con cui l'artista si identifica è una natura divina, il ruolo del poeta è quindi quello di essere un sacerdote o profeta della natura-dio con cui egli ha un rapporto privilegiato. Il poeta è quindi "dio", in quanto si identifica con il divino che è presente nella natura, inoltre è "profeta" in quanto rivolgendosi con la sua opera agli altri uomini annuncia ad essi, che sono incapaci di coglierlo, il divino che è nella natura.
3) l'io poetico come io assoluto nell'idealismo: l'idealismo filosofico di Fichte e Schelling riprenderà la concezione kantiana del genio artistico. Infatti l'io viene interpretato nell'idealismo secondo il modello del genio kantiano. Tuttavia mentre in Kant l'io artistico è finito, in quanto egli si limita a creare solo una nuova forma con cui organizzare la materia sensibile, nell'idealismo invece l'azione creatrice dell'io è infinita, egli infatti si pone come creatore anche della materia del fenomeno. In ogni caso l'io assoluto dell'idealismo non ha più quale suo modello l'io scientifico della "critica della ragione pura", ma l'io poetico-artistico della "critica del giudizio", ovvero l'io creatore.

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