Materie: | Riassunto |
Categoria: | Filosofia |
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Numero di pagine: | 29 |
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Testo
La filosofia greca
Filosofia: libera indagine critica e razionale; è una ricerca libera che non dà nulla per scontato perché analizza in modo critico e razionale.
In Grecia la filosofia è di carattere teorico e comporta alla conoscenza dei perché delle cose.
Tra il metodo empirico-pratico degli orientali e quello teorico dei greci c’è stato un gran salto di qualità.
In Grecia la condizione politica ha favorito molto la trasformazione del pensiero: i governi e le repubbliche sono stati sempre aristocratici, non c’era uno stato unitario ma tante piccole poleis e poi l’aristocrazia non era formata né da sacerdoti né da guerrieri.
Le colonie furono adatte al primo sviluppo della filosofia perché erano lontane dal proprio governo e vicine a commerci e quindi a scampi di idee, usi e costumi.
La polis:
• Ogni cosa della vita del cittadino è legata alla polis.
• La maggior parte del popolo era schiava e i cittadini liberi di studiare erano una minoranza.
• C’era una contrapposizione perenne tra aristocrazia e popolo.
• La polis era una realtà politica e un’entità religiosa (dei protettori, fondatori mitici, ecc…).
In Grecia c’erano due filoni di pensiero; quello più scientifico sosteneva che la felicità è quando ogni soggetto sviluppa al meglio la propria caratteristica. Lo scienziato era chi studiava la natura per cambiarla a suo favore.
Filosofi aristocratici: concepiscono il sapere solo per alcuni e parlano un linguaggio ermetico per non farsi comprendere da tutti.
Filosofi democratici: vengono dalle colonie perché sentono che la ricerca è importante anche per la città.
Il duplice aspetto nasce nel passaggio dall’età classica al periodo ellenistico perché si forma un novo ceto con nuove esigenze e quindi si sviluppa un altro tipo di pensiero.
I Sette Savi erano le persone più sagge della cultura greca, i quali emettevano massime e sentenze volte al livello pratico della vita esaltando la misura e l’equilibrio.
La poesia spiana la strada alla filosofia: Omero parla della fede in una legge di giustizia e Esiodo la riprende chiamandola Dike (figlia di Zeus) e chi non la rispetta, seguendo esageratamente i propri sentimenti e facendo di testa propria, pecca di ubris.
Nelle scuole filosofiche gli studenti contribuivano al patrimonio della scuola e condividevano il pensiero, ma anche la vita e i costumi, quindi la filosofia era anche comunicazione e solidarietà.
Tipi di filosofi:
• Fisici: indagavano nella natura cercando il principio originale (archè).
• Sofisti: ricercavano sul problema dell’uomo.
• Ontologi: studiavano l’essere in generale
• Ellenistici: si dedicavano all’etica (stoicisti ed epicureisti).
• Religiosi: cercavano il modo di raggiungere dio.
I Presocratici sono coloro che hanno studiato il problema della natura, ma poiché i primi a prendere in considerazione l’uomo sono stati i Sofisti, i Presocratici sono di fatto Presofisti.
Prima di tutto i Presofisti operano nella Magna Grecia e nella Ionia. In quest’ultima si muovono Talete, Anassimandro e Anassimene che si interessano al problema del principio-archè: ciò da cui tutto viene, ciò per cui tutto sussiste e ciò verso cui tutto tende.
Talete, uomo moderno, scienziato e politico, ha realizzato l’incontro tra teoria e pratica e ha cercato di dare una risposta razionale al principio.
Il caos è ciò che non ha forma mentre il cosmo è ciò che è ordinato; quindi prima della nascita della natura era il caos. Quando la natura assunse una forma nacque la vita. Per Talete ci deve essere una sostanza che permane nel tempo e che da essa nascano le cose; lui la identifica nell’acqua.
Dall’esperienza ha capito che dall’umido nascono le piante, la vita è nata nell’acqua, essa cade dal cielo, ecc… (teoria basata sulla pratica).
Anassimandro, uomo politico del gruppo dei democratici, è il primo che usa il termine archè. Per lui il principio è l’infinito. L’infinito è eterno – al di là del limite temporale -, indeterminato – non è qualcosa di preciso poiché tutte le cose precise sono limitate – e illimitato – non c’è niente al di fuori di esso.
Il kosmos fuoriesce dall’infinito che rimane al di sotto poiché da esso le cose escono e ritornano.
L’infinito non è un elemento e regola e guida tutto per mezzo del tempo (strumento) che stabilisce l’alternanza delle cose e impedisce di far prendere il sopravvento a una cosa su tutte le altre.
Le cose commettono ingiustizia poiché essa è condizione fisiologica dell’essere, ciò avviene per necessità, secondo le leggi dell’infinito, e quindi niente può sottrarsi alla punizione divina.
Ogni elemento ha il suo contrario che lo limita e vive grazie a lui, perciò nessuno dei due deve sopraffare l’altro del tutto.
Anassimandro dice anche che la terra è un cilindro e non poggia su niente perché è equidistante da altri corpi: ha capito che una forza può agire anche senza poggiare su qualcosa senza studiare la gravità. Poi è convinto che se l’uomo fosse apparso sulla terra come è adesso non sarebbe sopravvissuto (teoria dell’evoluzione) e crede che derivi dai pesci.
Anassimene era molto attento alle cose che lo circondavano e secondo lui il principio era nell’aria, infinita e in continuo movimento. Infatti attraverso la rarefazione diventa fuoco e attraverso la condensazione diventa vento, nuvola, acqua, ecc… (concentrazione dei pensieri di Talete e Anassimandro). Secondo Anassimene l’aria è il soffio vitale ((((((() e quindi la terra è come un grande animale che respira e da vita a tutto.
Pitagora nacque a Samo e la tradizione vuole che Pitagora sia un profeta la quale sapienza sia stata appresa direttamente da Apollo per mezzo di Temistoclea, sacerdotessa di Delfi. Fonda la sua scuola a Crotone che divenne un’associazione politico-religiosa aristocratica.
Credeva nella metempsicosi (reincarnazione) e che quindi il corpo era la prigione dell’anima; e considerava la filosofia come una via per liberarla, insieme alla sapienza e l’aiuto di riti purificatori. Vietava ogni tipo di modifiche alla sua dottrina (eeeeeeeee - ipse dixit).
Aristotele in particolare scrisse su pitagorici al di fuori della Magna Grecia, come Filolao, Timeo di Locri, Archita.
Anche se Pitagora apprese la matematica dagli egizi, la concepiva come scienza; a tal punto di elaborare il metodo della dimostrazione, tutt’altro che pratico.
La filosofia pitagorica era basata sulla matematica; il numero era l’elemento alla base di tutte le cose. Il numero era un insieme di unità e una unità era un punto; il numero prefetto era il 10, rappresentato con una figura di tre lati da quattro punti ciascuno. La geometria e l’aritmetica erano fuse, la figura geometrica era un ordinamento di punti quindi esprimibili con numeri (ordine misurabile: ordine geometrico esprimibile con numeri). Con in numeri quindi si può spiegare tutto ciò che ha un aspetto quantitativo (tutte le cose); anche la natura ha un ordine misurabile, che definisce la sua armonia - bellezza.
Cosi se tutto è numerabile, i contrasti tre le cose si riducono tra contrasti tra numeri. Così si forma la filosofia dualistica: realtà basata sulla contrapposizione tra limite e illimitato (ciò appare anche nella rappresentazione dei numeri pari e dispari) e i pitagorici elaborarono 10 opposizioni fondamentali (1 – limite e illimitato, 2 – pari e dispari, 3 – unità pluralità, 4 – destra e sinistra, 5 – maschio e femmina, 6 – quiete e movimento, 7 – retta e curva, 8 – luce e tenebra, 9 – bene e male, 10 – quadrato e rettangolo).
Le opposizioni sono sostenute dall’armonia che creano e Pitagora vede la musica come massima interpretazione delle proporzioni e quindi dell’armonia.
I pitagorici sostennero per primi che la terra era una sfera, figura solida perfetta, e Filoao dichiarò che la terra non era al centro dell’universo, ma che ruotava attorno un grande fuoco che ordina e plasma la materia illimitata. Riteneva che attorno a questo fuoco ruotassero in tutto 10 corpi celesti (il cielo e le stelle fisse, i cinque pianeti conosciuti, il sole, la luna e l’antitera).
Ecfanto aggiunse la scoperta della rotazione terrestre interna attorno ad un asse ed Enoclide disse che l’asse era obliquo. Aristarco fu il primo a formulare l’ipotesi eliocentrica.
Eraclito visse ad Efeso tra il VI e il V secolo a.C. e scrisse un opera sulla natura composta di aforismi che gli fecero guadagnare l’epiteto di oscuro.
Eraclito sostiene che i più vivano in una specie di sogno e che quindi non sono capaci di comprendere le leggi del mondo, chiamandoli dormienti; gli svegli quindi sono i filosofi che vanno al di là delle apparenze. Non era importane quindi farsi capire dal popolo, tanto sarebbe rimasto nell’oscurità.
Il filosofo quindi è colui che ha saputo abbandonare il mondo dei più e ha esaminato la sua anima.
I vecchi filosofi si sono fermati alla superficie delle cose e non possedevano una visione profonda delle cose, mentre il filosofo è colui che ha una veduta complessiva dell’essere e quindi non solo di certi suoi aspetti.
Eraclito era il filosofo del divenire, poiché per lui il mondo era un flusso perenne in cui tutto scorre ( ) come in un fiume in cui non si può mai toccare la stessa acqua.
Il divenire è la forma dell’essere, poiché tutto si trasforma, anche le cose che sembrano più statiche.
Per questo identifica il principio con il fuoco, perché è simbolo dell’energia in perpetuo movimento
Eraclito disprezza i più anche perché credono che possa esistere una cosa senza il suo contrario, mentre Eraclito crede nell’unità dei contrari (l’uno vive in virtù dell’altro) che chiama . La lotta tra i contrari è la vita stessa, vede quindi la guerra in modo positivo poiché la realtà era composta di contrari che si combattevano.
In Eraclito c’è l’attenzione per la struttura della realtà (logos – ragione), ha parlato di principio fisico indicandolo come fuoco e di principio concettuale indicandolo come struttura della realtà o logos, anche se il principio è uno solo.
Il fuoco è il simbolo del logos perché essendo in eterno movimento rappresenta il dinamismo della realtà (anche susseguirsi continuo di contrari, la lotta tra i contrari è la manifestazione del logos).
Il logos quindi è la legge che struttura la realtà e si manifesta nel continuo divenire.
Eraclito associa l’unità di tutti i contrari con l’universo visto come dio che muta come il fuoco. Questo esiste da sempre e per sempre.
Parmenide è un eleato e, al contrario degli altri, parte dal concetto di essere, cioè il tutto. L’essere è, il non-essere non è. Con Parmenide inizia l’ontologia, studio dell’essere in quanto essere.
E’ aristocratico e mette la sua dottrina in bocca alla dea per dargli maggiore autorità. Si considera un eletto dalla dea Giustizia per conoscere la verità.
Bisogna basarsi solo su ciò che è razionale, non come i mortali che si basano sulle percezioni sensibili imprecise, opinioni fallaci. Le vie sono quella della verità e quindi dell’essere, e quella dell’opinione e quindi del verosimile.
I comuni mortali (dalla doppia testa) non riescono ad accogliere certi concetti poiché non sanno decidersi, una cosa vale l’altra, poiché si basano solo sulle esperienze attraverso i sensi, ma così non percepiscono la verità.
La via giusta quindi è quella dell’essere, cioè ciò che si elabora nella mente con la logica.
Parmenide esclude il discorso della morte, poiché anch’essa è essere, e il cadavere quindi mantiene i suoi sensi.
La terza via, quella del verosimile e delle apparenze(la 1 è dell’essere, la 2 è del non-essere), è imposta dalla giustizia poiché è la via che seguono gli scienziati; anche se Parmenide la accomuna con quella del non-essere poiché non è verità. La sua concezione dualistica quindi è quella del verosimile in cui esistono gli opposti concepiti con i sensi.
L’essere è in quanto lo si pensa e lo si comunica. L’identità tra l’essere e il pensiero è la realtà. Pensiero, parola, essere. Il non essere quindi non è né pensabile né esprimibile, in quanto non è.
L’essere non ha né inizio né fine, è unico e immobile. Tutti gli opposti sono comunque essere.
La ragione è lo strumento che ci fa conoscere l’essere.
Empedocle credeva nella metempsicosi e nella purificazione per mezzo della ricerca e di riti.
Empedocle determina quattro radici all’origine di tutto: acqua, aria, terra e fuoco, le quali aggregandosi e disgregandosi creano la vita e la morte. Tutte le cose sono composte da questi 4 elementi in percentuale diversa.
Accetta la conoscenza sensibile, anche se le 4 radici hanno le caratteristiche dell’essere di Parmenide (non ha ne inizio né fine, è unico e immobile) e sostiene che il simile conosce il simile: vale a dire, poiché questi elementi emanano degli effluvii, quando per esempio la nostra acqua viene a contatto con l’acqua di un’altra cosa si favorisce la conoscenza.
Amore e odio sono in lotta costante e nel momento in cui prevale l’amore le 4 radici si uniformano in uno sfero dove non c’è vita, e nel momento in cui prevale l’odio le 4 radici si separano e sopraggiunge il caos (concezione ciclica della storia).La vita quindi c’è solo quando l’odio e l’amore sono in contrasto ed Empedocle quindi ha la stessa visione di guerra di Eraclito.
Anassagora è il primo filosofo che opera ad Atene, durante la democrazia di Pericle. Fu chiamato dallo stesso Pericle per l’arricchimento culturale della città. Anassagora aveva un interesse particolare per la natura e anche lui si avanzerà sul principio della natura indagando proprio su di essa, senza elementi esterni.
Tutte le cose sono formate da semi o omeomerie, divisibili e ingrandibili all’infinito, diversi per qualità: ogni seme contiene e conserva tutte le sostanze della natura in percentuali diverse. Li chiama semi perché ha visto che da un seme poteva nascere una pianta
I semi si possono aggregare e disgregare creando quindi la nascita o la morte. A questi processi presiede la forza della mente fff che ordina gli elementi. Questo non fa parte degli elementi e per la sua diversità può governarli (dimensione soprannaturale). Anassagora quindi contribuì alla realizzazione del concetto di qualcosa al di fuori della natura.
Anassagora è convinto che le omeomerie abbiano dato origine ai corpi celesti e con i loro movimenti si sono staccati e bruciati andando a formare le stelle. Per questa teoria fu condannato poiché così tutti i corpi, allora considerati divini, erano formati dalla stessa cosa della terra, non divina, e quindi anche questi non sarebbero più divini.
Al contrario di Empedocle dice che il simile conosce il dissimile, anche se si accresce mediante il simile: il caldo conosce il freddo, il giorno conosce la notte, ecc. e ogni cosa si nutre del simile (noi mangiamo il pane, ma ci crescono le unghie, le ossa, i capelli… e non “pani per tutto il corpo”).
Anassagora elabora una concezione della storia progressiva e si domanda perché l’uomo è riuscito ad evolversi rispetto agli altri animali e a creare una civiltà. Secondo lui il pollice opponibile, che non ha nessun altro animale, ha permesso all’uomo di manipolare l’ambiente e quindi di lavorare affinando l’ingegno. Con l’applicazione dell’intelligenza a proprio vantaggio quindi l’uomo ha potuto elaborare diverse tecniche.
Democrito non fu compreso nelle sue teorie e quindi rimane isolato rispetto alle alte correnti. Si dice che visse fino a cento anni, contemporaneo quindi sia di Socrate che di Platone; forse a questo sono dovute le sue teorie innovative.
Democrito ha fatto molte esperienze nei suoi parecchi viaggi, quindi la sua conoscenza fu molto vasta e fu molto abile nel ricucire in una teoria tutti i pensieri dei popoli che incontrò.
Democrito parlava di una conoscenza razionale e di una conoscenza relativistica (basata sui sensi) e si collocava a metà tra Parmenide ed Empedocle dicendo di fidarsi della conoscenza sensibile, anche se rimaneva alla superficie delle cose, mentre la logica andava più a fondo e ci faceva cogliere la struttura intima della natura, che ha una valenza quantitativa e non qualitativa.
Le sensazioni percepite con i sensi non sono qualità appartenenti all’oggetto, ma sono soggettive, create dall’incontro degli effluvii. Solo la conoscenza razionale determina qualità oggettive riducibili quindi in quantità.
Democrito sviluppa la teoria atomica (Probabilmente fu Leucippo, maestro di Democrito, ad introdurre questa teoria, ma non si ha niente di scritto che lo testimoni): un atomo è una cosa che non può essere divisa ulteriormente (contrasto con Zenone). Gli atomi si aggregano e si disgregano per mezzo di un movimento vorticoso, e dove non ci sono atomi c’è il vuoto.
Il vuoto è necessario, altrimenti gli atomi non si potrebbero muovere, tutta la realtà è formata da atomi in movimento e vuoto. Non esiste una causa del movimento, la natura dell’atomo è di essere in movimento.
Gli atomi differiscono per forma e grandezza e posizione o ordine (Aristotele lo ha dimostrato con le lettere).
Democrito spiegò la realtà senza valori esterni, dando inizio alla meccanicistica: la natura si spiega con la natura, ha le sue leggi al suo interno, non ci sono mai interventi di cose esterne (concezione per cui la natura si spiega attraverso leggi all’interno di essa).
Nella meccanicistica tutto avviene perché deve avvenire, non c’è posto per la libertà. Questa teoria è fondamentale per lo sviluppo della scienza moderna. Democrito è un materialista, poiché per lui tutto è formato da atomi, e non pensa ad un’altra realtà che quella. Esclude una dimensione trascendente e quindi spiega anche l’anima con gli atomi, formata infatti da atomi più sottili, ignei; spiega anche la conoscenza: poiché l’anima è quindi materia, è in grado di conoscere.
Democrito è innovativo anche nell’etica: la vera felicità non consiste nell’estetica e nei beni materiali, ma nella consapevolezza dell’individuo e nella crescita che compie. Ma ciò viene in contrasto con la sua concezione materialistica: quindi questo è probabilmente un pensiero assorbito da Socrate, poiché esprime la misura-moderazione, concetto ancora non preso in considerazione.
Per questo, la giuda umana dovrà essere la ragione; poiché il comportamento etico sarà corretto se si segue la ragione. Da questo concetto deriva il cosmopolitismo di Democrito: l’individuo è cittadino del modo. Democrito quindi pone il primato nella conoscenza: il saggio spende tutta la vita per la ragione e per l’accrescimento della conoscenza.
Democrito assume un atteggiamento critico verso la storia: l’uomo è destinato a progredire e grazie alla ragione è capace di evolversi. L’uomo è artefice e protagonista della storia.
Anticamente il sofista era un uomo di vasta cultura generale ed esperto di tecniche particolari. In seguito dal V sec. s’intese per sofista un venditore di conoscenza; visti negativamente dall’aristocrazia, i sofisti per Senofonte erano prostituti della cultura, e grazie a Platone e Aristotele mantennero il loro marchio di imbroglioni per mezzo della retorica.
Grazie alla crisi dell’aristocrazia, l’allargamento dei commerci e l’avvento della democrazia, i sofisti hanno avuto la strada spianata per rivoluzionare la filosofia dell’epoca, spostando i loro argomenti dalla natura all’uomo e quindi alla politica, alla religione, all’educazione, ecc…
Per una vita politica attiva accessibile a tutti i sofisti si accostano sotto compenso agli uomini insegnando le tecniche e preparandoli a vivere insieme nella democrazia.
La sofistica è stata paragonata al periodo dell’illuminismo, come periodo in cui tutto era criticato attraverso l’uso esasperato della ragione, proprio perché vennero messi in discussione miti e tradizioni.
I sofisti per primi hanno individuato nella paideia la formazione culturale di un individuo non aristocratica ma scientifica.
Protagora, nato ad Abdera, fu il primo vero sofista e la sua teoria è che l’uomo è misura di tutte le cose, delle cose che sono in quanto sono e delle cose che non sono in quanto non sono.
Questo può essere spiegato in diversi modi: se l’uomo è inteso come singolo individuo e le cose sono quelle percepite, vuol dire che l’uomo è giudice delle cose percepite e ognuno quindi ha una sua verità; se invece l’uomo è inteso come umanità e le cose sono quelle reali, vuol dire che l’uomo giudica la realtà attraverso strumenti che possiedono tutti, come la ragione; ma se poi si intende per uomo la civiltà a cui appartiene e per cose i valori, vuol dire che ognuno giudica le cose secondo la mentalità del suo popolo.
Confrontando infatti le varie filosofie orientali e occidentali, emerge che ognuna ha una sua verità e che nessuno cambierebbe le leggi a cui è abituato, sebbene ingiuste.
Comunque si voglia interpretare la sua tesi, l’uomo resta sempre al centro e quindi questa è una forma di umanismo (l’uomo è il baricentro del giudizio e soggetto del discorso), fenomenismo ( l’uomo accoglie la realtà mai com’è veramente, ma come appare) e di relativismo (non c’è una verità assoluta, è sempre soggettiva, relativa quindi a chi la percepisce).
Ma la verità soggettiva conduce a dire che tutto è vero e quindi porta verso una forma di anarchia. Protagora però non elogia l’anarchia, ma si affida all’utile, che era il bene sia per il singolo che per la comunità. A questo punto l’utile diventa giudizio e porta Protagora a dire che la verità, non essendo quella assoluta, è quella che si è dimostrata più utile nella storia alla comunità e al cittadino.
Grazie a questa visione dell’utile Protagora concepisce il sofista come colui che sa mutare le opinioni altrui secondo l’utilità, colui che sa rendere forte l’argomento debole. La retorica quindi è finalizzata all’utile.
Protagora introduce l’agnosticismo religioso, per cui afferma che non è razionalmente affermabile o negabile l’esistenza di un eventuale dio, perché la mente umana non è capace di concepirlo.
Gorgia, nato in Sicilia, era discepolo di Empedocle. Gorgia stabilisce nel libro sulla natura le sue tesi fondamentali: nulla c’è; se anche qualcosa ci fosse, non sarebbe riconoscibile dall’uomo; se anche fosse conosciuta dall’uomo, non è esprimibile agli altri.
Le strutture assolute, come l’essere, non possono essere concepite dalla mente umana e non sono comunicabili perché quando l’uomo si serve delle parole (suo prodotto) non hanno nulla a che fare con l’essere come dice parmenide.
Per metafisica si intende lo studio delle cose che non cadono sotto i nostri sensi, ma che si colgono solo razionalmente. E siccome Gorgia non credeva nell’identità tra pensiero, parola ed essere non credeva che esistesse qualcosa di assoluto (scetticismo metafisico) e non si possa conoscere niente di assoluto (scetticismo gnoseologico).
Gorgia riteneva che l’esistenza era dipendente da forze superiori all’uomo, e lo dimostra con il suo encomio di Elena, dove dichiara che questa era completamente in balia degli eventi: ha fatto quello che ha fatto o per volere degli dei, fato, necessità, o fu rapita per forza, o fu convinta con la retorica, o fu presa d’amore.
Socrate nacque ad Atene nel 470/469, non lasciò mai Atene e ne era orgoglioso. Non partecipò alla vita politica, ma solo a quella della città.
Non ha scritto nulla, non abbiamo quindi nessun’informazione diretta da parte sua. Probabilmente non scrisse nulla perché riteneva che la sua ricerca filosofica non poteva essere continuata da uno scritto. Si è ricostruito il suo pensiero solo in base alle testimonianze di altri.
Aristofane parla di lui nella commedia “Le Nuvole” descrivendolo come il peggior sofista perché non produce niente di buono. Aristofane oggi viene rivalutato perché ci aiuta a collocare Socrate nel clima culturale dell’Atene dell’epoca.
Policrate lo accusa di portare i giovani sulla cattiva strada, oltre di aver influenzato negativamente alcuni uomini politici.
Senofonte trascrive cose tramandate negli anni, poiché interviene solo molto dopo la morte di Socrate, e quindi il suo ritratto appare molto più limitato e moderato.
Platone, volendo rispettare la volontà del suo maestro di non scrivere, usò l’espediente dei dialoghi, dove emerge la vera personalità di Socrate.
Aristotele ripropone il concetto già elaborato da Platone che vede Socrate come lo scopritore del concetto e il teorico della virtù come scienza.
Era quasi un autodidatta, un anticonformista, non era bello e non curava la sua persona, in un periodo in cui la bellezza era molto; ma tanto erano interessanti i suoi discorsi che la bellezza passava in secondo piano.
Socrate visse durante la prima democrazia, la tirannia dei trenta e la seconda democrazia; era innovativo, non essendo uno dei sofisti, anzi criticandoli, ma era versatile, essendo influenzato da quella stessa aria, e quindi appariva come voleva.
Anche se non tutti hanno concordato con le sue teorie, dopo di lui la filosofia non è più la stessa; per il suo modo di fare si attirò molte antipatie.
Il suo centro era l’indagine sull’uomo, come analisi interiore individuale; la ricerca filosofica per lui era una crescita personale. I suoi dialoghi erano razionali ed era difficile opporsi a lui: metteva a disagio i suoi interlocutori.
Politicamente era democratico, ma il suo ambiente era circondato da amicizie aristocratiche.
La sua filosofia è ancora umanistica, ma l’uomo fa la differenza, perché non cade nell’utilitarismo, compromessi o interessi personali. Così nasce la dimensione spirituale dell’uomo.
Socrate aveva l’abitudine di interrogare la gente, nata da quando l’oracolo di Delfi annunciò che lui era l’uomo più sapiente, e sentì l’esigenza di confrontarsi con persone cote e esperte di qualcosa; mente lui manteneva sempre un atteggiamento umile, spesso gli altri erano superbi, ma non riuscivano a sostenere la discussione in nessun modo. Allora Socrate pensò di essere l’unico a sapere di non sapere e associa la sapienza alla consapevolezza della propria ignoranza.*
Per Socrate l’ironia è uno strumento per rendere consapevoli le persone della loro ignoranza, poiché lui finge di non sapere quello che chiede; poi Socrate fa domande molto specifiche che mandano in crisi l’altro poiché spesso non si è capaci di rispondere. Così questo, costretto a fare una figuraccia, lascia Socrate malamente o cade in contraddizione coscientemente e comincia una nuova ricerca dove si mette in discussione. Socrate lo fa per avviare le persone alla ricerca.
La maieutica, arte di far partorire, è il terzo strumento di Socrate. Lui si paragona ad un ostetrico, che a quella epoca era una persona anziana e quindi sterile, di anime. Lui stesso è sterile perché il dio gli ha vietato di sapere ma cerca di farlo fare agli altri. Questa concezione del sapere è diversa da quella del periodo, non è un’acquisizione dall’esterno, ma un tirar fuori quello che si ha dentro (teoria su cui si basa oggi la didattica, tutti abbiamo gli strumenti necessari).
Il dialogo è uno strumento per invitare le persone a una ricerca continua che si regge sul confronto. La domanda centrale era il ....... (che cos’è?): Socrate metteva in evidenza un argomento su cui discutere mirando alla definizione dell’oggetto del dialogo. Molte persone davano a questa domanda come risposta un elenco di cose tutte collegate da un nesso che doveva essere la definizione. Socrate non da mai una risposta alle sue domande, proprio perché si considera sterile.
Aristotele lo definisce come inventore del concetto e Platone indica il concetto con l’idea, ciò che si vede con gli occhi della mente, come era il pensiero per Parmenide.
Socrate parla di un dio che lo guida e che suggerisce cosa non fare, ma la sapienza è interna all’uomo, non decisa dal dio, come diceva per esempio Parmenide. La filosofia di Socrate è problematica perché tutto quello che fa l’uomo non può essere certamente giusto fin dall’inizio, nessuno ha certezze, tanto meno lui; per Socrate infatti il filosofo è colui che ha capito che no si può dire nulla con sicurezza (v. sopra *). Socrate però non è proprio il teorico del concetto, ma in lui c’è un’esigen-za di questo, di una definizione, poiché ha sentito il bisogno di riportare ordine rispetto alla retorica e quindi alla confusione verbale dei sofisti. Per Aristotele Socrate ha inventato il ragionamento induttivo (da dei casi particolari si risale ad una legge generale) con la sua teoria della definizione.
L’etica socratica è innovativa, Socrate intendeva per virtù l’esplicitare al meglio la propria natura. Per i greci la virtù umana era sempre stata materiale (gli onori, la bellezza, ecc…) mentre per Socrate diventa il “comportarsi bene al momento giusto”. Ma anche questo concetto è soggettivo ed evidenza ancora una volta l’influenza dei sofisti: ogni individuo deve essere in grado di scegliere cosa fare e quando; ma con questo discorso si cade nel relativismo, allora Socrate dice che la virtù consiste nel seguire ciò che mi dice di fare la ragione.
“Chi compie il male lo compie per ignoranza”, poiché se virtù = scienza, allora vizio = ignoranza; se uno cade nel vizio sbaglia perché non sa. Quindi è meglio ricevere il male, piuttosto che farlo. Fare del male vuol dire essere ignoranti.
L’uomo virtuoso è colui ce ha preso la ragione come guida.
La virtù è una in ogni modo. Se virtù è comportarsi secondo ragione, le varie virtù sono tali perché nel momento in cui vengono esplicate passano attraverso la ragione.
L’uomo deve saper domare gli istinti per ascoltare la ragione. Gli istinti spesso portano a piaceri immediati che presto si traducono in male. Ci si abitua ad ascoltare ed educare la ragione con la ricerca-crescita. Un comportamento virtuoso si fonda nel sapere cosa è bene in un determinato momento e per farlo bisogna ascoltare la ragione.
Socrate non dava mai risposte precise perché non esistevano. Quando è costretto a prendere una decisione, parla di un demone (SSSSSS) che gli dice di astenersi dal compiere qualcosa, come dalla politica, nel suo caso. Socrate aveva contatti con i tiranni, con aristocratici, ma non praticando la politica non consisteva un ostacolo per nessuno.
Le scuole socratiche minori sono lontane da Atene, ogni suo discepolo ha portato avanti nella sua scuola un aspetto preciso della filosofia socratica. Il messaggio socratico infatti spesso era ambiguo.
La filosofia platonica è lo sviluppo del pensiero socratico, e porta risvolti che Socrate non aveva raggiunto. Per la prima volta si presenta come globale.
Di Platone si ha tutto scritto, si crea una filosofia sistematica, cioè che spazia in tutti i campi del sapere. Platone ha cercato di interpretare la politica, l’educazione, la religione, la natura, ecc… Usa un'unica interpretazione per tutto. Platone scrisse i dialoghi, all’interno dei quali parla di un argomento e della sua posizione intorno a quello.
Quindi, per capire una sua teoria bisogna ricercarla in tutti i suoi libri. Platone mantiene la struttura del dialogo perché ha assunto il senso del filosofare di Socrate, cioè una ricerca senza fine. La lezione platonica è aperta e cresce nel dialogo con i discepoli.
Platone realizza una scuola chiamandola Accademia, dove si studiano i vari campi del sapere e “si cresce”.
Platone non ha mai smesso la ricerca e quindi presenta delle evoluzioni nelle sue teorie.
Platone vede la crisi di Atene non solo politicamente, ma anche dal punto di vista dell’etica. Punta quindi a ricostruire i valori e da la colpa della crisi al relativismo sofistico.
Vuole ricostruire una scala di valori oggettivi, autonoma, valida per tutti. Non si parla di umanismo, poiché sono i valori ad essere punto di riferimento. Per ricostruire una società Platone pensa che serva un impegno politico molto forte, ma che debba restare unito alla filosofia, teorizza quindi la collaborazione tra filosofia e politica.
Platone è invitato di nuovo ad Atene da Dione per educare il figlio Dionigi il giovane; ma Dione è esiliato e Platone si rende conto che Dionigi non è adatto al governo comprendendo che ora non era possibile coniugare la filosofia con la politica.
Platone introduce l’uso del mito, per due scopi precisi: spiegare più semplicemente la verità ed esprimere teorie che razionalmente non sono spiegabili. Il mito infatti permette di intuire certe cose senza doverle spiegare, è l’unico racconto che riesce a far capire certi concetti talmente elevati che verrebbero sminuiti cercando di spiegarli normalmente.
La teoria delle idee
Platone teorizza la dottrina delle idee; questa non si trova espressa in uno dei suoi dialoghi ma si ricava attraverso i suoi vari libri. Platone combatte il relativismo criticando i sofisti che con esso hanno fatto perdere i valori alla civiltà di Atene; per Platone bisognava stabilire cos’era il bene per esprimere al meglio la giustizia. Secondo Socrate il bene era la cosa giusta da fare in un momento per una persona; Platone invece cerca dei valori etici assoluti, che si impongano come punti di riferimento fissi, che chiama idee (dal greco = sapere, capire vedere con gli occhi della mente).
L’idea è “forma, essenza”, qualcosa che ha vita propria, indipendente dalla ragione ma per mezzo della quale può essere raggiunta. Platone si avvicina molto a Parmenide, le idee differiscono dall’essere parmenideo solo per la molteplicità.
Platone non misconosce il mondo sensibile ma lo giudica imperfetto in confronto al mondo delle idee in quanto è copia di questo; così si definisce il dualismo ontologico, realtà sensibile e realtà trascendente. Quindi concepisce anche un dualismo gnoseologico: ci sono due tipi di conoscenza, una perfetta, vera ed esatta, ed una imperfetta.
Nel mondo delle idee, iperuranio, oltre a queste, si trovano le anime che stanno per reincarnarsi; queste anime perciò vengono a contatto con le idee e le contemplano. Ma quando l’anima scende dall’iperuranio dimentica ciò che ha contemplato; solo grazie alle percezioni che riceve con il mondo sensibile, copia del mondo delle idee, vengono fuori delle reminescenze. La conoscenza allora è reminescenza, ma non tutti hanno contemplato in egual misura nell’iperuranio; i filosofi fanno parte di una minoranza che si può almeno avvicinare ad una conoscenza assoluta poiché sono quelli che hanno contemplato più di tutti.
Questa teoria platonica si può considerare così innatista, poiché l’uomo nasce già con la verità dentro di se o con gli strumenti per concepirla, e empirista, poiché per far emergere la verità l’uomo fa delle esperienze attraverso il mondo sensibile.
Ma se nell’iperuranio ci sono tutte le idee di tutte le cose che si trovano nel mondo sensibile allora ci dovranno essere anche le idee delle cose negative. A questo la teoria di Platone subisce una modifica e dice che le idee sono quelle matematiche.
Il linguaggio ha due origini: quella naturale dice che la parola rispecchia l’oggetto, la sua struttura, le sue caratteristiche e quindi non prevede l’intervento umano; quella convenzionale è data dall’uomo poiché tutti si mettono d’accordo sul nome dell’oggetto. Democrito e i sofisti portano avanti la tesi convenzionale. Tutte e due le tesi però non contemplano l’errore, poiché se l’origine è naturale deve essere per forza giusta, e se è convenzionale non importa se sia giusto o meno, poiché non c’è rapporto tra oggetto e uomo ma solo un accordo tra uomini. Così Platone dice che l’uomo, pur scegliendo un linguaggio convenzionalmente è influenzato dalla natura e quindi può sbagliare.
La politica di Platone
Platone dichiara che chi doveva governare erano i filosofi, poiché avevano contemplato tra tutte le idee quella della giustizia più di chiunque altro.
Nella Repubblica Platone parla di uno stato ideale; pur sapendo che non è possibile realizzarlo, intende andarci più vicino possibile offrendo un modello da imitare al meglio.
Uno stato realizza se stesso quando realizza la giustizia. Per Platone la giustizia è rimanere ognuno al proprio posto; gli uomini non sono tutti uguali e vi è giustizia quando si rispettano le diversità.
Divide la società in re, custodi o guerrieri, e lavoratori; se ognuno si comporta da quello che è c’è giustizia. Ognuno di queste classi ha una virtù: i re l’intelligenza, i guerrieri il coraggio e i lavoratori la temperanza, poiché non si ribellavano rimanendo al loro posto. I lavoratori avevano un’anima concupiscibile, quella che ha contemplato di meno; i guerrieri avevano un’anima irascibile, impulsiva, pronta all’azione; i re avevano un’anima razionale, quella che aveva contemplato di più, quella dei filosofi.
Ma se la giustizia è stare ognuno al proprio posto, ognuno ha già un destino prestabilito, la gerarchia è decisa dalla nascita e la persona non è libera. Platone quindi non ha una visione democratica della giustizia.
L’assegnazione dei ruoli è stabilita dalla tripartizione dell’anima e spiegata dal mito delle stirpi. Lo stato, pur di ottenere i propri obbiettivi può raccontare menzogne e qui si stabilisce il primato dello stato sul cittadino, la visione statalistica di Platone; è tipico delle dittature l’identificazione/annullamento della persona nello stato.
Per Platone poi le classi non dovevano avere lo stesso stile di vita: i re e i guerrieri devono mortificare i loro interessi personali dedicandosi allo stato. Per togliere il senso del possesso, il comunismo platonico stabilisce questo; le persone devono avere una vita modesta, vivere in comune e non avere nulla di proprio. Il comunismo sessuale poi dichiara che non devono avere neanche affetti propri, gli accoppiamenti erano decisi dallo stato e i bambini venivano tolti ai genitori dalla nascita ed educati dallo stato. Tutti i figli sono di tutti e tutti i genitori sono di tutti.
L’educazione delle due classi superiori è fondamentale poiché i governanti devono realizzare il bene comune senza essere esaminati, Platone dice che questi prima di saper custodire gli altri devono essere in grado di custodire se stessi. Lo stato quindi è una scuola che addestra bravi custodi ad agire per il bene supremo dello stato per tutta la vita.
I regnanti, prima di essere introdotti allo studio della filosofia, devono essere preparati da una propedeutica di quatto discipline matematiche: l’aritmetica, la geometria, l’astronomia e la musica. All’inizio si studia la musica e la ginnastica e poi queste quattro discipline. A trent’anni i migliori saranno introdotti alla dialettica e alla filosofia. Poi, seguirà un periodo di tirocinio nelle cariche civili e militari. Dopo i cinquant’anni gli ottimi potranno governare.
Nella repubblica, trattando dell’educazione dei filosofi, parla della conoscenza e la paragona ad una linea che si divide in due segmenti, conoscenza sensibile e razionale, i quali si dividono a loro volta in altri due, l’immaginazione e la credenza, la ragione matematica e l’intelligenza filosofica. La credenza ha per oggetto le cose sensibili, l’immaginazione le loro ombre; la ragione matematica ha per oggetto le idee matematiche, l’intelligenza filosofica le idee-valori.
Platone spiega la conoscenza e l’educazione attraverso il mito della caverna: ci sono uomini incatenaticostretti a guardare soltanto davanti verso una parete della caverna buia. In questa parete si riflettono le ombre di oggetti che sporgono al di sopra di un muricciolo alle spalle degli uomini incatenati. Per questi la vera realtà è quello che vedono, delle ombre. Ma se uno di loro viene liberato, abituato al buio, si ribellerebbe e cercherebbe di distinguere gli oggetti magari osservando uno specchio d’acqua; ma solo dopo che è passata la notte può guardarsi intorno senza essere accecato e scoprire che la fonte di tutto è il sole. Abbagliato da tanta bellezza la vorrebbe far conoscere anche ai suoi compagni, ma tornando al buio della caverna non vedrebbe più nulla e verrebbe deriso dagli altri che potrebbero anche ucciderlo.
Traducendo il mito possiamo dedurre che: noi siamo gli schiavi incatenati dall’ignoranza e dalle passioni, le ombre degli oggetti sono l’immagine superficiale delle cose e quindi l’immaginazione, le statuette sono gli oggetti del mondo sensibile e quindi la credenza, gli oggetti riflessi nell’acqua sono le idee matematiche che preparano alla filosofia, il sole è il mondo delle idee o più particolarmente il bene. Lo schiavo che vorrebbe rimanere là rappresenta la tendenza del filosofo a rinchiudersi nella sua ricerca, ma quando torna dai compagni è evidente il dovere del filosofo di far partecipi gli altri.
Qui Platone condanna l’arte:
• allontana ancora di più l’uomo dal mondo delle idee in quanto copia del mondo sensibile che è già una copia del mondo delle idee e quindi è lontana due volte da questo.
• Nell’arte si da libero sfogo ai sentimenti e alle passioni e quindi rammollisce gli animi.
• In Grecia i poeti hanno sempre avuto un ruolo di rilievo, eletti dalle divinità per divulgare la verità. Platone non crede ad un legame così stretto con il dio e da più spazio alla ricerca razionale, al rigore filosofico.
• È anche una critica all’epoca di Pericle, che aveva promosso oltremodo l’arte, come denuncia della società che condannò Socrate.
• Con la filosofia nasce il contrasto con la poesia poiché erano i poeti a tramandare i miti; quindi così facendo Platone vuole evitare un ritorno ad un’età pre-filosofica.
I dialoghi platonici
Per distinguere il pensiero socratico da quello platonico negli scritti di Platone bisogna applicare un metodo stilometrico e dividere in tre gruppi i dialoghi. Quelli della giovinezza sono fedeli alla filosofia socratica, mentre quelli della maturità esprimono le sue teorie che poi subiscono cambiamenti evidenti nei dialoghi della vecchiaia.
Simposio (o Convito)
Qui Platone approfondisce la dottrina della conoscenza e parla dell’amore. Il simposio era una riunione dopo cena dove si bevevo e si discuteva su un tema; ambientato a casa di Agatone che aveva vinto una gara e festeggiava invitando a casa dei filosofi. L’oggetto della discussione era l’amore e ognuno si esprimeva in merito dando la sua definizione di amore. Platone, usando la figura di Socrate, intendeva per amore una cosa spirituale, senza contatti fisici, intellettuale. Parla di amore per la conoscenza, l’impulso che spinge a filosofare. L’eros è una smania, un coinvolgimento interiore, una spinta che stimola l’uomo alla ricerca perpetua.
Nella tragedia greca l’inizio degli avvenimenti è sempre collegato in qualche modo all’amore (tradimenti, passioni, ecc…). Fedro, primo ad intervenire al dialogo, vede l’eros come il più antico e il più onorato tra gli dei, è quello che riesce più di tutti a rendere felice un uomo. Le due persone coinvolte non sono in rapporto paritario e divide amante e amato: l’amante è il più anziano e l’amato è il più giovane. All’epoca l’amore omosessuale era considerato più elevato, in cui l’amante si prendeva cura e introduceva alla vita il più giovane, che rispondeva alle attenzioni con docilità e affetto. Socrate e Alcibiade, suo discepolo, avevano un rapporto simile; Alcibiade paragona addirittura Socrate ad un sileno, statue cave per custodire oggetti preziosi.
Pausania, secondo, divide l’amore volgare, eterosessuale basato sull’attrazione dei corpi, dall’amore celeste, amore spirituale, come quello per venere vergine.
Erissimaco dice che non riguarda solo gli uomini ma tutta la natura. L’amore celeste produce armonia, mentre l’amore volgare discordie.
Disogene riporta il mito di Zeus dicendo che l’amore è la mancanza di una metà dall’altra.
Agatone lo vede come una divinità forte, giovane ed attraente.
Socrate invece riporta il mito raccontato dalla sacerdotessa … :L’amore sarebbe un demone, concepito da Poros (acquisto e quindi scaltrezza, successo)e Penia (povertà) alla festa per la nascita di Venere. Poros era ubriaco e Penia ne approfittò e lo sedusse; dalla loro unione nacque Eros, povero, ma votato alla ricerca perpetua, insidiatore dei beni, non ha la sapienza ed aspira ad averla. Perciò è filosofo, stimolato dalla bellezza poiché concepito alla festa di Venere, guida la ricerca attraverso i vari gradi della bellezza; da quella fisica, a quella dell’anima, quella delle istituzioni, delle scienze, fino alla bellezza assoluta.
Fedro
Qui Platone approfondisce il rapporto tra anima e bellezza. Paragona l’anima ad un carro che cammina nella pianura della verità trainato da un cavallo bianco ed uno nero; quello bianco rappresenta le virtù, mentre quello nero le passioni e gli istinti che strattonano il carro per farlo cadere.
Quando il cavallo nero ha il sopravvento l’anima dimentica tutto ciò che ha contemplato; l’idea della bellezza però è l’unica che rimane e fa da mediatrice tra l’uomo caduto e il mondo delle idee stimolando l’uomo alla ricerca e quindi all’amore.
L’amore è la modalità con cui la persona intraprende la ricerca verso il mondo delle idee; l’amore per la sapienza coinvolge tutto l’uomo che ci mette passione, è convinto di ricercare il meglio di se. Lo strumento più importante per l’elevazione spirituale della persona è la dialettica, sinonimo di filosofia.
Timeo
Il demiurgo, sorta di divino artefice, dotato di intelligenza e volontà, è un mediatore tra le idee e le cose. Il mondo all’inizio era caos, c’era solo una materia informe chiamata IIIII Il demiurgo, amante del bene, ha ordinato la chora ad immagine e somiglianza delle idee.
Egli ha generato il tempo, che Platone definisce “immagine dell’eternità” poiché con il suo succedersi ordinato riproduce con il movimento l’ordine eterno.
La struttura del mondo del demiurgo è matematica: le cose sono ridotte a quattro elementi (acqua, aria, terra e fuoco) che sono ridotti a figure geometriche e quindi a numeri. Quindi i numeri sono schemi degli oggetti e la matematica diventa il codice di interpretazione di tutto ciò che esiste.
III periodo, la vecchiaia
Platone sottopone le sue teorie a verifiche continue, è consapevole delle contraddizioni di queste ed è per questo che è coerente al pensiero socratico della ricerca continua. Platone non smette mai di mettersi in discussione.
Anche la sua teoria delle idee subisce modifiche; per esempio, nel Parmenide, se l’idea è una, come è possibile che più idee partecipino di essa senza essere moltiplicata? Da qui si ricava, con l’argomento del “terzo uomo” che le idee tendono ad aumentare all’infinito. Poi Platone si rese conto di essere in contrasto con la dottrina di Parmenide che si basava sull’unicità dell’essere. E se l’essere è uno solo, come si differenziano le idee? Nel Teeteto e nel Sofista dice che non è possibile rinunciare alle idee e alla fine condanna il principio parmenideo commettendo un parricidio, poiché Parmenide era per lui un maestro importante.
Ora, per spiegare la coesistenza e la collaborazione di più idee Platone elabora la teoria dei cinque generi sommi: l’essere, l’identico, il diverso, la quiete, il movimento.
• Ogni idea è e quindi rientra nel genere dell’essere
• Ogni idea è identica a se stessa e quindi rientra nel genere dell’identico
• Essere ed identico sono diversi fra loro, quindi ogni idea che è ed è identica a se stessa non deve essere per forza identica ad un’altra, quindi rientrano nel genere del diverso.
• Ogni idea può stare da parte (quiete) o collaborare con altre idee (movimento)
Platone quindi ridefinisce l’essere: è essere tutto ciò che può subire o compiere un’azione; così entra in relazione con altri elementi . L’essere è la capacità di relazionarsi con l’altro.
Quindi Platone ridefinisce anche il concetto di filosofo: colui che conosce le combinazioni che le idee possono costruire relazionandosi tra loro, colui che conosce l’essere. La dialettica è lo studio della rete di rapporti tra le idee.
Platone modifica anche le sue teorie politiche sullo stato ideale, pur mantenendo il concetto fondamentale dell’annullamento del cittadino nello stato.
Nel Politico Platone dice che il reale ruolo del regnante è quello di insegnare l’arte della misura, cos’è il bene. Identifica il bene con il giusto mezzo, ma questo varia di situazione in situazione, Socrate aveva lasciato libere le persone di agire secondo la propria opinione. Platone allora dice che il re deve servirsi delle leggi che quindi svolgono una funzione educativa per il cittadino.
Scrive Le Leggi mettendo in evidenza questa teoria; ma da sole non sono sufficienti, deve collaborare anche la religione. Così divinizza i corpi celesti, dei veri e propri che sono il simbolo dell’armonia/equilibrio della natura, che devono essere d’esempio allo stato. Platone quindi critica Democrito per la sua teoria atomistica per la quale non c’era distinzione tra corpi celesti e natura. Questi corpi, esempi migliori per il comportamento dell’uomo, diventano uno scambio tra mondo terreno e mondo celeste.
La religione è così importante che Platone sostiene la pena di morte per chi dichiara di essere ateo.
Non si parla più di comunismo, vengono fuori i bisogni umani, ma lo stato mantiene la sua rigidità. Introduce persino il “consiglio notturno”, organo che controlla l’ordine e il comportamento dei cittadini.