David Hume

Materie:Appunti
Categoria:Filosofia

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Testo

DAVID HUME
Biografia e carattere
La filosofia inglese ha il grande significato nella storia dello svolgimento intellettuale umano di vivere, per il suo metodo empie non solamente a sistemi costruiti dai filorico, esteso il suo esame non solamente a sistemi costruiti dai filosofi speculativi, ma anche alle inconsce ed arbitrarie presupposizioni su cui poggiano la concezione popolare e le scienze particolari. Così Locke aveva mostrato la necessità di una spiegazione precisa intorno all'origine delle nostre rappresentazioni, e Berkeley aveva mostrato quali problemi implichino la rappresentazione dello spazio e la rappresentazione del mondo materiale quando si voglia veramente averne una seria esplicazione. Questo esame critico del conoscere raggiunge nella scuola inglese del secolo XVII il suo culmine con la filosofia di David Hume. Egli avvia un esame dei concetti che formavano il fondamento di tutta la filosofia anteriore, e che Locke e Berkeley non avevano ancora seriamente attaccato: ossia un esame del concetto di sostanza e del concetto di causa, i due concetti che collegano e cementano per così dire, ogni costruzione speculativa, sia scientifica, sia popolare. Sul principio di causa o di ragione sufficiente poggiano il grande sistema dell'armonia di Leibniz, la meccanica del mondo di Newton, e la concezione volgare di un mondo delle cose soggetto a certe leggi. Tutti partivano dalla conformità alla ragione, dalla razionalità dell'esistenza presupponevano con più o meno chiara coscienza che il contenuto dell'esistenza sia qualche cosa di corrispondente alla nostra ragione. Questa presupposizione viene presa in esame da Hume. Ed egli è il primo che abbia condotto con serietà un tale esame e che sia penetrato fin nelle profondità da cui scaturiscono le forze che tengono uniti il mondo interno, ed il mondo esterno, profondità che sono ben lungi dalle regioni in cui si muovono la filosofia speculativa, le scienze particolari ed il comune buon senso. Hume ha egli stesso sentito ed espresso in modo caratteristico il singolare stato di solitudine e di dissolvimento a cui riesce il pensatore che con costanza persegua il problema della conoscenza fino a queste profondità, come pure l'opposizione che esiste far la concezione del mondo rigorosamente teoretica e quella istintiva, pratica, popolare.
Solamente il suo amore appassionato e costante del sapere, in unione alla speranza di acquistarsi fama se egli avesse percorso con rigida conseguenza tutto il cammino, gli resero possibile, a quanto dice egli stesso (nella conclusione al primo libro della sua opera principale), di compiere la sua opera.
Nel carattere di Hume lo zelo intellettuale e l'ambizione andavano uniti ad una grande bontà ed intelligenza per le debolezze, ed i pregiudizi, ma nello stesso tempo altresì ad un certo amore della quiete che non si lasciava volentieri turbare nelle occupazioni letterarie dalle polemiche. Egli nacque il 26 aprile 1711, come figlio secondogenito di un possidente nel dominio di Ninewells nella Scozia meridionale. Nella sua autobiografia egli dice: "Assai presto io venni afferrato da una passione per la letteratura che diventò la passione dominante della mia vita e che è stata per me una sorgente copiosa di godimenti". La sua famiglia desiderava fare di lui un giurista, ma egli provava "un'invincibile avversione per tutto ciò che non fosse filosofia ed erudizione". Il suo ideale era di condurre una vita tranquilla, nella quale egli potesse soddisfare le sue inclinazioni scientifiche e coltivare l'amicizia di pochi uomini eletti; ma nello stesso tempo voleva colla sua attività letteraria acquistarsi una fama. Fin dalla sua prima giovinezza egli credette di essere sulle tracce di pensieri nuovi; una nuova "scena del pensiero" si schiude a lui. Un accesso di ipocondria (descritto da lui stesso in una lettera che si trova stampata nella Life and corrispondance of David Hume, Edimburgo 1846, 1, p. 30 e seg) ruppe per qualche tempo le sue meditazioni. Verosimilmente scorgeva già qui la strana opposizione che vi era fra il mondo della riflessione ed il mondo della vita pratica quotidiana, opposizione che egli descrisse più tardi nella sua opera principale. Egli risolse di abbandonare gli studi e di darsi al commercio. Tuttavia la vita pratica non poté trattenerlo. Scelse un luogo solitario in Francia e qui vi scrisse la sua opera principale: Dissertazione sulla natura umana, un tentativo di applicare il metodo empirico nel campo spirituale (Treatise on Human Nature, ecc.). Essa apparve a Londra negli anni 1739-40 ed era composta di tre parti, la prima delle tratta della conoscenza, la seconda dei sentimenti e la terza del fondamento della morale. Essa segna un passo importane nell' indagine di queste varie questioni, ed ancora oggidì sta in prima linea fra le opere classiche della filosofia. Ma per il momento essa non ebbe alcun successo. " Nata morta (egli dice) fu ignorata dalla stampa e non raggiunse nemmeno l'onore di suscitare il mormorio dei fanatici". L'ambizione letteraria di Hume che lo induceva a dichiarare per nato morto il pregevole prodotto del suo intelletto, ebbe conseguenze fatali. Egli cercò di acquistare la fama, che questo aveva procurata, per mezzo di una serie di trattazioni (Essays) su argomenti in parte filosofici, in parte economico-sociali e politici; per qualche tempo abbandonò completamente la filosofia per coltivare la storia; anzi per ultimo rinnegò quasi completamente il suo importante lavoro giovanile dichiarando, per non venir denigrato dai suoi critici teologi (i quali avevano tuttavia incominciato a " mormorare "), di riconoscere solamente l'esposizione delle sue dottrine filosofiche data negli Essays. Per quanto molti di questi brevi scritti siano anche pregevoli, essi non potevano tuttavia nella discussione filosofica avere quell'alto significato che avrebbe potuto acquistare la sua opera principale, se egli avesse tratto vantaggio dalla fama letteraria a cui era pervenuto più tardi, per infondere vita alla sua creatura " nata morta ", e se egli non l'avesse rinnegata per evitarsi ogni noia. Per ciò che riguarda in modo speciale il problema gnoseologico, il pensiero filosofico di Hume esercitò un'influenza sull'ulteriore sviluppo del pensiero, specialmente per la sua esposizione abbreviata e temperata dell'Inquiry concerning Human Understanding (1749), mentre l'esposizione radicale del Treatise, dove è reciso il legame che stringe i nostri pensieri e in genere gli elementi del nostro essere, venne dimenticata per lungo tempo. Che il motivo per cui Hume rinnegò la sua opera giovanile sia quello qui addotto, può vedersi dalle Letters of David Hume to William Straban (Oxford 1888, p. 289 e seg.), pubblicate da poco tempo. Non è da credersi, come si è qualche volta sostenuto, che Hume abbia realmente mutato la sua concezione nei suoi tratti principali. t tuttavia psicologicamente concepibile che lo stato di estrema tensione intellettuale, nel quale Hume scrisse la sua opera giovanile, non potesse durare. Dopo di aver pensato coi dotti, e senza dubbio meglio di questi, egli sentì il bisogno di parlare cogli ignoranti. Dopo di aver dato nei suoi Essays un'esposizione popolare delle sue idee filosofiche economiche, egli si lanciò nella storia. " Come ella sa ", scriveva egli ad un amico, " nessun posto d'onore nel Parnaso inglese può a più gran diritto venir detto vacante di quello della storia ". La carica che egli poté ottenere, dopo una animata resistenza per parte degli ortodossi, di conservatore della biblioteca degli avvocati di Edimburgo, gli offrì opportunità di dedicarsi a studi di erudizione. La sua storia d'Inghilterra lo rese ancora più popolare dei suoi Essays. Come storico gli si conviene il merito di essere stato il primo a cercare di fare della storia qualche cosa di più di una semplice storia di guerre, avendo egli considerato altresì le condizioni sociali, i costumi, la letteratura e l'arte. La pubblicazione delle sue opere storiche incominciò due anni prima che apparisse il celebre Essai sur les moeurs di Voltaire. Mentre nelle sue concezioni filosofiche era liberale, nei suoi giudizi sulle Personalità storiche partì da vedute realiste e conservatrici. Nondimeno la filosofia non venne completamente trascurata. Durante i suoi ultimi anni lo occuparono specialmente studi di filosofia religiosa. Ciò attestano la sua Natural History of Religion (1757) ed i suoi Diatogues on Natural Religíon, la quale ultima opera egli, per ragioni di precauzione, non pubblicò, cosicché essa apparve solamente due anni dopo la morte di lui. Hume non fu solamente un filosofo ed uno storico. Egli sentì il bisogno di partecipare alla vita pratica. Come segretario d'ambasciata, intraprese (1748) un gran viaggio attraverso l'Olanda, la Germania, l'Austria e l'Italia. E più tardi mutò la sua carica di bibliotecario a Edimburgo con la carica di segretario di Lord Hertford, il quale dopo la pace di Parigi nel 1763 andò come inviato in Francia. A quel tempo Hume era già celebre ed a corte come nei circoli letterari gli si fecero le più splendide accoglienze. Egli era di moda ' come più tardi Franklin, forse appunto per la sua semplicità lontana da ogni eleganza. Allorché dopo un soggiorno di tre anni in Francia fece ritorno in Inghilterra, condusse con sé Jean-Jacques Rousseau per procurare un rifugio all'uomo cacciato dalla Svizzera e dalla Francia. Il bel tratto di Hume verso Rousseau venne da questo ricompensato con una diffidenza pazzesca, e dopo una rottura clamorosa Rousseau ritornò in Francia, dove intanto si era calmata la burrasca. Dopo aver durante un anno coperto la carica di sottosegretario della Scozia, Hume fissò la sua dimora a Edimburgo, dove condusse una vita calma nella compagnia di amici eletti, ed ivi morì, dopo una lunga malattia, che non poté turbare la tranquillità e la serenità dell'animo suo, il 25 agosto 1776.

Radicalismo gnoseologico
Tutte le scienze, e non meno delle altre quelle dello spirito, stanno in un determinato rapporto colla natura umana. Con questo principio Hume incomincia il suo esame della conoscenza e da esso argomenta che per lo studio della natura umana si viene a scoprire il fondamento di ogni scienza umana. Ma questo studio deve venir condotto secondo il metodo empirico, il quale è già stato impiegato con successo nella scienza della natura e la cui applicazione allo studio della natura umana già era stato introdotto da Bacone, Locke e Shaftesbury . Come principio fondamentale Hume, richiamandosi all'esperienza, stabilisce ora il principio che tutte le nostre idee (ideas) scaturiscono dalle sensazioni (impressions); le idee non possono mai essere aprioristiche. Perciò quando noi esaminiamo la validità di un'idea, dobbiamo anzitutto domandare quale sensazione sia stata a produrre questo effetto. Nell'origine delle sensazioni, Hume vede un problema insolubile per la nostra conoscenza. la cui soluzione non è però necessaria per la trattazione del suo còmpito (Cfr. Treatise, 1, 3, 5; in altri passi, come II, 1, 1, egli si serve della espressione ordinaria). Mediante quel principio fondamentale (applicato da Berkeley soltanto alle rappresentazioni dello spazio e della materia) Hume prende in esame ora una serie di rappresentazioni importanti. L'idea di una sostanza o di un'essenza deve essere ritenuta come non valida, poiché noi non possediamo alcuna sensazione corrispondente. In modo immediato noi sentiamo solamente proprietà singole, più o meno saldamente collegate 1 una coll'altra, ma nessuna " essenza ". Le idee matematiche dei tempo e dello spazio vengono formate per mezzo della idealizzazione. L'esperienza non ci mostra che una uguaglianza imperfetta di grandezze di tempo e di spazio; ogni misura che noi prendiamo è imperfetta; ma dopo che l'esperienza ci ha offerto opportunità di paragonare vari gradi di rassomiglianza e varie misure, noi ci formiamo l'idea di un'eguaglianza perfetta e di una misura perfetta (per esempio di una linea perfetta), proseguendo l'immaginazione, una volta posta in moto, il suo corso anche quando l'esperienza non può più seguirla. Poiché la geometria concerne simili oggetti ideali, l'applicazione di essa agli oggetti reali non può mirare ad una assoluta precisione. Come il concetto di sostanza ed i concetti matematici, anche il concetto di " esistenza " non corrisponde ad alcuna sensazione. Pensare ad una cosa, e pensare questa come esistente è tutt'uno. La nostra rappresentazione dell'oggetto rimane una pura rappresentazione, anche quando noi pensiamo l'oggetto come non esistente, e noi non aggiungiamo ad una cosa nessuna nuova proprietà quando noi ce la rappresentiamo come esistente. Nell'esame della validità della nostra conoscenza in generale Hume distingue fra la conoscenza che esiste solamente nel chiarire i rapporti reciproci delle nostre rappresentazioni (le scienze formali, come la logica e la matematica) e )a conoscenza che ci conduce al di là delle sensazioni date e ci convince dell'esistenza di un qualche cosa non dato. Quest'ultima specie di conoscenza ha per presupposto la validità del rapporto causale, e qui Hume compie la sua grande impresa filosofica stabilendo in modo deciso il problema catisale, il problema sulla cui soluzione poggia ogni apprezzamento del valore del sapere positivo. In fondo ad ogni ricerca sta un bisogno di trovare " che cosa colleghi il mondo nel suo intimo "; in ogni problema delle scienze positive sta il medesimo problema fondamentale, che Hume per il primo apprezzò in - tutta la sua portata. Non si deve dimenticare però che Hume mai non dubitò che noi non dobbiamo in teoria ed in pratica incessantemente applicare il principio causale; egli domanda solamente se questa applicazione può venir fondata, ed a questo punto non trova che una risposta negativa. Egli scopre che il processo per cui noi accogliamo il rapporto causale, è lo stesso per cui assumiamo come esistente un qualche cosa, pur non essendo questo qualche cosa dato nella sensazione. Una sola e stessa indagine getta luce, secondo il metodo psicologico di Hume, su ambedue i concetti della causa e della sede (Belief).
Per fondare la validità del rapporto causale non si può far appello ad un'immediata certezza di intuizione, poiché questa noi l'abbiamo solamente per ciò che riguarda i semplici rapporti di grandezza e di rassomiglianza. Né possiamo richiamarci a dimostrazioni logiche, poiché noi possiamo tenere reciprocamente isolate tutte le nostre rappresentazioni. Il movimento di una palla da bigliardo è un fatto interamente distinto dal movimento di un'altra palla da bigliardo. Non vi è alcun oggetto che noi non possiamo con tutta facilità pensare in un dato istante come esistente, subito appresso come non esistente. Non vi è dunque alcuna contraddizione nell'assumere che qualche cosa incominci senza causa. Le prove che i filosofi anteriori (Hobbes, Locke, Clarke, ai quali si potrebbe ancora aggiungere Wolff) hanno tentato non sono che sofismi. E' anzi chiaro che quando il principio causale potesse venir stabilito per opera della ragione (o per mezzo dell'intuizione o per mezzo della dimostrazione) noi dovremmo metterci in contrasto col " principio fondamentale "; poiché allora la ragione possederebbe la facoltà di produrre rappresentazioni interamente nuove, le quali non deriverebbero dalla esperienza! - Ma la validità del rapporto causale non viene fondata per mezzo dell'esperienza? A ciò deve rispondersi che l'esperienza ci mostra solamente come un fatto segue l'altro, ma non ci fornisce quell'intima necessità del loro collegamento che si esprime con la parola " rapporto causale ". Ciò vale tanto se per esperienza si intende l'esperienza esterna quanto se si intende l'esperienza interna. Hume confuta specialmente l'opinione (difesa da Berkeley) secondo cui noi avremmo nella coscienza immediata del nostro volere un'intuizione della forza o dell'attività. Una singola esperienza non è in grado di darci l'idea della causalità, e parecchie esperienze non ci danno che un rapporto di successione. Se noi vediamo molto spesso un fenomeno seguire un altro, spontaneamente attendiamo quello quando nuovamente si presenta questo. Ma ciò è un'abitudine e non prova la legittimità delle nostre induzioni dal passato all'avvenire.
Nella sua spiegazione dell'inclinazione, che è in noi, di andare oltre il dato della sensazione e di credere o di aspettarci qualche cosa di non dato, Hume prende anzitutto per base l'esperienza che ogni stato fortemente eccitato ed ogni disposizione intensa a cui perviene la coscienza, ha la tendenza a durare e ad estendersi sulle ntiove@ rappresentazioni che sorgono appresso. Se la coscienza è stata ravvivata od eccitata da un oggetto qualunque, ogni atto della coscienza, fino a che persiste la eccitazione, sarà più vivo. Questa stessa legge già ci servì a spiegare la idealizzazione delle rappresentazioni matematiche. Secondariamente egli annette gran peso a ciò, che l'esperienza ci mostra un'inclinazione delle nostre rappresentazioni a richiamarsi reciprocamente. Ogni rappresentazione ha una tendenza associativa: una dolce forza (a gentle force) conduce dall'una alle altre. Come condizioni varie di tale associazione Hume nomina la rassomiglianza, la consistenza di tempo e di spazio, la causalità. Nel mondo interiore si manifesta qui un'attrazione che per esso è altrettanto significativa quanto l'attrazione fisica per il mondo esterno. Ma nello stesso tempo anche la natura ultima di quest'attrazione non è meno occulta dell'altra; le sue cause debbono trovarsi in proprietà della natura umana da noi ignorate. Il legame che unisce le nostre rappresentazioni è altrettanto incomprensibile quanto quello che unisce gli oggetti del mondo esterno; e può venir conosciuto solamente per l'esperienza. Anzi Hume (nell'appendice del primo libro del Treatise) trova la connessione associativa non solamente incomprensibile, ma anche contraddittoria: come può esservi un principio collegante (uníting principle, Tr. 1, 3, 4; principle of connection, Tr., I, App.) se tutte le nostre sensazioni e rappresentazioni sono delle esistenze distinte, indipendenti? Hume dichiara che questa difficoltà è troppo grave per il suo intelletto. i due fatti (che noi possiamo chiamare espansione ed associazione) stanno tuttavia saldi. E col loro aiuto si spiega come una viva sensazione che a noi appare - appunto per la sua vivezza - come l'espressione di una realtà sia in grado di partecipare la sua vivezza, e con ciò anche la sua impronta di realtà, a quelle rappresentazioni che essa provoca mediante l'associazione. Ciò che noi chiamiamo fede (belief) non è altro che la viva impronta che in questo modo possono ricevere le rappresentazioni. La fede non è dovuta ad alcuna impressione nuova, particolare, ma solamente significa il modo speciale in cui una rappresentazione appare al sentimento (feeling or sentiment). Noi non possiamo fare a meno di passare alle rappresentazioni associate con le sensazioni vive, né possiamo fare a meno di perdurare in esse e di vederle in una luce più viva del solito. E poiché ora (in terzo luogo) la coscienza (come risulta dalle rappresentazioni delle qualità sensibili, dello spazio e del tempo, della sostanza) tende a considerare i suoi propri stati interni come fenomeni esterni, obbiettivi, noi possiamo comprendere come possiamo giungere a credere ad un rapporto causale fra le cose del mondo, sebbene la necessità di cui qui è parola non si trovi che in noi stessi e non sia che una necessitazione per cui noi siamo indotti da motivi psicologici a passare da una sensazione o da una rappresentazione ad un'altra. La necessità è soggettiva così come' le qualità sensibili, lo spazio ed il tempo. Ciò che noi chiamiamo ragione' non è che un oscuro istinto in noi il quale ha origine dal ripetersi delle esperienze in una determinata successione. Il sorgere di questo istinto, ossia l'influenza dell'abitudine, è per noi tanto incomprensibile quanto in genere ogni connessione fra gli elementi della nostra coscienza. Ma poiché l'attività dello spirito, mediante cui da una medesima causa noi argomentiamo ad un medesimo effetto, è di grandissima importanza pratica, la natura non volle affidarla alla mal sicura ragione, ma volle farla sorgere dal più sicuro, per quanto anche oscuro istinto, il quale non può venir scosso da nessun esame critico: la natura è più forte della riflessione (nature is too strong for the principle) !
Mentre la filosofia dogmatica sotto varie forme credeva di poter con l'aiuto della pura ragione penetrare col pensiero molto al di là del senso, secondo Hume l'immaginazione (imagination) è la sola facoltà che possa muoverci a credere in qualche cosa che non è oggetto di percezione attuale. Su di essa si fonda perciò la fede in un mondo esteriore, indipendente dalla coscienza. Noi non apprendiamo mai l'esistenza ininterrotta degli oggetti, ma solamente una certa costanza ed una certa connessione; ciò basta nondimeno alla nostra immaginazione, la quale prosegue il suo cammino nella direzione in cui una volta si è avviata, per rappresentarsi la maggior uniformità e la maggior connessione che le siano possibili. Noi riempiamo gli interspazi fra le nostre sensazioni e così immaginiamo degli esseri permanenti. Per il medesimo principio si spiega la rappresentazione dell'io. Quanto al concetto di sostanza già si mostrò come esso non abbia alcun valore. Le nostre sensazioni e rappresentazioni, dice Hume, possono benissimo sussistere senza appoggiarsi su di una tale sostanza od esservi inerenti. Se si vuol giustificare la propria fede in una sostanza spirituale devesi indicare una sensazione che ad essa corrisponda, e ciò non è possibile, poiché tutte le sensazioni mutano continuamente. Se si prende la parola " sostanza " in un senso più vago, nel senso di qualche cosa che ha un'esistenza particolare, perché dunque le nostre sensazioni e le nostre rappresentazioni, le quali possono esistere ognuna per se stessa, non debbono essere delle sostanze? Hume mette specialmente in guardia i. metafisici teologizzantí contro la fede in una sostanza spirituale, nella quale le singole sensazioni e rappresentazioni sussisterebbero come modificazioni particolari, poiché con ciò si porgerebbe un pericoloso appoggio allo spinozismo: appunto in questo modo Spinoza ha concepito il rapporto fra Dio e le cose del mondo! Ma anche quando noi abbandoniamo la rappresentazione di una sostanza spirituale e solamente ci chiediamo in che modo si forma la rappresentazione dell'io come espressione della nostra identità individuale, noi ci troviamo avvolti in grandi difficoltà. Nessuna sensazione o rappresentazione è immutabile e costante. Noi troviamo sempre dato un particolare stato interno, ma non mai " noi stessi " come totalità. L'identità che noi ci attribuiamo è della medesima natura di quella che noi attribuiamo agli oggetti esterni: essa non è che una conseguenza della facilità con cui noi passíamo da una sensazione o da una rappresentazione ad un'altra, la quale facilità ci fa obliare quanto sia misterioso il fatto che un elemento possa condurre ad un altro da esso diverso!
Hume eccelle soprattutto nella posizione dei problemi! Egli è in grado, come pochi lo sono, di sviscerare un concetto od un rapporto in modo da svelarne le occulte difficoltà. L'energia della sua riflessione gli rese possibile di mettere a nudo il concetto fondamentale che regge tutto il pensiero pratico degli uomini, tutta la loro scienza positiva, tutta la loro speculazione e tutta la loro religione. Egli mostrò come alla filosofia rimangano sufficienti problemi, anche dopo passato il tempo dei grandi sistemi. Ma per ben vedere tutta la sua importanza si deve studiarlo nella sua opera principale (nel Treatise). Negli Essays' l'indagine è essenzialmente limitata al concetto causale, e dall'esposizione abbreviata e temperata non si può formare un concetto del mondo radicale con cui Hume persegue il " principio unificatone " sotto tutte le sue forme (nella conoscenza matematica, nel concetto dell'io), come pure del metodo che egli applica e specialmente della sua esplicazione della legge dell'espansione. Tuttavia egli riconosce l'attività del principio unificatone, che abbiamo visto essere in sé incomprensibile, sia in quanto assume che noi non abbiamo solamente rappresentazioni di singole cose, ma anche delle loro relazioni (tempo e spazio, rassomiglianza e differenza, ecc.), sia in quanto accoglie l'associazione delle rappresentazioni come un fatto, sia finalmente per l'importanza che egli annette alla tendenza dell'immaginazione ad estendersi e ad ampliarsi, la quale tendenza è in fondo una tendenza della coscienza a conservare l'identità con se stessa, malgrado tutte le differenze. Tutto ciò sta certamente in strana contraddizione con l'assoluta distinzione " sostanziale " delle singole sensazioni e rappresentazioni, che è la presupposizione da cui Hume parte, presupposizione che segna i limiti del suo pensiero. A maggior ragione si potrebbe trovare incomprensibile la distinzione fra gli elementi della nostra coscienza: poiché comprendere vuol dire collegare, trovare una connessione!
Etica
La seconda parte dell'opera principale di Hume tratta dei sentimenti. Per la storia della psicologia essa è di grande importanza: nondimeno noi possiamo qui trattarla come introduzione all'etica la quale formala terza parte dell'opera che Hume pubblicò più tardi in forma più abbreviata sotto il titolo: Inquiry concerning the Principlesof Morals (1751). Nella sua concezione della natura psicologica dei sentimenti egli ha Spinoza per precursore e probabilmente ne subì l'influenza. La sua esposizione è più ricca e più diffusa di quella di Spinoza. Ambedue poggiano la loro concezione sull'importanza delle rappresentazioni e della loro reciproca associazione per lo sviluppo dei sentimenti. Hume mostra come un sentimento si riannoda ad un altro sentimento mediante l'associazione fra le rappresentazioni dei loro oggetti. Le sue dichiarazioni sono indecise per ciò che riguarda la questione se fra i sentimenti ha luogo un'associazione diretta; il più delle volte egli attribuisce ai sentimenti - come pure alle rappresentazioni - la tendenza a riprodurre altri sentimenti (Il, 1, 4; cfr. Dissertation of the Passions, negli Essays), tuttavia in altri passi insegna (II, 2, 8), che non ha luogo alcuna associazione dei sentimenti, quando le rappresentazioni non siano associate. La ragione di questa incertezza è probabilmente la conoscenza che in questi processi il sentimento non si mantiene assolutamente passivo, ciò che Hume vedeva chiaramente, come appare dalla sua dottrina della espansione, che per la sua teoria della conoscenza è di così essenziale importanza. Come psicologo egli esercitò altresì grande influenza per aver energicamente affermato che soltanto il sentimento, e non la pura ragione, può dar origine ad atti volitivi. Fa osservare che le sensazioni e le rappresentazioni sono più facili a rilevarsi che non gli impulsi e le tendenze quando queste non si facciano notare per la loro veemenza. Perciò i primi germi della volontà facilmente sfuggono all'osservazione. Ed allo stesso modo che la volontà ha solamente origine dal sentimento e non dalla sola ragione, così è anche solamente il sentimento che può ostacolare un sentimento e prevenire un'azione (II, 3, 3). Ed anche qui concorda con Spinoza riguardo ad un principio psicologico spesso trascurato il quale ha tuttavia una grande portata. Il sentimento è uno stato originario ed immediato, la ragione invece si manifesta per mezzo della riflessione e della comparazione ed esercita perciò un'influenza sul sentimento solo in quanto esso può sottoporre alla sua critica le rappresentazioni collegate coi 'sentimenti. P, un'imperfezione della psicologia di Hume, il non aver egli rilevato la connessione del sentimento con gli istinti originari. Su questo punto Sbaftesbury vide più chiaro di lui. Hume inclina a considerare gli istinti solamente come derivati (come per esempio nella sua teoria della conoscenza spiega l'istinto causale per mezzo dell'abitudine). In questo punto la sua concezione è limitata dal suo empirismo. Un tratto affine si mostra nella sua concezione della storia alla quale si è rimproverato che essa non tenga conto delle particolarità di razza dei popoli di cui descrive la storia.
L'indagine psicologica intorno al rapporto del sentimento con la ragione è di un'importanza immediata per l'etica di Hume, perché essa contiene la risposta alla questione se la morale si fondi sulla ragione o sul sentimento. La ragione constata solamente rapporti o fatti. Ma un giudizio morale sorge solamente quando si ha un sentimento provocato dalla rappresentazione di un'azione dopo che sono stati presi in considerazione tutti i rapporti ed i fatti riferentisi a quest'azione. Soltanto perché il nostro sentimento vien posto in moto noi chiamiamo le cose buone o cattive. Perciò le qualità morali (bene e male) hanno valore soltanto dal punto di vista dell'essere senziente, appunto come le qualità sensibili hanno valore soltanto dal punto di vista dell'essere percepente'. Ma ciò non toglie alle qualità la loro importanza: in pratica noi applichiamo gli apprezzamenti morali con la stessa sicurezza con cui applichiamo le qualità sensibili, sebbene né queste ultime né i primi esprimano rapporti oggettivi ed eterni (vedi oltre il Treatíse, III, 1, 1, specialmente la dissertazione The Sceptic negli Essays). Hume (che anche in questo punto concorda con Spinoza) è qui in recisa opposizione con quei filosofi moralisti, i quali volevano far derivare la morale dalla sola ragione e consideravano i principi morali come verità eterne, punto di vista che ancora al tempo di Locke veniva affermato da Clarke e da Price (come Cudworth l'aveva affermato contro Hobbes).
La questione che ora s'impone è di vedere da qual sentimento scaturisca la morale. In tutte le azioni e proprietà che sono sottoposte all'approvazione morale si trova questo tratto comune che esse mediatamente od immediatamente riescano di vantaggio a colui stesso che agisce o ad altri. Questo tratto provoca in noi indipendentemente da ogni educazione ed autorità - sensi di approvazione, di stima, talora di ammirazione. E poiché noi approviamo azioni che non tornano di vantaggio a noi stessi, il sentimento che è fondo all'approvazione non può avere un carattere egoistico. Chi esprime giudizi morali abbandona il suo punto di vista personale ed assume un punto di vista che è comune a lui e ad altri. Se noi volessimo apprezzare solamente secondo il nostro proprio interesse, noi non potremmo ottenere alcun apprezzamento comune. Anche quando il riconoscimento della giustizia come una virtù fosse dovuto da principio al bisogno di ogni singolo individuo di godere pace e sicurezza, l'interesse per l'ordine generale della società potrebbe tuttavia solamente venir spiegato con la simpatia per tutto ciò che in generale giova alla conservazione della vita umana. Il motivo che fin dal principio fa di una qualche azione una virtù non ha bisogno di essere quello che più tardi serve di base all'apprezzamento. P- dunque la simpatia ossia il sentimento di socievolezza (Iellow feeling) il vero fondamento della morale. Lo stesso apprezzamento delle virtù, che (come la prudenza nei casi propri) riescono di vantaggio solo a colui che agisce, si spiega nel miglior modo per mezzo della simpatia.
Quanto poi alla simpatia in se stessa, Hume la spiega in armonia con il " principio fondamentale " della sua teoria della conoscenza: essa ha origine da ciò, che la vista o la viva rappresentazione delle manifestazioni o delle cagioni di gioia o di dolore, quindi da ciò, che una pura rappresentazione (idea) per la sua connessione con una sensazione viva diventa sensazione (impression).
L'etica di Hume reca l'impronta di un intelletto lucido e di un nobile cuore. Ma non dobbiamo attenderci di trovare in lui delle spiegazioni sulle profonde crisi e contraddizioni della vita morale. Egli non raccoglie nemmeno l'interessante tentativo di Hutcheson di far derivare il sentimento del dovere dalla simpatia. La resistenza interiore ed esteriore che può incontrare l'elaborazione del carattere etico non lo arresta. Ma egli è chiaramente e pienamente convinto che la morale ha il suo fondamento nella natura umana, e prelude all'importante distinzione che vi è fra il primo motivo dello sviluppo di una proprietà del carattere o di un'istituzione e quel motivo a cui s'informa il posteriore apprezzamento morale. Se lo si è detto spesso uno scettico, questa denominazione non gli conviene certamente come moralista. In una trattazione speciale (A Dialogue, negli Essays) esamina l'obbiezione che potrebbe trarsi dalle contraddizioni che si hanno fra le concezioni morali, i costumi e gli usi di popoli diversi e di tempi diversi. Sarebbe come, egli dice, si trovasse una difficoltà nel corso dei
due fiumi, il Reno ed il Rodano, il primo dei quali scorre verso Nord ed il secondo verso Sud. Ambedue scorrono conformemente ad una medesima legge, alla legge di gravità, in opposta direzione e senza dubbio a causa della diversa inclinazione sul suolo. Quantunque gli uomini, perché sotto rapporti diversi, pervengano a risultati diversi, essi possono benissimo partire dal medesimo principio. Tutto ciò che gli uomini hanno chiamato bene o male è stato qualche cosa che direttamente od indirettamente veniva riguardato per utile o dannoso. Le differenze non scuotono dunque il principio.
Come economista Hume è il precursore più importante di Adamo Smith. Nei suoi scritti di economia politica egli rivela come sia importante il risvegliare l'amore del guadagno. Colla violenza non si creano lavoratori abili. Debbono sorgere bisogni nuovi perché possa sorgere il desiderio del progresso. Se non si presentassero altri bisogni all'infuori di quelli che possono venir soddisfatti mediante il provento minimo del suolo, questo non verrebbe coltivato nel miglior modo possibile. L'agricoltura prospera solamente per un reciproco scambio d'azione col commercio e coll'industria. E per questo mezzo si forma altresì quello stato medio che è la base migliore e più sicura della pubblica libertà. Intorno al problema del rapporto tra l'amore del guadagno e la simpatia Hume, così come Adamo Smith suo amico e successore, non si diffonde maggiormente. Sì l'uno che l'altro non sembrano dubitare che gli effetti dei due motivi siano in armonia.
Filosofia della religione
Il merito maggiore di Hume per ciò che riguarda il problema religioso sta nella sua chiara distinzione fra la questione se sia possibile fondare la religione per via della ragione, e la questione dell'origine reale della religione nella natura umana; distinzione che trova delle analogie e nella sua teoria della conoscenza e nella sua etica. La prima questione vien tratta nei suoi Dialogues on Natural Religion, la seconda nella Natural History of Religion. Per ciò che riguarda quest'ultima, la questione storica, Hume cerca di mostrare che ciò che induce a credere in un essere divino non è un bisogno dell'intelletto. All'opposto, ciò che per il pensatore è un grande scoglio, il mare ed il disordine nella natura, per l'uomo ordinario è appunto un motivo di fede. La fede viene provocata da sentimenti che nascono nel corso della vita: dal timore e
dalla speranza, dall'attesa e dall'incertezza, dall'angoscia dinanzi al mistero. A ciò coopera l'inclinazione generale ad immaginare tutti gli altri esseri come simili agli uomini. La storia sembra mostrare che il politeismo è la religione originaria. E ciò concorda con il naturale processo evolutivo della coscienza che gradatamente si eleva dagli infimi gradi fino ai più alti; nello stato di eccitazione a cui sia la paura, sia l'entusiasmo la conducono, essa innalza sempre più l'oggetto della sua immaginazione e se lo figura sempre più perfetto finché in ultimo perviene alla rappresentazione di un Dio unico, infinito, inconcepibile. Avviene qui nel campo del sentimento religioso un processo di idealizzazione simile a quello che sta a fondamento della formazione dei principi matematici e del principio causale. Il passaggio dal politeismo al monoteismo non può venir spiegato da motivi puramente intellettuali; ma il sentimento ha condotto gli uomini al medesimo risultato a cui conducono le considerazioni della ragione; non può esservi che un Dio solo. Ora dopo raggiunto questo alto punto ha facilmente luogo, come attesta la storia, una reazione. Si fa sentire il bisogno di avere un essere mediatore fra il Dio unico, infinito, puramente spirituale, ed il mondo. Fra questi due poli opposti - fra la concezione superiore del divino, puramente intellettiva, e quella limitata e sensibile - ha luogo un'oscillazione continua. - Per un più minuto esame, Hume trova nell'essenza della religione tendenze e proprietà contrastanti. La sublimità e la rozzezza, la fede e il dubbio, la purezza e l'immortalità, la grandiosità e l'orridezza vi si trovano in uno strano miscuglio. Vi è tanta parte enigmatica nella religione, vi è un così grande contrasto fra le varie religioni, che Hume preferisce ritirarsi nelle quiete, sebbene oscure regioni della filosofia. - Nel saggio Stíi miracoli Hume tratta in modo speciale la questione del soprannaturale. Il suo pensiero principale intorno a ciò è che nessuna testimonianza è sufficiente per stabilire un miracolo, a meno che la falsità della testimonianza fosse un miracolo più grande di quello attestato. Egli afferma tuttavia non esservi nel fatto alcun miracolo che si fondi sopra una testimonianza così sicura.
Per ciò che riguarda la questione della verità della religione è difficile scoprire il punto di vista proprio di Hume, poiché egli ha trattato tale questione in forma dialogica. Egli svolge tre differenti punti di vista. Demea è il rappresentante di un'ortodossia mistica che si basa in parte su principi aprioristici della ragione, in parte su postulati del sentimento. Cleante propugna un deismo nazionalistico a cui serve specialmente di appoggio la finalità della natura. Filone si presenta ora come scettico, ora come naturalista. Che Demea non rappresenti il punto di vista proprio di Hume, non può esservi alcun dubbio. A quanto disse egli stesso, Cleante è l'eroe del dialogo, ma è evidente, e ciò venne espresso da lui stesso nelle sue lettere (Burton I, p. 332, Letters to Straban, p. 330), che le considerazioni di Filone lo interessano maggiormente, sebbene questi alla fine debba rinunziare al suo punto di vista. Il punto di vista di Filone coincide indubbiamente con quello proprio di Hume. I pensieri principali fatti valere da Filone sono i seguenti: - Chi potrebbe biasimarci se noi per rapporto a così grandi e difficili questioni dichiarassimo di non sapere nulla? Esse oltrepassano di gran lunga il campo dell'esperienza, e sistemi si oppongono a sistemi! Contro l'argomentazione di Cleante che dall'ordinamento e dalla finalità della natura deduce l'esistenza di Dio, Filone solleva una serie di obbiezioni: 1) Perché cercare la causa dell'ordine e della finalità della natura fuori del mondo? In questo stesso potrebbero ben agire forze per le quali venissero prodotti l'ordine e l'armonia - forse dopo molti rivolgimenti ed accomodamenti provvisorio. Ed allo stesso modo che l'abilità dell'artefice si svolge per mezzo di tentativi e di prove, così avrebbero potuto succedersi diversi ordinamenti del mondo sempre più perfetti, fino a che ebbe origine il sistema presente, che è quello che offre le condizioni più favorevoli per un'esistenza duratura. 2) L'esperienza ci mostra lo spirito ed il pensiero come fenomeni finiti, limitati. Con qual diritto la totalità del mondo víen spiegata da una parte di esso? Il pensiero stesso ha bisogno, come tutto il resto del mondo, di una spiegazione e quando noi ci arrestiamo ad esso come causa ultima, non avviene ciò per la soddisfazione di ritrovare dietro alle cose il nostro proprio essere, così come ci compiacciamo di vedere nelle nubi la nostra propria figura? 3) Per riguardo al mondo come totalità, può proporsi un problema speciale? Se noi abbiamo spiegato l'origine delle singole parti o fenomeni, l'origine dell'insieme di queste parti come tutto non è un problema speciale. Che noi pensiamo le stesse come una totalità non è che la conseguenza d'un atto arbitrario della conoscenza. 4) Dal mondo, come l'esperienza ce lo mostra, con tutte le sue imperfezioni, con tutti i suoi dolori ed i suoi bisogni, non si può in ogni caso argomentare ad una causa perfetta. In uno dei suoi saggi (Of a Particular Providence and of'a Future State) Hume si propone il seguente dilemma: se nel mondo vi è giustizia noi non abbiamo ragione di cercarne un altro, e se nel mondo non vi è giustizia non si può assumere che esso sia creato da Dio. - Filone non vuole tuttavia negare l'esistenza di Dio. Egli non vuole solamente che si concepisca Dio in troppo stretta analogia con l'uomo. Dichiara che la distinzione fra teista ed ateo, fra dogmatico e scettico non è, in ultima analisi, che una distinzione di nomi: anche il teista concede che lo spirito divino è ben diverso dallo spirito umano; l'ateo, che il principio dominante nel mondo possiede una certa analogia con lo spirito umano; il dogmatico confessa che la sua opinione è collegata a grandi difficoltà, e lo scettico, che noi, nonostante le difficoltà, non potremmo arrestarci al puro dubbio. L'essenziale si è che nessun pregiudizio renda ottusi il naturale amore del prossimo e del sentimento della giustizia.
La trattazione di Hume del problema religioso segna un grande progresso. I suoi dialoghi stanno accanto alla critica della teologia, nella Critica della ragion pura, di Kant come un monumento imperituro. Sì l'una che l'altra di queste due opere attendono ancora una confutazione. Per ciò che riguarda il lato psicologico della religione ben sarebbero necessarie una profondità ed una interiorità maggiore di ciò che non poteva dare il lucido intelletto di Hume; anche per rapporto all'intelligenza storica della religione il suo materiale non era sufficiente. Ma in ambedue i rapporti egli ha annunciato idee che l'indagine ulteriore svolse più ampiamente. Il suo retto metodo empirico dà alle sue indagini un valore duraturo. Egli è il più importante precursore del positivismo moderno.

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