Materie: | Riassunto |
Categoria: | Filosofia |
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Testo
STOICISMO
A partire dal VI secolo a.C., caratterizzato dalla disgregazione dell’ impero macedone con la morte di Alessandro Magno e il potere assunto dai dialochi e dagli epiguri e dalla crisi delle polis greche, la filosofia perde la sua dimensione politica, cambiando la sua finalità. Deve condurre l’ individuo ad una felicità lontana dalla vita politica, nell’ ambito del suo privato. Sorgono dunque scuole filosofiche che ricercano l’ individualità: lo Stoicismo e l’ Epicureismo. Il fondatore della scuola stoica fu Zenone di Cizio, ammiratore di Socrate seguito da Cleante e Crisippo. L’ orientamento generale dello Stoicismo è volto alla ricerca della felicità per mezzo della virtù. Gli stoici ritengono che per giungere alla felicità e la virtù, sia necessaria la scienza (ragione).
Il concetto di filosofia viene così a coincidere con quello della virtù (insieme delle scienze) ed il suo fine è di raggiungere la sapienza. La filosofia si divide quindi in tre rami: Fisica, Etica, Logica.
- La fisica: il concetto fondamentale della fisica stoica è quello di un ordine immutabile, razionale, perfetto e necessario che governa e sostiene tutte le cose e le fa essere e conservare quelle che sono.
Gli stoici individuano due principi fondamentali: il principio attivo (è la ragione, cioè Dio che agendo sulla materia produce gli esseri singoli) e il principio passivo (che è la materia).
La Ragione Divina forma e determina la materia. La materia è la sostanza dalla quale ogni cosa nasce e la forza di cui ogni cosa è fatta è la causa o Dio. Entrambi i principi sono corpo e nient’ altro che corpo, perché solo il corpo esiste; è corpo anche il bene, le emozioni i vizi. Dio stesso come ragione cosmica e causa di tutto è fuoco, ovvero soffio caldo (pneuma), Logos che tutto conserva, alimenta, accresce e sostiene. Dio è la ragione seminale del mondo perché contiene in sé le ragioni seminali secondo cui tutte le cose si generano.
La vita nel mondo ha un suo ciclo: dopo un determinato periodo avviene la conflagrazione e la distruzione di tutti gli esseri e di nuovo si forma il medesimo ordine cosmico, e questo ciclo si ripete eternamente. Tale è infatti il destino, la legge necessaria che regge le cose. Il destino è l’ ordine del mondo, ogni fatto segue ad un’ altro e da esso è necessariamente determinato. Pertanto destino, provvidenza e ragione si identificano tra loro e con Dio, considerato come la natura immanente presente e operante in tutte le cose. Il filosofo deve riconoscere che tutto è necessario. Solo così sarà libero. Identificando Dio con il cosmo, la dottrina stoica è un rigoroso Panteismo. Gli stoici non negavano l’ esistenza di mali nel mondo, solo ritenevano che essi fossero necessari per l’ esistenza del bene. Inoltre tutto è stato creato secondo cause finali, progettato in vista dell’ uomo dal Logos.
- L’ etica: l’ etica degli Stoici è sostanzialmente una tecnica dell’ uso pratico della ragione al fine di stabilire l’ accordo tra la natura e l’ uomo. La massima dell’ etica stoica è: > cioè vivere secondo ragione, secondo virtù. Questa è la vera felicità.
Il bene è una disposizione uniforme e costante, cioè la virtù. Essa appartiene solamente al saggio, cioè chi si identifica con la sapienza stessa. Il saggio è chi possiede la retta ragione, chi agisce sempre bene e virtuosamente; mentre chi ne è privo, lo stolto, agisce malamente e in modo vizioso, poiché ignora il vero bene. Dunque il male è vizio, ignoranza, cioè la condizione dell’ animo umano schiavo delle passioni ossia dei giudizi errati. La virtù invece, è il solo bene in senso assoluto perché costituisce la realizzazione, nell’ uomo, dell’ ordine razionale del mondo.
Un’ altra dottrina tipica della loro etica è quella della cose indifferenti: se la virtù è il solo bene, e il male è il vizio, tutte le altre cose sono indifferenti. Il saggio eserciterà l’ imperturbabilità riguardo a cose indifferenti in quanto necessario. Il saggio quindi si ritroverà in una condizione di indifferenza ad ogni emozione (phatos), detta Apatia (uso retto della ragione in assenza di passioni). Tutti gli uomini, o perlomeno i saggi, sono tutti fratelli di una stessa comunità e tutti cittadini dello stesso universo (pensiero del cosmopolitismo). Infatti in ognuno di noi c’è una scintilla di Logos, ma talvolta ci sarà chi non ne farà un uso adeguato ovvero lo stolto.
Vi è un diritto naturale insito nella ragione che guida l’ uomo a rispettare se stesso e gli altri. Secondo questa teoria non esistono liberi o schiavi, ma ognuno è libero e la sola schiavitù naturale è quella dello stolto (Epitteto).
EPICUREISMO
Il fondatore di questa scuola fu Epicuro, originario di Samo e filosofo ellenistico. La scuola aveva sede nel giardino di Epicuro e fu da qui che i suoi seguaci assunsero il nome di “filosofi del giardino”. L’ autorità di Epicuro sui suoi discepoli era grandissima. Come le altre scuole, formava un’ associazione di carattere religioso, ma la divinità alla quale questa scuola si dedicò, fu il fondatore stesso. Alla scuola potevano partecipare anche le donne, visto che era fondata sulla solidarietà e sull’ amicizia dei suoi membri; le amicizie epicuree furono, per la loro nobiltà, famose in tutto il mondo antico. Epicuro, inoltre esigeva dai suoi seguaci, la stretta osservanza dei suoi insegnamenti. Unno tra i maggiori esponenti di questa scuola fu Lucrezio che con il “ De Rerum Natura” diede un’ esposizione fedele dello stesso movimento.
- La filosofia come quadrifarmaco: Epicuro vede nella filosofia la via per raggiungere la felicità, intesa come liberazione dalle passioni. Il fine , dunque è la felicità: l’ uomo si libera di ogni desiderio irrequieto e molesto.
Il valore della filosofia sta dunque nel servire all’ uomo da quadruplice farmaco:
1- liberare l’ uomo dal timore della morte (dimostrando che essa non è nulla per l’ uomo)
2- liberare gli uomini dal timore degli dei (dimostrando che per la loro natura beata non si occupano delle vicende umane)
3- dimostrare l’ accessibilità del limite del piacere, cioè che il piacere è un bene
4- dimostrare la brevità e la provvisorietà del dolore, cioè la lontananza del limite del male.
La filosofia epicurea si distingue in tre parti: la canonica, l’ etica e la fisica.
- La fisica: la fisica deve essere: 1- materialista, cioè escludere la presenza nel mondo di ogni “anima o principio spirituale”; 2- meccanicistica, cioè che tutto avviene in maniera casuale escludendo quindi ogni finalismo. Poiché la fisica di Democrito rispondeva a questi requisiti, Epitteto la adattò e la fece sua, modificandone alcuni aspetti: per Epicuro, tutto ciò che esiste è corpo e ogni corpo è composto da corpuscoli invisibili (atomi) che si muovono nel vuoto, urtandosi e combinandosi tra loro. Eliminata dal mondo l’ azione divina, Epicuro spiega le leggi che regolano e determinano il movimento degli atomi: il movimento di questi non viene più concepito come movimento in linea retta dall’ alto verso il basso, ma si afferma l’ esistenza di deviazioni dalle traiettorie che sono proprio la causa dell’ urto tra gli atomi e della conseguente creazione delle cose (teoria del Clinamen); questo è l’ unico evento naturale non sottoposto a necessità.
Epicuro ammette l’ esistenza delle divinità e afferma che gli dei abbiano una forma antropomorfa che è la più perfetta e che abitino nell’ intermundia. Conosciamo gli dei perché ci appaiono nei sogni come immagini costituite da atomi, essi però non si curano né del mondo né degli uomini, essi vivono liberi e beati e per ciò non dobbiamo temerli. L’ anima è composta di particelle corporee e dunque la morte sarà priva di sensazioni, perché queste si separeranno; per essere felici, quindi, bisogna eliminare la paura della morte.
- L’ etica: la felicità consiste nel piacere (etica edonista).
La felicità consiste nel piacere stabile ossia nella privazione del dolore ed è quindi definita come Atarassia (assenza di turbamento) e Aponia (assenza di dolore). Epicuro distingue i piaceri in tre categorie: 1- piaceri naturali e necessari (il mangiare); 2- piaceri naturali ma non necessari (mangiare troppo); 3- piaceri vani (la gloria e l’ amore per la politica). Solo i desideri naturali e necessari vanno appagati, gli altri vanno abbandonati e rimossi. Ad esempio per Lucrezio, la passione d’ amore è intesa come una malattia. L’ amicizia è nata dall’ utile, ma essa è un bene per se. L’ amico non è chi cerca sempre l’ utile, né chi lo congiunge mai all’ amicizia.
In quanto alla vita politica, Epicuro riconosceva vantaggi che essa procura all’ uomo, ma consigliava al saggio di rimanere estraneo alla vita politica; precetto questo del “vivi nascosto”.
AGOSTINO
Agostino fu il primo grande teologo dell’ occidente e il centro della sua speculazione coincide con quello della sua personalità. L’ atteggiamento della confessione è quello costante del pensatore e dell’ uomo d’ azione che non ha altro scopo se non quello di essere in pace con se stesso e di essere ciò che deve essere. Perciò egli dichiara di non voler conoscere altro che l’ anima, cioè l’ uomo interiore e Dio, cioè l’ essere nella sua trascendenza. Principale scopo della vita di Agostino è dunque la ricerca, che trova nella ragione la sua disciplina e nella religione le sue radici.
Agostino nacque nel 354 a.C. nell’ Africa romana. Il padre era pagano, la madre cristiana ed esercitò grande influenza sul figlio. Di temperamento ardente, insofferente ai freni, condusse, nel periodo adolescenziale, una vita disordinata e dispersa, di cui si accusò e pentì, nella sua opera “Confessioni”. Passò agli studi filosofici con l’ “Ortensio” di Cicerone; nella sua vita si susseguirono diverse fasi: ad una fase manichea ne seguì una scettica, poi una neo-platonica, fino ad arrivare alla definitiva conversione al cristianesimo tramite il vescovo di Milano Ambrogio. La conversione alla religione cristiana avviene per difendere la dottrina dai suoi avversari, i Pelagiani. Dopo il Sacco di Roma compose “La città di Dio” e morì nel 430 a.C. Altra opera importante “De trinitate” e “Sull’ utilità del credere”.
Agostino è uno dei più grandi filosofi cristiani perché affronta il tema fede-ragione. La ragione filosofica dei greci che opera in maniera autonoma e la fede cristiana, la forma di conoscenza che proviene dall’ alto tramite la rivelazione. Agostino cerca di realizzare un connubio tre le due. Secondo Agostino l’ uomo non può basarsi solamente sulla ragione, sul proprio intelletto, ma deve basarsi sulla fede che interviene su alcune incongruenze che la ragione non potrebbe comprendere. Solo attraverso l’ unione di ragione e fede l’ uomo può ricevere il favore immeritato che lo conduce a Dio e alla salvezza: la Grazia. La salvezza giunge tramite la fede, dopodichè scaturiscono le opere buone dell’ uomo.
“Credo ut intelligam” ovvero credo per capire e quindi trovare la verità; è indispensabile credere in Dio e Cristo che con il suo sacrificio ha salvato l’ umanità, cioè possedere la fede che è quella luce che ci indica il cammino. La grazie è qualche cosa che la ragione umana non può comprendere; per questo Agostino afferma la supremazia della fede sulla ragione, non per questo rifiutandola: la ragione deve essere umile e riconoscere i propri limiti. Ciò che ha mutato la vita di Agostino è l’ amore di Dio che lo ha perdonato e gli ha concesso di osservare nella sua vita la realizzazione della salvezza di Dio. È importante conoscere il modo di arrivare alla felicità, ovvero a Dio, poiché senza di esso, l’ uomo si sente vuoto e inutile. “Ama e fai ciò che vuoi” ovvero amando rispetti gli altri e segui le dottrine cristiane. È dunque importante ringraziare Dio perché è una forma d’ amore e una vita senza amore è priva di senso.
Agostino è uno dei filosofi occidentali che hanno vissuto con maggior tormento, il problema del male. Riluttante a far coesistere la credenza di un Dio buono con la realtà del male, Agostino avrebbe in un primo tempo abbracciato, solamente come uditore, la corrente manichea, secondo la quale, nel mondo, vi erano due principi, uno del bene e l’ altro del male, in eterna lotta tra di loro. Sostenevano inoltre che la materia fosse di per sé un male e il mondo, in quanto creato dal male, fosse anch’ esso male. Negli eletti sorge però un principio luminoso insito nella materia che viene liberato (i manichei praticavano la mortificazione del corpo). Agostino abbandona il manicheismo perché lo ritiene filosoficamente falso e se ne accorge quando interroga il massimo esponente Fausto che non risponde in modo adeguato alle sue domande non riuscendo a motivare le sue affermazioni. Il manicheismo era anche pericoloso, poiché metteva in dubbio alcune dottrine cristiane come l’ incorruttibilità di Dio, che Agostino risolverà con la teoria della giustificazione (teodicea).
Per introdurre il tema del male, Agostino utilizza l’ episodio del “furto delle pere”: solo per il piacere di trasgredire una legge, ruba i frutti da un frutteto. In questo episodio il male rappresenta la trasgressione. In realtà cercando il male solo per un piacere, si cerca il bene, poiché non esistono atti umani protesi verso il male. Agostino afferma che tutto ciò che è, in quanto è, è bene; cioè essere e bene coincidono, mentre il male, metafisicamente parlando, non possiede una sua propria realtà, non ha una sua realtà ontologica, ma è assenza, mancanza, vuoto. Dunque Dio non crea il male perché altrimenti creerebbe il non-essere e ciò è assurdo (teoria teodicea). Per quanto riguarda il male morale ovvero il peccato, agostino afferma che esso è dovuto ad un’ interpretazione perversa di Dio nei suoi attributi, ovvero nella sua essenza. Inconsapevolmente, l’ uomo vuole imitare la potenza di Dio. Inoltre, il peccato, implica l’ inversione della gerarchia dei beni: l’ uomo ama un bene minore rispetto a quello assoluto che è Dio. Nessuna cosa creata, dunque, è male; ma è male attaccarsi ad essa come se fosse Dio. Il male quindi non esiste, perché fa parte di un ordine cosmico che globalmente considerato è bene oppure è dovuto all’ uomo.
Alla fase manichea seguì una fase scettica. Agostino si trasferì in Italia, passa da Roma a Milano dove insegna retorica, “ l’arte del dire”.
La corrente scettica afferma che la verità assoluta non può essere trovata. In questo modo, ovvero ricercandola, ma sapendo di non trovarla, ci si libera del dogmatismo (dottrina che afferma una verità assoluta in quanto di ogni argomento si può dire una cosa e il contrario).
Agostino cade così in una condizione di angoscia e di dubbio che verrà risolta con la cosiddetta “Teoria dell’ illuminazione”. Agostino sostiene che l’ uomo non essendo e non possedendo di per sé la verità, la riceve da Dio che simile ad una vivida luce, illumina la nostra mente, permettendole di apprendere e di giudicare.
La ricerca della verità è un processo legato all’ anima. La verità è il frutto di un processo interno all’ anima, illuminata da Dio. Questo concetto è ripreso dalla dottrina platonica, ma a differenza di questa accetta l’ intervento di Dio. Agostino scopre poi che lo stesso scetticismo è falso in quanto dubitare del dubbio implica una verità assoluta: l’ esistenza del dubbio. È dunque autocontraddittorio.
Trasferitosi a Milano, Agostino conosce il neoplatonismo, corrente filosofica che reinterpreta le dottrine platoniche in chiave religiosa. Il neoplatonismo viene conosciuto da Agostino tramite la ripresa degli scritti di Plotino, maggiore esponente del movimento.
Plotino afferma che Dio è trascendente dall’ uomo, è uno, perfezione, ed è diverso dal mondo che è molteplice. Di Dio non si può dire nulla in quanto trascendente; quindi non più materiale ma spirituale (questo lo avvicina al cristianesimo). Questa dottrina afferma che l’ uomo può avvicinarsi da solo a Dio, raggiungere da solo la salvezza. Questo è il primo punto di contrasto con la dottrina cristiana; il secondo punto è il non riconoscimento dell’ incarnazione di Cristo. Il neoplatonismo serve ad Agostino ad avvicinarsi al cristianesimo: incontra il vescovo di Milano Ambrogio che lo aiuta nell’ interpretazione delle scritture e ad avvicinarsi a Dio. Un esempio è tratto dalla lettera di S. Paolo sulla vita di Abramo, sulle sue due donne: Sara (sua moglie) e Agar (la sua concubina) dalla quale ebbe un figlio. Interpretando il significato allegorico, Sara simboleggia la promessa di Dio, mentre Agar la legge mosaica (l’ uomo rinchiuso dalla legge dei comandamenti). Fino ad allora Agostino aveva letto la Bibbia in modo orgoglioso, solo per il piacere della bellezza letteraria. Le scritture devono essere lette con un ‘ atteggiamento umile, e bisogna professare la fede voluta da Dio. La conversione avviene in un giardino presso Milano; la conversione è il frutto di un lungo processo interiore: si converte quando la sua volontà viene divisa tra il desiderio di Dio e la resistenza interiore che lo allontana da quest’ ultimo. Rompe questo momento di tensione con la lettura della “Lettera ai romani”, che è la vera essenza del cristianesimo. Dopo aver sentito “tolle, lege”: prendi, leggi, Agostino legge il passo in cui si afferma di abbandonare la concupiscenza e di sottomettersi al volere di Dio. In questo modo si converte. nasce la fede, nel cristianesimo, con l’ udire la parola di Cristo e con il vedere spiritualmente l’ amore di Dio. Udire e vedere sono inscindibili nel cristiano.
Dio si presenta all’ anima di Agostino in forma trinitaria: come Essere (cioè colui che è, l’ essere supremo, il padre), Verità (cioè il figlio, il logos, la parola/ragione (trae questa classificazione dal vangelo di S. Giovanni: la verità è un chi non un cosa)) e Amore ( cioè lo Spirito Santo che non conosce peccato). Queste tre persone sono allo stesso tempo divise e unite.
La possibilità di cercare Dio e amarlo è radicata nella stessa natura dell’ uomo. Siamo esseri creati ad immagine e somiglianza del nostro creatore. Questa possibilità di tornare a Dio è inscritta nella natura stessa dell’ uomo, che presenta una struttura trinitaria; infatti l’ uomo è, conosce e ama, proprio come Dio è Essere, Verità e Amore. L’ uomo è composto da tre facoltà: la Memoria (immagine imperfetta dell’ essere), l’ Intelligenza (immagine imperfetta della verità) e la Volontà (immagine imperfetta dell’ amore). La struttura stessa dell’ uomo interiore, rende dunque possibile la ricerca di Dio. L’ uomo può ricercare Dio e amarlo e rapportarsi al suo essere. Agostino afferma inoltre che apprendiamo dal Logos la verità e la partoriamo attraverso una sorta di maieutica.
Uno dei motti fondamentali della dottrina di Agostino è “Ritorna in te stesso e lì troverai la verità”. Non è possibile, infatti, cercare Dio, se non sprofondando nella propria interiorità, se non confessandosi e riconoscendo il vero se stesso. Si instaura quindi un rapporto tra fede e amore, che afferma che il credere è una forma d’ Amore. Oltre alla fede salvifica, esiste anche un’ altro tipo di fede, quella che ci spinge ad agire, immagine imperfetta della fede salvifica. L’ uomo infatti agisce secondo una convinzione morale e ogni uomo ama e ricerca il bene. Questo amore lo guida verso le sue azioni. L’ Amore del cristiano è il volere di Dio. Nell’ opera “Sull’ utilità del credere”, Agostino afferma che credere non è irragionevole. La fede non è dimostrazione, ma intesa come razionalità. Credere in qualcosa che non si riesce a dimostrare è ragionevole, perché l’ uomo credendo ha fiducia in Dio, l’ essere perfettissimo. Bisogna, però, analizzare la natura della fede, poiché alcune portano al dolore e al peccato. Dio giustifica e perdona il credente dei peccati, perché riconosce in lui una parte di sé. L’ io del credente è scisso tra peccatore per natura e parte ricevuta da Dio. Il peccato in sé merita la morte.
Una decisa polemica agostiniana è quella contro il Pelagianesimo. Il monaco irlandese Pelagio, negava che fosse colpa di Adamo, l’ indebolimento radicale della libertà dell’ uomo e quindi la sua capacità di fare del bene. Il peccato d’ Adamo è solo un cattivo esempio che non rende impossibile e non toglie la possibilità all’ uomo di decidere per il meglio. Per Pelagio l’ uomo è naturalmente capace di operare virtuosamente senza bisogno del soccorso straordinario della grazia. Agostino reagisce energicamente, affermando che con Adamo e in Adamo, ha peccato tutta l’ umanità e quindi il genere umano è una sola “massa dannata”, nessun membro della quale può essere sottratto alla dovuta punizione, se non dalla misericordia e dalla non dovuta grazia di Dio. Il primo libero arbitrio, quello donato ad Abramo, consisteva nel “poter non peccare”, perduta questa possibilità, l’ individuo può vincere il peccato solo mediante l’ aiuto della Grazia Divina. Infine, l’ ultima libertà, quella che Dio darà come premio ai beati, è quella di “non poter peccare” in paradiso.
Agostino ha riflettuto sul tema della storia nella sua opera “La città di Dio”, nella quale parla della filosofia della storia e quale sia il significato della storia umana. Questa è segnata dal peccato, anche se tende ad un fine buono, quale la salvezza. Adotta quindi una struttura lineare e non più circolare come i filosofi greci precedenti, che sostenevano la teoria della Palingesi (nascere di nuovo). Il paradiso futuro si distingue da quello di Adamo per l’ assenza del peccato. Questa visione della storia è pessimistica perchè indica la decadenza del genere umano, ma ottimistica perché porta dal peccato alla salvezza.
L’ umanità della storia si divide in due città o comunità: la città di Dio (insieme degli eletti) e la città dell’ Uomo. Ogni gruppo di persone si distingue dall’ altro per il suo fine: principio dell’ amore per Dio (l’ eletto ama sempre tutto di Dio) e principio dell’ amore dell’ Uomo (al centro vi è l’ amore per se stessi che è una forma di egoismo). Le due città sono mescolate all’ interno della storia, ma divise idealmente. La storia è retta dalla lotta di queste due città antitetiche. La visione di Agostino sulla storia è morale, provvidenziale e teologica. Agostino dice che Dio si serve del peccato per condurre l’ uomo al bene. Si interroga poi su che cosa sia l’ Impero Romano e la sua crisi per la storia dell’ umanità. La nobiltà intellettuale romana vede l’ avanzata del cristianesimo e questa crea disordini a Roma. I conservatori pagani, ritengono che la diffusione del cristianesimo sia la ragione della decadenza dell’ impero, mentre Agostino oppone a questa visione quella secondo la quale il paganesimo stesso contiene in sé i germi della decadenza, poiché venera demoni (religione corrotta). Agostino dice, inoltre, che le antiche virtù dei filosofi pagani sono degli splendidi vizi, perché si basavano esclusivamente sulla ragione umana senza l’ aiuto di Dio.
All’ interno degli stati regnano molte guerre e anche se il loro compito è quello di proteggere i cittadini, sono macchiati dal peccato. Quindi, c’è un fine buono ed una realtà cattiva.
ANSELMO D’ AOSTA
Il contrasto tra fede e ragione non ebbe fortuna nella filosofia medievale, che preferì astenersi al principio della loro possibile armonia. La maggior figura di questo periodo è Anselmo d’ Aosta, monaco e poi arcivescovo di Canterbury. Tra le sue opere troviamo il “Monologion” (soliloquio) e il “Proslogion” (discorso rivolto ad altri). Il motto di Anselmo è “credo ut intelligam” (non si può intendere nulla se non si ha fede, ma occorre confermare e dimostrare la fede con motivi razionali.
Anselmo dimostra l’ esistenza di Dio con la prova a posteriori e l’ argomento ontologico. L’ esistenza di Dio è secondo Anselmo una pura verità di ragione: la ragione può dimostrarla con le sole sue forze. Anselmo utilizza due prove.
Prova a posteriori: nel Monologion la dimostrazione parte dall’ esperienza del mondo, regno finalistico. Il mondo è formato da cose contingenti in funzione di un essere necessario, in quanto all’ interno di esse non vi è la ragione del loro esistere. Questo essere necessario è Dio.
Prova ontologica: il Proslogion ricorre ad un’ argomentazione che ricorre dal semplice concetto di Dio alla dimostrazione della sua esistenza.
L’ argomento è rivolto a chi nega tale esistenza. Anche chi nega l’ esistenza di Dio, deve avere il concetto di Dio: “essere di cui non si può pensare nulla di maggiore” e che non esiste nel solo intelletto, perché se così fosse si potrebbe pensare che esistesse anche in realtà e cioè che ci sia qualcosa di maggiore. Ma in tal caso, si penserebbe qualcosa di maggiore dell’ essere di cui non si può pensare nulla di maggiore; ciò è assurdo e contraddittorio, quindi Dio esiste.
L’ argomento ontologico dell’ esistenza di Dio è stato rifiutato dalla maggioranza dei filosofi: Gaunilone (un monaco) oppose sostanzialmente che, anche ammesso che si abbia il concetto di Dio come un’ essere perfettissimo, da questo concetto, non può dedursi l’ esistenza di Dio (l’ isola perfetta divide il piano del pensiero da quello della realtà effettiva). Kant, risolve il problema già affrontato in precedenza da Tommaso: afferma che l’ esistenza di una cosa non è una perfezione (ciò che appartiene ad un’ essenza di una realtà data, nel caso di Dio i suoi attributi), e che l’ esistenza di quella cosa stessa, non è implicata nella sua definizione.
LA FILOSOFIA MEDIEVALE
La filosofia scolastica nasce nelle scuole, realtà che generalmente sorgono in ambiente umano. Le scuole si legano alla presenza di cattedrali, dove durante il periodo medievale l’ autorità che garantiva il potere era il vescovo. Si iniziano a studiare le sacre scritture con la guida dei commenti dei padri della chiesa ovvero la lezione (lezio). Si sviluppano anche gli studi delle sette arti liberali (trivio e quadrivio), poiché preliminari allo studio teologico. All’ interno di questi studi si approfondisce la dialettica collegata alla filosofia, intesa come logica, che serve ad illustrare i contenuti della fede, tramite la ragione. Legame stretto tra logica e teologia.
Uno dei più frequenti temi di discussione fra gli scolastici del medioevo è il cosiddetto “problema degli universali”. Per universali si intendono quei concetti generali che possono venir riferiti a più individui o cose, come ad esempio i generi e le specie. L’ interrogativo che si pone è l’ esistenza o meno di realtà universali e se esse esistono come concetti o nozioni della nostra mente, oppure nella realtà. Le soluzioni fondamentali, sono quelle del realismo e del nominalismo: la prima afferma , mentre l’ altra nega, che gli universali esistono in qualche modo fuori dell’ anima. Nominalismo e realismo di dividono entrambi in moderato e radicale:
Realismo estremo: l’ universale è una res, cosa che esiste al di fuori dell’ intelletto e ha una consistenza ontologica propria. Identifica gli universali con le idee o i modelli tramite cui Dio ha creato il mondo. L’ intelletto di Dio pensa da sempre le idee. Guglielmo di Champoux sosteneva la realtà “sostanziale” dei generi e delle specie.
Realismo moderato: gli universali sono realtà che non esistono unicamente nell’ intelletto, ma anche negli individui stessi, in re (Aristotele). Le cose anche nell’ intelletto umano rappresentato dalla figura di Tommaso d’ Aquino.
Nominalismo estremo: l’ essere esiste soltanto in forma individuale e gli universali rappresentano dei nomi, dei concetti mentali, senza alcun corrispettivo reale (Roscellino crede che gli universali sono dei semplici suoni o flatus voci).
Nominalismo moderato: l’ universale non esiste nelle cose, ma nell’ intelletto, essendo soltanto un segno mentale atto a raccogliere in una stessa classe una serie di individui aventi caratteristiche affini (Ockham).
Abelardo tenta di trovare un compromesso tra le due posizioni: il Concettualismo, ovvero la terza via tra le istanze del nominalismo estremo e il realismo moderato. L’ universale non è né una realtà, né semplicemente un nome; esso è un sermo, un discorso, che implica sempre il riferimento alla cosa significata, cioè che tende a significare o a indicare qualche cosa. Universale: qualcosa che individui hanno in comune, non esiste nella realtà ma rinvia a qualcosa che esiste (l’ umanità).
LA CULTURA ISLAMICO-ARABA
Nel basso medioevo le scuole vengono sostituite dalle universitates, corporazioni e associazioni di mestiere, che riuniscono tutti coloro che svolgono lo stesso mestiere. Associazione trasversale, cioè studente e insegnate. Le universitates godevano di autonomia dalla chiesa e dallo stato. Importanti per la diffusione al loro interno di studi filosofici e letterari prima sconosciuti. Fiorisce, infatti, la filosofia araba, che aveva già assimilato l’ eredità della filosofia e della scienza greca, che ancora rimanevano ignote alla cultura occidentale: la quale conosceva di essere solo ciò che era riuscito a filtrare attraverso l’ opera dei padri della chiesa (traduzione di Aristotele metafisico).
Anche la filosofia araba è una scolastica, cioè un tentativo di trovare una via d’ accesso razionale alla verità rivelata. Questa verità ha molti punti in comune con quella cristiana, mentre su altri le due scolastiche sono inconciliabili. Nella filosofia si possono distinguere due tendenze fondamentali: la neoplatonica e l’ aristotelica; alla seconda appartiene Averroè.
AVERROE’
Il più celebre dei filosofi arabi è Averroè, nato a Cordova in Spagna. Con lui nasce in occidente, l’ Averroismo latino. Scrisse il “Commento grande e medio” e una “parafrasi delle opere di Aristotele”. Aristotele è per Averroè, l’ incarnazione più piena della ragione. La dottrina di Aristotele è la verità stessa e Averroè non si propone di esporla e chiarirla. Il mondo stesso è necessario perché creato necessariamente da Dio. Infatti Dio è perfetto, per cui ciò che egli fa, deve necessariamente seguire da sempre dalla sua perfezione. Il mondo, quindi, non può aver avuto un inizio del tempo, ma deve essere eterno come Dio tesso. L’ ordine del mondo non può essere modificato o infranto, ma dirige la stessa azione dell’ uomo. In Averroè Aristotele viene letto in chiave neoplatonica: nella creazione del mondo da parte di Dio non vi è un atto libero, ma una necessaria manifestazione di Dio stesso, attraverso il pensiero di se stesso e l’ emanazione delle cose come motore immobile. Dio non ha avuto inizio nel tempo, e così da quando c’è Dio deve di conseguenza esserci il mondo, perché il mondo deriva dalla stessa natura di Dio ed è una sua necessaria emanazione.
Un’ altra dottrina tipica è quella dell’ intelletto. Per Aristotele l’ intelletto astrae dal sensibile gli universali. L’ intelletto è formato da: Intelletto Passivo (conosce gli universali in potenza) e l’ Intelletto Attivo (fa passare la conoscenza virtuale in attuale, da potenza in atto).
Dio è paragonato ad una luce che illumina le cose, permettendo di conoscerle in atto. Se l’ intelletto passivo può trasformarsi in attivo, deve avere la stessa natura. L’ uomo non fa che partecipare all’ intelletto divino e da tale partecipazione nasce una disposizione che astrae le forme intelligibili dalle cose e così forma concetti. L’ intelletto è quindi unico per tutti gli uomini, ed è separato dalla loro anima, ed è eterno. L’ intelletto attivo e quello passivo sono simili e dunque universali ed unici. L’ intelletto attivo esterno all’ uomo interviene a trasformare quello passivo. Sopravvive all’ uomo ciò che ha in comune con gli altri uomini e quindi l’ intelletto. In questo, le anime umane non divergono, perché sono tutte partecipi di uno stesso intelletto (passivo e attivo). Non sopravvive invece di noi, ciò che l’ anima ha di particolare, cioè l’ immaginazione (abbiamo ognuno nella nostra mente immagini sensibili che rielaboriamo diversamente). Il punto di contrasto con la dottrina cristiana, si ha invece, sulla negazione dell’ immortalità dell’ anima.
Per l’ islamismo, Dio creò il mondo dal nulla e così ebbe inizio il tempo, mentre invece, per l’ aristotelismo, il mondo è eterno come Dio. Questa non è l’ unica discrepanza tra i due pensieri, infatti, per l’ Islam, Dio ha creato il mondo, ma sarebbe stato libero di non crearlo; Aristotele afferma invece che Dio crea il mondo necessariamente.
TOMMASO D’ AQUINO
L’ opera di Tommaso segna una tappa fondamentale della scolastica. L’ aristotelismo diventa flessibile e docile alle esigenze della spiegazione cristiana. Il compito di Tommaso è quello di trovare una conciliazione tra fede e ragione. Le maggiori opere furono “Il commentario alle sentenze” e “La summa teologica”.
Il rapporto tra la ragione e la rivelazione è alla base del sistema tomistico. All’ uomo che ha come suo fine ultimo Dio, non basta la sola ricerca filosofica fondata sulla ragione, ma deve anche essere istruito alla rivelazione. Quest’ ultima, comunque, non annulla, né rende inutile la ragione, ma la perfeziona. La ragione naturale si subordina alla fede, perché non è in grado di dimostrare ciò che è di pertinenza della fede. La ragione è utile alla fede in quanto: Dimostra i preamboli della fede (l’ esistenza di Dio che è uno che ha quegli attributi rintracciabili nelle cose da lui create), Chiarisce tramite analogie e similitudini, i misteri della rivelazione (la trinità) e Combatte le argomentazioni contrarie alla fede.
La ragione è autonoma, ma quando entra in contrasto con la fede, significa che in qualche punto delle sue dimostrazioni, sta sbagliando.
Dio sta alle creature come il necessario sta al contingente (quindi Dio è necessario e le creature contingenti). La creazione consiste nell’ aggiunta dell’ esistenza all’ essenza, cioè nell’ atto grazie a cui le essenze, passando da potenza in atto, esistono realmente.
La distinzione tra esistenza ed essenza, rappresenta il principio riformatore di cui si è servito Tommaso per accordare l’ aristotelismo con la visione cristiana del mondo. Aristotele, identificando l’ esistenza in atto con la forma, stabiliva dunque che dove c’è forma c’è realtà. La forma era indistruttibile e ingenerabile. Dal suo universo era quindi esclusa la creazione e ogni intervento attivo di Dio nella costituzione delle cose. Per questo il suo sistema era contrario al cristianesimo e poco adatto a esprimere dogmi fondamentali. Tommaso con la distinzione tra essenza ed esistenza, fa scaturire l’ esigenza della creazione dalla stessa costituzione delle sostanze finite. Questo principio deriva dalla filosofia araba. Contro Aricenna, Tommaso afferma che l’ esistenza non rappresenta un accidente accessorio dell’ essenza, ma una perfezione che è costitutiva dell’ ente.
La metafisica: ente, essenza ed esistenza (o atto d’ essere). Il pensiero di Tommaso si configura come una filosofia dell’ essere. Il centro architettonico di questo sistema si trova nell’ opuscolo giovanile “L’ ente e l’ essenza”. Ente ed essenza, sono le prime cose che l’ intelletto concepisce.
Tommaso si sofferma su ente reale, a proposito del quale ha senso parlare di essenza o natura.
Negli esseri finiti, essenza ed esistenza, stanno tra loro in un rapporto di potenza e atto, inoltre quegli esseri che hanno la vita, ma non sono la vita, devono averla ricevuta da un essere che è la vita stessa e che rappresenta la causa prima di tutte le esistenze cioè Dio ossia, l’ essere per antonomasia.
Del resto l’ emanazione implicherebbe un rapporto necessario tra Dio e il mondo e renderebbe Dio dipendente dal mondo. Se così fosse Dio non esisterebbe più.
Partecipazione e analogia: dire che gli esseri finiti sono stati creati da Dio, vorrebbe dire che essi hanno la loro esistenza per partecipazione. La dottrina della partecipazione, implica che il termine “essere”, riferito alle creature, abbia un significato non identico, ma molto simile all’ essere di Dio (principio dell’ analogia dell’ essere). Dio solo è l’ essere per l’ essenza, le creature hanno l’ essere per partecipazione. Esse sono simili a Dio, ma Dio non è simile ad esse, quindi c’è un’ analogia.
Fra Dio (l’ infinito necessario) e le creature (il finito contingente), vi è somiglianza e dissomiglianza al tempo stesso. Partecipazione ed analogia salvaguardano la trascendenza di Dio ed escludono ogni forma di panteismo.
Tommaso procede ad una dimostrazione dell’ esistenza di Dio, articolando le sue prove (chiamate in questo caso vie) in cinque argomenti di fondo. Se Dio è primo nell’ ordine dell’ essere, non lo è nell’ ordine delle conoscenze umane che cominciano dai sensi. Tommaso respinge perciò la prova ontologica di Anselmo: anche se si intende Dio come “ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore”, non se segue che egli lo sia in realtà.
Le cinque vie: 1- Prova cosmologica o aristotelica (tutto ciò che si muove è mosso da altro e per non arrivare all’ infinito, Dio è identificato come Primo Motore Immobile di tutto).
2- Prova causale (nell’ ordine delle cause efficienti non si può risalire all’ infinito perché tutto è causa di qualcosa; Dio viene individuato come Causa Prima incausata).
3- Rapporto tra possibile e necessario (il possibile si spiega come effetto di qualcosa di necessario; Dio viene pensato come Ente necessario ossia una realtà che è di per se stessa necessaria).
4- Prova dei gradi di perfezione (esistono cose più perfette di altre; Dio è la perfezione somma, ovvero causa della bontà e di ogni perfezione).
5- Causa finalistico (le cose naturali appaiono dirette ad un fine, governate da un essere intelligente; Dio viene quindi pensato come l’ intelligenza ordinatrice es. il mondo è un progetto e Dio è il progettista. Questa teoria fu usata dagli illuministi e confutata da Kant).
GUGLIELMO D’ OCKHAM
Guglielmo d’ Ockham è l’ ultima grande figura della scolastica e allo stesso tempo la prima figura dell’ età moderna. Il problema fondamentale ovvero l’ accordo tra la ricerca filosofica e la verità rivelata, viene da Ockham, per la prima volta dichiarato impossibile e svuotato di ogni significato. Il punto i vista di Ockham è quello di un empirismo radicale. Tutto ciò che oltrepassa i limiti dell’ esperienza non può essere conosciuto ne dimostrato dall’ uomo. Il fondamento della dottrina di Ockham, è una teoria dell’ esperienza, che egli espone utilizzando la distinzione tra la conoscenza intuitiva e quella astrattiva. La conoscenza intuitiva consente all’ intelletto di giudicare immediatamente se una realtà esiste o meno, le permette di conoscere la distanza spaziale e qualsiasi altro rapporto tra le cose particolari. La conoscenza astrattiva che deriva da quella intuitiva, prescinde dalla realtà o irrealtà del suo oggetto. Si può avere una conoscenza astrattiva solo di ciò di cui si ha avuto precedentemente una conoscenza intuitiva. La realtà è sempre individuale, e fuori dall’ anima non c’è nulla di universale. Non si ha una conoscenza intuitiva di Dio la cui esistenza ci è però confermata dalla fede rivelata. Tra le opere più importanti vi sono “Il commentario alle sentenze” e “I sette libri di quodlibeta”. La supposizione è il riferimento dei termini ad oggetti diversi dai termini stessi che possono essere cose, persone o altri termini. L’ universale ha una funzione rappresentativa perché indica le caratteristiche affini a tutti gli uomini. Il concetto è un segno delle cose, è il segno naturale della cosa stessa. A differenza della parola è predicabile di più cose. Con l’ affermazione di un empirismo serrato Ockham afferma che le prove di vari filosofi a sostegno dell’ esistenza di Dio e della conciliazione tra ragione e fede, sono ragionevoli persuasioni. Non si può stabilire con certezza se vi è un unico Dio, né se è immutabile.
UMANESIMO E RINASCIMENTO
Nell’ umanesimo le accademie si pongono come centri di elaborazione dell’ alta cultura. Dal punto di vista filosofico si verifica una progressiva laicizzazione e autonomizzazione della conoscenza, avente come principio-guida il rinnovamento globale dell’ uomo nei rapporti con se stesso, gli altri, il mondo e Dio. La prerogativa specifica dell’ uomo risiede nell’ essere artefice di se stesso. La parola d’ ordine diventa “ritorno al principio”. Praticamente nella filosofia, con la riscoperta di Platone e Aristotele, nella vita religiosa, con il ritorno alle fonti del cristianesimo, interpretate in modo differente dalla riforma protestante e cattolica. Nella politica, vi è un approfondimento del concetto di stato e sovranità nell’ indagine sulla natura, che porterà alla nascita della scienza moderna. La visione antropocentrica declina alla fine del rinascimento a causa degli scontri tra Carlo V e Francesco I nel 1520, della riforma protestante con Lutero che nega la capacità della ragione, a causa delle guerre di religione in Francia e della scoperta delle diversità culturali. Il rinascimento mantiene comunque alcuni valori dell’ umanesimo come l’ Humanitas (culto dei classici), la Filantropia (rispetto dell’ uomo e amore) e la Tolleranza.
MONTAIGNE
Il ritorno dell’ uomo a se stesso trova la sua espressione culminante nell’ opera di Montaigne, autore dei “Saggi” composti negli anni ’70 del 1500. “Saggi” significa esperienze: l’ opera è intesa a rintracciare le esperienze espresse negli scritti di autori antichi e moderni e a metterle alla prova in riferimento alle proprie esperienze. Il procedimento di Montaigne è autobiografico: egli vuole raggiungere la conoscenza della natura umana. Lo stoicismo e lo scetticismo sono le due esperienze fondamentali che consentono all’ uomo di raggiungere la sua libertà spirituale. Lo stoicismo ci rende liberi dalla presunzione di sapere e ci dispone alla ricerca. La vita umana è un esperimento continuo che non si conclude mai definitivamente; è contraddizione e ambiguità, è vanità, fumo e vento. Una vita basata unicamente sulla ragione è pazzia. Montaigne condanna qualsiasi tentativo dell’ uomo di evadere dai propri limiti e qualsiasi lamento circa la sorte e la condizione umana (disprezzo di se stessi). Bisogna che l’ uomo accetti la sua condizione e la sua sorte. L’ uomo non deve essere presuntuoso e volere ciò che non possiede. Deve godere la sua vita in ogni suo aspetto come un ubriaco che danza. L’ uomo non deve avere troppi scopi che lo portano alla pazzia; Montaigne promuove il “Carpe diem”.
ERASMO DA ROTTERDAM
L’ aspetto filologico umanistico della riforma religiosa è rappresentato da Erasmo. Fu il più famoso umanista del suo tempo e lavorò ad un testo critico del Nuovo testamento, che tradusse dal greco al latino. Nella lotta religiosa volle rimanere neutrale attirandosi così l’ ostilità sia dei protestanti che dei cattolici. L’ opera più famosa è “Elogio alla follia”. In questo brano lo sguardo di Erasmo spazia sul vasto panorama della stoltezza umana, di cui vede, giudica le molteplici forme, temperando l’ ironia con il sorriso. La follia è vista come movente delle azioni umane, elemento base del vivere sociale. Questo elogio sarà messo in bocca alla follia stessa, personificata: invece di ammonire alla saggezza, rivela come “il granellino di pazzia, sia il vero sale della terra”. Il nome del suo amico Tommaso Moro, significava proprio folle. Erasmo intende criticare i costumi degli uomini, senza però, attaccare nessuno personalmente. Il suo scopo è di divertire, non di stroncare. La follia è una dea di volta in volta illusione, slancio vitale, fantasia, la satira della stoltezza. Viene però intesa come pazzia salutare, che è la vera saggezza (parente stretta di quella pazzia intesa come rifiuto di quella saggezza mondana di cui parla S. Paolo). Invece, la presunta sapienza, che gli uomini lodano, è follia. La follia accomuna a vari concetti profondi, come quando denuncia l’ inerzia dei saggi e vi contrappone l’ ardire dei pazzi che bene o male fanno muovere il mondo. Questo discorso è inteso come contraddittorio poiché è la stessa follia a parlare. Vi è lo stilema del filosofo imbranato.
Pedanteria: termine che indica la stupidità dei grammatici che interpretano all’ infinito alcuni libri.
IL METODO E IL POTERE DELLA SCIENZA
La rivoluzione scientifica: la scienza moderna nasce tra ‘500 e ‘600, ne sono gli artefici Copernico con la rivoluzione astronomica e Galileo con la fondazione del metodo della scienza moderna, ripresa da Newton. La scienza moderna nasce sulla base di scoperte e innovazioni che vengono dal secolo precedente. In questi secoli la visione della natura della scolastica (aristotelica), diventa una visione geocentrica (aristotelico - tolemaica). Il cosmo era pensato finito, con al centro la terra, vi era una differenza qualitativa che lo rendeva disomogeneo: c’era un mondo sublunare e un mondo celeste (etere) che era formato da quattro elementi (quattro sfere) che si muovevano secondo un moto circolare, mentre nel mondo sublunare il moto era dal basso verso l’ alto e viceversa. La differenza di movimenti simboleggia che il movimento del mondo celeste non ha contrari e quindi non corruttibile, non generato ed eterno. Questa visione del modo viene progressivamente messa in crisi. Già Ockham mette in dubbio le differenze qualitative dei due mondi. Ipotizza poi che Dio abbia creato infiniti mondi e non un solo mondo finito. Non si possono fare delle sperimentazioni sulle sole intuizioni; nel ‘400 e nel ‘500 avviene un cambiamento: la natura viene indagata non più come sistema di cause finali, infatti ad ogni fenomeno naturale viene assegnato un fine preciso e viene ricollegato a forze occulte (sconosciute empiricamente). La natura è ora spiegabile qualitativamente e mediante una visione finalistico (insieme di qualità sconosciute). Nasce una nuova scienza e una nuova visione della natura, nuove teorie rette da leggi matematiche; dimostrazioni esprimibili mediante rapporti numerici. La visione qualitativa si trasforma in visione quantitativa. Questa visione si ha già nel rinascimento: la natura viene vista come un insieme di leggi non umane, autonome dall’ uomo. Il filosofo del rinascimento Telesio anticipa il concetto che la natura è qualcosa di indipendente dall’ uomo.
Un’ altro filosofo un portante fu Giordano Bruno, filosofo metafisico che fu arso sul rogo perché ritenuto eretico. Bruno intuisce l’ assenza di un centro fisico del mondo, afferma che l’ universo è infinito e costituito da infiniti mondi. Questa era una verità scandalosa per la visione aristotelico – tolemaica. Per Bruno la natura coincideva con Dio che era la causa prima, infinitamente creatrice in atto. Il mondo era inteso come un effetto infinito di una causa infinita. Il mondo, secondo Giordano Bruno, è omogeneo perché proviene da un’ unica causa.
Questa realtà viene sperimentata da Copernico, che crea il modello eliocentrico, e confermata con un’ affermazione compiuta dal metodo della scienza moderna, da Galileo. A questo punto giunge definitivamente al termine il precedente sistema. Galileo attua una grande e importantissima innovazione e il metodo sperimentale è il suo trampolino di lancio. Il metodo sperimentale si basa su un’ osservazione empirica cioè nell’ esperienza immediata. Galileo parla di sensate esperienze ossia di osservazioni mediante i sensi. Il nuovo metodo di Galileo si divide in: formulare un’ ipotesi esplicativa, fare una verifica, dopodichè si creerà un esperimento (realtà ideale matematica, in grado di verificare le ipotesi formulate dal filosofo). È impossibile trovare in natura l’ aspetto logico e matematico ideale, ma è però possibile crearlo mediante gli esperimenti, che permettono inoltre di aggirare ogni tipo di ostacolo come l’ attrito. Le ipotesi divengono di conseguenza delle teorie, perché si vengono a spiegare in maniera coerente dei fatti osservabili. Se la teoria viene confermata, c’è la convalida o altrimenti la smentita. Nel caso della convalida, la teoria si trasforma in una legge di argomento matematico.
IL METODO SPERIMENTALE GALILEIANO
Il metodo varato da Galileo, serve a smontare pezzo per pezzo, i capisaldi della dottrina aristotelico – tolemaica e serve anche per fondare, da un punto di vista epistemologico (scientifico), la scienza. L’ epistemologia è la filosofia della scienza. Galileo fa una riflessione sui metodi della scienza, che serve per limitare l’ ambito della scienza, cioè la distingue da altri ambiti. Questo è il primo passo di Galileo per distinguere il piano della scienza e quello della fede. Le lettere copernicane, mettono Galileo tra fede e scienza; una di queste lettere, riguardante appunto il tema fede – scienza, è indirizzata a Don Castelli.
Le autorità ecclesiastiche, si dimostrano ostili nei confronti della nuova scienza, poiché essa affermava che la scienza moderna, metteva i crisi alcune dottrine contenute nella Bibbia.
Nel sacro libro vi è un passo dove Giosuè chiede al sole di fermarsi; questo passo è interpretato in modo letterale dagli ecclesiastici: il sole gira attorno alla chiesa.
Per la chiesa contemporanea di Galileo, la Bibbia, era l’ autorità assoluta non solo in ambito religioso, ma anche in ambito scientifico. Questa lettura contrastava con la visione galileiana e copernicana, i quali pensavano che il Sole fosse l’ astro al centro e che la Terra ruotasse intorno ad esso. A questo punto sorse un altro importantissimo problema: era in gioco la credibilità delle sacre scritture, che fino a quel momento non erano mai state messe in discussione. Sorge quindi una domanda: le sacre scritture sono vere solo quando parlano di fede e non quando parlano d’ altro?
Galileo fu per questa sua teoria sottoposto a processo dagli ecclesiastici che sostenevano la dottrina aristotelico – tolemaica in sintonia con il cristianesimo e fu costretto ad abiurare. Nella teoria aristotelico – tolemaica, se una delle due teorie crolla, crollano entrambe. Galileo risponde all’ accusa separando il piano della scienza da quello della fede: la natura (oggetto della scienza) e la Bibbia (base della religione), derivano entrambe da Dio e come tali non possono contraddirsi, viene dunque rivista l’ interpretazione della Bibbia. Se si parla di fede, la Bibbia è la verità assoluta perché essa è stata scritta come guida morale e non come manuale scientifico. Quando vogliamo sapere la natura della scienza, ci affidiamo alle scoperte scientifiche e non alla Bibbia ( la bibbia arbitra del campo etico – religioso, la scienza di quello delle verità naturali). Ci sono oggigiorno, delle chiese evangeliche negli U.S.A, che credono ancora nella Bibbia come verità assoluta anche in campo scientifico.
L’ esperimento è l’ aspetto che consente a Galileo di demolire la filosofia aristotelico – tolemaica. Con il cannocchiale puntato sugli astri, egli fa molte scoperte e rigenera la fisica. Galileo scopre le macchie solari (imperfezioni) e che la superficie lunare è simile a quella terrestre. Giunge quindi alla conclusione che gli astri non sono costituiti da materiale etereo, perché in tal caso sarebbe impossibile che essi brillino di luce propria. Venere è invece simile alla luna, infatti anche lui ha delle fasi come quelle lunari e non brilla di luce propria.
I “Dialoghi sopra i due massimi sistemi del mondo” rappresenta il frutto della ripresa galileiana del sistema aristotelico – tolemaico. In quest’ opera intervengono personaggi immaginari:
Simplicio: pedante, erudito, è a conoscenza di molte cose, ma non della verità; difende Aristotele e la tradizione senza una logica ben precisa (ipse dixi) (è assurda a priori come vera).
Salviati: è un copernicano e rappresenta il punto di vista di Galileo, riesce a dimostrare la falsità del sistema aristotelico – tolemaico; utilizza le forme sperimentali e il metodo matematico – copernicano: Copernico si basa su calcoli matematici delle orbite dei pianeti per dimostrare che la Terra non è al centro dell’ universo.
Sagredo: è un nobile che rappresenta il ricercatore della verità, è il prototipo dell’ individuo curioso, aperto alla verità; occupa una posizione priva di pregiudizi. Arriva alla verità attraverso delle prove. Non accetta le autorità e quindi rimane imparziale, non schierandosi né d una parte ne dall’ altra; si pone invece all’ ascolto di entrambi gli interlocutori. Questo personaggio risulta sempre più convinto della posizione di Galileo; la sua posizione è confermata da esperimenti e dal metodo matematico – scientifico.
Galileo opera i suoi esperimenti non solo in ambienti chiusi, essi infatti vengono anche teorizzati dallo scienziato (la caduta dei gravi). L’ esperimento è la rappresentazione della natura ideale, in quanto non tutte le parti di questo possono esistere in natura. L’ esperimento è il momento induttivo e deduttivo, quindi matematico. La differenza tra l’ esperienza immediata e l’ esperimento, è che al suo interno, vi è un modello di tipo matematico. Nel sistema aristotelico – tolemaico, crolla la differenza qualitativa, la visione geocentrica, ma rimane in Galileo, l’ idea che il cosmo sia finito. Questa teoria verrà ripresa in futuro da Einstein.
Galileo rivoluziona anche l’ ambito della meccanica e della dinamica in chiave antiaristotelica. In Galileo possiamo cogliere degli aspetti che confutano la teoria precedente, infatti Aristotele non conosceva il principio d’ inerzia, secondo lui ogni corpo si muoveva verso il suo luogo naturale, i moti avvenivano quindi secondo natura e per mutarli era necessaria una forza violenta contraria al moto. Il principio d’ inerzia, afferma che se la risultante delle forze che agisce su un corpo è nulla, allora quel corpo permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme. Il primo a formulare questa affermazione fu Galileo; esso affermò anche che se un corpo si muove è perché ad esso viene applicata una forza. La variazione della velocità dei corpi non dipende dal loro peso, ma questo è dovuto all’ attrito e alla massa. Principio: in fisica, in natura, ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.
CARTESIO
Cartesio nasce nella Taurine, frequenta il collegio dei gesuiti, fa un pellegrinaggio verso la Madonna di Loreto, va in Olanda e vive nel periodo della guerra dei trent’ anni. Le sue opere più importanti sono: “Discorso sul metodo”, “Regole per dirigere l’ ingegno” e “Le passioni delle anime”. Cartesio è il vero e proprio fondatore della filosofia moderna, è una sorta di spartiacque ed è un razionalista (il razionalismo è una dottrina filosofica che afferma il primato della ragione in ambito conoscitivo e pratico). Ma che cos’ è per Cartesio la ragione? Nel “Discorso sul metodo”, nella prima parte, afferma che il buon senso, è la cosa tra gli uomini meglio distribuita; egli la chiama: Bona Mens ossia la Ragione. Essa è assimilabile al buon senso, cioè la capacità critica di distinguere il vero dal falso. Tutti possiedono la ragione, e questo è ciò che ci accomuna, non tutti però ne fanno buon uso, ed è per questo motivo che alcuni progrediscono e altri no. Per utilizzarla bene, è necessario un metodo razionale. Il compito della filosofia è perciò quello di trovare un metodo che sia comune a tutte le scienze, nell’ ambito del sapere umano e delle discipline e permetta quindi all’ uomo di progredire. Galileo e Bacone adottano anche loro un metodo, così come Aristotele con la logica, Platone con la dialettica e Socrate con la maieutica. Secondo Cartesio, “L’ edificio del sapere” deve essere costruito su basi solide e queste sono il metodo razionale. Non è questa però la situazione del sapere all’ epoca di Cartesio, bisogna quindi, secondo lui, fare “tabula rasa” di tutte le conoscenze e ricostruire “L’ edificio del sapere” su basi più solide. Per Cartesio possiamo parlare di scienza solo quando il sapere è oggettivo, fondato. Per Cartesio quindi, “L’ edificio del sapere” a lui contemporaneo, è un po’ una “casa a casaccio”; bisogna abbattere l’ edificio e ricostruirlo a partire dalle fondamenta. Questa che attua Cartesio è una critica alle tradizioni, che secondo lui si basano su conoscenze scientifiche e non, messe in ordine assai disordinato. Cartesio è convinto che il metodo adatto per ricostruire il tutto in modo decente, sia quello dell’ intelletto e della ragione. Questo metodo deve contenere al suo interno concetti oggettivi e scientifici, ossia il giusto sapere. Per Cartesio la più grande scoperta è il metodo, che si può adattare e applicare ad ogni cosa. Il metodo cartesiano ha un valore pragmatico, ossia: “Sapere è potere” come per Bacone.
FRANCESCO BACONE
Francesco Bacone scrive, all’ inizio del ‘500, che “Sapere è potere”: quando conosciamo le leggi della natura, possiamo prevedere il verificarsi dei fenomeni. Se conosciamo una causa, conosciamo il suo effetto; ma se così è, l’ uomo può controllare i fenomeni e può modificarli a suo piacimento. Anche Cartesio condivide questo pensiero.
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