Benedetto Croce

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Testo

La ripresa dell’idealismo
Con l’antipositivismo ritornò anche l’idealismo in America, Inghilterra e Italia, inteso come idealismo storico (cioè quello che si rifà precisamente all’idealismo tedesco, che intendeva dimostrare l’unità tra infinito e finito, da non confondere con il più generale idealismo gnoseologico che designa ogni dottrina che riduca la realtà a “idea”, tipico di quasi tutte le dottrine di fine Ottocento – inizio Novecento)
Nella seconda metà dell’Ottocento la dottrina di Hegel ebbe il suo centro nell’Università di Napoli, dove insegnò Bertrando Spaventa, che tentò di sottrarre la filosofia italiana dal provincialismo per riagganciarla all’Europa: la filosofia italiana sembrava rispecchiare solo la cultura dell’Italia; Spaventa, invece, cercò di sottolineare i collegamenti tra i filosofi italiani e quelli del resto del mondo. Discepoli di Spaventa furono Benedetto Croce e Giovanni Gentile.

Benedetto Croce
Croce nacque a Pescasseroli, in Abruzzo, nel 1866 e morì a Napoli nel 1952. Ricco di famiglia, cercò di stare sempre lontano dalle cattedre universitarie e fu libero scrittore, critico di storia e di letteratura e filosofo (passò alla filosofia per definire cosa sono arte e storia). Fu inizialmente grande amico di Gentile per poi staccarsi radicalmente da lui, dichiarandosi antifascista, mentre Gentile diventava l’esponente filosofico ufficiale del regime. Data la sua fama internazionale e tra gli studenti universitari antifascisti, Croce non fu mai toccato dalle squadracce per paura che diventasse un martire: egli poté, quindi, continuare tra le righe dei suoi articoli letterari, a lanciarsi contro il fascismo.
La sua filosofia è definita “storicismo assoluto”: la sua visione di storia è dialettica (anche se in senso un po’ diverso da Hegel), assoluta perché la storia è lo sviluppo dello spirito. Dunque, alla visione meccanicistica della storia tipica dell’illuminismo, egli contrappone una storia libera, perciò, pur essendo un hegeliano, Croce critica Hegel, che dava alla storia la necessità aprioristica). L’unica realtà è lo spirito, che si sviluppa attraverso la forma teoretica e la forma pratica. La forma teoretica è formata da due cosiddetti “distinti” (cioè i gradi dello spirito): l’intuizione del particolare (costituita dall’arte e dalla storia) e l’intuizione dell’universale (logica e filosofia). La forma pratica è formata, invece, dalla volizione (da volontà) del particolare (economia) e dalla volizione dell’universale (etica). Ogni momento dipende dal precedente (la filosofia dall’arte, l’etica dall’economia: l’arte, che è il grande interesse di Croce, non solo non è più subordinata alla filosofia, come lo era in Hegel, ma addirittura ora è la filosofia che dipende dall’arte); lo spirito circola dal particolare all’universale e viceversa. Gentile accusò Croce del fatto che, una volta attraversati i quattro distinti, lo spirito dovrebbe placarsi. Croce rispose che i distinti sono sì autonomi, ma vi è una “molla” che porta lo spirito all’eterno circolo: è la dialettica interna ad ogni distinto (ad esempio, nell’arte al bello si contrappone il brutto, e il contrasto porta lo spirito ad evolversi verso la filosofia).
L’arte è visione o intuizione del particolare: l’artista produce un’immagine che apre a colui che guarda uno spiraglio per riprodurre in sé l’immagine. (per cui questa intuizione è intuizione dell’immagine nella sua pura idealità). L’arte non è un atto utilitario , né un atto morale: la vera moralità dell’artista non è quella che impone di non rappresentare cose deplorevoli ma quella di rappresentare il bello. Quindi, l’arte deve essere totalmente autonoma e perciò Croce fa una polemica contro ogni forma di estetica intellettualistica (l’arte subordinata al vero), edonistica (l’arte subordinata al piacere), utilitaristica (l’arte subordinata all’utile) e moralistica (l’arte subordinata al bene). L’intuizione artistica non è però un fantasticare disordinato: ha come principio che le dà unità il sentimento. In questo senso l’arte è sempre intuizione lirica: è sintesi a priori di sentimento e di immagine (Croce qui si rifece ai romantici che dividevano la creazione dell’opera d’arte in un momento lirico, l’ispirazione, e uno di sviluppo). Inoltre, Croce disse che, pur essendo visione dell’individuale, l’arte ha una sua cosmicità: ogni singola immagine palpita insieme al tutto. Sempre rifacendosi a quella teoria romantica sull’arte, Croce affermò che come intuizione, l’arte si identifica con l’espressione: l’espressione artistica è il concretizzarsi dell’opera d’arte, da non confondere con l’espressione tecnica che è dovuta semplicemente alla necessità pratica di rendere agevole l’opera d’arte per sé e per gli altri e che dipende da conoscenze pratiche. Dalla definizione dell’arte come intuizione ed espressione deriva l’identificazione tra linguaggio e poesia: come la poesia, il linguaggio è l’immagine significante, perché il segno convenzionale con il quale gli uomini comunicano (la parola) suppone già l’immagine. Dall’espressione poetica, che riannoda il particolare all’universale, vanno distinti: l’espressione sentimentale o immediata, che è una pseudoespressione perché priva di teoricità che si determina, più che con linguaggio, con “suoni articolati” (con quest’espressione sono stati creati molti libri, che però non sono poesia, perché nell’espressione poetica il sentimento non preesiste come contenuto già formato ma viene creato insieme con la forma); l’espressione prosastica, che non è espressione poetica ma solo creatrice di simboli o segni di concetti che non sono parole perché non sono immagini o intuizione; l’espressione oratoria, che non è autonoma ma utilitaristica (serve a suscitare particolari stati d’animo); l’espressione letteraria, che è armonia tra le espressioni poetiche e le non – poetiche. Nell’espressione poetica è fondamentale il ritmo: l’espressione poetica è l’intuizione o ritmazione dell’universo.
Secondo Croce, mentre la filologia ha il compito di fornire dati storici, linguistici ecc. per permettere la ricostruzione di un’opera storica, la critica ha il compito di esprimere giudizi che distinguano il bello dal brutto, cioè la poesia dalla non – poesia: ad esempio Croce affermò che Dante nella Divina Commedia riuscì ad essere poeta solo in alcuni passi dell’Inferno (momenti genuinamente lirici nei quali parla della sua Firenze), mentre il resto è mera struttura (insieme di convinzioni filosofiche, religiose, etiche e politiche). Sebbene Croce affermasse l’unità dialettica tra poesia e non – poesia, tutt’oggi i critici di Croce discutono il problema sul come distinguere la poesia dalla non – poesia.
Il tema fondamentale della filosofia di Croce è l’identificazione di storia e filosofia, posta nella Logica: non c’è distinzione tra fatti storici e fatti non – storici (tutto è storia e noi tutti siamo storici). Ogni storia è storia contemporanea: anche i fatti più antichi, si propagano nel presente; quindi le fonti della storia (documenti, rovine…) non hanno altro compito che stimolare nello storiografo ciò che già è in lui (l’uomo è un microcosmo perché compendio di tutta la storia: noi siamo perché frutto del passato). La storia non è mai giustiziera (non vendica mai), è giustificatrice (giustificare nel senso di capire): si possono capire i perché dei fatti, infatti, essendo Croce un hegeliano, affermò che il “no” trova motivo (si giustifica) nell’arrivo; quindi non esistono periodi in cui la storia decade totalmente, perché nella decadenza è già presente la linfa per una nuova rinascita. In seguito agli avvenimenti a lui contemporanei (l’instaurazione del regime fascista), Croce muta leggermente la sua teoria (che altrimenti porterebbe alla passività): la storia è necessaria una volta che è passata (e diventa storiografia ciò che è passato non si può cambiare: è inutile pensare “Se fosse successo questo, allora…”), ma la storia presente è libera e dipende dall’azione di tutti. Dunque il principio della storia è la libertà, mentre il principio della storiografia è la necessarietà. Con l’identità tra filosofia e storia, la prima diventa semplice “metodologia della storiografia” (la filosofia interpreta i fatti storici e ci permette di dare giudizi): alla filosofia non è dato pensare agli universali senza individuarli e storicizzarli, altrimenti essa diventa semplice disputa inconcludente. A chi lo avvicinava ai positivisti (perché esclude la metafisica) rispose che egli è sì contro la metafisica, ma, al contrario dei positivisti, egli crede nello spirito e il suo dio è la libertà. Infine Croce distinse la storia dalla cronaca, distinzione che dipende dall’atteggiamento con cui ci si rivolge ai fatti storici: la storia è qualcosa di vivo, la cronaca è qualcosa di freddo, di morto.
Per Croce, gli unici veri concetti sono i quattro base (bello/brutto, vero/falso, utile/inutile e bene/male), gli altri sono solo pseudoconcetti o finzioni concettuali: etichette che la scienza usa per catalogare tutto. In modo pratico nasce anche l’errore, che cade fuori dalla conoscenza che è sempre verità assoluta: Croce, che è un antipositivista, respinge gli pseudoconcetti, l’errore e la scienza, che vengono considerati non come conoscenze, ma come azioni). Come Hegel aveva “usato” la natura per inserire tutto ciò che è irrazionale e contingente, così Croce inserì nella forma economica tutto ciò che non poté rientrare nell’espressione poetica e nel sapere storico (desideri, appetiti, soddisfazioni e insoddisfazioni, piaceri e dolori…): rifacendosi a Marx (Croce ebbe un grande amico marxista), egli affermò che a spingere nell’azione economica sono i bisogni e l’utile è la finalità maggiore.
Più alta dell’economia è l’etica, che è volizione del bene in senso assoluto (cioè per tutti); a questa teoria appartengono il diritto e lo Stato. Egli identificava la categoria del diritto con quella dell’utilità, riconoscendo la presenza di diritti immorali (il diritto non è immorale, bensì è amorale), e con quella della forza, grazie alla quale il diritto raggiunge il suo determinato scopo. Lo Stato (Etica e politica), quindi, è solo un processo di azioni utili ad un gruppo di persone, perciò lo Stato si attua tutto nel governo e non si distingue da esso (il consenso, anche in democrazia, nasce dalla forza, forza intesa come capacità di imporre la propria idea). Croce critica lo stato etico di Hegel e di Mussolini: l’errore sta nell’aver concepito la vita morale nella forma per essa inadeguata della vita politica (non è detto che il capo di governo, inteso nello stato etico come un padre di famiglia, faccia sempre gli interessi di tutto il popolo). Croce stesso vide l’antecedente storico della sua dottrina nel Machiavelli, che per primo divise morale e politica (rendendo la politica amorale) ed egli stesso identificò la sua dottrina politica con il liberalismo (che più che una dottrina politica, egli la intende come “una concezione totale della realtà”), che come centro ha l’idea della dialettica, giustificando così, teoricamente e storicamente, la concezione opposta (cioè rende giustizia anche alle dittature e ai periodi storici in cui non c’è libertà).
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