Ricerca sui microfoni

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Testo

ISTITUTO TECNICO INDUSTRIALE
S. FEDI DI PISTOIA
ANNO SCOLASTICO 1999/2000
Disciplina: Tecnologia disegno e progettazioni elettroniche
Relazione N 1 Quadrimestre 2°
Argomento: “Microfoni e altoparlanti”
Ore disponibili data inizio data consegna 09/05/2000
Data di correzione ___/____/____/ data di riconsegna e reg. ____/____/____/
Valutazione in decimi sull’elaborato:
Scritto:______________lett._______________________________________
Grafico:_____________lett._______________________________________
Orale:_______________lett.________________________________________
Note dell’insegnante:_____________________________________________
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Firma del docente ___________________________
Firma dello studente__________________________ Data 09/05/2000

Classe Nome: Fabrizio
IV AK Cognome: Bettaccini

Il suono
Il suono è connesso a una compressione e rarefazione della materia. Le onde sonore, ovvero quelle onde longitudinali con frequenza fondamentale compresa tra 16 Hz e 16 KHz (banda di frequenze udibili) e ampiezza tale che quando l’onda incide sull’orecchio provoca una pressione compresa tra 2·10-5 N/m2 e 200 N/m2, si propagano nell’aria perché, con le sue vibrazioni, una sorgente sonora vi produce una serie regolare di variazioni nella normale pressione. Con i loro urti reciproci, le molecole dell’aria trasmettono sempre più lontano dalla sorgente sonora queste oscillazioni nella pressione dell’aria. Infatti, in un’onda sonora, la pressione dell’aria varia, ovvero oscilla, attorno a un valore medio, che è la normale pressione dell’aria in quel momento. La frequenza di un’onda sonora è data appunto dal numero di oscillazioni al secondo nella pressione dell’aria. Il suono è un’onda longitudinale dato che il moto delle molecole d’aria interessate da quest’onda è parallelo alla direzione di propagazione dell’onda.
La velocità di un’onda sonora nell’aria dipende dalla temperatura. Nell’aria a temperatura ambiente (20 °C) e a livello del mare le onde sonore si propagano ad una velocità di 343 m/s. I suoni possono propagarsi anche nei liquidi e nei solidi; in generale, la velocità del suono nei solidi e nei liquidi è maggiore che nei gas. Il suono non può invece propagarsi nel vuoto perché in questa condizione non sono presenti particelle che possono muoversi e urtarsi tra loro.
Le onde sonore presentano gli stessi comportamenti di carattere generale degli altri tipi di onde. Possono, ad esempio, essere riflesse da corpi rigidi, come le pareti di una stanza. Un’onda sonora riflessa prende il nome di eco. In base all’intervallo di tempo che intercorre dall’emissione del suono da parte di una sorgente sonora e il momento in cui l’eco torna dove si trova la sorgente sonora, si può determinare la distanza tra la sorgente sonora e l’oggetto che riflette il suono.
Le onde sonore, inoltre, possono essere diffratte, ovvero dilagare tutt’attorno dopo essere passate attraverso strette aperture. Infine due onde possono interferire, dando origine a “punti morti” in corrispondenza dei nodi, dove il suono risulta indebolito.
La lunghezza d’onda di un’onda sonora corrisponde alla distanza tra due successive zone di compressione. La frequenza e la lunghezza d’onda di un’onda sonora sono collegate alla sua velocità dall’equazione:
v = v · f
Effetto Doppler
Quando una sorgente sonora è in movimento il suono cambia man mano che essa si avvicina o si allontana da noi; ciò è dovuto al fatto che la frequenza del suono è più alta quando la sorgente si avvicina e diminuisce man mano che si allontana. Per mezzo di un ondoscopio è possibile visualizzare che le onde emesse dalla sorgente si allargano in cerchi successivi, ciascuno dei quali ha il proprio centro nel punto in cui si trovava la sorgente sonora al momento in cui quella data onda è stata emessa. La frequenza della sorgente sonora è sempre la stessa, ma, quando essa sta movendosi verso chi riceve il suono, le onde risultano più ravvicinate tra loro nello spazio che intercorre tra la sorgente sonora e il ricevitore. Ne consegue che la lunghezza d’onda si riduce dal valore originario a 1. Dato che la velocità delle onde sonore non varia, aumenta di conseguenza la frequenza del suono percepito dal ricevitore.
Quando invece la sorgente sonora si allontana dal ricevitore, la lunghezza d’onda aumenta a 2, in quanto la frequenza del suono percepito dal ricevitore risulta minore della frequenza del suono emesso dalla sorgente sonora. L’effetto Doppler si ha anche quando a muoversi è il ricevitore, mentre la sorgente sonora è ferma.
Altezza e intensità dei suoni
Le caratteristiche fisiche delle onde sonore vengono determinate i base alla frequenza, alla lunghezza d’onda e all’ampiezza. Le caratteristiche dei suoni vengono definite mediante termini che tengono conto del modo in cui l’uomo percepisce i suoni.
L’altezza del suono, per cui diciamo che un suono è grave o acuto, è essenzialmente la frequenza dell’onda sonora, mentre l’intensità sonora, per cui diciamo che un suono è debole o forte, dipende dall’ampiezza delle onde di variazione di pressione.
L’orecchio umano è estremamente sensibile alle piccole variazioni di pressione dell’aria connesse con i suoni. Esso è infatti capace di percepire ampiezze d’onda di meno di un miliardesimo di atmosfera (pari a circa 2·10-5 N/m2). All’altro estremo del campo uditivo, le variazioni di pressione sonora che provocano già dolore alle orecchie sono un milione di volte maggiori (20 N/m2). E’ da notare, inoltre, che questo valore è meno di un millesimo di atmosfera.
A causa di questa enorme gamma di variazioni di pressione, si preferisce esprimere le ampiezze dei suoni mediante una grandezza chiamata livello di pressione sonora (SPL- Sound Pressure Level) che viene misurato in decibel. Esso dipende dal rapporto tra la variazione di pressione connessa a quel suono (P) e la variazione di pressione del suono più debole udibile dal nostro orecchio (P0), 2·10-5 N/m2, a cui viene assegnato il valore di 0 dB:
dBSPL = 20·lg P/P0
Oltre al livello di pressione sonora è possibile valutare il livello di potenza sonora (WL- Watt Level [1]), definito dal rapporto tra la potenza sonora della sorgente in esame (W) e la potenza sonora della sorgente di riferimento (W0=10-12W), e il livello di intensità sonora (IL- Intesity Level [2]) definito dal rapporto tra I (intensità sonora) e I0=10-12 W/m2 (intensità sonora di riferimento):
dBWL = 10·lg W/W0 [1]
dBIL = 10·lg I/I0 [2]
L’intensità sonora, inoltre, dipende dalla pressione sonora (P), dalla densità del mezzo elastico (L) e dalla velocità dell’onda sonora (v) nel mezzo (per l’aria )0 = 1,3kg/m3, v = 344m/s):
I = P2/2 ·· · v
Microfoni
Il microfono è un dispositivo di conversione di onde sonore in segnali di tipo elettrico elaborabili da qualsiasi circuito elettronico.
La funzione essenziale è la trasduzione di una pressione sonora in una informazione elettrica equivalente, conservando tutti i dettagli della prima in modo tale che, supponendo un sistema di riproduzione perfetto, il segnale si possa nuovamente convertire in suono con il trasduttore inverso o altoparlante, riottenendo il suono originale. Esiste, attualmente, una vasta gamma di modelli di microfoni assai utili nelle applicazioni dove non è richiesta una elevata qualità ma un costo ridotto, mentre in altri casi, ove la fedeltà di riproduzione è molto importante, occorre fare affidamento sugli apparecchi che offrono le migliori prestazioni.
I microfoni, di qualsiasi tipo, vengono definiti da tre parametri fondamentali:
· Sensibilità: esprime il maggiore o minore livello di segnale elettrico prodotto da un microfono in corrispondenza di un determinato livello di eccitazione acustica.
· Risposta in frequenza: misura la capacità di riprodurre con omogeneità tutto lo spettro o gamma di frequenze acustiche richiesto.
· Direttività: indica la capacità del microfono di captare i suoni nelle varie direzioni.
La sensibilità deve essere misurata con un valore di pressione normalizzato, al fine di ottenere significativi confronti tra un modello e l’altro. Si determina misurando il livello della tensione di uscita della capsula microfonica quando sulla membrana è presente la pressione di 1 bar. La tensione è solitamente molto piccola, dell’ordine dei mV, ed è misurata a circuito aperto: ciò implica che l’apparecchio utilizzato per effettuare la misure deve avere una impedenza di ingresso molto elevata, per avvicinarsi alla condizione indicata. Il valore di sensibilità si può anche definire in dB, prendendo come riferimento il livello di 1 mV. Così un livello di -60 dB equivale a una tensione posta 60 dB sotto il riferimento, in pratica 1 mV.
Tutti i valori di sensibilità dei microfoni espressi in dB hanno segno negativo perché non raggiungono in nessun caso il livello di riferimento, e i più sensibili sono quelli che hanno il numero più vicino allo zero.
Un valore normale per un microfono ad alta sensibilità è -59 dB, mentre i meno sensibili hanno livelli di -80 dB. Oltre ai dati prima menzionati si indica anche la frequenza dell’eccitazione acustica presa come riferimento. Nella maggioranza dei casi si utilizza il valore di 1 KHz.
La fedeltà di un microfono è determinata essenzialmente dalla sua risposta in frequenza, rappresentabile graficamente segnando per ogni frequenza sonora ricevuta il livello d’uscita ottenuto ai terminali microfonici. Normalmente esiste una zona abbastanza piana alle medie frequenze con delle cadute laterali agli estremi della banda.
La direttività definisce l’angolo di ripresa dei suoni quando si sistema un determinato microfono. E’ un fattore molto importante, e in funzione delle applicazioni bisogna impiegare dei modelli più o meno direttivi. In effetti, in alcuni casi è conveniente utilizzare microfoni capaci di captare qualsiasi suono prodotto tutt’attorno. In altre occasioni, invece, è più interessante ricevere unicamente quei segnali che provengono da una ben determinata zona, come per esempio nel caso di un oratore o di un determinato strumento musicale. Può anche succedere che, oltre a riprendere le onde frontali, si debba disporre di una certa sensibilità laterale. Tutti questi casi sono risolvibili impiegando adeguati microfoni, definiti dal parametro direttività.
Nella pratica si possono incontrare vari modelli a differente direttività:
· Microfoni unidirezionali che riprendono solo i suoni che si propagano lungo la linea perpendicolare alla parte frontale e su un ridotto angolo intorno alla stessa.
· Microfoni onnidirezionali che riescono a riprendere qualsiasi suono indipendentemente dall’angolo di provenienza rispetto all’asse del microfono.
· Microfoni bidirezionali che riescono a captare le onde frontali e posteriori.
· Microfoni cardioidi si possono paragonare ai microfoni unidirezionali in quanto captano le onde frontali ma su una più ampia regione ai lati dell’asse, e in più includono una parte della zona posteriore.
La struttura fondamentale di un microfono di qualsiasi tipo è formata da una membrana vibrante che riceve le onde sonore e da un elemento elettrico accoppiato meccanicamente alla membrana, sensibile alle oscillazioni trasmesse da essa. Su questa, che si può considerare la parte di base, vi sono differenti progetti in cui si impiegano sensori elettrici con proprietà molto differenti tra loro.
Normalmente la maggior parte dei microfoni si compone di una cella traduttrice propriamente detta, talvolta denominata capsula microfonica, circondata da una serie di elementi di protezione, tra i quali è da includere la carcassa esterna e, in alcuni modelli, un piccolo circuito amplificatore, un sistema di alimentazione che può essere a pile e un interruttore di accensione e spegnimento; a volte si ha anche un piccolo trasformatore di impedenza. Attualmente si hanno si seguenti tipi, normalmente utilizzabili nella pratica:
· Microfoni a carbone
· Microfoni dinamici
· Microfoni piezoelettrici
· Microfoni a condensatore
· Microfoni electret
Microfoni a carbone
Questo tipo di microfono è stato il primo ad essere sviluppato industrialmente.
Le sue principali caratteristiche sono l’elevato livello d’uscita, la notevole robustezza, l’affidabilità e il basso costo, ma ha l’inconveniente di essere poco fedele. Nonostante tutto trova ancora impiego in determinate applicazioni, soprattutto nel campo della trasmissione, con gli apparecchi telefonici.
Il trasduttore elettrico (polvere carboniosa) è sensibile ai movimenti della membrana e modifica di conseguenza il proprio valore di resistenza. Il microfono consta di un cestello metallico contenente finissimi granuli di carbone. Sopra vi è una parte a forma di bolla unita solidamente ad una membrana metallica molto fine, destinata a ricevere le onde sonore. La resistenza elettrica della massa di carbone dipende dalla distanza reciproca tra i granuli e dalla forza di compressione applicata su di essi. In questo modo, a una maggiore pressione sonora corrisponderà inevitabilmente una minore resistenza. Logicamente, questo tipo di microfono non genera nessuna tensione d’uscita, ma produce una variazione di resistenza, per cui deve essere esternamente applicata una corrente continua, che per effetto delle variazioni menzionate è convertita in segnali elettrici in tensione, che possono essere raccolti dai circuiti esterni mediante dei condensatori che impediscano completamente il passaggio della componente continua, o con un trasformatore separatore.
Microfoni dinamici
Il microfono dinamico è uno dei microfoni più popolari e più diffusi attualmente.
Esso è caratterizzato da buone caratteristiche di risposta, facilità d’uso e costo non molto elevato.
Un microfono dinamico, in tutti i modelli, è composto da una capsula sensibile circondata dagli altri elementi che conferiscono al microfono il suo aspetto esterno. La capsula è formata fondamentalmente dagli stessi elementi di un altoparlante dinamico, anche se con dimensioni più ridotte, perché contiene una membrana o diaframma di 1,5n4 cm di diametro, con uno spessore di pochi decimi di mm in materiale plastico, alluminio e anche carta speciale. Questo elemento è unito solidamente con una bobina, che può essere disposta su un cilindro metallico e immersa nel campo magnetico di un magnete permanente. I fili di collegamento della bobina vanno all’esterno dal basso della membrana e sono attaccati a questa. Quando c’è una certa pressione sulla membrana, questa vibra e la bobina scorre avanti e indietro, producendo una variazione del flusso magnetico. In virtù della legge di Faraday appare una tensione ai capi della stessa le cui caratteristiche dipendono direttamente dall’eccitazione acustica ricevuta.
Il diaframma si mantiene in posizione d’equilibrio grazie alla sua relativa rigidità e all’aria contenuta dentro la capsula, compressa ed espansa al suo interno, che fornisce una sorta di movimento antagonista equilibratore. La sensibilità di questo tipo di microfono è relativamente bassa, circa -70 o -80 dB e, in compenso, sono ammesse alte dinamiche, perché si possono riprodurre senza distorsioni apprezzabili suoni superiori ai 120 dB. L’impedenza è abbastanza bassa, si aggira sui 200 circa, e la risposta in frequenza è accettabile (si possono coprire senza problemi bande comprese tra i 60 Hz e i 10 KHz, e in alcuni modelli di elevata qualità la risposta in frequenza è ancora maggiore per l’impiego di due capsule diverse perfettamente accoppiate).
Come direttività, la maggioranza dei modelli è onnidirezionale, anche se la costruzione speciale della capsula può dare tipi cardioidi.
Microfoni piezoelettrici
Il microfono piezoelettrico sfrutta le proprietà di certi materiali che generano una determinata tensione se sottoposti a pressione meccanica. La capsula microfonica è costituita da una membrana, che riceve le onde di pressione acustica, unita mediante una prolunga ad un insieme formato da due lamine di materiale piezoelettrico attaccate e sistemate in opposizione di fase, tra cui esiste una parte metallica finissima da cui si diparte uno dei due terminali di uscita.
Le due superfici superiore ed inferiore sono metallizzate e unite elettricamente con un secondo punto di collegamento. Quando, per effetto del suono, si flettono le membrane e quindi i materiali piezoelettrici, appare in uscita una tensione elettrica proporzionale alla deformazione che è stata prodotta.
La sensibilità è di circa -60 dB e presenta un’elevata impedenza, per cui si può collegare direttamente agli amplificatori utilizzando cavi che non superino i 10 m di lunghezza. La risposta in frequenza si estende da 80 Hz a 10 KHz con una certa alterazione della sensibilità alle alte frequenze per cui è necessario equalizzare il segnale ottenuto. Di solito sono di tipo onnidirezionale.
Microfoni a condensatore
Il microfono a condensatore è il tipo che presenta la più elevata qualità di riproduzione tra tutti i modelli esistenti sul mercato.
La capsula microfonica fondamentale è costituita da un condensatore piano, formato da due piastre conduttrici poste a brevissima distanza l’una dall’altra e separate dall’aria, con funzione di dielettrico. Quella più esterna è costituita da una finissima lamina di materiale plastico con un deposito metallico conduttore su una delle facce e che si comporta come membrana ricevente delle onde acustiche, mentre la seconda armatura è rigida e costituita da metallo conduttore. Tra le due e in assenza di eccitazione acustica si ha un effetto condensatore con capacità variabile tra 40 e 60 pF.
Quando c’è una variazione di pressione, la membrana comincia a vibrare avvicinandosi e allontanandosi dall’armatura fissa e modificando la capacità del condensatore in modo proporzionale all’intensità acustica ricevuta. Questo microfono ha bisogno di una tensione continua di polarizzazione compresa tra 40 e 200 V, a seconda dei modelli, e di una resistenza molto elevata, che completa il circuito di base. Così, la variazione istantanea della capacità si traduce in una variazione di tensione che si verifica tra i capi della resistenza. A causa dell’impedenza molto elevata del microfono a condensatore bisogna fare affidamento su un preamplificatore situato a brevissima distanza, che, oltre ad amplificare il segnale, produce una bassa impedenza d’uscita (la breve distanza si rende necessaria per evitare grandi perdite di segnale sul cavo di collegamento, e ronzii di fondo indesiderati).
Tenendo in considerazione l’amplificatore menzionato, si ottiene un’alta sensibilità, dell’ordine dei -50 dB. La risposta in frequenza è piatta su tutta la banda udibile e di solito di tipo onnidirezionale, anche se si può trasformare in cardioide con un procedimento simile a quello dei microfoni dinamici. Lo svantaggio principale risiede nella necessità di avere una tensione di alimentazione ad un elevato livello.
Microfono electret
Il microfono electret presuppone un certo collegamento con il tipo a condensatore perché si basa sullo stesso principio di funzionamento.
Conserva le stesse eccellenti qualità senza la necessità del sistema di alimentazione.
Il principio di funzionamento è basato sull’impiego di un materiale denominato “electret”, un isolante dielettrico permanentemente polarizzato con cariche elettriche positive e negative situate sulle due facce.
Le lamine utilizzate sono fabbricate a partire da una striscia molto sottile di materiale plastico, riscaldata a circa 200 °C all’interno di un forte campo elettrico creato da due elettrodi paralleli posti a 1 o 2 mm di distanza. Ciò produce un effetto di isolamento delle cariche elettriche della lamina, che restano praticamente fisse quando il materiale si raffredda.
La capsula microfonica è costruita con una armatura fissa simile al tipo a condensatore, e un’altra mobile o membrana costituita da un electret con una delle facce metallizzata. Quando la membrana si muove per effetto del suono, varia la distanza che la separa dall’armatura fissa con cui varia il campo elettrostatico, provocando una tensione tra le due armature condotta all’esterno con un paio di fili conduttori.
Questo tipo di microfono ha una sensibilità compresa tra –50 e –70 dB e presenta una elevata risposta in frequenza.
Consente un ampio margine dinamico, potendo riprodurre senza problemi i 120 dB.
L’impedenza è abbastanza elevata, ma si può ridurre impiegando un piccolo circuito elettrico con transistor FET incorporato nella stessa capsula, con una tensione di alimentazione a basso livello fornita da una pila a 1,5 V.
Le applicazioni dei microfoni a electret hanno avuto un grande sviluppo ed hanno sostituito i microfoni dinamici nelle apparecchiature portatili perché si possono inserire nella stessa struttura senza bisogno di cavi di collegamento.
Altoparlanti
Gli altoparlanti sono degli elementi incaricati di trasformare i segnali elettrici che ricevono in onde sonore udibili dall’orecchio umano. Sono, pertanto, dei trasduttori elettroacustici che svolgono la loro funzione grazie al movimento di una membrana azionata da un dispositivo elettromagnetico o elettrostatico. E’ un componente che non si è molto evoluto col passare del tempo, benché attualmente la sua tecnologia si sia assai sviluppata con l’introduzione di nuovi materiali e processi di fabbricazione.
I primi altoparlanti apparsi sul mercato furono quelli denominati dinamici, che continuano ad essere impiegati senza modifiche fondamentali rispetto ai prototipi.
L’altoparlante dinamico, nella sua forma più semplice, consta dei seguenti elementi:
· Bobina mobile
· Cono
· Magnete
· Struttura di supporto
La bobina mobile è costituita da un certo numero di spire di filo di rame smaltato o di alluminio, di piccola sezione al fine di limitare il peso. Sono avvolte su di un supporto di carta di cartone; nei modelli di alta qualità si impiegano l’alluminio o il bronzo fosforoso, per la maggior facilità con cui dissipano il calore, adattandosi perfettamente alla dilatazione delle spire, senza che si producano deformazioni. L’avvolgimento, generalmente, è formato da due strati, uno all’interno e l’altro all’esterno del supporto, il che fa sì che questo segua le dilatazioni in modo più uniforme. Nei modelli di qualità inferiore si realizza solo lo strato esterno.
Le estremità del filo dell’avvolgimento devono rimanere all’esterno, così da poter applicare il segnale.
Il cono è solidale alla bobina ed è costruito con un particolare cartone fibroso, sottile, tessuto in modo speciale, sul quale viene a volte fatta depositare una pellicola di resina per conferirgli una maggior consistenza. Per molto tempo, questo materiale è stato l’unico a essere utilizzato, ma ultimamente si impiegano anche l’alluminio e alcune materie plastiche. D’altra parte, nei modelli di grandi dimensioni si usa quasi esclusivamente il cartone; in questi il cono ha in realtà la forma di un tronco di cono con un angolo abbastanza ampio, per facilitare la diffusione del suono. E’ unito elasticamente al supporto attraverso le sue due basi circolari, la più piccola delle quali è chiusa da una membrana emisferica.
Negli altoparlanti più piccoli, fondamentalmente destinati alla riproduzione dei suoni più acuti (tweeter), i materiali impiegati per il cono sono l’alluminio e la plastica, però, questo elemento, nella maggioranza dei casi, non ha la forma indicata dal suo nome, ma ha l’aspetto di una cupola sferica, cosa che consente una migliore irradiazione nello spazio delle frequenze più alte. La bobina mobile è unita alla zona periferica della membrana.
Nei modelli di diametro intermedio (midrange), impiegati di solito per la riproduzione di frequenze medie, il cono ha invece la forma convenzionale. I fili di collegamento della bobina escono da due fori praticati sul cono; qui vengono saldati a due cavetti più flessibili e resistenti, che raggiungono il supporto. Questi vengono poi ricoperti con una lacca protettiva che li fissa al cono. L’impiego di cavetti molto flessibili è dovuto al fatto che il cono sarà sottoposto a delle vibrazioni, quelle che producono il suono, che romperebbero rapidamente il filo di rame dell’avvolgimento.
Negli altoparlanti a cupola, i fili non escono attraverso la membrana ma passano all’interno di due canali i quali sono stati ricavati nel supporto. La bobina mobile è immersa nel campo magnetico generato da un magnete permanente, in posizione tale che le linee del campo rimangano perpendicolari alle spire. A questo scopo, il magnete è diviso in due parti: una cilindrica, chiamata espansione polare, e una a forma di corona circolare, che circonda la precedente; la bobina viene collocata tra le due. La separazione tra le due parti è molto ridotta, in modo da ottenere un campo il più forte possibile. Normalmente, la bobina e il magnete sono collocati dietro al cono, vale a dire che, aprendo l’altoparlante nella parte anteriore, si estrarrà per primo il cono e poi la bobina e il magnete. In alcuni modelli, il magnete è inserito all’interno del cono; in questo modo si ottiene una minore profondità dell’insieme, cioè altoparlanti più piatti.
Il gruppo bobina-magnete è solitamente chiamato elemento attivo dell’altoparlante. Il magnete è racchiuso in una struttura metallica per evitare dispersioni del flusso magnetico, mentre la bobina è sospesa elasticamente, in modo che le sia consentito un unico movimento in senso assiale.
Anche il cono è fissato elasticamente, mediante piegature del cono stesso, corone di gomma molto sottili o altri elementi elastici. A prescindere dai tentativi per ottenere altoparlanti in grado di riprodurre tutta la gamma udibile, se si vuole ottenere una buona fedeltà di riproduzione si deve ricorrere a sistemi che impieghino più di un altoparlante, ciascuno dei quali riproduca fedelmente una certa gamma di frequenze, così da coprire tutte le frequenze desiderate.
Gli altoparlanti di dimensioni maggiori vengono impiegati per riprodurre le frequenze più basse e vengono denominati woofer. Sul mercato vi sono anche altoparlanti a doppio cono, che constano di un solo elemento attivo che muove due coni uniti l’uno all’altro per le due circonferenze minori. In questi altoparlanti si produce una separazione meccanica delle frequenze, in quanto ciascun cono risponderà meglio a una determinata gamma; questo sistema può considerarsi più economico di quelli a due o tre altoparlanti.
La scelta di un altoparlante si effettua sulla base di determinate caratteristiche. Le più importanti sono: la risposta in frequenza, la direttività, l’impedenza e la potenza massima irradiabile. Di solito, la risposta in frequenza è espressa da una curva fornita dal costruttore. Sull’asse verticale del diagramma di questa curva compare la potenza acustica, in quello orizzontale la frequenza. Con questa curva si può capire immediatamente il comportamento di un altoparlante alle diverse frequenze della gamma udibile dall’uomo. L’impedenza è determinata dalla resistenza e dalla reattanza induttiva della bobina che dipende dalla frequenza. Pertanto, questo fattore non ha un valore fisso, comunque si adotta quello risultante dal calcolo effettuato per una frequenza di 400 Hz. I valori standard di impedenza sono 2, 4, 8, 16, 25, 50, 100, 400 e 800 o. La potenza massima è la potenza più elevata che può essere applicata all’altoparlante senza danneggiarlo. L’irradiazione di potenza varia con l’angolo in cui si pone l’ascoltatore rispetto all’asse dell’altoparlante. Il valore massimo si ottiene con un angolo di 0°, quello minimo con un angolo di 90°. Attualmente, si costruiscono altri tipi di altoparlanti diversi da quelli dinamici. Si possono citare quelli elettrostatici e quelli piezoelettrici.
I primi sono strutturalmente simili a un condensatore, ovviamente con superfici molto più estese. Una delle due armature è fissa , mentre l’altra è libera. Applicando tra le due una tensione sinusoidale, si produrranno delle forze di attrazione che variano in funzione di quella; di conseguenza l’armatura libera vibrerà producendo dei suoni.
Questi altoparlanti richiedono una tensione di polarizzazione, alla quale viene sovrapposto il segnale utile.
Gli altoparlanti piezoelettrici sfruttano le proprietà di certi materiali, per esempio il cristallo di quarzo, quando vengono tagliati in una determinata maniera. Di solito sono formati da una lamina di uno di questi materiali, alla quale si applica il segnale, che è collegata meccanicamente tramite delle aste a un diaframma o a un cono. Questo produce le vibrazioni che, comunicate all’aria, generano i suoni. Questo tipo di altoparlanti non ha una elevata qualità di riproduzione, e si impiega solo nei casi in cui la fedeltà non è un fattore importante.
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Esempio



  


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