Appunti sulla Divina Commedia

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Categoria:Divina Commedia

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Testo

INTRODUZIONE GENERALE
Genesi
Secondo la concezione dantesca l'oltretomba aveva avuto origine nel momento in cui Dio aveva scagliato giù dai cieli Lucifero, l'angelo ribelle.
Le terre, per non venire in contatto con il corpo di Lucifero, si erano ritratte e in tal modo si era formata una profonda voragine al centro della terra, l'Inferno appunto, mentre, contemporaneamente, nell'emisfero opposto era sorta dalle acque un'altissima montagna, il Purgatorio, che sarebbe esistita fino al giorno del Giudizio Universale.
Questa concezione si innesta sulla teoria tolemaica o geocentrica, secondo la quale la terra, priva di qualsiasi forma di movimento, si trovava, immobile, al centro dell'Universo, mentre intorno ad essa ruotavano il sole e gli altri corpi celesti.
Dante riteneva che fosse abitato solo l'emisfero settentrionale, le cui terre avevano come confine il fiume Gange verso Oriente e le colonne d'Ercole verso Occidente.
Al centro si trovava Gerusalemme, che aveva assistito al sacrificio sulla croce di Cristo.
Tutto l'emisfero meridionale era invece occupato dall'oceano e dalla montagna del Purgatorio, posta esattamente in corrispondenza di Gerusalemme.
L'oltretomba ha quindi una struttura che lega insieme sia le teorie cosmologiche che le convinzioni etiche e religiose di Dante e del suo tempo.

Ordinamento dell'Inferno
L'ordinamento morale dell'Inferno riflette alcuni aspetti dell'Etica nicomachea di Aristotele, desunti da Dante attraverso Tommaso d'Aquino e Brunetto Latini.
Qualsiasi forma di peccato è da ricondurre ad un amore eccessivo o sbagliato verso i beni materiali, oppure verso le creature terrene.
Su queste basi Dante suddivide i peccatori in nove cerchi concentrici, degradanti verso il centro della terra, dove sono puniti i peccati più gravi.

I Cerchi
- Il primo cerchio è il Limbo, dove si trovano le anime dei pagani virtuosi e dei bambini morti prima di ricevere il battesimo: questo cerchio racchiude quindi anime che, pur non avendo peccato con la loro volontà, non ebbero la grazia della salvezza. Per questo motivo esse non sono sottoposte ad una pena fisica, ma, per contrapasso, soffrono perchè sono private di Dio.
- Dal secondo al quinto cerchio vengono puniti coloro che peccarono per "incontinenza", e precisamente i lussuriosi, i golosi, gli avari e prodighi, gli iracondi ed infine gli accidiosi.
- Dopo il quinto cerchio sono le mura della "città di Dite", dove sono puniti i peccati generati dalla "malizia". Nel sesto cerchio vengono collocati gli "epicurei", o meglio gli eretici, che non credettero, durante la loro vita, all'immortalità dell'anima.
- Nel settimo cerchio, diviso in tre gironi, si trovano coloro che hanno peccato per "violenza": contro il prossimo, contro se stessi e contro Dio, natura ed arte.
- L'ottavo e il nono cerchio racchiudono i peccatori fraudolenti.
PERSONAGGI
Ulisse e Diomede

Ulisse, figlio di Laerte e di Anticlea, era il re dell'isola di Itaca.
Non volendo partecipare alla guerra di Troia, per non lasciare senza difese il figlioletto Telemaco e la moglie Penelope, si finse pazzo e si diede a seminare sale sulla spiaggia.
Fu costretto, tuttavia, ad abbandonare la finzione quando gli fu posto il piccolo Telemaco davanti all'aratro con cui fendeva le dune. Durante l'assedio di Troia, Ulisse, si distinse per il coraggio, ma soprattutto per l'astuzia, dono della dea Minerva. Fu proprio la sua geniale idea del cavallo di legno pieno di uomini in armi a volgere a favore dei Greci un assedio che sembrava non avere mai fine, ed il successivo trafugamento del Palladio, la statua che garantiva l'imprendibilità di Troia, assicurò ai Greci la vittoria. Già prima della guerra, inoltre, un suo inganno aveva consentito di smascherare Achille, nascosto in abiti femminili alla reggia di Sciro.
Omero, nell'Odissea, narra il suo viaggio di ritorno ad Itaca, la sua patria, che durò dieci anni e fu caratterizzato da esperienze ed incontri straordinari con popoli e divinità ostili.
La cultura del tempo di Dante ignorava la lingua greca. Dante, quindi, non poteva leggere l'Iliade e l'Odissea, ma la figura di Ulisse gli giungeva attraverso la grande fama di lui sopravvissuta nel Medioevo e gli si precisava attraverso notizie e cenni di scrittori latini per lui fondamentali, quali Virgilio, Cicerone, Seneca, Orazio.
Se l'Ulisse mitologico è l'astuto per eccellenza, in Dante il personaggio si arricchisce di introspezione: egli diviene il simbolo della sete di conoscenza che non vuole riconoscere limiti.
Nessuno degli affetti familiari, infatti, "vincer potero ... l'ardore / ... a divenir del mondo esperto". La colpa di Ulisse, dunque, non risiede solo nell'abilità a costruire inganni, ma nell'abuso delle possibilità, pur positive, della ragione ("fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza" Inf. XXVI,119-120). Diomede fu compagno di Ulisse in tanti inganni inseparabile di tante avventure, era un mitologico eroe greco, nonché uno dei protagonisti della guerra di Troia, e: "E così insieme / a la vendetta (punizione) vanno come a l'ira (il peccato che suscita l'ira divina)" (Inf. XXVI,56-57).
Farinata degli Uberti

Farinata è appellativo di Manente degli Uberti, di antica famiglia fiorentina di parte ghibellina, che viene citato fra gli uomini degni del tempo passato, i Fiorentini "ch'a ben far puoser li 'ngegni". Gli studiosi sono discordi nel valutare la fondatezza dell'accusa di eresia. Certo è che gli eretici contestavano la supremazia religiosa della chiesa di Roma, mentre i ghibellini ne contestavano l'ingerenza politica: la convergenza di finalità causò spesso una certa confusione, sicuramente alimentata dalla propaganda guelfa.
Inf. X, 49-51
"S'ei (i guelfi) fur cacciati, ei tornar d'ogne parte",
rispuos'io lui, "l'una e l'altra fiata;
(dopo la prima cacciata nel 1248 e nel 1267, dopo la battaglia di Benevento)
ma i vostri (i ghibellini) non appreser ben quell'arte".
Gli Uberti, infatti, furono sempre esclusi da qualsiasi grazia: su loro si riversò, implacabile, tutto l'odio dei guelfi fiorentini. L'osservazione di Dante sul bando della famiglia Uberti provoca l'oscuro annuncio dell'esilio che il poeta dovrà soffrire:
Inf. X, 79-81
Ma non cinquanta volte fia raccesa
la faccia della donna che qui regge (la luna),
che tu saprai quanto quell'arte (il ritorno in patria) pesa.
Nell'incontro con Farinata emergono soprattutto due temi, cari alla meditazione dantesca:
1. La disputa politica e la conseguente accusa di eresia
2. Il tema della famiglia: la pena per i propri discendenti esiliati, il dilemma se le colpe dei padri debbano ricadere sui figli. E' lo stesso dilemma di Dante nelle varie occasioni in cui avrebbe potuto far ritorno a Firenze e liberare così dall'esilio i suoi figli maschi.
Gerione
Figlio di Crisaore e di Calliroe, re dell'isola Eritea, Gerione era un gigante con tre teste, sei braccia e sei gambe, cioè con tre corpi uniti su un unico ventre. Possedeva immensi armenti di buoi rossi custoditi dal mostruoso cane Orto, figlio di Echidna.
Nella sua decima fatica, Ercole raggiunse l'isola di Eritea, dove pose i confini del mondo conosciuto (le Colonne d'Ercole), uccise Gerione ed Orto e portò gli armenti ad Argo.
Nella mitologia classica non è considerato un frodatore e le sue caratteristiche sono diverse da quelle descritte da Dante: il poeta ne fa un mostro triforme, col viso umano, il corpo di drago e la coda forcuta e velenosa da scorpione, forse influenzato dalle tante forme fantasiose del simbolismo medievale. Gerione, come Minosse, Caronte, Cerbero, Pluto e Flegias, è uno dei demoni pagani passati nell'inferno cristiano di Dante e collocati poi come guardiani dei vari cerchi, dopo essere stati trasformati in esseri demoniaci sulla traccia dell'interpretazione figurale dei Padri della Chiesa, concludendo, così, il processo di assimilazione della cultura classica, iniziato fin dalle origini del cristianesimo.
Malebranche
Malebranche è il nome collettivo dei diavoli a guardia della quinta bolgia.
I nomi dei singoli diavoli hanno un carattere grottesco e provengono, come sostiene il Torraca, da nomi o soprannomi, derivanti da caratteristiche fisiche o morali, molto diffusi nel Duecento-Trecento e deformati in modo comico.
- Malacoda (Inf. XXI, 76) è il capo del gruppo che tenta di impedire il cammino di Dante che è ancora vivo, ma viene messo a tacere, come già Caronte e Minosse, da Virgilio ("Lascian' andar, chè nel cielo è voluto / ch'i' mostri altrui questo cammin silvestro" Inf. XXI, 83-84).
I dieci diavoli che Malacoda assegna come scorta ai due poeti sono:
- Scarmiglione (Inf. XXI, 105) il cui nome deriva probabilmente dal verbo "scarmigliare", spettinare.
- Alichino (Inf. XXI, 118): il Toschi ha dimostrato la parentela con la maschera di Arlecchino.
- Calcabrina (Inf. XXI, 118): colui che cammina sulla brina, quindi fatuo, leggero.
- Cagnazzo (Inf. XXI, 119): grosso cane.
- Barbariccia (Inf. XXI, 120).
- Libicocco (Inf. XXI, 121): equivalente a vento impetuoso.
- Draghignazzo (Inf. XXI, 121): derivato da ghigno o sghignazzo.
- Ciriatto (Inf. XXI, 122): con il termine "ciro" veniva indicato il maiale, animale lurido legato al tema della presenza demoniaca.
- Graffiacane (Inf. XXI, 122).
- Farfarello (Inf. XXI, 123): in probabile relazione con il folletto, essere mitologico e talvolta demoniaco.
- Rubicante (Inf. XXI, 123): il rabbioso, rosso di rabbia.
Pier della Vigna
Nel 1221, entrò come notaio alla corte imperiale di Federico II. Raggiunse l'apice della carriera nel 1246, quando divenne il consigliere più ascoltato ed il ministro più potente di Federico II.
Da allora l'invidia dei cortigiani fece di tutto per screditarlo agli occhi dell'imperatore, e nel 1249 vi riuscì, coinvolgendo l'incorruttibile uomo politico in un complotto. Piero fu arrestato a Cremona e, trasferito in una cella, venne accecato. Poco dopo, in carcere, si tolse la vita. L'attendibilità dell'accusa di tradimento era un caso ancora discusso fra gli storici del tempo e Dante, qui come in altri luoghi, tenta di ristabilire la verità dei fatti e di darne una interpretazione. Dante si schiera, così, decisamente a favore dell'innocenza (posizione notevole, soprattutto se si considera che Piero era un grande uomo politico di parte imperiale, e quindi ghibellina), che tuttavia non può cancellare il peccato di suicidio.
Inf. XIII, 70-72
L'animo mio, per disdegnoso gusto,
credendo col morir fuggir disdegno,
ingiusto fece me contra me giusto.
Oltre che statista e uomo di provata virtù, Pier della Vigna fu anche un raffinato letterato della Scuola poetica siciliana fiorita alla corte di Federico II, punto di riferimento per i tanti giovani poeti della corte e diretto precursore dello Stilnovismo toscano.
Le interpretazioni
L'interpretazione anagogica consente di collegare il significato letterale del testo ad un significato più alto, che è in corrispondenza con la realtà sovrannaturale, mentre l'interpretazione morale consente di trarre, dalla corrispondenza così stabilita, un valore che sia di stimolo e di supporto all'ascesi spirituale, che sempre in Dante è collegata al raffinamento stilistico ed ideologico.

L'interpretazione allegorica, invece, consente di porre in relazione un concetto con una realtà del mondo sensibile che le corrisponde e che si presta a tratteggiarne con efficacia le caratteristiche.
L'interpretazione figurale si distingue dall'interpretazione allegorica in quanto stabilisce un diretto contatto fra il simbolo e la realtà trascendente cui esso fa riferimento.
Appunto Apertura Canti

Con il termine comedìa, già usato alla fine del canto XVI (verso 128), Dante designa generalmente il proprio poema, perché, come è detto nel De Vulgari Eloquentia (II, IV, 56) e nella lettera indirizzata dal Poeta a Cangrande della Scala (XIII, 29), è scritto in uno stile che non è quello tragico, proprio dei componimenti medievali chiamati "canzoni", e perché la vicenda in esso narrata ha un lieto fine. Lo stile tragico, secondo quello che afferma Dante, si basa su di una rigorosa scelta degli argomenti e delle parole: è uno stile aristocratico; la tragedia, in questa accezione medievale, può trattare solo argomenti elevati e li deve trattare servendosi di un linguaggio selezionato. La commedia invece non ha limitazioni di argomento né di linguaggio. Nel poema di Dante gli argomenti più umili sono trattati con la stessa serietà con cui sono affrontati i più sublimi. Si è parlato perciò, molto opportunamente, a proposito di Dante, di "plurilinguismo" o "poliglottìa... dei generi letterari" (Contini), o di "mescolanza di stili" (Auerbach). A questo proposito deve essere notato che proprio col canto XXI si apre, nella cupa atmosfera infernale, un intermezzo che è stato generalmente definito comico e che è improntato ad un forte realismo. Il linguaggio stilizzato, che è stato proprio di Dante giovane, appare qui del tutto dimenticato. Al posto delle raffinate atmosfere dei dolce stil novo, che si riproporranno approfondite in alcuni passi della seconda e della terza cantica, troviamo, nei canti XXI e XXII dell’Inferno, una spregiudicatezza nel trattare la propria materia che avvicina Dante ai poeti giocosi e realistíci del suo tempo, come, tanto per fare un nome, Cecco Angiolieri.

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