Il voto alle donne

Materie:Tesina
Categoria:Diritto

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Testo

LE DONNE E LA GUERRA
La partecipazione delle donne italiane alla Prima guerra mondiale.
ANGELI DEL FOCOLARE IN GUERRA SENZA USARE ARMI.
Nel 1915, la donna italiana viveva ancora nei limiti imposti da una società patriarcale. Il dominio assoluto del maschio resisteva con tenacia ai mutamenti dei rapporti sociali ed umani. Una resistenza che non fu soltanto del mondo contadino: tenace difensore delle sue prerogative patriarcali fu anche l’operaio, pur essendo egli protagonista di un momento evolutivo politico – economico – sociale nel futuro del quale la donna ebbe – non soltanto per ragioni etiche ma anche per necessità produttiva – un ruolo non più passivo ma decisionale e creativo.
La causa di questa posizione fu chiara, anche se nascosta nell’inconscio di massa. Schiacciato, frustrato dal feroce ritmo della fabbrica, costretto a un rapporto di rigida dipendenza con la nuova gerarchia industriale, l’operaio rifiutò di perdere quel ruolo di “padrone di famiglia” che gli permetteva di compensare l’avvilimento derivato dalla totale subordinazione imposta dalle macchine e dai vari capi. La miccia che fece scoppiare la prima guerra mondiale, già ardeva, le donne italiane furono pronte a fronteggiare gli immani sacrifici che la Patria – meglio dire il Governo, la classe dirigente – stava per chiedere loro. Ma l’apartheid continuò.
Erano ai margini della società, non potevano esprimere la loro opinione alle consultazioni elettorali. Nel 1912 Giolitti riuscì a imporre il suffragio universale ma dalla legge escluse le donne. Potevano votare soltanto gli uomini dai trent’anni, anche se analfabeti. Giolitti espresse l’atteggiamento del Paese: una donna, pur se diplomata o laureata, non poteva “capire le cose della politica”.
Le donne dell’alta borghesia furono entusiaste della guerra: primo perché la loro classe vedeva nell’esito del conflitto forti vantaggi economici derivanti dall’apertura di nuovi mercati, secondo perché, nella maggioranza dei casi, i lori mariti non erano chiamati alla guerra.
Naturalmente i giornali dell’epoca erano interventisti (“Corriere della Sera”, “Giornale d’Italia”, “Resto del Carlino” appartengono a gruppi di industriali e finanzieri) e fecero il possibile per diffondere l’entusiasmo bellico anche fra le donne dei ceti inferiori, le casalinghe mogli di operai, le contadine, le mondine. Ma fra queste donne non si riuscì a far scattare il “gusto della guerra” perché erano donne normali, equilibrate e rese adulte dalla lotta quotidiana per sopravvivere.
Ma queste stesse donne, proprio perché abituate a lottare si buttarono con coraggio a risolvere le enormi difficoltà che la guerra creò sul fronte interno, nei campi, nelle fabbriche, nel settore dei servizi. Il trasferimento al fronte di centinaia di migliaia di uomini lasciò grandi vuoti che minacciavano di bloccare, o per lo meno rallentare la vita del Paese: tuttavia la macchina produttiva continuò a marciare sotto la spinta di reggimenti di donne.
In questo periodo, l’indice della manodopera femminile presente nei campi salì a 6 milioni di unità; la percentuale delle donne impiegate nell’industria tessile aumentò del 60% e il 50% degli impiegati negli uffici erano donne e allo stesso tempo vennero inviati numerosi plotoni di prostitute al fronte, incaricate di “tener alto il morale” dei combattenti.
Le donne portavano il peso di una situazione che si presentava sempre più pesante. Una situazione nella quale l’angelo del focolare doveva allo stesso tempo occuparsi della casa e dei figli e, farsi carico di tutte quelle responsabilità che una volta erano dell’uomo. La moglie del soldato si trovava quindi in una posizione socialmente conflittuale: il sussidio che passava lo Stato non era sufficiente e di conseguenza doveva lavorare fuori casa, ma lavorare in fabbrica, negli uffici o nei campi significava non riuscire a coprire il ruolo di angelo del focolare.
Sussidi e salari aumentarono con grande lentezza rispetto al lievitare del costo della vita. Cominciarono così le prime grandi proteste. Più che giustificate se si considera che nel corso della guerra il potere d’acquisto dei salari andò dimezzandosi, mentre il prezzo della carne quadruplicò. Si videro così i grandi scioperi femminili.
Nell’agosto 1915 le donne fermarono le macchine e incrociarono le braccia nelle fabbriche tessili milanesi. Gli anni di questa guerra che il popolo non voleva, portano alla ribalta le donne non soltanto per le capacità di dare forza – lavoro ma anche per la dimostrazione di coscienza critica, di capacità di reazione contro uno Stato incapace di dare giustizia sociale e di proteggere imparzialmente gli interessi di tutte le categorie di cittadini.
Furono anni durissimi che le donne italiane superarono con una forza morale e una coscienza civile di dimensione tale da poter essere definita eroica.
Alla fine della guerra qualcosa cambiò nella cultura contadina della vecchia Italia. Se dopo la grande battaglia molte donne ripresero il ruolo gregario senza diritti, molte si resero conto che “donna è uguale a uomo” dal momento che dimostrarono di essere capaci di amministrare e di garantire la vita della famiglia da sole, di guidare un tram tanto quanto una protesta popolare. Da questo momento, da questa presa di coscienze, iniziò, sia pur con grande lentezza e non senza dure reazioni, la decadenza della società patriarcale italiana.
Con l’ascesa al potere di Mussolini, il processo evolutivo della società femminile entrò in una fase di stallo. Ci vorrà un’altra guerra mondiale, la seconda, che farà cadere il fascismo. Poi, nel 1948, gli italiani avranno una Costituzione democratica. E le donne avranno diritto di voto.

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