La Divina Commedia

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Testo

LA DIVINA COMMEDIA
INFERNO
Breve introduzione generale alla commedia.
Ognuna delle 3 cantiche è composta da 33 canti strutturati in terzine (il numero tre, rappresentativo della santissima trinità, è ricorrente nell’opera) , il primo canto è una sorta di prologo all’intera opera. I canti sono quindi cento in totale.
Lo scopo della Commedia è quello di, come si legge nell’ep XII; 39, “rimuovere i viventi dallo stato di peccatori per portarli alla redenzione” .
CANTO PRIMO
Il paesaggio è terreno ma siamo già proiettati nell’aldilà. Dante parla per sé stesso ma incarna l’intera umanità (dice nostra vita e non mia vita) in cammino verso la redenzione dal peccato. Il paesaggio terreno già prefigura il cammino “strada, selva e colle” .
Purgatorio
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Inferno
Questo disegno rappresenta la formazione di Inferno e Purgatorio. Quando l’angelo lucifero si ribellò al Signore venne scagliato sulla terra e formò una voragine che diede luogo all’inferno. Con la terra avanzata dalla voragine si formò la collina del purgatorio.
Quello a cui aspira Dante è un rinnovamento non solo spirituale ma anche politico della società del suo tempo, Dante crede nella divisione dei poteri e nell’imperatore (espressione umana della volontà divina).La scissione del potere temporale da quello spirituale avviene in Italia il 20 novembre 1870 con la Breccia di Porta Pia, quando il Papa viene esautorato dal potere temporale.
Il percorso comincia nella primavera del 1300 anno in cui Papa Bonifacio VII bandì il primo Giubileo della chiesa cattolica. (lo deduciamo perché Dante è nato nel 1265 e, avendo egli 35 anni come si capisce dal primo verso, consegue che 1265 + 35 = 1300). Precisamente è il venerdì santo (cfr. Inf. II, 1 e XII, 112).
1. 1 Nel mezzo del cammin di nostra vita
Il mezzo del cammin indica l’età di 35 anni , dato che a quel tempo l’età media era circa 70. (Conv., IV, XXIII, 6-10). La vita, come già detto è nostra perché Dante incarna in sé tutto il genere umano.
Questo verso deriva da una citazione biblica, Salmo 89-10.
1. 2 mi ritrovai per una selva oscura
mi ritrovai . indica l’assenza di volontà esistente nell’essere dentro alla selva. L’uomo è un balia del vizio rappresentato dalla selva e si è ridotto a non avere più la similitudine divina che lo differenziava da piante ed animali. Ma non necessariamente per malvagità, a volte ciò accade per debolezza. Per : dentro. La selva oscura è la selva del peccato e compare già in Dante Conv. “selva erronea di questa vita” libro IV, XXIV, 12. riprende anche la discesa agli inferi di Enea vv. 171/79. la selva rappresenta la corruzione di Firenze e la complessa situazione di scontro fra Chiesa e Stato che si era creata.
1. 3 ché la diritta via era smarrita.
Chè : poiché. La diritta via, ossia quella di ascesa al paradiso. Il verbo “smarrire” è profondamente diverso da “perdere”: infatti mentre il primo termine indica qualcosa che si può ancora recuperare, il secondo indica una perdita non rimediabile in alcun modo.Boccaccia sostiene che la via sia “smarrita” perché chi vuole può ritrovarla, utilizzando il libero arbitrio.
1. 4 Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
Dante non sa descrivere l’aspetto della selva. Ahi indica la forte drammaticità del momento. È la prima introduzione al tema dell’ineffabilità, cioè di quello che non può essere spiegato con le semplici parole; quello che Dante vede e cerca di descrivere quanto meglio può, ma che a volte, è impossibile da esprimere.
1. 5 esta selva selvaggia e aspra e forte
Questa selva priva di presenze umane intricata e difficile da percorrere. Selva selvaggia è una figura retorica chiamata “paronomasia” (in latino annominatio) che consiste nell’affiancare due termini con la stessa radice (vedi anche Inf., ! v. 36, volte volto). Forte vuol dire difficile da percorrere.
1. 6 che nel pensier rinova la paura!
Che al solo pensiero mi fa ancora paura. Anche nel racconto Dante prova le stesse emozioni di quando il viaggio avvenne davvero.
1. 7 Tant'è amara che poco è più morte;
Che poco è più morte: Dante si riferisce alla " seconda morte ", quella dello spirito; soltanto la dannazione; infatti, è poco più amara della selva che; quale simbolo della vita peccaminosa, ne
costituisce una dolorosa anticipazione.
1. 8 ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
1. 9 dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.
Passi di controversa interpretazione : il bene può essere rappresentato da Virgilio, la guida di Dante che rappresenta la ragione, ma anche la possibilità di riscatto offerta all’uomo caduto nel peccato. Le altre cose invece potrebbero sia indicare le fiere sia tutti i movimenti compiuti da dante per sfuggire ad esse, le sue peripezie in breve.
Altre rappresenta anche una diversa difficoltà infatti vi sono due lezioni (lectio : modi diversi di interpretare un termine). Altre potrebbe diventare “alte” cioè cose riferite al paradiso, al bene, alla redenzione. (questa è la lectio facilior ma si preferisce utilizzare la difficilior perché meno banale e più studiata).
1. 10 Io non so ben ridir com'i' v'intrai,
1. 11 tant'era pien di sonno a quel punto
1. 12 che la verace via abbandonai.
Dante non ricorda come ha fatto a ritrovarsi nella selva perché la sua mente non era lucida in quel momento.”Pien di sonno” : il sonno è scritturale cioè deriva dalle sacre scritture , il sonno mentale o dell’anima porta l’uomo a smarrirsi nella selva del peccato. Il sonno è simbolo del peccato stesso (S. Agostino afferma che cadere nel sono dell’anima è come abbandonare Dio). Verace via è una ripresa di diritta via, con variazione aggettivale. Notare come il verso 3 ed il 12 siano fondamentalmente paralleli.
1. 13 Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto,
1. 14 là dove terminava quella valle
1. 15 che m'avea di paura il cor compunto,
Il “ma” è fortemente avversativo , contrappone il peccato alla virtù. La valle è dove c’è la selva . compunto : è un latinismo scritturale (addolorato) deriva dagli atti degli apostoli “compunti sunt cordes”. Avea è una forma sincopata dell’imperfetto aveva.
1. 16 guardai in alto, e vidi le sue spalle
1. 17 vestite già de' raggi del pianeta
1. 18 che mena dritto altrui per ogne calle.
In questi versi la perifrasi indica il sole (che a sua volta è simbolo di Dio) ed abbiamo così indicati tutti e tre i mondi. La selva (inferno), il colle (purgatorio) ed il sole (paradiso). Il sole è l’unica
manifestazione naturale in grado di essere paragonata a Dio (Conv. III, XII, 7). Si noti che Dio non viene mai nominato se non in rari casi e che la parola Cristo rima sempre e solo con sè stessa perchè nessuna parola è degna. Il sole, la luce di Dio non possono altro che condurre alla verace via. (notare che dice sempre dritto).
1. 19 Allor fu la paura un poco queta
1. 20 che nel lago del cor m'era durata
1. 21 la notte ch'i' passai con tanta pieta.
In questi versi Dante dimostra di conoscere tutto quello che c’era da sapere a quel tempo in ogni disciplina. Infatti “lago del cor” era definita la parte del cuore piena di sangue dove si credeva risiedessero le passioni umane (Boccaccio). La notte è il momento del peccato, al sorgere del sole comincia la purificazione. Pieta è un latinismo e deriva da “pietas” ; significa angoscia, affanno.
1. 22 E come quei che con lena affannata
1. 23 uscito fuor del pelago a la riva
1. 24 si volge a l'acqua perigliosa e guata,
E come quei: e come il naufrago che, con respiro (“lena”) affannoso raggiunta la riva, si volge al mare (“pelago”)e osserva ( “guata”) le acque, ancora incredulo di essere in salvo. Perigliosa : pericolosa.
1. 25 così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,
Si sforza di fuggire perchè si sente ancora in pericolo (Boccaccio)..
1. 26 si volse a retro a rimirar lo passo
1. 27 che non lasciò già mai persona viva.
Si voltò indietro a guardare il luogo che non aveva mai risparmiato la vita a nessuno. L’articolo “lo” si utilizza sempre dopo una “r”. Passo : è la selva che non permette la vita spirituale. “che” è complemento oggetto ed indica il corpo.
1. 28 Poi ch'ei posato un poco il corpo lasso,
1. 29 ripresi via per la piaggia diserta,
1. 30 sì che 'l piè fermo sempre era 'l più basso.
“Ei” è un perfetto forte e sta per “ebbi”, “piaggia” (dal latino medievale “plagia”)è il luogo fisico dove finisce la pianura e comincia gradatamente la salita. Diserta : si ricordi che nelle scritture il deserto è il luogo di incontro con Dio per antonomasia. “piede” metafora dell’anima (i piedi dell’anima sono l’amore e la carità). Il verso trenta è una perifrasi che indica la salita durante la quale il piede portante e fermo è quello che rimane sempre più basso.
1. 31 Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta,
1. 32 una lonza leggiera e presta molto,
1. 33 che di pel macolato era coverta;
Ed ecco : biblico (et ecce), vangeli, si usa quando sta per essere narrato un fatto importante; si ripete ben 14 volte in tutto il poema. La lonza è un animale esotico ed è presta, cioè veloce, nonché leggiera, ossia agile. La lonza ha il pelo maculato, si pensa che sia stata vista veramente da Dante in un’esposizione al Palazzo del Podestà a Firenze. Il termine deriva da lince. Dovrebbe rappresentare la lussuria ma le opinioni sono controverse e ci sono altre due interpretazioni (invidia o frode).
1. 34 e non mi si partia dinanzi al volto,
1. 35 anzi 'mpediva tanto il mio cammino,
1. 36 ch'i' fui per ritornar più volte vòlto.
Partia : partire nell’accezione di allontanarsi (dividere). Volte volto : paronomasia. La lonza impediva il cammino di Dante che fu tentato più volte di tornare indietro.
1. 37 Temp'era dal principio del mattino,
1. 38 e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle
1. 39 ch'eran con lui quando l'amor divino
1. 40 mosse di prima quelle cose belle;
Quando l'amor divino: reminiscenza biblica; il sole si trova in congiunzione con la costellazione dell'Ariete (" quelle stelle ") in primavera, come quando Dio creò il mondo (" mosse di prima").
1. 41 sì ch'a bene sperar m'era cagione
1. 42 di quella fiera a la gaetta pelle
1. 43 l'ora del tempo e la dolce stagione;
Dante ha ragione di ben sperare nonostante l’apparizione della lonza. Gaetta è un gallicismo, da caiet : screziato. A la sta per “dalla”.
1. 44 ma non sì che paura non mi desse
1. 45 la vista che m'apparve d'un leone.
Dante era rincuorato di buoni auspici, ma l’apparizione del leone lo sconforta nuovamente. Il leone è allegoria della superbia. Le tre fiere si presentano all’improvviso così come il peccato si pone rapidamente agli occhi dell’uomo. Altre interpretazioni moderne invece lo identificano con l’invidia.
1. 46 Questi parea che contra me venisse
1. 47 con la test'alta e con rabbiosa fame,
1. 48 sì che parea che l'aere ne tremesse.
La testa alta è uno dei simboli più comuni dell’alterigia, della superbia. Il leone era talmente famelico che pareva che l’aria tremasse (latinismo da “tremere”). Il tremore nell’aria è un topos di situazioni eccezionali anche nelle poesie stilnovistiche di Dante.
1 49 Ed una lupa, che di tutte brame
Ed una lupa: si e voluto vedere nelle tre fiere quasi lo specchio della suddivisione dei peccati nell'Inferno : la lupa corrisponderebbe all'incontinenza. Notare come le fiere e la loro pericolosità si sviluppino con climax ascendente.
1. 50 sembiava carca ne la sua magrezza,
1. 51 e molte genti fé già viver grame,
La lupa era così magra che sembrava portare in sé tutte le brame del mondo. Essa rappresenta l’avidità. È una femmina perché sta a rappresentare molto probabilmente la corrotta Curia papale di Bonifacio VIII (il cui simbolo era appunto una lupa), qui Dante si distacca dalla tradizione scritturale infatti nel libro di Geremia la terza fiera è un lupo, non una lupa.
Molte genti è un gallicismo, l’avidità è peccato comune a causa di cui molti uomini soffrono.

1. 52 questa mi porse tanto di gravezza
1. 53 con la paura ch'uscia di sua vista,
1. 54 ch'io perdei la speranza de l'altezza.
A lupa impaurisce dante a tal punto che egli è scoraggiato e non crede di poter salire in cima al colle. Gravezza sta per affanno mentre il v. 54 è una perifrasi che indica il concetto di salvezza.
1. 55 E qual è quei che volontieri acquista,
1. 56 e giugne 'l tempo che perder lo face,
1. 57 che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista;
1. 58 tal mi fece la bestia sanza pace,
1. 59 che, venendomi 'ncontro, a poco a poco
1. 60 mi ripigneva là dove 'l sol tace.
Parafrasi : e come chi accumula ricchezze / ed all’improvviso le perde / e si dispera per questo / lo stesso effetto mi fece la lupa / che venendo lentamente verso di me / mi spingeva di nuovo verso l’ombrosa selva. La lupa è senza pace, ma anche chi la incontra ; questa è una chiara trasposizione allegorica della realtà sociale del tempo in cui l’avidità e la corruzione si espandono come una malattia contagiosa. Solo la lupa, fra le fiere, è capace di spingere di nuovo Dante sulla via della perdizione. Dove ‘l sol tace => sinestesia (unione di due sensi diversi, in questo caso udito e vista).
Dove il sol tace potrebbe anche stare ad indicare l’Inferno stesso, dove l’armonia divina (il sole, ricordiamolo, è rappresentazione di Dio) manca e non v’è l’alternarsi di buio e luce.
1. 61 Mentre ch'i' rovinava in basso loco,
1. 62 dinanzi a li occhi mi si fu offerto
1. 63 chi per lungo silenzio parea fioco.
1. 64 Quando vidi costui nel gran diserto,
1. 65 «*Miserere* di me», gridai a lui,
1. 66 «qual che tu sii, od ombra od omo certo!».
Rovinare : precipitare (indica sia la precipitazione fisica che morale). Ritroviamo l’espressione anche in Dante, Conv. IV, VII; che si rifà alla Bibbia, ai proverbi.
Chi per lungo silenzio : Virgilio rappresenta la ragione umana e, quindi, la sua voce appare sommessa, al peccatore che, vivendo nel vizio, dalla retta ragione si è allontanato. Ma questo non vuol dire che Virgilio abbia dimostrato di esser "fioco " con atti o gesti infatti non ha ancora nemmeno parlato. Senza forzare il valore letterale del verso, può benissimo intendersi che, nella cornice tra terrena e oltremondana, offerta dal paesaggio del I canto, l'apparizione di un essere, che Dante non riesce a distinguere se sia ombra o persona umana, suggerisce al poeta l'immagine di uno spirito, quasi di uno spettro che, se dovesse parlare, parlerebbe con voce simile all'evanescente immagine sua. Questa interpretazione concorda anche perfettamente con il sostantivo “ombra” del v. 66.
Il gran diserto è lo stesso di Purgatorio XI, v. 12.
Miserere : abbi pietà di me, è una ripresa scritturale con il salmo 50°, ma anche classica infatti Enea nel Vi canto dell’Eneide, lo dice quando incontra la Sibilla.
Certo : uomo in carne e ossa; l’allitterazione della “o” al verso 66 serve per porre l’accento sul fatto.
1. 67 Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,
1. 68 e li parenti miei furon lombardi,
1. 69 mantoani per patria ambedui.
Rispuosemi : dittongazione (o => uo) e toblebussafia ( cioè il complemento di termine è posposto anziché anteposto rispuosemi anziché mi rispose). Virgilio parla esattamente come nell’Eneide. Non sono uomo, ma lo sono stato dice (quindi è uno spirito e Dante aveva visto giusto).
Patria non è la nazione ma il luogo di nascita.
1. 70 Nacqui *sub Iulio*, ancor che fosse tardi,
1. 71 e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto
1. 72 nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
Sub Iulio : in latino la nascita si indicava spesso nominando il regno sotto il quale si era nati, si noti però che Giulio cesare non fu mai incoronato imperatore (il primo che ne parla in questi termini è Svetonio). Con Cesare si introduce il concetto della monarchia (De Monarchia)

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