La Divina Commedia

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Testo

Divina Commedia
-Canto I, Inferno,Virgilio
Dante è smarrito nella selva oscura, e dopo essere uscito dal suo smarrimento intrapresa la strada che dovrebbe portarlo verso la luce del sole attraverso il colle, simbolo della purificazione, viene fermato da lonza, lupa e leone. La lupa è il pericolo maggiore per Dante mentre lonza e leone sono meno assetati del suo corpo. La lonza è l’invidia o Firenze o la frode, il leone rappresenta o la superbia o la monarchia francese o la violenza, la lupa invece o l’avarizia o la curia romana o l’incontinenza. C’è poi la figura del veltro, personaggio misterioso dalla dubbia precisazione: rappresenta la forza della virtù che alla fine avrà ragione sui vizi simboleggiati dalla lupa; forse rappresenta un papa o un santo, forse Arrigo VII o Cangrande della Scala o forse Dante stesso nella sua missione di precettore. Appare poi Virgilio che invita al viaggio Dante che titubante segue la sua guida, simbolo di ragione umana e naturale. Il viaggio inizia Venerdì 8 e finisce Giovedì 14.
-Canto II, Inferno, Antinferno
Invocazione alle muse, il timore di Dante di essere orgoglioso a iniziare questo viaggio, è questo l’inizio del secondo canto. Virgilio parla delle tre donne che hanno voluto il suo viaggio, la Vergine Maria, che annulla la sua pena /simbolo della misericordia divina), Lucia, vergine e martire, protettrice della vista, in contrapposizione con la selva oscura, la Grazia illuminante allegoricamente e infine Beatrice, la protettrice di Dante, che sedeva in parte a Rachele, simbolo della vita contemplatrice. Virgilio dice quindi a Dante del aspetto provvidenziale del suo viaggio, voluto da Dio e quindi non peccato. Dante riprende il viaggio.
-Canto III, Inferno, Antinferno, Celestino V, Caronte
Dante entra quindi nell’Inferno trovandosi davanti la porta dell’inferno, con le sue parole di colore oscuro e dure da accettare. Sente le prime grida e i primi pianti e vede gli ignavi che non sono accettati né nel purgatorio né nel paradiso perché disprezzati anche dall’inferno: infatti non hanno usato ciò che Dio dà all’uomo, il libero arbitrio. Il loro contrappasso è quello di seguire un’insegna girando in cerchio, loro che nella vita non hanno seguito alcun schieramento. Oltre a ciò sono colpiti da insetti e formiche, che devono il loro sangue. Fra questi ci sono gli angeli che non hanno deciso da che parte stare fra Dio e Satana, ma sono stati per se. Oltre a questi c’è chi ha fatto per “viltade il gran rifiuto”: può essere Celestino V, Pilato o Esaù ma oggi si tende a prendere Celestino, che rifiutò dopo pochi mesi la carica di pontefice. Dante passa avanti e vede Caronte arrivare dall’Archeonte. Egli traghetta le anime spaurite sull’altra riva; Dante non resiste alla vista delle anime e sviene.
-Canto IV, Inferno, Limbo, gli “spiriti magni”
Al risveglio Dante si ritrova nel primo cerchio, e nella prima parte del limbo, dove sono presenti le anime non battezzate; qui non trova pianti ma solo sospiri per la speranza impossibile di vedere un giorno Dio. Dante prova dolore perché sa che fra questi ci sono persone di molto valore, come la sua guida. Parla poi degli unici uomini che erano uscito da lì: Adamo, Abele, Noè e Mosè, Abramo, Davide, Israele, suo padre i sui figli e Rachele, tutte le figure della Bibbia. Dante poi vede la luce che illumina il castello dove risiedono gli spiriti magni, fra cui si avvicina loro Omero, con la spada, Orazio, Ovidio, Lucano. Dante li lascia parlare ed è poi invitato a conversare, segue poi nel capitolo la descrizione di tutti gli uomini che sono nel castello, fra cui anche arabi e comunque persone non appartenenti al mondo cristiano. Il castello è a sette mura con 7 porte, simbolo delle virtù cardinali e teologali (fede, speranza, carità le teo.; fortezza, giustizia, prudenza, temperanza le card.).
-Canto V, Inferno, Lussuriosi, Paolo e Francesca
All’inizio del secondo cerchio Dante vede Minasse che indica il girone alle anime dannate, cerca di evitare a Dante di entrare ma Virgilio lo ferma. Entra poi nella parte dove i dannati sono spinti e sbattuti dal vento, come contrappasso di loro, che nella vita non sono riusciti a contenere il vento della passione che ora li assale. Virgilio poi dà alcuni nomi a Dante fra cui Elena, Cleopatra e Achille. Dante a questo punto vede Paolo e Francesca e li chiama per parlare con loro. Alla fine del colloquio dove si parla del loro amore e dell’amore in genere Dante sviene per la compassione.
-Canto VI, Inferno, Golosi, Ciacco
Nel terzo cerchio una pioggia incessante massacra i peccatori di gola, all’inizio di questo cerchio Dante trova Cerbero, che Virgilio fa scappare buttandogli sabbia in bocca; egli passa sopra i dannati e vigila affinché non si alzino. Ma Ciacco quando vede passare il poeta lo ferma e comincia a parlargli. Poi come tutti i sesti canti della divina commedia, comincia a parlare di politica e di Firenze, dicendo la sorte di ogni uomo della città, la cui maggior parte è destinata all’inferno (l’ ho scritto da schifo ma ci siamo capiti). Parla del suo futuro e di dove si trovano altre anime, come Farinata, il Taccheggiaio,Iacopo Rusticucci e Arrigo e il Mosca. Dà poi una descrizione del Giudizio Universale, quando le anime riprenderanno il proprio corpo e aumenterà il dolore della loro pena. Arrivano all’inizio del terzo girone, dove vedono Pluto.
-Canti VII-VIII-IX, Inferno
All’inizio del settimo Plauto spaventa i due ma Virgilio ricorda lui che il viaggio di Dante è voluto da Dio. Entrano così nel cerchio degli avari e dei prodighi, divisi in due schiere che vanno in senso opposto, ogni dannato ha un peso e si urtano fra di loro. Si parla della frivolezza dei beni terreni e viene criticata la Chiesa. Arrivano poi a una fonte che versa acqua scura e che forma lo Stige. Qui sono gli iracondi e gli accidiosi, i primi escono dall’acqua e si mordono e si picchiano, gli altri restano sotto il fango e si capisce la loro presenza dalle bolle e intanto arrivano vicino ad una torre. Inizia l’ottavo capitolo, tre fiammelle indicano l’arrivo di qualcuno, Flegias, che arriva su una barca. Flegias comincia a traghettare i due ma ad un certo punto esce dall’acqua Filippo Argenti, che se la prende da iroso, con Dante. Arrivano alle porte della città di Dite, dove dei diavoli impediscono anche alla ragione, a Virgilio di passare; egli può solo sperare in un intervento divino, che arriva nel capitolo dopo, con il messo dal Cielo; intanto Dante era stato impaurito da tre furie infernali che volevano chiamare la Gorgona, ma Virgilio protegge il suo discepolo coprendogli gli occhi. Arrivano in una pianura dove ci sono delle tombe infuocate: gli eretici.
-Canto X, Inferno, Eretici
Virgilio dice che dopo il Giudizio Universale le tombe saranno chiuse, e dice che lì può trovare tutti gli epicurei. Si innalza da una tomba, che è contrappasso a dire che gli epicurei, che pensavano non ci fosse niente dopo la morte, ora hanno la propria tomba in un posto che non credevano esistesse. Farinata non si sente partecipe della disgrazia delle anime dell’inferno e si innalza da esso, per colpa anche del suo orgoglio, che lo fa sembrare dispotico. Parla anche Cavalcante dei Cavalcanti che chiede perché suo figlio non fa lo stesso viaggio che Dante sta compiendo. Dante non sa cosa dire e Cavalcante ritorna nella sua bara. Con loro ci sono anche Federico II e Ottaviano degli Ubaldini.
-Canti XI-XII, Inferno
I due discendono a valle del cerchio degli eretici dove si riparano per il fetore nella tomba del papa Anastasio; Virgilio parla di come è diviso l’inferno e di come i peccati di violenza e di frode siano più gravi perché commessi con l’intelligenza e quindi offendendo di più Dio. Il settimo cerchio è diviso in violenti contro il prossimo, contro sé stessi e contro Dio. La frode invece è contro chi si fida e contro chi non si fida. La prima è punita nell’ottavo cerchio, la seconda, più grave, è il tradimento, ed è punita nel nono e nell’ultimo cerchio. Minosse è all’inizio del XII cap.; Virgilio lo provoca ricordandogli la sua morte e i due poeti riescono a passare. Arrivano al fiume di sangue, il Flegetonte, dove sono i violenti contro il prossimo: i tiranni, gli omicidi, i predatori e i devastatori, i feritori. Sulla riva i Centauri li colpiscono con le frecce. Il loro capo, Chitone, parla con Virgilio, che gli chiede di dare loro un centauro per guadare il fiume; viene chiamato Nesso, che porta Dante in groppa.
-Canto XIII, Inferno, Violenti, Pier delle Vigne
Siamo nel secondo girone del settimo cerchio, dei violenti, nel girone dei suicidi e il canto inizia proprio con la descrizione raccapricciante della selva dei suicidi, una selva negativa all’opposto di luoghi naturali bellissimi come quelli della maremma toscana citata da lui in paragone. Qui abitano le terribili arpie con volto di donna e corpo di uccello rapace. Virgilio preannuncia che il girone finirà con un orribile deserto. Dante pensa che i lamenti siano di dannati nascosti nella selva ma quando spezza un ramo capisce la vera natura dei dannati. Nelle parole del dannato si rivela la natura dei suicidi, essi che occuparono come uomini il più alto grado animale ora sono ridotti a vegetali. Loro che commisero violenze contro di se chiedono quel rispetto e cura per il loro tronco in nome della pietas che l’uomo dovrebbe avere per tutte le forme di vita anche con aspetto di serpi e che loro non ebbero per se stessi (analogia con episodio dell’Eneide Polidoro)Virgilio promette che Dante lo ricorderà tra i vivi,desiderio di tutti i dannati. Pier delle Vigne si descrivere come tuttora funzionario dell’imperatore per la dignità che ha dimostrato nel suo incarico e la fierezza che questa in lui provoca,dice che gli affidò Federico le due chiavi in quanto egli poteva provocare la benevolenza e l’inimicizia del suo signore in analogia con Pietro. Nato a Capua intorno al 1190 lavorava infatti come giurista per Federico II e divenne generale del regno. Egli non solo eseguì ma consigliò anche le decisioni dell’imperatore che si fidava ciecamente di lui. Accusato di tradimento fu carcerato e accecato e morì secondo alcuni suicidandosi contro il muro della cella. Fu elemento di spicco della scuola siciliana iniziatrice della poesia in volgare. Poi Pier delle Vigne risponde alla domanda di Virgilio che sostituisce Dante turbato raccontando della loro situazione e del loro destino: Minosse manda ala settimo cerchio le anime che si privarono del loro corpo violentemente, cadono a caso nella selva e lì germoglia come semente. I lamenti sono provocati dalle ferite fatte dalle Arpie che si cibano delle loro foglie. Dopo il giudizio universale andranno a riprendere i corpi ma li attaccheranno a i loro cespugli dato che li rifiutarono in vita. Mentre Pier delle Vigne finiva di parlare videro passare due spiriti nudi (Ercolano dei Maconi, senese, scialacquatore morì fuggendo da una battaglia, Iacopo da Sant’Andrea, di Padova, scialacquatore, cortigiano di Federico II) pieni di graffi e uno di loro si nascose dietro un cespuglio dalle cagne nere che lo smembrano e ne portano via le membra mentre si lamenta il cespuglio dietro cui si nascose. Racconta di essere fiorentino e che era nel periodo in cui S G Battista sostituì l’antico patrono Marte che si vendicò riversando la sua arte la guerra contro Firenze. Egli non si sa se è nell’ombra per indicare una tendenza a quei tempi a Firenze verso il suicido, o Rocco dei Mozzi, o Lotto degli Agli , suicida a causa di una sentenza ingiusta, si impiccò con la forca mezzo di punizione pubblico nella sua casa eseguendo lui la sua sentenza. Questo canto costituisce un eccezione per il tono lugubre e le immagini lugubri derivate dal tema del suicidio che prima visto nella cultura classica come atto eroico viene visto cristianamente come rifiuto dell’amore di Dio, degradazione della ragione effetto della disperazione, peccato contro la grazia divina. Questa rottura dell’ordine naturale comporta lo strano rapporto reale-surreale del canto. Il canto introduce una selva priva di elementi vitali in cui vivono le Arpie, esseri mostruosi, con un senso di incubo. Per loro il Giudizio Universale rappresenta la somma tortura, il nuovo orrore. Pier delle Vigne diviene un esempio importante in questo canto in quanto vittima ingiusta dell’invidia. Egli però ha dato peso all’ordine mondano, stravolgendo l’ordine morale e perdendo la guida della ragione e essendo portato al grave peccato che fa intendere Dante che non va seguito neanche in queste situazioni; infatti egli in una situazione simile troverà nella giustizia divina l’esilio come distacco dalla società invidiosa. Gli scialacquatori sono collegati ai suicidi in quanto il possesso dei beni era legato al dovere di mantenerli per il bene della società, dilapidarli vuol dire sopprimersi e giocare la vita sul denaro. L’ultimo peccatore è simbolo di Firenze in cui dominano le violenze per la passione per il denaro. La selva è descritta con tre negazioni e tre aggettivazioni in relazione tra loro. Dannati e scenario compongono un tutt’uno. Infatti il dannato si sente albero (giura sulle radici). Questa corrispondenza è rispettata anche stilisticamente. La pietà di Dante deriva dalla similitudine delle due vicende: la lealtà innanzitutto e addirittura la devozione che lo spinge a trascurare il peccato di Federico che tradì la fiducia che aveva sempre ricevuto. Tutti e due sono vittime dell’invidia e tutti e due tengono più a ristabilire la loro dignità più che la loro fortuna. Il turbamento nasce anche dall’oscurarsi di un grande personaggio che rappresenta la figura ideale di imperatore secondo Dante per la sua visione politica. E’ solo nel Medioevo che la cagna diventa nera e simbolo del diavolo per furia voracità forza indomabile velocità insaziabilità. Secondo la teologia tutti i corpi si ricongiungeranno all’anima dopo il Giudizio Universale ma quella di Dante è una finzione poetica che accentua il suo disprezzo per questo peccato. Dante rispettava Pier delle Vigne anche come poeta della scuola siciliana radice della poesia in volgare e il linguaggio molto ricercato del canto è un omaggio a questa e un modo per esprimere il conflitto interiore perché Piero era anche superbo, folle idolatre del suo signore, debole e fragile.
-Canto XIV, Inferno, Violenti
Giunge al terzo girone del settimo cerchio, una vasta landa desertica su cui scendono incessantemente dall’alto falde di fuoco che colpiscono i dannati: i bestemmiatori, supini e immobili, i sodomiti intenti a correr senza posa, gli usurai rannicchiati a terra. Tra i bestemmiatori uno è indifferente al dolore del fuoco, è Capanno uno dei 7 re che assediarono Tebe e che venne fulminato da Giove per la sua tracotanza. Virgilio gli dice che proprio nel fatto che non si smorza la sua superbia è punito maggiormente e che nessun tormento se non la sua rabbia sarebbe tormento adatto al suo empio furore. Camminando ai bordi della selva giungono allo sbocco del Flegetonte. Dentro una caverna del monte Ida a creta sta un gran veglio con le spalle a Roma e la faccia a Oriente con testa d’oro,busto-argento, tronco-rame, gambe-ferro, piede destro-argilla. Da esse eccetto la testa escono lacrime che bucano il monte formando Acheronte, Stige, Flegetonte, Cocito. E’ simbolo dell’umanità e della sua decadenza. Il Flegetonte deriva il suo nome da flego bruciare in quanto è di sangue ribollente mentre il Lete nominato da Dante scorre in Purgatorio.
-Canto XV, Inferno, Violenti
Il fumo del ruscello crea una nebbia che salva dal fuoco acqua e argini costruiti come quelli fiamminghi e padovani. Dante viene riconosciuto da Brunetto Latini. Egli fu notaio ai tempi di Dante. Deve la sua fama al Tresor, al Tesoretto e a traduzioni di Cicerone. Dante non frequentò la sua scuola ma la sua conversazione, lo ammirava e lo apprezzava come dichiara nel de vulgari. Solo Dante cita il suo peccato di sodomita ma deve esserne stato certo dato che altri sodomiti più famosi vengono da lui collocati in Purgatorio immaginando il loro pentimento. Il nome che cita l’omosessualità deriva dalla città di Sodoma sul Mar Morto che Dio distrusse con una pioggia di fuoco e zolfo per le pratiche sodomite diffuse. Risparmiata la famiglia di Lot la moglie si volta e viene trasformata in sale. L’omosessualità è punita al pari dell’omicidio volontario e Dante riprende il racconto biblico senza pero scernere il peccato di ser Brunetto dalla sua grandezza. Ser Brunetto sentendo nel voi di Dante un tono poco familiare e di rimprovero lo supplica di restare e di seguirlo per non rimanere indifeso dal fuoco per 100 anni. Dante cammina con atteggiamento riverente segno della sua pietà. Non nomina Virgilio per non ferire il suo vecchio maestro. I due temi principali sono:1) gratitudine per il suo vecchio maestro; 2)amara delusione nell’impatto emotivo di riconoscerlo tra i dannati. Dante è a disagio di fronte al maestro che a differenza di lui ha perso la via della salvezza tuttavia gli concede più volte grande pietà: non rivela la nuova guida, tace la sua colpa e Brunetto disprezza gli altri dannati quasi per riscattarsi di fronte all’allievo. Ancora una volta il fine esemplare è ottenuto magnificamente anche con un dolore emotivo dell’autore che condanna così anche una parte della sua vita e della sua giovinezza. Poi predice a Dante le sue future sventure accanendosi contro i Fiesolani e gli consiglia di star lontano da loro. La tradizione vuole che i Fiesolani furono puniti dai Romani per aver appoggiato Catilina. Alcuni sopravvissuti si trasferirono in pianura mescolandosi ai Romani e inquinandone la stirpe. Solo pochi sono rimasti tra i discendenti dei Romani, la maggior parte discendente da questi è degna dell’aggettivazione bestia e anche il linguaggio nei loro confronti è molto duro. Essa consente a Dante di spiegare l’inclinazione alla violenza e ai cattivi costumi di Firenze e di proiettare lontane nel passato le ragioni del suo aristocrazismo. La visione di Dante non si oppone alla Fortuna annunciatagli negativa già tre volte (Ciacco, Farinata, Brunetto)e si prepara ad agire di conseguenza secondo le leggi morali. Dante credeva all’influsso delle stelle (cost.gemelli)come segno della volontà divina, ma considerava l’uomo libero di scegliere e quindi responsabile del bene e del male che produceva. Cita Pisciano,VI sec autore di una grammatica, Francesco d’Accorso, giurista docente a Bologna e Oxford, Andrea de Nozzi, che fu vescovo di Firenze fu trasferito per i gravi abusi e contrasti e di lui accenna ad abusi sessuali con conclusione tragica. La citazione del Tesoro dimostra l’intento di celebrare il suo maestro di Dante. Il Tesoro è l’unico mezzo tramite cui prosegue la sua opera di insegnamento interrotta con la morte. L’insegnamento di Brunetto se pur lodevole si basava su una concezione terrena dell’amore e perciò non portava all’eternità. Egli ha una concezione mondana della fortuna come sorte e considera ancora l’eternità della fama ignorando la salvezza cristiana.
-Canto XVI, Inferno, Violenti
Odono la cascata del Flegetonte cadere nel cerchio seguente. Vedono tre ombre che girano su se stessi: Guerra, Aldobrandi e Rusticucci, fiorentini illustri che Dante conobbe e ammirò. Essi chiedono se a Firenze ha prevalso la gente nova e i subiti guadagni e di venir ricordati tra i vivi. Virgilio prende la corda che li teneva uniti per sicurezza e la getta nell’abisso così che sale Gerione.
-Canto XVII, Inferno, Violenti
Gerione era il mitico re di Spagna che nutriva i tori con sangue umano e che è simbolo della frode, costituito dalla natura umana, d’uccello, di scorpione, la faccia onesta, il corpo di serpente, due zampe pelose fino alle ascelle, la schiena, il petto, segnati da nodi, arabeschi circolari, torceva verso l’alto la sua coda come lo scorpione armandola. Dante incontra gli usurai, violenti contro l’arte, non incontra nessuno ma da una tasca riconosce lo stemma dei Gianfigliazzi, Obriachi,Reginaldo degli Scrovegni unico padovano che verrà raggiunto da due suoi concittadini. Gerione li prende in groppa e vola sotto nell’abisso del cerchio sottostante da cui Dante colpito dal vento sente i lamenti distinti dei dannati.
-Canto XVIII, Inferno, Fraudolenti

Arrivano alle Malebolge tutte di pietra e di color ferrigno, grande distesa a forma circolare degradante verso il suo centro dove si apre il pozzo della voragine infernale. Questo spazio è diviso in dieci fosse concentriche. L’aspetto generale è quello di una serie di fossati che circondano un castello e qui ci sono ponti che tagliano gli argini e i fossi e convergono tutti verso il pozzo centrale. Dentro queste tasche sono puniti i fraudolenti contro chi non si fida. Volgono a sinistra nella prima bolgia ma Dante a destra vede gli indovini che girano in senso opposto. La prima schiera è quella dei seduttori per conto altrui tra cui il bolognese Venedico Caccianemico, viene preso a scudisciate. Nella seconda bolgia quella dei seduttori per conto proprio riconosce Giasone, capo degli Argonauti. Essi sono immersi nello sterco per l’abiezione e il servilismo che mostrarono in vita (Interminelli) e Taide sozza e scapigliata fante che un tempo fu bella.
-Canto XIX, Inferno, Simoniaci
Inizia con l’invettiva contro i simoniaci. Sovrastano al parte centrale del fossato. Poi si difende dall’accusa di sacrilego per aver salvato la vita a un bimbo nel battesimo a Firenze. I peccatori erano immersi in buche da cui spuntavano solo i piedi fino alla coscia con le piante dei piedi infuocate. Le fiamme sono contrapposte a quelle degli Apostoli e il rovesciamento simboleggia il rovesciamento dei valori. Negli atti degli apostoli si parla di un Simon Mago che offrì denaro agli apostoli per avere i loro poteri. La simonia è il peccato di colui che fa mercato di cose sacre. Essi si rivolsero solo ai beni materiali, capovolsero il loro ufficio trovando bene materiale dall’attività spirituale perciò la loro aurea è una grottesca fiamma sui loro piedi e anche il fatto che guizzino come nell’olio si riferisce all’olio benedetto. La colpa del papa è maggiore e maggiore è anche la fiamma. Il dannato crede che si tratti di Bonifacio destinato in futuro a raggiungerlo. E’ invettiva contro un periodo storico della chiesa cominciato con la donazione di Costantino. Il suo è sdegno morale e offesa angosciata per i mali che derivano dai loro atti per la società e per la chiesa. Il dannato si manifesta come Niccolò III degli Orsini e racconta che i papi precedenti vengono appiattiti nelle fessure delle pietre e rammenta eventi che servono alla datazione. Bonifacio VIII fu nemico per la rivalità storica tra i due e per il suo accanito seguito all’idea plenitudo potestatis della teocrazia che riunisse nel papa potere spirituale e temporale smentita dalla storia. Clemente V fu succube del re di Francia e capovolse la politica papale anche assolvendo i responsabili dello schiaffo di Anagni e santificando Celestino V. La rabbia di Niccolò è quella di dover essere il rappresentane di quel peccato. Dante apostrofa i papi simoniaci citando un passo dell’apocalisse in cui si vede una donna prostituirsi con ire della terra sopra una belva da 7 teste e 10 corna in riferimento alla Roma imperiale ma eliminando la bestia egli si riferisce alla Roma papale e 7 sono i doni dello spirito santo e 10 i comandamenti. Accusa la donazione di Costantino ancora ritenuta vera.
-Canto XX, Inferno, Indovini
Nella quarta bolgia stanno gli indovini che camminano in processione e hanno la testa completamente girata dalla parte delle reni e il loro pianto cade sulle natiche. Sono puniti per aver voluto conoscere il futuro. Anfairao, Tiresia, che passo di sesso toccando due serpenti in amore, Arante indovino etrusco, Mante figlia di Tiresia e responsabile dell’origine di Mantova, Euripilo e Calcante, Michele Scotto, Guido Bonatti, Asdente.
-Canto XXI, Inferno, Baratteria
Siamo nel quinto girone. Bolliva una densa pece che rendeva vischiosa ogni parete delle bolgie. Sono inseguiti da un diavolo cavalcato da un dannato. I dannati sono barattieri. Il dannato viene inseguito da un mastino, si immerse nella pece e riemerse capovolto di fronte a una domanda sarcastica riguardo un immagine sacra di Lucca piena di barattieri. Lo rimettono nella pece e non lo lasciano uscire dovendo ballare sotto la pece. Come essi pescarono nel torbido cercando di ingannare il prossimo, ora bollono nella pece e sono uncinati dai diavoli. I diavoli aggrediscono Virgilio che si confronta con Malacoda. I diavoli guidano verso un altro ponte agibile i poeti. Dante non si fida dei diavoli che vogliono accompagnarli.
-Canto XXII, Inferno
Segue il drappello di diavoli e vede dannati sporgere con la schiena o col capo. Vi sono gli italiani Ugolino Visconti e Michele Zanche.
-Canto XXIII, Inferno, Ipocriti
Arrivano alla sesta bolgia evitati i diavoli che li inseguivano. Vi sono gli ipocriti, camminano a passi lentissimi, piangendo, con cappucci in testa e sotto il peso di cappe rivestite di oro ma dentro di piombo. Incontra due frati gaudenti. A terra crocefisso sta Caifas con tre pali calpestati da quelli che passano, è colui che mandò Gesù a morte.
-Canto XXIV, Inferno, Ladri sacrileghi
Settima bolgia raggiunta con una corda dato che il ponte è crollato. E’ piena di serpenti di ogni genere dai quali fuggono inutilmente i dannati. Sono i ladri sacrileghi hanno le mani legate dietro la schiena da serpenti e passando per le reni congiungono testa e coda sul loro ventre. Incontra Vanni Fucci che si trasforma in cenere e ritorna in forma umana.
Si vendica predicendo la sconfitta dei bianchi a Pistoia.
-Canto XXV, Inferno, Ladri sacrileghi
Caco è centauro condannato per aver rubato il bestiame di Ercole, tre fiorentini, Brunelleschi, Abati, Sciancato e con loro Cianfa Donati, Francesco de Cavalcanti.
-Canto XXVI, Inferno, Consiglieri fraudolenti, Ulisse
Il canto inizia con l’invettiva a Firenze il cui nome si diffonde nell’inferno tramite 5 ladroni, falsari e si augura che accadano le minacce di Prato per quanto ne soffrirebbe, riferendosi o alla rivolta contro il governo dei Neri sedata dai fiorentini e il conseguente desiderio di vendetta o le maledizioni di Niccolò da Prato dopo il fallimento della missione di pace. Risale la scala e cammina sull’argine. Siamo nella ottava bolgia dei consiglieri fraudolenti i quali come nascosero i loro inganni sono nascosti tra le fiamme e come incendiarono gli animi ora sono una lingua di fuoco che però non illumina il buio in antitesi con l’immagine cristiana della lingua di fuoco dello spirito santo. Dante si augura di proseguire con virtù guidato dalla buona stella (costellazione gemelli)o dalla volontà di Dio. Dante vede le anime dal ponte. La fiamma dove sta Ulisse con Diomede è divisa come quella di Eteocle e Polinice. I tre inganni citati sono:
il cavallo di Troia in cui si sono serviti di un falsario, Sinone, per ingannare i troiani desiderosi di pace. Egli con Diomede mostrò armi da guerra a Achille che lasciò gli abiti femminili, trucco della dea Teti, e partì verso Troia dove sarebbe morto per dolore di Deidamia. Il furto del Palladio durante l’assalto a Troia o perché credevano al suo potere protettivo o per scoraggiare i Troiani. E’ Virgilio a parlare coi dannati per Dante o perché lui è il mediatore tra mondo classico e mondo cristiano o perché si finge Omero. Ulisse racconta che dopo aver lasciato Gaeta e Circe non tornò a Itaca se pur spinto da nobili affetti e doveri per la forza della sua volontà di conoscere sia i vizi che i pregi umani. Qui si vede come Ulisse non giudicava ne buona ne cattiva la conoscenza ma la considera un dovere naturale dell’uomo. Passa per Spagna, Marocco, Sardigne, altre Isole. Supera lo stretto delle colonne posto da Ercole come limite per gli uomini che Ulisse riconosce e riconosceva ma non rispettò e poi tiene l’orazione piccola per incitare i compagni. Erano passati 5 mesi, numero di profezie negative. Vista la montagna del Purgatorio vengono sommersi dalle acque girando per tre volte (volere divino). In tutto il canto il tema è l’orgoglio opposto all’umiltà: nell’invettiva a Firenze che ha perso le sue vecchie virtù di pace sobria e pudica, poi il freno morale che si impone Dante e infine Ulisse che come gli altri grandi personaggi è rispettato ma condannato, all’interno del problema della conoscenza. La conoscenza è un valore alto per Dante ma bisogna essere umili e voler conoscere per amore e per innalzarsi a Dio no per orgoglio come Ulisse in cui la passione cancella la necessità di controllare le doti naturali. La visione di Dante è impregnata del senso della misura cavalleresco e non dell’etica del successo classica. La condanna di Dante si manifesta anche nel destino di Ulisse: non è Nettuno ad affondarlo ma è la sua volontà preda della passione a portarlo a ciò e la sua rovina è maggiore perché si è manifestata in vita e non solo dopo la morte di fronte al giudizio divino, l’orgoglio porta alla sconfitta. Così viene esaltato il viaggio di Dante e i suoi modelli Enea e Paolo guidata dalla volontà di Dio. Inoltre è un autocritica per il passato eccessivo accanimento per la filosofia. Per Dante il viaggio è frutto di prove morali verso la coscienza fondendo intelletto e amore. Al contrario la visione di Ulisse è quella dell’uomo libero da ogni responsabilità se non quella della sua natura di essere intelligente e avido di conoscenza. Ulisse è il prototipo della civiltà pagana che per la sua nobiltà si è spinta oltre i confini umani ma per la mancanza della rivelazione, dell’obbedienza alla volontà divina e per la sua superbia e orgoglio non può raggiungere il mondo eterno divino. Il gusto classico di Dante si mischia alla severa concezione religiosa. La scienza non è negativa ma non deve divenire folle e subordinare a se la morale, l’uomo che rifiuta il ruolo di creatura come ha fatto Ulisse fallisce non per intervento divino ma per conseguenza diretta della sua superbia. La follia di Ulisse sta nel non riconoscere altra virtù che quella della sua scienza in contrasto con l’augurio iniziale di Dante.
-Canto XXXIIII, Inferno, Fraudolenti, Ugolino della Gherardesca
E’ l’ultimo incontro di Dante con i dannati, in esso dà l’esempio massimo di negatività e desolazione, già dall’inizio, quando descrive la pena bestiale di Ugolino. Il peccato dei fraudolenti è infatti il peggiore perché riesce a distruggere i valori su cui si fonda la convivenza umana, portando al tradimento. In questo canto continua il sarcasmo, l’ironia e l’irrisione della vita dei dannati. Nella ghiacciaia Cocito entrando nell’Antenora (i traditori della patria) i dannati sono nel ghiaccio fino alla testa, ma Ugolino fra essi ha un contrappasso maggiore: egli deve mangiare la testa di chi lo ha tradito, il vescovo Ruggeri, e in questo gesto fa vedere come il suo odio abbia sopraffatto nella sua vita l’amore, e come lui abbia quindi perso la sfida che avviene fra bene e male in ogni anima. Tutto il suo discorso è mosso dall’odio che prova per chi lo ha tradito, a cui dà tutte le colpe della sua fine e di quella dei suoi figli. Ma Dante non riesce ad avere compassione di lui, lo disprezza perché rappresentante del comune e dei quel mondo peccatore che rappresenta questo Stato. Ma Dante sottolinea molto di più la morte dei figli di Ugolino: essi sono quasi simbolo di Cristo perché soffrono come lui nel Getsemani, e in più si offrono in un gesto di amore estremo al padre, quasi come Agnelli di Dio. Ma Ugolino resta di pietra, chiuso nel suo terrore che si trasforma in odio (si mangia le dita dalla rabbia), e non sa dare alcun gesto di affetto ai figli, che muoiono davanti a lui. Alla fine del canto però, dopo l’invettiva a Pisa, esponente del comune e dell’ingiustizia, si passa al sarcasmo del frate Alberico, che si compiace cinicamente della presenza di alcuni uomini in questo luogo, rilevando che molti uomini sono già perduti prima di morire, e in loro vive un demone.
All’inizio, quando Ugolino vede Dante, smette di mordere la testa di Ruggeri, e senza chiedere il nome ed il perché della sua presenza al poeta, cieco per la rabbia, decide di raccontare la sua storia, che vuole sia una vendetta per far vedere come il vescovo lo abbia fatto soffrire agli altri. Dal punto di vista storico Ugolino della Gherardesca, conte di Donoratico, figlio di Guelfo della Gherardesca, nacque nella prima metà del XIII sec. da famiglia ghibellina ma fu del partito guelfo. Volle istituire a Pisa il governo guelfo e riuscì a impossessarsi del potere con l’aiuto dei Guelfi toscani. Ma Genova, Lucca e Firenze si allearono contro Pisa; allora Ugolino, podestà, decise di rendere neutrali Firenze e Lucca donando loro alcuni castelli. Dopo questa politica scaltra e oscillante prese il potere e divenne poi tiranno. Ma nel 1288 i ghibellini sconfitti prima nella battaglia di Meloria, guidati da Ruggeri, rientrarono in città, condannarono Ugolino a morte e lo fecero morire di fame, rinchiuso nella torre dei Gualandi (la Muda). L’arcivescovo Ruggeri degli Ubaldini, nipote del cardinale Ottaviano (epicureo), fu ghibellino e prima arcivescovo di Ravenna e infine arcivescovo di Pisa e con ricche famiglie (Gualandi, Simondi e Lanfrnchi vv. 32) capo dei ghibellini, che portò al potere, tradendo Ugolino. Fu “nemico” del papa Niccolò IV che lo dichiarò nemico della Chiesa, ma la condanna al carcere non fu mai attuata. Con la sua presenza nel canto indica la critica ad una Chiesa temporizzata e politicizzata che Dante non accetta. Nel canto, dopo aver descritto per un attimo la Muda parla del sogno premonitore, dove si vede come lupo cacciato e infine ucciso dai suoi cacciatori insieme ai suoi figli, i “lupicini”(vv. 29). I questo incubo si intreccia reale e surreale: l’ambiente e i cacciatori sono ben definiti, le prede no, ma al risveglio Ugolino capisce tutto. Inoltre dal suo inizio di discorso emerge già il suo odio verso i suoi carnefici e il popolo e inoltre l’affetto per i figli (in verità sono 2 figli e 2 nipoti, ma Dante ne diminuisce l’età e li fa diventare 4 figli per aumentare la compassione). Vedendo però che Dante non è preso emotivamente da queste parole nel suo odio gli dice di essere crudele, visto che questa storia non lo fa neanche lacrimare. Continua poi la storia, dicendo al reazione dei figli alla chiusura della loro cella: il padre non parla più mentre i giovani, nel loro amore, cercano affetto e si offrono come cibo. Infine muore il primo dei quattro, Gaddo, che grida al padre “perché non mi aiuti?” e muore. Gli altri tre invece non dicono più niente. Ormai cieco per la fame anche Ugolino alla fine si spegne. Nel canto inizia poi l’invettiva a Pisa, mentre Ugolino ricomincia il suo “fiero pasto”. Ma bisogna ancora guardare questo dolore di Ugolino. Quando sente la porta chiudersi “per lo dolor” si morde le mani: è questo il momento che dà anche la pena che sarà nell’inferno. Questo dolore è rabbia, ira, e questa è l’immagine che resta nell’inferno di Ugolino, non più uomo ma odio. Dante lascia Ugolino e dopo l’invettiva, dove rivendica la necessità di giustizia e la distruzione mediante l’allagamento di Pisa, passa nella ghiacciaia Tolomea, quella dei traditori degli ospiti, dove incontra il frate Alberico. Qui i peccatori non sono a testa in giù ma supini e non riescono a piangere perché il pianto si trasforma in ghiaccio provocando più dolore. Alberico ferma Dante e Virgilio chiedendo loro di togliergli le lacrime dagli occhi. Dante lo prende in giro dando la promessa che avrebbe fatto ciò che l’anima gli ha chiesto se egli avesse detto chi fosse. Alberico era un guelfo, membro dei Manfredi, fu offeso da due sui parenti e decise di vendicarsi uccidendoli a cena, dopo aver fatto finta di volersi riconciliare, chiamando i sicari con la frase “Vengan le frutta!” nel verso dei datteri e dei fichi si vuol dire: raccolgo con gli interessi il male che feci. Dante, quando viene a sapere l’identità dell’anima, si meraviglia perché pensa fosse ancora vivo. Inizia qui la spiegazione di Alberico, che dice che per alcuni peccati come il suo l’anima esce dal corpo che viene poi posseduto da un demone. Questo demone può essere stato ripreso da Dante da credenza popolare, ripreso dal vangelo, che dice che Giuda fu preso dal diavolo, tradendo Gesù ma serve più che altro per mettere persone non ancora morte in questi luoghi senza usare profezie e malauguri, ovvi e soliti nella letteratura. Alberico parla di ser Branca Doria che prima di uccidere Michele Zanche per prendere i suoi possessi era arrivato lì. Il canto finisce con l’invettiva contro i Genovesi, che secondo Dante dovrebbero essere dispersi nel mondo.

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