Introduzione al paradiso di Dante

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Testo

Dante Alighieri
LA DIVINA COMMEDIA
PARADISO

Dopo aver ottenuto la beatitudo huius vitae ed aver compiuto la cerimonia purificatoria, Dante (agens) sale in Paradiso, terza ed ultima parte dell’iter ad Deum: se l’Inferno rappresenta la constatazione e il superamento del peccato e il Purgatorio rappresenta il momento progrediente, il Paradiso diventa dunque il momento unitivo
che conduce l’io al beato esse. Si tratta di un itinerarium mentis che culmina con la visio Dei secondo la più tipica visione medioevale di Dio come principio e fine di ogni cosa e in base alla quale tutto tende a riunirsi al proprio principio. L’esperienza della graduale unione a Dio è un’esperienza soprannaturale, dell’ineffabile. Da sempre la critica si è posta il problema della poesia del Paradiso. Da De Sanctis a Croce (critica idealista) ci si pose di fronte a questa cantica con qualche riserva: De Sanctis considerava infatti l’Inferno come il momento poetico più alto di Dante, dove avviene la “fusione perfetta tra forma e materia”, ma, mano a mano che si sale verso il Paradiso, resta troppo evidente la struttura ideologica, che non viene adeguatamente tradotta in poesia; Croce (concezione della poesia come intuizione pura e assoluta) differenziava la struttura, cioè le spiegazioni dottrinali, dalla parte poetica, che nel Paradiso apparirebbe solo a brevi squarci. Tutto il lavoro della critica successiva è stato quello di recuperare l’unità della Commedia, proponendo come soluzione quella di riportare l’opera alle categorie estetiche dell’epoca, di “farci lettori del Trecento” (Singleton), in cui non esisteva distinzione tra poesia e scienza; Auerbach poi, proponendo di applicare alla Commedia l’interpretazione figurale, ha spiegato che il vero problema della poesia del Paradiso non sta nel rinchiudersi nell’astrazione ma nello sforzo che Dante fa per tradurre nel linguaggio terreno, per visibilia, l’esperienza soprannaturale, ad invisibilia.

La visione cosmica
Dante distingue nell’Universo il mondo della materia dal mondo dello spirito. L’Universo è formato da cinque elementi fondamentali: terra, acqua, aria, fuoco, etere (in ordine di pesantezza); i cieli che formano il Paradiso sono costituiti di etere, e sono sfere concentriche e concolori al cui interno stanno i pianeti (Luna, Mercurio, Venere,
Sole , Marte, Giove e Saturno); l’ottavo è il cielo delle stelle fisse, il nono è il Primo Mobile. Il decimo cielo è l’Empireo, costituito di pura luce ed immobile, nel quale hanno sede Dio e i beati. Attorno a Dio stanno le gerarchie celesti, i cori angelici; i beati sono invece disposti a forma di anfiteatro nella candida rosa, divisa in due parti
tra i beati del Vecchio Testamento, credenti “in Cristo venturo”, e quelli del Nuovo Testamento, credenti “in Cristo venuto”. Da Dio emana la Grazia che, assorbita dalle creature celesti, viene trasmessa ai cieli che per questo motivo ruotano in maniera graduata. Secondo il principio aristotelico, riletto in chiave cristiana, Dio diventa il Motore immobile. Dante accetta inoltre la teoria aristotelica degli influssi celesti, che influenzano chi nasce sotto una determinata stella e derivano, naturalmente, da Dio che assomma in sé tutte le qualità.
Tema dell’unità e della gradualità della Grazia divina: nel Paradiso le anime dei beati si trovano tutte nella candida rosa ma, per un atto di bontà, si mostrano a Dante di cielo in cielo, quello di cui da vivi hanno subìto gli influssi.

L’ascesa di Dante
L’ascesa verso l’alto è presentata come un processo di “transumanazione”, cioè il passaggio da una condizione umana ad una sovrumana, per visualizzare e poi tradurre per verba l’itinerarium mentis ad Deum (es. metafore estratte dalla Fisica). L’elemento preferito da Dante è la luce, che si fa via via più intensa fino alla visio Dei. E’ questo il principio della metafisica della luce, per cui Dio è divinum lumen diffusum per omnia: in sostanza, la Grazia divina si manifesta come luce che espandendosi per l’Universo costituisce l’esse (il corpo) e l’essentiam (l’anima) delle creature.
Altro elemento fondamentale è quello del suono: i cieli, girando, producono una superiore armonia che sfugge all’orecchio umano. Tale elemento, qui reinterpretato in chiave cristiana, è di origine pitagorica, ripreso in seguito dagli Stoici e da Cicerone nel Somnium Scipionis.
Dante dunque si avvicina a Dio attraverso la luce e il suono. Pur basata su una visione teologica, l’ascesa di Dante è il lento elevarsi dell’intelligenza che acquista le singole verità e giunge alla Verità prima: Virgilio, sua guida nell’Inferno e nel Purgatorio, rappresenta la razionalità umana; Beatrice, guida nel Paradiso, è la teologia, che gli svela i misteri della Chiesa, portando luce e verità nell’intelletto; S. Bernardo, che sostituisce Beatrice al momento della visio Dei, chiede a Dio di mostrarsi/darsi a Dante, ed Egli appare, come una folgorazione. Questa esperienza somiglia alla visio in somnis, il metodo per trascrivere esperienze avvenute fuori dal tempo e dai parametri tradizionali; somiglia all’excessus mentis, il momento in cui la mente umana attinge, elevandosi, ad una dimensione sovrumana, nel corso della quale ha una visione eccezionale che, al ritorno, può riferire solo per quel poco che può ricordare; somiglia, infine, all’esperienza di Riccardo da S. Vittore, rappresentante di una corrente mistico/intellettualistica, che in un trattato sulla Grazia descrisse i momenti in cui la mente si eleva (dilatio, sublevatio, alienatio).

Il rapporto tra realismo e misticismo
E’ questo un motivo molto discusso nel corso del Medioevo: per raggiungere Dio bisogna affidarsi alla ragione o alla fede? (in Dante la tendenza mistica è rappresentata da S. Bonaventura, quella razionale da S. Tommaso) Nella cultura dell’epoca erano presenti due ordini monastici con posizioni diverse in materia: i domenicani trovavano il loro fondamento nella cultura e nello studio teologico, che preparavano predicatori in grado di affrontare l’eresia e i problemi interni alla Chiesa; i francescani, invece, ponevano in secondo piano la cultura e privilegiavano l’ardore di carità e lo slancio mistico. Dante venne a contatto con entrambe le posizioni, oltre che con i vittorini di Parigi, e scelse per il Paradiso un itinerarium misto, che fondeva le due tendenze, per giungere a Dio. Infatti, se all’inizio del percorso egli dice “fu’io, e vidi” (c. I, v.5), in cui spicca l’atto del vedere con i propri occhi, alla fine prevalgono sia l’atto del vedere che quello dell’amare.

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