Inferno, canto I

Materie:Appunti
Categoria:Dante

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Testo

I CANTO

La Divina Commedia si apre con la descrizione allegorica di una selva oscura, lontana dalla dritta via, in cui Dante “si ritrovò nel mezzo del cammin” della sua vita: l’autore indica, già da questi primi elementi, che ha circa trentacinque anni e allude, attraverso lo smarrimento, alla corruzione morale della sua epoca che, appunto, gli aveva fatto perdere la razionalità e la “devozione genuina” verso Dio. Nella seconda terzina descrive i propri sentimenti di paura, che ancora si rinnovavano al ricordo, al pensare a ciò che aveva passato: a ribadire la sensazione utilizza una annominazione, accostamento di parole dalla stessa etimologia, “selva selvaggia”. Dopo aver riconfermato sulle proprie emozioni (tanto da paragonare “quella” paura al quella della morte), dà indicazioni riguardo a come si è trovato in quel punto e in quale paesaggio si trovi: asserisce che non è cosciente della maniera in cui sia riuscito a pervenire in quel luogo, successivamente, presenta la figura simbolica del colle le cui spalle sono vestite dai raggi di sole, elementi che stimolano serenità e sicurezza, “…allor fu la paura un poco queta…”. A questo livello, Dante inserisce una metafora con la funzione di sottolineare quanto sia stata affannoso il suo vaiggio: “E come quel che con lena affannata, uscito fuor del pelago a la riva, si volge a l’acqua perigliosa e guata, così l’animo mio…”. Dopo un breve pausa l’autore si trova davanti le tre fiere, la rappresentazione figurata di tre aspetti corrotti del 1300: la lonza, associata al peccato della lussuria e alla città di Firenze, il leone, sinonimo di superbia collegato al regno di Francia, e la lupa, legata al peccato dell’avarizia e alla curia papale. Altro punto importante, è l’incontro con Virgilio: l’elemento che più risalta è il sommo rispetto per il poeta latino che gli propone il “viaggio”.

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