Materie: | Appunti |
Categoria: | Chimica |
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Data: | 13.03.2006 |
Numero di pagine: | 5 |
Formato di file: | .doc (Microsoft Word) |
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Testo
LE REAZIONI REDOX
Qualunque processo di ossidazione avviene sempre in concomitanza con un processo di riduzione, e viceversa. Si parla perciò comunemente di reazioni di ossido-riduzione, in breve, redox.
L’ossidazione è un processo in cui si ha una perdita di elettroni ed un aumento del numero di ossidazione; la riduzione è un processo in cui si ha un guadagno di elettroni ed una riduzione del numero di ossidazione.
In laboratorio di chimica abbiamo approfondito le nostre conoscenze riguardo alle ossidoriduzioni ed in particolare abbiamo dimostrato come e perché in una reazione redox ci sia un trasferimento di elettroni, e come questo trasferimento possa essere usato a nostro beneficio (le pile o celle elettrochimiche).
Esperimento 1
Abbiamo usato quattro barrette metalliche di argento (Ag), rame (Cu), piombo (Pb) e zinco (Zn) e diversi becher contenenti le soluzioni ioniche degli elementi elencati (Ag++, Cu++, Pb++, Zn++). Abbiamo osservato le diverse reazioni degli elementi metallici a contatto con le diverse soluzioni ioniche. Siamo giunti alle osservazioni riassunte nella tabella sottostante:
Elementi
Ag metallico
Cu metallico
Pb metallico
Zn metallico
Ag++
-
←e-
←e-
←e-
Cu++
nulla
-
←e-
←e-
Pb++
nulla
nulla
-
←e-
Zn++
nulla
nulla
nulla
-
Come si può facilmente notare, alcuni elementi attuano un passaggio di elettroni mentre altri no. Questo varia secondo la combinazione ione metallo – metallo.
Nelle combinazioni in cui avviene il trasferimento di elettroni si è notato molto bene come le barrette metalliche si siano ricoperte pian piano di una sottile patina metallica riconducibile agli ioni disciolti nel becher. Poiché il numero di ossidazione di un atomo o di una sostanza elementare è uguale a zero, si deduce che gli ioni hanno quindi acquistato elettroni fino a che la loro carica elettrica si è neutralizzata; e poiché gli ioni della soluzione avevano una carica positiva, devono aver acquistato elettroni per forza di cose dalla barretta di metallo che li ha ceduti ed ha perso così alcuni suoi ioni (che sono andati in soluzione).
Dai dati rilevati possiamo così stilare una piccola graduatoria che indica la forza di un elemento di attrarre a se elettroni.
1)Ag 2)Cu 3)Pb 4)Zn
Tutti gli elementi presenti in natura sono ordinati secondo una graduatoria simile dov’è indicato il potenziale nominale (volt) di ognuno di loro, ovvero la differenza di potenziale a 25°C e 1M dell’elemento. La differenza di potenziale, o d.d.p. è la misura della tendenza del riducente a perdere elettroni e di quella dell’ossidante a prenderli una volta messi in contatto (in questo caso del nostro elemento con l’idrogeno H che è stato preso come unità di misura).
L’elemento preso come unità di misura in questa scala è, come già accennato, l’idrogeno.
Per inserire nella graduatoria l’idrogeno abbiamo diluito in acqua dell’acido cloridrico HCl per far sì che, per idrolisi, quest’ultimo si scinda in ioni H+ e Cl-. In seguito, ricavatoci così lo ione idrogeno, abbiamo immerso di volta in volta le barrette di Ag, Cu, Pb e Zn nei nostri becher ed abbiamo proceduto come per l’esperimento precedente.
Dai risultati abbiamo dedotto che l’H reagisce in maniera lieve con il Pb e reagisce molto bene con lo Zn, mentre con l’Ag ed il Pb non reagisce affatto.
Possiamo quindi procedere ad inserire nella graduatoria l’idrogeno.
1)Ag 2)Cu 3)H 4)Pb 5)Zn
Esperimento 2
Questo secondo esperimento ci ha dimostrato come la differenza di potenziale che si sviluppa nelle reazioni redox possa essere usata a nostro beneficio: siamo andati a riprodurre la pila Daniell. Essa è costituita da 2 becher: l’uno contenente una soluzione di un sale di zinco (es. ZnSO4) e l’altro una soluzione di un sale di rame (es. CuSO4). I due becher sono uniti da un tubo (noi abbiamo usato una spugna imbevuta) contenente cloruro di potassio (KCl), detto ponte salino; la sua funzione è quella di mettere a contatto elettrico le due soluzioni senza permettere che vi sia diffusione di ioni zinco o rame tra esse. Nella soluzione di sale di zinco è immersa una barretta di Zn metallico ed in quella di sale di rame una barrette di Cu metallico. Le due barrette immerse costituiscono gli elettrodi della pila.
Abbiamo collegato i nostri 2 elettrodi ad un voltmetro (figura) e subito abbiamo rilevato sul voltametro il passaggio d’elettroni e la d.d.p.. Gli atomi della barretta di zinco cedono i loro elettroni al rame tramite il filo, e gli ioni rimasti vano in soluzione assieme a quelli del ZnSO4; gli ioni Cu+ del CuSO4 presenti nell’altra bacinella diventano quindi neutri e metallici e si vanno ad unire alla barretta di rame. Tale passaggio è destinato però ad interrompersi nel momento in cui le quantità di ioni Cu+ e Zn+ risultano troppo sproporzionate. Per rimediare abbiamo usato il ponte salino di KCl: gli ioni K+ e Cl- del sale vanno così a loro volta a legarsi rispettivamente agli ioni SO- presenti in eccedenza nella becher del rame, per formare KSO4; gli ioni Zn+2 che eccedono dalla parte dello zinco vanno invece a formare ZnCl2. In tal modo si riesce a garantire un continuo flusso d’elettroni da una parte all’altra della pila, fino a quando, ovviamente, lo zinco non avrà ceduto così tanti ioni da consumarsi completamente.
L’energia rilevata dal voltmetro può essere utilizzata come energia elettrica. L’unica difficoltà sta nel combinare correttamente gli elementi e le lodo d.d.p.
Esperimento 3
L’ultimo esperimento consisteva nella costruzione di un voltametro artigianale, ovvero uno strumento che consente di ottenere l’elettrolisi dell’acqua in modo rapido e dimostrabile. Esso è stato realizzato con due cilindri collegati fra loro a formare una specie di H e collegati a loro volta ad un serbatoio d’acqua. Alla base dei due cilindri abbiamo collegato due elettrodi, uno negativo e l’altro positivo; all’estremità opposta d’entrambi i cilindri abbiamo posto invece 2 valvole. Poiché l’acqua è un elettrolita debole aggiungiamo H2SO4 (acido forte) per aumentare la sua conducibilità elettrica. Essendo l’H2O un composto molto stabile, la scissione in H2 e O2 non è affatto spontanea. Chiudiamo perciò il circuito elettrico collegato ad un generatore ed aiutiamo così l’elettrolisi. Avviene quindi che l’acqua si scinde in H2 e O2; il primo si formerà dalla parte dell’anodo (2H+ + 2e- → H2) mentre l’altro dalla parte del catodo (2(1/2 O2- - e-) → O2). Secondo la legge dei gas di Avogadro (il volume del gas dipende dal numero di atomi o molecole), poiché l’H2 > O, il volume del primo sarà doppio di quello del secondo. Per dimostrare ciò basta avvicinare un fiammifero ad una delle due valvole: se quando allontaniamo il fiammifero il gas continuerà a bruciare autonomamente, allora sarà la valvola dell’idrogeno; altrimenti sarà la valvola dell’ossigeno, che provvede solamente ad innescare la reazione (se spegniamo il fiammifero, l’ossigeno provvederà a ravvivare il tizzone).
Alessandro Liva 4G 03-03-2005
Lic. Sc. G. Marinelli Pagina 1 di 2