la talassemia

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Categoria:Biologia

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Testo

Le talassemie sono un gruppo di disturbi ereditari dovuti ad alterazioni nella sintesi dei componenti di una molecola chiamata emoglobina.
L'emoglobina è una grossa proteina contenuta nei globuli rossi, la cui funzione è quella di legare l'ossigeno nei polmoni e trasportarlo ai diversi tessuti. L'emoglobina raccoglie anche l'anidride carbonica prodotta nei tessuti e la trasporta ai polmoni, dove viene eliminata. La proteina dell'emoglobina (HbA) è costituita a sua volta da quattro catene polipeptidiche, chiamate globine, costituite da 600 amminoacidi. Negli adulti ogni molecola di emoglobina contiene due globine dette di tipo α (alfa) e due globine dette di tipo β (beta). Nel feto è presente un’altra Hb, l'HbF che è formata da una subunità alfa e da due subunità chiamate γ (gamma). Quando le quattro catene si uniscono a formare la proteina dell'emoglobina, creano una specie di introflessione all’ interno della quale si trova un altra molecola, molto più piccola, chiamata gruppo eme contenente gli atomi di ferro e, capace di legare e trasportare l’ossigeno e l’anidride carbonica. I difetti di una o più di queste catene causano le diverse sindromi talassemiche, in particolare le α-talassemie e le β-talassemie. Nei soggetti che sono affetti da queste particolari disfunzioni, si ha un’insufficiente produzione delle globine che determinano una diminuzione della produzione dei globuli rossi, che sono per giunta di grandezza minore del normale ( da qui il nome, pure usato, di microcitemia, che significa piccole cellule).

Le disfunzioni più diffuse nel bacino del Meditteraneo, da cui il nome di anemia meditteranea, sono le β-talassemie un gruppo eterogeneo di malattie che hanno in comune la sintesi difettosa delle globine-β dell'emoglobina. A causa della produzione difettosa delle globine-β , le globine-α si uniscono fra loro e formano degli aggregati che danneggiano la membrana del globulo rosso. Ne deriva la distruzione precoce dei precursori dei globuli rossi nel midollo (una condizione detta eritropoiesi inefficace) e, in misura minore, la loro distruzione nella milza (emolisi), in quanto quest’ultima non li riconosce come “sani”, per questo a molti malati di talassemia è stata asportata la milza con un intervento chiamato Splenectomia. Il gene, che codifica, per la globina-β è localizzato sul cromosoma 11. Si conoscono più di 150 alterazioni di questo gene, che, causano una β-talassemia, tuttavia la trasmissione della malattia da una generazione a quella successiva segue le leggi di Mendel, si possono avere due casi principali:

1) L'individuo possiede un solo gene difettoso, ereditato da uno dei due genitori, (forma eterozigote). In tal caso si parla di portatore sano e la disfunzione viene chiamata β-talassemia minor.
La maggior parte dei soggetti con talassemia minor non presenta alcun sintomo di rilievo, tanto che molte persone ignorano, d’essere affetti da tale disfunzione.
In questi soggetti, i globuli rossi sono in numero maggiore che nei soggetti normali, ma sono, un po' più piccoli (di qui il termine di microcitemia) e più poveri d’emoglobina (intorno al 15% in meno rispetto alla norma). Circa il 20% dei soggetti presenta un leggero ingrossamento della milza.
Tuttavia, nella maggioranza dei casi, il gene ereditato dal genitore sano consente una produzione di globuli rossi e di emoglobina più che sufficiente per condurre una vita normale.

2) Se un individuo possiede entrambi i geni difettosi (forma omozigote), ci troviamo di fronte a quella che viene chiamata β-talassemia major o morbo di Cooley ( dal nome del medico che primo nel 1926 identificò la malattia). La talassemia major è quindi riscontrabile solo in bambini che abbiano entrambi i genitori portatori sani, e dai quali riceve entrambi i geni malati. Questa forma si manifesta nei bambini subito dopo la nascita con un notevole pallore della pelle, sintomo che rivela la presenza di una gravissima anemia: i globuli rossi sono in numero ridotto, con una scarsa quantità d’emoglobina. Non sono perfettamente rotondi e biconcavi, ma sono deformati in vario modo, e molti sono soltanto dei frammenti. Il paziente è costretto a periodiche trasfusioni di sangue (ogni 15-20 giorni) per tutta la vita. Le trasfusioni, però, comportano inevitabilmente un eccessivo apporto di ferro, il quale finisce per accumularsi in organi importanti come il cuore, le ghiandole endocrine e il fegato, compromettendone le funzioni.
L'unico modo per evitare questo dannoso accumulo di ferro è quello di effettuare una corretta terapia con appositi farmaci detti ferrochelanti.
Fino a 50 anni fa, quando non esisteva ancora una cura, un talassemico moriva in tenera età (6-7 anni), con le ossa del cranio, delle gambe e del bacino deformate dall’iperattività del midollo, contenuto in esse, che cercava di compensare la forte carenza di emoglobina mettendo in circolo anche i globuli rossi non ancora formati. Con la comparsa delle trasfusioni di sangue si fece un passo avanti per la cura di questa malattia: un talassemico trasfondeva quando cominciava ad avvertire i sintomi della mancanza d’emoglobina (estrema debolezza, tachicardia…), ma era comunque destinato a morire nella prima giovinezza, ucciso dalle severe complicanze dovute alla malattia, che i medici ancora riuscivano a contrastare. La più rilevante di queste è il sovraccarico di ferro.
Il regime trasfusionale, infatti, provoca un accumulo di ferro nel sistema cardiocircolatorio: i globuli rossi trasfusi, una volta terminato il loro ciclo vitale, rilasciano il ferro in essi contenuto. Siccome il nostro organismo non è in grado di eliminare il ferro in eccesso in maniera naturale, avveniva che questo minerale si depositava negli organi vitali del nostro corpo, principalmente nel cuore e nel fegato, fino a provocarne il collasso e quindi la morte.
A metà degli anni ’70 un farmaco chiamato Desferrioxamina (nome commerciale “Desferal”) rappresentò una svolta cruciale per la cura della Talassemia: era, infatti, un farmaco “ferrochelante”, capace, cioè, di legarsi al ferro in eccesso presente in circolo e a permetterne l’eliminazione principalmente per via urinaria!
Ancora oggi la cura della talassemia consiste in ripetute trasfusioni, una ogni 20-25 giorni, ed in una terapia ferrochelante da seguire quotidianamente. Il farmaco d’elezione per la chelazione del ferro rimane il Desferal: usato con regolarità, può ridurre sia l’accumulo di ferro nei tessuti, sia le gravi complicanze ad esso associate.
Il Desferal è solitamente somministrato nel seguente modo: un ago attaccato ad una piccola pompa per infusione funzionante attraverso batterie e infilato sotto la pelle in varie parti del corpo per un periodo di 10-12 ore da cinque a sette volte la settimana.
L’irritazione locale nel punto dell’infusione (solitamente braccia, gambe e addome a rotazione), è un evento comune che rende la somministrazione giornaliera difficile per alcuni soggetti.
Essere in grado di tollerare il Desferal è vitale per la sopravvivenza a lungo termine dei pazienti talassemici. In ogni modo, per molti di loro questo trattamento terapeutico è così difficile da sopportare che non lo considerano o sovente lo abbandonano. Se la terapia chelante non viene correttamente effettuata, ciò comporta un aumento delle possibilità di morte precoce per il paziente talassemico. Al fine di porre rimedio a questo problema, i ricercatori stanno studiando nuovi ferrochelanti tollerabili con più facilità.
L’utilizzo di questo farmaco, specie in dosi elevate, può dare adito ad effetti collaterali quali alterazioni a livello oculare, uditivo, arresto della crescita e problemi ossei.
Esiste anche un farmaco ferrochelante orale, chiamato Deferiprone (nome commerciale L1), tuttavia l’uso è permesso solo in caso di seria intolleranza al Desferal o in combinazione con quest’ultimo.
Altri farmaci orali sono in fase sperimentale avanzata, (ICL 670, GT56-252 ecc.) la speranza di tutti i pazienti talassemici è che possano al più presto soppiantare il Desferal.
Al giorno d’oggi, l’unica via di guarigione per questa malattia, come per altre malattie del sangue (altre gravi anemie, alcuni tipi di leucemie ecc.) è rappresentata dal trapianto di midollo osseo. Il primo trapianto fu eseguito a Seattle nel 1980 proprio su un paziente talassemico; da allora sono stati fatti passi da gigante, ed oggi si raggiungono ottime percentuali di guarigione pur essendo sempre un tipo d’intervento delicatissimo. Oggi, però, più che di trapianto di midollo si parla di trapianto di cellule staminali emopoietiche (CSE), le quali, sono contenute nel midollo osseo e sono le “madri” di tutte le cellule del sangue, quelle da cui hanno origine i globuli bianchi, i globuli rossi e le piastrine. Poco più di quindici anni fa, per la precisione nel 1988 dalla prof. Eliane Gluckman a Parigi, si è scoperto che questo tipo di cellule staminali si trovano anche nel sangue del cordone ombelicale, unica fonte di nutrimento del feto durante la gravidanza.
Nella forma di portatore sano (detta “minor”) la talassemia è pressoché a sintomatica, e più che una malattia va intesa come una condizione che pone dei problemi principalmente ai fini delle combinazioni genetiche che, per due genitori entrambi portatori, possono derivarne alla prole, suscettibile di presentare la forma cosiddetta “major” della talassemia. Nel nostro paese vivono più di 3 milioni di portatori sani, concentrati soprattutto nelle aree della Bassa Padana e del Delta Padano, nel Veneto, in Sardegna e in tutto il meridione, in particolare in Sicilia. Esistono molti tipi di condizioni di portatore sano, corrispondenti ad un’ampia serie di mutazioni genetiche possibili che gli ematologi hanno progressivamente identificato. La presenza di numerose varianti (centinaia) non consente di determinare con certezza, per mezzo del semplice esame ematochimico, l’esatta natura dell’anemia. Essa viene determinata per mezzo di specifici esami dell’emoglobina o del genoma. La condizione di portatore sano della β-microcitemia, come già detto, è dovuta alla presenza, allo stato eterozigote, di un difetto sul gene β-globinico, così che esso induce ad una minore produzione delle catene β-globiniche. La condizione eterozigote significa che l’anomalia è presente su di uno solo della coppia di geni che fortunatamente la natura ci fornisce per produrre le catene β dell’emoglobina: l’altro gene dello stesso tipo, normale, vicaria bene la presenza del gene alterato, e per questo motivo accade che l’individuo portatore non sappia neppure di possedere quest’alterazione, che, viene frequentemente scoperta in modo occasionale. Il difetto dell’emoglobina fa sì che, all’emoglobina di quantità ridotta e di qualità alterata si accompagni un globulo rosso di vita più breve. Rispondendo alla domanda postaci possiamo quindi dire che usualmente nella condizione di portatore eterozigote i principali parametri alterati sono rappresentati da un leggero abbassamento della concentrazione dell’emoglobina (all’incirca del 10-15% rispetto ai valori normali), ed un aumento di numero dei globuli rossi, che sono però di diametro ridotto, oltre che di morfologia irregolare, come si evidenzia facilmente per mezzo dello striscio di una goccia di sangue posto su di un vetrino sottoposto all’esame microscopico. Insieme a queste deviazioni dai normali valori avviene che:
L’ematocrito (Hct) si colloca facilmente nella fascia bassa dei valori del normale range. Il volume corpuscolare medio ( MCV ), valore che indica le dimensioni dei globuli rossi, è marcatamente ridotto (dai valori normali di 80-100 si possono reperire frequentemente valori aggirantesi attorno a 60-65). Il contenuto emoglobinico globulare medio ( MCH ) viene ad essere marcatamente ridotto (anche più del 30% rispetto al normale). L’associazione di un basso MCH e di un alto MCV classifica l’anemia mediterranea, anche quella lieve della forma eterozigote (portatore), tra le anemie ipocromiche microcitiche, ovvero quelle anemie in cui i globuli rossi si presentano ipocolorati (ipocromici) per effetto della diminuzione di concentrazione dell’emoglobina, e di piccole dimensioni (microcitici). In conseguenza del diminuito tasso d’emoglobina aumenta la conta dei reticolociti, ovvero sono maggiormente presenti, con significato di compenso, le cellule giovani precursori dei globuli rossi. E’ utile tener presente che la diagnosi di talassemia deve essere sospettata se si riscontra un volume globulare medio inferiore a 70. Oltre a quanto ci dicono gli esami più comuni, e tralasciando di descrivere nel dettaglio esami più specialistici, possiamo aggiungere - da un punto di vista clinico - che circa un quinto dei portatori presenta un modesto ingrossamento della milza (organo preposto a distruggere i globuli rossi ), in conseguenza del fatto che essa è chiamata a funzionare a ritmo più elevato del normale. Da citare due soli altri esami di utile impiego: l’elettroforesi dell’emoglobina, che fornisce indicazioni di indirizzo utili ai fini della diagnosi, e i test di amplificazione detti PCR (polymerase chain reaction), che consentono di studiare con rilevante precisione rispetto al passato il materiale in oggetto, evidenziando i difetti dei geni stessi preposti alla produzione dell’emoglobina invece della struttura dell’emoglobina. Ricercando le eventuali interferenze con altre patologie si può aggiungere che poiché ogni assetto genetico ci pone in condizione di maggior resistenza per certe patologie ma ci rende più suscettibili ad altre, per la condizione di portatore sano di anemia mediterranea sussiste, come è noto da tempo, un certo grado di protezione nei confronti di patologie come la malaria, la tubercolosi e, sembra, l’ipertensione essenziale, ma è opportuno che gli stessi soggetti sappiano anche che per loro sembra esistere qualche probabilità in più di ammalarsi di calcoli della cistifellea e di artrite reumatoide, per cui sarà per loro vantaggiosa l’effettuazione di specifiche visite di controllo dei relativi organi , specialmente se non sono più giovanissimi.
La patologia in Sardegna si presenta con entrambe le forme, alfa e beta, e benché i dati, che la quantificano, siano oggetto di discussione (per esempio perché il campione di rilevazione non è casuale), ci sono circa il 38% di portatori alfa, e il 12% circa di portatori β-minor (sani). La forma più grave di talassemia, la β-major, ricorre invece con una frequenza di 1 malato su 250 soggetti nati vivi. Con un’opportuna prevenzione (e cioè grazie ai programmi di screening avviati sulla popolazione adulta in età feconda) questo valore si può ridurre ad 1 su 4000 circa.
La malattia è ereditaria, e la sua trasmissione è regolata dalle leggi di Mendel, secondo le quali per una coppia di portatori sani di β-talassemia (che hanno cioè perso la funzione di 1 gene su 2), ci sono il 25% di probabilità che un figlio sia malato, il 25% che sia un portatore sano, il 50% che sia sano.
Da ciò l'importanza sociale e individuale dei programmi di screening che, mirati all'identificazione dei portatori sani, permettono di rendere consapevoli le coppie a rischio. L'individuazione e la classificazione dei portatori alfa e beta si effettuano su due livelli di analisi: nel primo si valutano i dati dell'emogramma del soggetto (cosiddetto prescreening); nel secondo, al quale vengono inviati i casi "sospetti" del primo, i parametri da esaminare diventano invece più specifici, e gli esami necessari richiedono alti costi economici ed organizzativi, tempi di risposta più lunghi e non sono disponibili ovunque.
Inoltre, il 39% dei talassemici-α non viene rilevato dalla lettura dell'emogramma perché non presenta microcitosi (cioè il volume corpuscolare medio dei globuli rossi è superiore al valore di soglia): tali soggetti risultano erroneamente classificati come "non portatori". Spinti da queste considerazioni, i ricercatori hanno sviluppato un sistema di classificazione automatico di talassemia α e β basato sul metodo delle reti neurali, una delle tecniche di calcolo di quella branca dell'Informatica che viene definita "Intelligenza Artificiale". Vengono utilizzati solo i dati principali dell'emogramma, e cioè il conteggio dei globuli rossi, l' emoglobina, l' ematocrito e il volume corpuscolare medio dei globuli rossi. Va ricordato che l'emogramma è un esame diffuso in qualunque centro ospedaliero, a bassissimo costo e "non invasivo". Lo scopo del sistema sviluppato è quello di migliorare l'accuratezza della diagnosi (cioè la percentuale di casi correttamente classificati) . Attualmente il sistema è capace di riconoscere il 91% dei talassemici-α (contro il 61% del prescreening convenzionale), e il 100% dei talassemici-β.
Per raggiungere questo risultato, sono state utilizzate circa 300 cartelle cliniche corrispondenti ad un campione casuale di soggetti di età compresa fra 14 e15 anni, sottoposti a screening dall'ospedale di Ozieri. Per tutti i soggetti erano anche noti oltre ai dati dell'emogramma, quelli dell'emoglobina A2 e, per i portatori α, quelli dell'analisi genetica. Dei 300 casi, circa due terzi erano soggetti normali, gli altri portatori alfa o beta in proporzione di circa tre a uno.
La Sardegna è una delle regioni italiane a più alto rischio per l'elevato numero di portatori sani (200.000 circa) su una popolazione di 1.600.000 abitanti. Un sardo ogni 8 si calcola che sia microcitemico (portatore sano). Risulta così più facile che altrove che si formi la coppia a rischio, formata cioè da due portatori sani. Si calcola che attualmente in Sardegna 1 coppia ogni 70 sia una coppia a rischio. I talassemici ammalati che attualmente vivono in Sardegna sono circa 1500 con un rapporto di 1 ogni 1000 abitanti.

La talassemia è oggi ampiamente diffusa in una vasta parte del Mondo, colpisce in alcune zone oltre il 20% della popolazione. Questo dato, unito alla gravità della malattia e alla previsione di una sua ulteriore diffusione nel Mondo, rendono la talassemia un problema di estrema attualità.L'attualità di questa malattia non significa però che la talassemia sia di recente origine. Malgrado la sua identificazione risalga solo ai primi anni del nostro secolo, questa malattia è compagna dell'uomo da almeno 10.000 anni. Questo vuol dire che la dove sorsero le più fiorenti civiltà del passato, quasi sempre, vi era la talassemia. Da allora la malattia, attraverso fasi di maggiore e minore diffusione, giunse fino a noi, tramandataci da quelle civiltà al pari della loro cultura, e insieme al loro patrimonio genetico. Allo stesso modo della cultura occidentale, anche la talassemia nacque, con gran probilità, sulle coste del Mediterraneo, da qui, col passare dei secoli e grazie alle migrazioni e agli scambi fra diverse popolazioni, è giunta ai giorni nostri a interessare più di 200 milioni di persone sparse in quasi tutto il Mondo. Volendo ora ricostruire le vicende della nascita e della diffusione della talassemia nel tempo e nello spazio, è importante prendere in esame la stretta relazione che esiste tra questa malattia e la malaria, altra grande malattia del passato, ancora oggi presente in vaste zone della Terra. In breve, il rapporto che lega queste due malattie così diverse, la talassemia malattia genetica e la malaria malattia infettiva, deriva dal fatto che il soggetto talassemico, sia esso omozigote o eterozigote, risulta molto più difficilmente contagiabile dalla malaria rispetto ad un soggetto normale. La talassemia, pur essendo causata da un difetto genetico che in condizioni ambientali normali risulta svantaggioso e sarebbe quindi eliminato dalla selezione genetica, ha rappresentato invece, in un ambiente colpito dalla malaria, un notevole vantaggio e ha potuto in tal modo diffondersi largamente. In pratica una coppia di genitori portatori sani di talassemia, perdeva mediamente un figlio ogni quattro in quanto talassemico omozigote; questo significava che, specie in tempi in cui la mortalità infantile era già molto alta per altre svariate cause, per questi genitori era più difficile rispetto a soggetti normali avere dei discendenti e quindi trasmettere il propio difetto genetico. Tale difetto si sarebbe perciò estinto nel giro di poche generazioni dalla sua comparsa. Al contrario, in un ambiente duramente colpito dalla malaria, il difetto talassemico si traduceva in un grosso vantaggio: se infatti la coppia di genitori portatori di talassemia da una parte continuava a perdere un quarto dei propri figli per la talassemia, dall'altra parte i rimanenti tre quarti risultavano protetti dalla malaria; malattia che di sicuro portava via alle coppie di genitori sani ben più di un quarto dei figli. In pratica, attraverso la mutazione genetica responsabile della talassemia, è come se il nostro corredo genetico avesse scelto di sacrificare qualche individuo malato per poter offrire, in ambiente malarico, più possibilità di sopravvivenza agli altri. Per tale motivo in ambiente malarico le coppie di talassemici eterozigoti avevano maggiori probabilità delle coppie sane di avere una discendenza e perciò l'anomalia genetica poté ampiamente diffondersi proprio nelle zone malariche. Si può quindi dire che condizione necessaria affinché la talassemia potesse diffondersi era dunque la presenza della malaria. Ciò in virtù del fatto che la vasta diffusione della talassemia può essere giustificata solo dalla presenza della malaria, non essendo infatti stati fino ad ora identificati altri vantaggi che spiegherebbero una sua sopravvivenza ed essendo escluso che i soggetti eterozigoti possano aver un indice di fertilità più alto degli individui sani.
Perciò nel cercare le linee di diffusione della talassemia si deve sempre tener presente che queste vanno cercate solo in tempi e luoghi in cui vi è testimoniata la presenza della malaria. Sicuramente nel corso della plurimillenaria storia dell'uomo vi saranno stati svariati casi di mutazione genetica che hanno causato l'insorgere in qualche soggetto della talassemia, ma qualora tale mutazione fosse avvenuta in ambiente non malarico la talassemia quale mutazione nefasta non avrebbe potuto diffondersi nella popolazione e sarebbe scomparsa nel corso di qualche generazione. Invece, nel caso in cui la mutazione talassemica fosse avvenuta in un individuo appartenente ad una popolazione afflitta dalla malaria, la frequenza della talassemia sarebbe cresciuta fino a raggiungere un valore di equilibrio tra il guadagno degli eterozigoti, che rimangono immuni dalla malaria e la perdita degli omozigoti, che non arrivano a riprodursi. Nel caso poi la malaria, nel corso della storia, fosse stata eradicata dal territorio, la talassemia non sarebbe più stata di alcun vantaggio e sarebbe iniziata un'inversione di tendenza che porterebbe ad una progressiva, se pur lenta, riduzione della frequenza dei soggetti talassemici. Questa lenta inversione di tendenza, è stato calcolato da Luzzato, Terrenato e Rossi-Mori, porta ad una totale scomparsa del gene malato solo dopo circa 100 generazioni.A testimoniare la relazione fra la talassemia e la malaria è infine sufficiente confrontare una mappa della diffusione della talassemia nel Mondo con una mappa della distribuzione della malaria fino al secolo scorso; ciò permette di poter immediatamente constatare come le zone di diffusione delle due malattie siano perfettamente sovrapponibili.
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Doppio trapianto staminali, guarisce bimbo talassemico

Luca, 5 anni, fino a un mese fa con la prospettiva di vivere tutta la vita sottoponendosi due volte al mese a trasfusione di sangue e di dormire ogni notte, per tutta la vita, con un ago sottopelle per eliminare l'eccesso di ferro che le continue trasfusioni avrebbero depositato nel suo organismo. Il 12 agosto scorso un trapianto di cellule staminali prelevate dal sangue del cordone ombelicale dei suoi due nuovi fratellini gemelli ha sconfitto per sempre la sua talassemia, la malattia genetica che distruggeva i suoi globuli rossi, e gli ha regalato una vita normale.
E' accaduto nella divisione di Oncoematologia pediatrica dell'Irccs San Matteo di Pavia e in un modo che ha tutte le caratteristiche dell'impresa scientifica, perche' per la prima volta le cellule che gli sono state infuse erano state, in parte, manipolate in vitro e fatte aumentare di numero, presso la Cell Factory dell'Irccs Policlinico di Milano. Un evento che e' stato definito ''storico'' dal ministro della Salute, Girolamo Sirchia, perche' apre la porta allo studio dell'impiego clinico, anche nell'adulto, di cellule staminali trattate, amplificandone il numero, per avere maggiore certezza dell' attecchimento.
L'occasione viene presa al volo da Franco Locatelli, il direttore della divisione, quando, sono gli ultimi mesi del 2003, si presenta nel suo studio una coppia di genitori. Abitano in un comune della Lombardia (il medico dice solo l' indispensabile per il timore di violarne la privacy), sono portatori sani di Talassemia Mayor e il loro bambino, Luca, cinque anni, e' talassemico. Ma i genitori, sapendo di avere 3 probabilita' su 4 che il figlio successivo sia sano, hanno deciso di provarci ancora: infatti la signora e' incinta al quarto mese. E' in attesa di due gemelli dizigoti, perfettamente sani. La domanda della coppia - che e' stata evidentemente indirizzata a Pavia da un medico di famiglia bene informato - e' piena di speranze: i gemellini che stanno per nascere possono aiutare il fratellino? Locatelli lo sa bene: in quanto sani e compatibili con il piccolo Luca, i due gemellini sono impiegabili per un trapianto di cellule staminali. Nascono in aprile, presso la Clinica Ostetrico Ginecologica del San Matteo e al momento del parto il sangue dei due cordoni ombelicali viene congelato e messo da parte. Ma a un primo esame si scopre che uno dei due e' ricco di cellule staminali, l'altro ne e' povero.
Per Locatelli questa e' l'occasione giusta per non limitarsi a un trapianto con l'unita' ricca di staminali, ma di utilizzare anche l'altra (ugualmente compatibile), dopo averla sottoposta all' amplificazione del numero delle staminali. ''In questo modo - ha precisato il medico pavese - e' stato possibile verificare, attraverso opportune indagini molecolari, il contributo di entrambe le filiere placentari, quelle dell' unita' ricca di cellule staminali ma anche quello dell'unita' piu' povera, le cui staminali sono cresciute di numero in vitro. E per la prima volta - ha sottolineato - e' stato dimostrato che anche le unita' espanse in vitro possono contribuire all' attecchimento delle staminali'', poi diversificatesi fino a formare globuli rossi sani.
Infatti, il doppio trapianto, avvenuto il 12 agosto, dopo che il numero delle staminali del cordone piu' povero in 15 giorni era stato fatto crescere di 60 volte presso la Cell Factory del Policlinico di Milano diretta da Paolo Rebulla, ha avuto l'esito sperato: gia' 16 giorni dopo l'intervento Luca aveva valori di globuli bianchi ampiamente protettivi dal rischio di infezione (alto in questi casi) e due giorni dopo erano documentati i primi segni di una ''significativa produzione di globuli rossi sani''.
I due fratellini di Luca potranno essere orgogliosi di avergli regalato entrambi, con il loro cordone ombelicale (proprio quello che va buttato via se la gestante non decide di donarlo), una nuova vita, normale in tutto e per tutto.
''Il trapianto di cellule staminali nei bambini - ha spiegato infine Sirchia - funziona gia' in molti casi, pur senza il trattamento di espansione, anche se e' piu' complicato, se ci vogliono piu' sacche. Nell'adulto purtroppo non funziona, ma questo caso ci ha dato preziose informazioni e ci apre la strada alla possibilita' di utilizzare anche i cordoni ombelicali poveri di staminali, una volta sottoposte ad espansione. In questo senso - ha concluso il ministro - quello presentato oggi e' stato un intervento storico''.

Topi talassemici guariti con inserimento gene sano.

La terapia genica ha guarito dei topolini affetti da beta-talassemia.
L'obiettivo e' stato ottenuto al St. Jude Children's Research Hospital dove un gruppo di scienziati ha inserito nelle cellule staminali del midollo osseo (che producono cioe' le altre cellule del sangue) il gene sano per una proteina che contribuisce a formare l'emoglobina.
Cio' consente ai roditori, hanno riferito sulla rivista Blood gli scienziati coordinati da Derek Persons, di produrre emoglobina normale.
Nei globuli rossi del sangue e' presente l'emoglobina, la molecola che trasporta l'ossigeno nel sangue. Nell'individuo adulto e' costituita dell'assemblaggio di 4 proteine, due alfa-globine e due beta-globine. Nel feto di due parti chiamate gamma-globine e alfa-globine. Nei beta-talassemici una mutazione genetica impedisce la produzione di beta-globine quindi l'emoglobina non si forma e la alfa-globina si accumula dando gravi danni all'organismo.
I ricercatori hanno inserito il gene per la gamma-globina fetale nelle cellule emopoietiche di topolino e hanno permesso che questo, malato di beta-talassemia, guarisse producendo emoglobina della forma presente di solito nel periodo fetale. Il gene e' stato inserito nelle staminali tramite un vettore virale innocuo. La scelta di inserire il gene della gamma-globina invece di quello della beta-globina, che e' poi la vera molecola mancante nell'individuo talassemico, non e' casuale, hanno spiegato gli scienziati, serve per 'ingannare' il sistema immunitario del ricevente e tenerne a bada le reazioni all'inserimento del gene. Infatti mentre il feto ha prodotto la gamma-globina normalmente quindi il sistema immunitario dell'organismo conosce gia' la gamma-globina, l'individuo non ha mai prodotto beta-globina sana quindi il suo sistema immunitario potrebbe riconoscerla come 'nemica' ed attaccarla non appena la beta-globina viene introdotta improvvisamente con la terapia genica.
Il vettore usato per la terapia, ha inoltre riferito la Persons, e' di nuova generazione ed e' dotato di una 'cassetta degli attrezzi' per regolare il livello di attivita' del gene trasportato esattamente come tutti i geni presenti nel Dna. Inoltre la sua struttura e' tale da permettere la riuscita della terapia inserendo in ogni cellula staminale una sola copia del gene, cosa che riduce moltissimo il rischio di effetti collaterali della terapia genica, rischio che risiede nell'eventualita' che il gene traghettato dal vettore si inserisca nel punto sbagliato e faccia danni.
Grazie al nuovo vettore i topolini trattati stanno molto meglio e producono fino al 33 percento di emoglobina fetale. Ma servono altri studi, ha ammesso la Persons, prima di pensare a sperimentazioni cliniche della terapia.

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