Il virus dell'HIV

Materie:Appunti
Categoria:Biologia

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Testo

L’AIDS è la sigla inglese per la “Acquired Immune Deficiency Syndrome”, la malattia infettiva definita sindrome da immunodeficienza acquisita. Essa è causata dall’infezione di alcune cellule umane da parte del virus HIV (Human Immunodeficiency Virus). Il virus è circa 1000 volte più piccolo delle cellule umana del sistema immunitario: infatti attacca in particolare i linfociti T inserisce il proprio genoma nel DNA della cellula e ne impedisce le funzioni fino a distruggerla.
Attualmente si conoscono almeno due ceppi virali, responsabili dell'AIDS, l'HIV-1 e l'HIV-2, per il rilevamento dei quali è stato necessario sviluppare test sierologici diversi. Questi due virus, infatti, pur essendo strettamente imparentati e causando la stessa malattia, mostrano differenze in alcune componenti proteiche. L’HIV-1 è maggiormente diffuso nel mondo, particolarmente nel mondo occidentale, e forse anche più virulento; HIV-2 è presente in alcune aree dell’Africa occidentale e in India.
La struttura dell’HIV è quella tipica di un Retrovirus umano, costituito da una capsula lipoproteica, all'interno della quale viene conservato il materiale genetico virale; si tratta di due molecole uguali di RNA a catena semplice. Inoltre contiene un enzima, la transcriptasi inversa che opera la conversione dell’RNA in DNA per consentire l’integrazione del virus nel genoma cellulare. Infatti L’HIV è un virus, e come tale privo di metabolismo proprio, quindi la sua vita dipende dalla cellula ospite, la quale viene sfruttate per proteggere con la membrana il genoma virale e per consentirne la riproduzione. Nel genoma dell’HIV oltre ai geni strutturali, sono presenti geni regolatori: il TAT che accelera indiscriminatamente la sintesi delle proteine virali; il REV agisce selettivamente e il NEF inibisce la sintesi proteica. Nel processo in cui l’rna virale si inserisce nel genoma della cellula ospite.
Sulla capsula lipoproteica del retrovirus, che viene prodotta a spese della cellula ospite, sono presenti numerose molecole, tra le quali una glicoproteina chiamata gp120, che riconosce specificamente la molecola CD4, un'importante proteina del sistema immunitario, localizzata sulla superficie dei linfociti T. L'interazione tra gp120 e CD4 consente all'HIV di penetrare all'interno di un linfocita T e di moltiplicarsi in tale cellula, fino a causarne la morte. L’enzima transcriptasi inversa, a differenza delle normali DNA polimerasi, non possiede un sistema di autocorrezione degli errori, quindi vi è una alta probabilità di mutazioni del genoma virale; ciò ne rende ancora più difficile l’identificazione da parte del sistema immunitario.
Qualunque cellula umana che esprime sulla propria superficie la molecola CD4 è un potenziale bersaglio dell'infezione da HIV. Tuttavia, nell'AIDS le cellule più colpite sono i macrofagi e i linfociti T helper o linfociti T-CD4, poiché tali cellule esprimono alti livelli della molecola CD4. Oltre alle cellule direttamente infettate dal virus, l'AIDS danneggia e uccide anche i linfociti T helper non infetti. Nel sistema immunitario non colpito dall'HIV i linfociti T-CD4 rivestono un ruolo fondamentale, in quanto aiutano le altre cellule coinvolte nella risposta immunitaria a reagire agli invasori. L’HIV distrugge i T helper con diverse modalità; in primo luogo ne provoca la lisi perforando la membrana causata dalla moltiplicazione abnorme del virus causata dal gene regolatore TAT. In secondo luogo la proteina virale gp120 si diffonde mediante la proteina CD4 ad altri helper con cui le cellule infette vengono a contatto; ma ogni cellula infetta prima di contagiarne altre moltiplica migliaia di volte il virus, durante questa fase il virus matura formando il capside.
Modalità di trasmissione
Il virus dell’HIV è presente in quantità trascurabili in liquidi organici come la saliva e le lacrime, che quindi non sono considerati veicoli di trasmissione; al contrario i principali veicoli di contagio sono il liquido seminale e quello vaginale, è evidente quindi che il rapporto sessuale con persone infette è particolarmente a rischio. Il virus è presente in grandi quantità nel sangue, quindi è possibile trasmettere la malattia mediante trasfusioni di sangue infetto, lo scambio di siringhe, la trasmissione transplacentare, durante il parto o l’allattamento.
Evoluzione della malattia
Dal momento dell’avvenuto contagio, per un periodo variabile da sei settimane ad un anno, la persona non avverte sintomi e il virus non è rilevato da alcun test; questa è una fase pericolosa per il contagio di altre persone (STADIO0).
Da questo momento la progressione della malattia nei sieropositivi è ben definita. Entro una-tre settimane dall'infezione con l'HIV quasi tutti i soggetti provano sintomi aspecifici) (STADIO1), simili a quelli di un'influenza (febbre, cefalea, eruzioni cutanee, linfoadenopatia e malessere), che durano all'incirca una-due settimane. In questa fase, (STADIO2), denominata sindrome retrovirale acuta, l'HIV si riproduce in grandi quantità, circola nel sangue e determina infezioni in tutto l'organismo, soprattutto nei linfonodi. Il numero dei linfociti T-CD4 diminuisce, per poi tornare a livelli quasi normali quando il sistema immunitario inizia a rispondere all'infezione e a limitare la moltiplicazione e la diffusione dell'HIV. La risposta immunitaria si verifica nell’80% dei soggetti, ma il virus non può essere attaccato perché protetto dalla membrana degli stessi linfociti; inoltre il virus si riproduce più velocemente e prolifera insieme alla cellula ospite. I soggetti entrano poi in una prolungata fase asintomatica, che può durare anche più di dieci anni. In questo periodo gli individui infetti godono generalmente di salute normale, con livelli di linfociti T-CD4 ai limiti inferiori della norma (500-750 cellule per mm3).
Anche in questa fase (STADIO3) l'HIV continua a moltiplicarsi intensamente; la sua concentrazione rimane, tuttavia, relativamente bassa, poiché le cellule del sistema immunitario conducono un'intensa lotta contro le particelle virali, uccidendone una grande quantità. In questo tempo però, il sistema immunitario della persona infetta si deteriora gradualmente, fino a esaurire completamente le proprie risorse. A questo punto i pazienti entrano nella cosiddetta fase sintomatica precoce (STADIO4): essa può durare da pochi mesi a molti anni ed è caratterizzata dalla rapida diminuzione dei livelli dei linfociti T-CD4 (200-500 cellule per mm3) e da infezioni opportunistiche, che tuttavia non minacciano la vita del malato. Quando la compromissione del sistema immunitario raggiunge un punto critico, si presentano le gravi malattie che caratterizzano la fase sintomatica tardiva (STADIO5).
Anche quest'ultima fase può durare da pochi mesi a diversi anni e i pazienti possono presentare livelli di linfociti T-CD4 inferiori a 200, insieme ad alcune infezioni opportunistiche tipiche dell'AIDS. Nella gran parte dei pazienti giunti a questo stadio si osserva deperimento fisico, accompagnato da perdita progressiva di peso e da mancanza di energia. Alla fine i pazienti entrano nella fase di AIDS avanzato (STADIO6), durante la quale il numero dei linfociti T-CD4 è inferiore a50. La morte avviene nel giro di uno o due anni, a causa di un tumore o di gravi infezioni opportunistiche.
Infatti il decesso per AIDS non è generalmente dovuto direttamente all'infezione da HIV, ma alle infezioni opportunistiche causate dalla distruzione del sistema immunitario provocata dal virus. Esse insorgono, infatti, quando il sistema immunitario non riesce più a proteggere l'organismo contro gli agenti presenti normalmente nell'ambiente. Le affezioni dette "malattie tipiche dell'AIDS" sono, per esempio, tutte le infezioni da protozoi, funghi, batteri o virus; forme tumorali (linfomi e sarcoma di Kaposi); talvolta si manifestano anche disturbi neurologici dovuti al fatto che monociti-macrofagi infetti possono raggiungere i neuroni e contagiarli.
Per la messa a punto di preparati antivirali efficaci contro l'HIV, gli scienziati hanno cercato di individuare i punti deboli presenti nel ciclo di duplicazione del virus. Il farmaco più usato è l’AZT, inibisce la sintesi del DNA da parte della transcriptasi inversa. Questo però non ha capacità selettive quindi interferisce con la duplicazione di tutte le cellule, ed è particolarmente tossico per il midollo osseo. Il metodo migliore sarebbe il vaccino, ma trovarne uno è estremamente difficile poiché il vaccino deve stimolare la reazione delle stesse cellule colpite dal virus. Inoltre l’HIV è estremamente soggetto a mutazioni ed il vaccino non potrebbe essere efficace per ogni nuovo ceppo.
Si conclude quindi che, almeno per ora, l’unico efficace rimedio è la prevenzione che si attua, per quanto possibile, evitando comportamenti a rischio. Inoltre è documentata la risposta immunitaria verso il virus, quindi si può verosimilmente affermare che persone dal sistema immunitario in piena efficienza riescano a contrastare il virus nelle fasi iniziali.

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