Gli effetti della privazione sonora

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Categoria:Biologia

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Testo

Qualora prima, durante o immediatamente dopo la nascita un evento lesivo agisca sull’apparato uditivo, inteso in senso lato, inibendone l’attività funzionale, non viene utilizzato quel periodo di tempo fisiologicamente "utile" all’acquisizione della parola rappresentato dai primi tre anni di vita; conseguentemente si manifesteranno i danni dovuti alla privazione sensoriale acustica. Gli effetti di un’assente o molto deficitaria informazione acustica non riguardano solo l’apprendimento della parola, ma interessano, negativamente, anche il meccanismo percettivo globale e, di conseguenza, il comportamento del soggetto. E’ noto che lo sviluppo psichico, del bambino sordo, se paragonato a quello di un bambino normoudente di pari età, è nettamene inferiore e, al tempo stesso, si manifestano carenze nelle capacità di astrazione. Accanto a queste alterazioni, spesso, si riscontano, nel bambino, chiari segni di deficit intellettivo e modificazioni comportamentali anche serie. L’attenzione è facilmente compromessa, come pure l’atteggiamento; il bambino, spesso, è indifferente ed ombroso, a volte litigioso e violento coi coetanei, tiranno con i genitori. Il comportamento e le alterazioni abnormi vengono, spesso, peggiorate dall’atteggiamento iperprotettivo dei genitori che, tra l’altro, non sono capaci di infliggere il minimo castigo ad un bambino da loro ritenuto anormale. Le turbe dell’attenzione e del comportamento, cui ora si è accennato, ed il deficit intellettivo che, sovente, si accompagna, trovano la loro base patogenetica nella carenza di stimoli sonori dovuti ad una grave lesione funzionale del canale di informazione sensoriale acustico. Venendo meno uno dei canali di informazione più importanti come la vista o l’udito, una parte del mondo che circonda il bambino sfugge alla sua conoscenza ed alla valutazione esatta e, pertanto, ciò comporterà una immagine errata. In sostanza, si altera tutto il meccanismo percettivo di ciò che esiste od avviene attorno al bambino e, per questo, si modificano anche le risposte e, di conseguenza, il comportamento di questo di fronte alle situazioni che attorno a lui vengono a crearsi. La mancata diagnosi di sordità e la cattiva interpretazione delle conseguenze di una mancata funzione uditiva possono portare, soprattutto se queste sono esasperate o mal valutate, ad errori diagnostici estremamente gravi.

CAUSE E PROFILASSI DELLA SORDITÀ INFANTILE
La sordità rappresenta uno stato di inefficienza parziale o totale dell’apparato uditivo, cioè del recettore sensoriale specializzato, capace, normalmente, di captare le vibrazioni provenienti, sotto forma di energia meccanica, da una sorgente sonora. Si può nascere sordi o si può diventarlo nei primi mesi o anni di vita per cause diverse. L’etiologia della sordità è, infatti, molto ampia e comprende:
FATTORI EREDITARI
FATTORI ACQUISITI
Le sordità ereditarie si distinguono, a loro volta, in:
DOMINANTI
RECESSIVE
La sordità dominante viene riscontrata nel gruppo familiare in generazioni successive. Clinicamente, di rado, si manifesta alla nascita ma più spesso dopo i cinque anni. Il linguaggio si sviluppa come di norma ma viene disturbato il controllo acustico dell’andamento melodico della parola. Nella sordità recessiva, il fondamento ereditario della lesione è confermato dalla sua più alta frequenza in determinate aree di consanguineità. Il deficit acustico si presenta alla nascita ed è sempre grave. Per ciò che riguarda le sordità acquisite, vengono distinte a seconda dell’epoca nel quale ha agito l’agente patologico responsabile del danno uditivo. Si distinguono perciò in sordità prenatali, neonatali e postnatali. Le sordità prenatali sono quelle dovute a malattie che colpiscono la donna durante la gravidanza. L’agente lesivo può agire o sull’embrione o direttamente sul feto attraverso la placenta oppure indirettamente. Nel primo caso, l’agente patogeno giunge al feto per via vascolare superando il filtro placentare; è il caso dei virus (influenza, herpes, rosolia) o dei batteri (streptococco, meningococco) o di tossici a basso peso molecolare (gas anestetici, sostanze idrosolubili, alcool etilico) o di alcuni elementi naturali (metalli, metalloidi, arsenico, piombo) o composti organici (nicotina, morfina) o alcuni antibiotici (streptomicina). L’azione "indiretta" si esplica attraverso una forma morbosa materna, quale può essere una anossia placentare oppure una turba metabolica o una malattia comportante conseguenze di ordine diverso. Tra le forme esogene di sordità prenatali, maggior menzione spetta alla rosolia, malattia virale responsabile di lesioni varie, che si possono associare nello stesso prodotto di concepimento (lesioni auricolari, oculari e cardiache). L’entità ed il tipo di lesioni, che si determinano, non dipendono dalla gravità con la quale si manifesta la malattia, che può decorrere pressoché asintomatica, ma dall’epoca nella quale si instaura l’affezione nella madre. Il periodo che comporta il più grave pericolo per il feto è quello dei primi tre mesi di gestazione. I principali fattori responsabili delle sordità neonatali sono: trauma da parto, prematurità, anossia, gravi emolisi ed ittero neonatale. Circa i traumi da parto, in presenza di parto difficile, spesso l’uso del forcipe o della ventosa può essere responsabile di sordità per emorragia meningea o cocleare. Anche nei prematuri si riscontra sordità. Campanelli, Pollock ed Henner ritengono che i fattore maggiormente significativo sia il modesto peso del nascituro. Comunque, per poter attribuire importanza patogena alla sola prematurità, occorre, però, eliminare il ruolo svolto da tutte quelle condizioni patologiche che spesso la accompagnano (l’anossia e l’ittero neonatale). Infatti, l’anossia, o scarsità di ossigeno, possono determinare la morte del feto oppure lesioni di varia entità a livello cerebrale, in rapporto alla durata della condizione anossica. La sordità può essere dovuta a lesioni dell’orecchio interno o dei centri acustici. Infine, ma non ultima, vi è la malattia emolitica del neonato od eritroblastosi fetale, determinata, prevalentemente, dall’incompatibilità del fattore Rh. Anche un ittero abnorme può, comunque, causare danni al sistema nervoso, ai centri ed alle vie acustiche o all’apparato periferico. Le sordità postnatali, invece, sono affezioni che fanno risentire la loro azione dopo la nascita. In genere, si tratta di agenti patogeni che possono colpire l’orecchio o i nervi sia isolatamente che contemporaneamente alle lesioni dei centri nervosi. Le cause responsabili possono essere: traumi, malattie infettive, intossicazioni. Per traumi si intendono traumatismi cronici che anche senza fratture traumatiche, radiologicamente evidenti, della rocca possono determinare sordità unilaterali o bilaterali. Le malattie che possono causare danni uditivi sono: la meningite cerebrospinale, l’encefalite, la parotite epidemica ed il morbillo. Tra le malattie infettive vanno non vanno dimenticate le forme suppurative dell’orecchio medio ed i loro esiti. Anche se l’avvento degli antibiotici ha ridotto, in modo sensibile, l’incidenza di queste forme morbose, non è eccezionale riscontrarne, ancora, nella pratica corrente. Nell’ambito delle intossicazioni, la streptomicina è il farmaco più incriminato quale responsabile di sordità infantili gravi. Altri antibiotici oto-tossici sono la kanamicina e la gentamicina. L’azione lesiva che essi determinano, si manifesta sia a livello del vestibolo che della coclea, per le caratteristiche che hanno tali antibiotici di concentrarsi in modo elevato nel liquido peri-linfatico. Dopo aver analizzato le varie cause di sordità, passiamo ora ad analizzare la qualità della perdita uditiva. Perciò parliamo di sordità trasmissiva, se vi sono lesioni che interessano l’orecchio esterno e quello medio, di sordità percettiva, quando la lesione interessa l’orecchio interno, il nervo acustico ed i centri cerebrali, e di sordità miste, quando vi siano lesioni nell’orecchio esterno, medio ed interno. Le sordità di tipo trasmissivo, molte volte, possono essere risolte con terapia medica, chirurgica, con protesi acustiche o con un’amplificazione o, ancora, riducendo le distanze tra il soggetto e chi parla oppure aumentando il tono della voce. Le sordità di tipo percettivo, le più gravi, sono legate proprio alla percezione dei suoi ed alla trasformazione dell’energia sonora in quelle zone della coclea, chiamate "frequenziali", che permettono la comprensione della parola. Un’alterazione, a livello di dette zone, provoca informazioni alterate o, addirittura, consente l’ascolto di suoni che però non vengono percepiti se non come rumori. Passiamo, ora, alla quantità o grado di sordità. Il grado di sordità può essere distinto in base alla perdita ed al residuo di udito, valutato in decibel. Ciò consente di valutare le ipoacusie in lievi, medie, gravi e profonde. Accertare il più precocemente possibile la causa della lesione uditiva è estremamente importante. La profilassi deve essere in grado di operare nel periodo pre-matrimoniale (per l’identificazione di ogni tipo di fattore ei rischio eredo-genetico) e nel periodo gestazionale (per la ricerca dei fattori lesivi per la madre e per il feto). La profilassi peri-natale serve ad evitare qualsiasi causa di rischio aggiunto dopo la nascita. La profilassi post-natale consiste, soprattutto, nell’accertarsi che il bambino sia, adeguatamente, difeso, dal punto di vista anticorpale, nei confronti delle malattie virali dell’infanzia e nell’evitare le malattie delle prime vie respiratorie che possono causare sordità di tipo trasmissivo.

L’EDUCAZIONE DEI GENITORI DEL BAMBINO IPOACUSICO
All’annuncio della sordità del proprio figlio, i genitori subiscono un trauma che riescono a superare nella misura in cui sono "maturi" ed "equilibrati". L’accettazione della minorazione e del bambino "minorato" condizione tutta l’opera rieducativa e la formazione del carattere e della personalità del bambino sordo. Di norma, è all’inizio del II semestre di vita che i genitori si accorgono che il bambino non reagisce adeguatamente ai rumori o che, comunque, decidono di farlo vedere da uno specialista. Può capitare, quindi, e nella maggior parte dei casi capita effettivamente, che, quasi a ciel sereno, arrivi la notizia che il bambino sia "sordo". Si verificano, nei confronti del figlio, comportamenti uni o, più spesso, ambivalenti che vanno dal rifiuto (o equivalenti) all’iperprotezionismo. Di conseguenza non è difficile cadere in trappole quali la corsa ai successivi specialisti, il ricorso all’irrazionale (magico), all’attesa di farmaci o interventi chirurgici o protesici risolutivi o, infine, all’affidarsi ad esperti o pseudo - esperti dell’educazione e della rieducazione. L’eliminazione delle ansie e delle dinamiche negative è impossibile, ma è proponibile un contenimento di base. Il primo punto sarà, in linea di massima, di rassicurazione, affermando che il bambino "potrà parlare ed andare a scuola con gli altri". Subito dopo, sarà necessario presentare il bambino in positivo ed insistere sulla necessità di educare il bambino "come gli altri", ricordando ai genitori che gli audiolesi:
Sono uguali agli altri per le abilità non uditive.
Hanno (o si può dare loro) maggiori abilità nei settori non uditivi.
Necessitano di un programma di educazione uditiva.
Sicuramente, oltre alla consegna dell’educare il bambino "come gli altri", deve essere dato un sostegno alla famiglia con indicazione specifiche aggiuntive per bambini audiolesi. Alcuni esempi potranno essere: - Mantenere molto di più il contatto corporeo genitore – bambino in modo da incrementare la comunicazione corporea e favorire la ricezione vibrotattile dei messaggi acustici. – Mettere il bambino con la testa alla stessa altezza della faccia del parlante in modo che egli possa osservare meglio i movimenti della bocca. – Dare maggior peso ai messaggi non uditivi (visivi, vibratori, tattili, olfattivi, gustativi) e alle loro produzioni e abilità espressive non verbali. – Tenere in particolar conto che il soggetto audioleso non deve essere solo considerato "un orecchio che non sente ed una bocca che non parla" e neppure solo "un bambino che per il resto può essere come gli altri", ma un bambino che, come tutti è dotato di un certo numero di abilità, alcune delle quali più evolute ed altre meno, e che le sue abilità uditive sono carenti al punto che deve essere potenziato in altre abilità (sia impressive che espressive) non uditive – verbali in modo non solo da gratificarlo, ma da garantire quell’equilibrio tra diversi fattori che permettono lo sviluppo di una personalità normale.

IL BAMBINO IPOACUSICO ENTRA A SCUOLA
Il bambino sordo cresce ed arriva il momento del suo ingresso nella scuola. Molti studi hanno dimostrato come il "disadattamento scolastico" sia spesso correlato con carenze ambientale e familiari di tipo socio – culturale (come un linguaggio povero sul piano lessicale, grammaticale e sintattico) o socio – economico (sovraffollamento in spazi ristretti, incidenza del lavoro minorile, scarse possibilità a livello delle attività sportive e del tempo libero). Fino al 1962, gli handicappati hanno assolto all’obbligo scolastico nelle classi differenziali, nelle scuole speciali o in istituzioni che, però, hanno avuto come effetti l’emarginazione sociale dei soggetti ed il conseguente aggravamento dell’handicap. Infatti, la classe "differenziale", la scuola "speciale", "l’istituto" offrono un contesto sociale anormale, poco sollecitante, e tutto ciò favorisce uno sviluppo anormale della personalità e così l’emarginazione. Invece, la scuola normale favorisce l’integrazione scolastica e permette l’integrazione sociale del portatore di handicap, anche se non si può ignorare che questa è una strada impegnativa ed irta di insidie, frutto di imperizia. Allora l continuo aggiornamento, la corretta applicazione di progetti educativi finalizzati ed individualizzati, coadiuvati da un’équipe medico-specialistica, rappresentano la condizione necessaria affinché l’insegnamento differenziato, e non più la scuola differenziale, possa dare come frutto il recupero, anche se parziale, e l’inserimento sociale del bambino portatore di handicap. Ma ciò non basta: è necessaria una integrazione tra scuola e famiglia, perché la famiglia diviene un primo centro di raccolta di notizie che riguardano il piccolo handicappato e questo scambio di notizie può evitare dannosi pregiudizi e aspettative riduttive. Da questo primo scambio, comincia una collaborazione con continuo scambio di informazioni nei due sensi e ciò permette un adeguato intervento educativo e didattico.
Cap. V
CASO DI TIROCINIO: IL CASO DI LUCIA
Il caso che ho seguito da vicino, e che, forse, mi ha coinvolto di più emotivamente, è stato quello di Lucia. La bambina nasce in ospedale a mezzo di parto eutocico, dopo una gestazione normale e di regolare durate. Alla nascita, non presenta nessun segno apprezzabile di una qualsiasi malformazione ed il pediatra la dichiara sana. Lucia viene allattata dalla madre e cresce in un contesto socio economico modesto: il padre è muratore e la madre lavora saltuariamente come bracciante agricola. Anche se la famigliola appare unita ed affiatata e circonda la piccola di cure ed affetto, il contesto culturale è povero e, quindi, gioca negativamente sul recupero dell’udito da parte di Lucia. La piccola è ipoacusica e i genitori si rendono conto di questo handicap solo a 7 anni. Lucia si presenta timida ed introversa, si esprime a gesti e con qualche suono privo di significato, ma i genitori non se ne preoccupano molto. Solo verso i 4 anni scatta, nei genitori, il dubbio che la figlia presenti "qualche" handicap intellettivo, ragion per cui, la piccola cresce in uno stato di abulia fino al settimo anno di età. Quando la bambina inizia la scuola dell’obbligo, i genitori sono invitati a sottoporla ad una prima visita specialistica e, così, viene fatta diagnosi di "grave ipoacusia neuro-sensoriale bilaterale, con accentuata limitazione del campo tonale". Lo specialista consiglia di affidarla alle di un logopedista e l’applicazione di una protesi retro-auricolare. Durante le visite propedeutiche non viene riscontrato alcunché di patologico a carico del cavo orale mentre esami spirometrici evidenziano che Lucia respira in modo superficiale. All’esame della pronuncia dei fonemi si evidenziano: dislalie audiogene con marcato sigmatismo, zetacismo e pararotacismo (T e R). Nella comprensione verbale vi è un grosso deficit causato dall’ipoacusia bilaterale, mentre l’espressione verbale è compromessa sia sul piano articolatorio che su quello semantico-lessicale. Comincia il lavoro del logopedista e, anche se lentamente, comincia il recupero di Lucia. A scuola, invece, la situazione diventa problematica perché la bambina, abbandonata a se stessa, senza l’aiuto di un insegnante di sostegno, viene considerata dalla maestra di base alla stregua di un "peso". Intanto, cominciano a notarsi i primi risultati: Lucia comincia a comporre qualche strascicata e lenta frase e l’espressione spontanea, anche se più gestuale che verbale, va migliorando. Solo alla I media, le viene affiancata un’insegnante di sostegno e Lucia riesce ad uscire dal suo isolamento e ad integrarsi col gruppo classe. Riesce anche a seguire gli insegnanti con la lettura labiale. Oggi Lucia frequenta la III media con buoni risultati anche perché è seguita da un’insegnante specializzata per bambini audiolesi ed, inoltre, la famiglia ha instaurato una stretta e costruttiva collaborazione con la scuola.
PROGRAMMAZIONE DIDATTICA
Osservato il quadro anamnestico della ragazza sotto ogni profilo, possiamo affermare che l’inserimento, iniziato negli anni precedenti continuerà nel corso di quest’ultimo anno scolastico e sarà anche favorito da fatto che la ragazza, vivendo la fase adolescenziale, è più disposta ad aprirsi agli altri. Ora Lucia riesce ad acquisire concetti di facile comprensione riguardanti la Storia, la Geografia e le Scienze, usando schede e disegni. Permangono, tuttavia, le difficoltà nella costruzione della frase che, il più delle volte, manca di legamenti logici e grammaticali. L’insegnante cercherà di farle superare queste difficoltà a mezzo di esercizi di inserimento di parole mancanti, di completamento di frasi interrotte e di schede strutturate come puzzles e cruciverba. Lucia, riesce a ripetere una nozione acquisita o una frase ascoltata, però, è poco incline ad esprimere le sue emozioni e le sensazioni, anche solo col linguaggio corporeo, benché sia autonoma sotto il profilo psico-motorio. Perché l’alunna possa effettivamente ampliare le sue capacità espressive, dovrà sentire il bisogno di aprirsi e comunicare agli altri le proprie sensazioni, quindi, si deve favorire la sua comunicazione spontanea e naturale. Il raggiungimento di tale obiettivo si può ottenere guidandola attraverso le seguenti fasi:
Farle acquisire un’espressività mimico-facciale in relazione alle sensazioni nelle diverse situazioni.
Abituarla ad esprimere sensazioni attraverso le diverse espressioni del volto.
Guidarla a trasformare le immagini in parole e frasi brevi.
Sollecitare l’interazione face to face.
Metterla in relazione ci coetanei.
Favorire un adeguato rapporto con gli adulti.
Abituarla a contribuire in modo attivo ai lavori di gruppo.
Senza dubbio i criteri metodologici più idonei ad accrescere la capacità espressiva saranno le drammatizzazioni, la proiezione di vignette, il canto corale, lo sport di gruppo e l’attività grafico-pittorica manuale. Tutte le iniziative dovranno essere organizzate come "gioco". Così Lucia riuscirà ad esprimersi meglio acquisendo nozioni mentre gioca e non sarà condizionata da fattori emotivi di una lezione normale. Un gioco stimolante, per far acquisire l’espressività mimico-facciale, è quello di far mimare sensazioni di gioia, dolore, tensione ed i compagni devono indovinare. Con l’aiuto dell’attività mimico-gestuale si potrà passare alla raffigurazione di situazioni più complesse, in cui potrà essere coinvolto anche il linguaggio del corpo. Poi, per trasformare la mimica in parole la rappresentazione mimico-facciale e gestuale verrà eseguita da un compagno e la ragazza dovrà indovinare e dire il concetto a parole. Tutto ciò dovrà essere rinforzato da assensi, carezze e sorrisi che le diano sicurezza. Tenendo conto che la comunicazione spontanea ed emozionale rappresenta l’elemento trainante del progetto educativo, diciamo che gli obiettivi didattico-pedagogici dovrebbero essere incentrati sulla:
Simolazione ed ampliamento della capacità di comunicazione verbale.
Stimolazione delle attività immaginative a carattere creativo. Abitudine ad un tipo di lettura con interpretazione del messaggio (chi, dove, come, quando).
CONCLUSIONI
Nel prendere in esame una qualsiasi situazione si tende, forse per necessità di analisi, a considerarla come se chi ne parla non ne fosse a sua volta partecipe e, come se le critiche rivolte agli altri, in forma più o meno diretta, non potessero rivolgersi in parte anche contro se stesso. Ciò è potuto avvenire, anche, in queste pagine, ma lo scopo di quanto è stato esposto era soltanto quello di riferire sui fatti. Le convinzioni e le prospettive sostenute sono maturate nel corso degli anni e per contributo di tutti coloro che, precedentemente o in condizioni diverse, hanno lavorato per lo studio e la risoluzione degli stessi problemi. La scuola di cui si è parlato rappresenta il prodotto di questi anni di esperienza e di questi contributi. Altre esperienze ed altri contributi dovranno approfondire i problemi proposti, aprire nuove vie e nuove prospettive. E’ quanto ci si deve augurare, se ciò potrà avvenire con serietà d’intenti, senza arroganza, con sufficiente competenza ed umiltà. E soprattutto se sarà possibile muoversi su di un piano concreto, con senso di responsabilità e di tolleranza. Troppe volte si è dovuto constatare come idee ed iniziative di uomini guidati dalle più giustificate e disinteressate convinzioni hanno dato luogo solo a vuote polemiche ed hanno avuto, come unico esito, di avvantaggiare altri che queste convinzioni non avevano o professavano solo per convenienza. La prima cosa da fare è quella di evitare che, ancora una volta, la condanna di alcuni possa servire solo al trionfo dei loro avversari.

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