Materie: | Appunti |
Categoria: | Biologia |
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Testo
L’origine dell’uomo
Per secoli l'uomo ha spiegato la propria origine ricorrendo a miti e attribuendola al volere di qualche divinità. Queste idee prevalsero fino alla metà del secolo scorso quando Charles Darwin pubblicò i suoi studi sull'origine dei viventi. Secondo Darwin, l'uomo, come ogni altro essere vivente, era il risultato di un processo evolutivo durato milioni di anni. Questa teoria destò scalpore e sconvolse tutte le idee religiose sulla creazione: infatti, ammettere la discendenza dell'uomo da un gruppo animale significava privarlo del posto di prestigio che occupava in natura. Anche i primi resti fossili umani, portati alla luce proprio in quegli anni, furono considerati con scetticismo. Nel '900 i ritrovamenti avvenuti in varie parti del mondo e le moderne tecniche di ricerca hanno permesso agli studiosi di verificare le idee di Darwin e di ricostruire in modo abbastanza preciso le tappe fondamentali dell'evoluzione dell'uomo. Osservando la della vita delle scimmie, si nota che esse assumono spesso atteggiamenti ed espressioni tipicamente umani: ridono e cambiano espressione a seconda dell'umore, usano rudimentali attrezzi, seguono con affetto i piccoli, imparano nuovi comportamenti e li trasmettono ai propri simili. Le somiglianze tra scimmie e uomo non si fermano qui, poiché ve ne sono altre che riguardano la struttura dei vari organi: è sufficiente confrontare lo scheletro di un gorilla con quello di un uomo per cogliere subito notevoli somiglianze. Già Linneo verso la metà del 1700 collocò l'uomo accanto alle scimmie nell'ordine dei primati e tale classificazione fu confermata successivamente dallo studio comparato della posizione, della morfologia e della funzione degli organi interni, dallo studio delle proteine e del corredo cromosomico. Tutto ciò potrebbe portare a concludere che l'uomo discenda da una scimmia. Tale credenza, diffusa ma errata, nasce da una sbagliata interpretazione delle teorie di Darwin. Infatti, l'esistenza di caratteristiche simili suggerisce solo che l'uomo e le scimmie hanno avuto, in tempi remoti, un antenato in comune.
L'evoluzione dell’uomo
I fossili umani sono molto rari e perciò gli studiosi, chiamati antropologi, non sono ancora in grado di descrivere con certezza la storia evolutiva degli uomini. Questi cercano di capire come esso si sia evoluto e come abbia sviluppato le sue attuali caratteristiche fisiche; alcuni studiano le società primitive tuttora esistenti, altri studiano la vita dell'uomo in epoche preistoriche.
Importanti informazioni si possono ricavare dalle ossa fossili, particolarmente quando si può datarne l'età.
Così, la forma e la grandezza della scatola cranica o delle mandibole indicano quanto umano o quanto scimmiesco sia un cranio; la posizione del foro occipitale nella scatola cranica può rivelare se un primate era bipede e lo stesso si può dedurre dalla struttura del bacino, delle ossa delle gambe e delle braccia.
Gli antropologi cercano anche le prove di una cultura che possa aver accompagnato questi antichi ominidi: per esempio, altri tipi di ossa trovati con quelle dell'uomo possono indicare quali animali erano cacciati e mangiati. A volte, utensili di pietra, come coltelli, asce o raschiatoi, sono stati trovati vicino ad ossa umane e la loro abbondanza e qualità testimoniano quanto primitivi o evoluti fossero gli uomini che li avevano fabbricati. Carbone e ossa di animali bruciati indicano inoltre se veniva o no usato il fuoco.
Le prove dell’evoluzione
Per attribuire con certezza una specie vivente ad un gruppo sistematico, non è sufficiente basarsi sulle caratteristiche esterne e sugli organi visibili ad occhio nudo. Occorre, infatti, esaminare le parti microscopiche e, con l'aiuto di moderne tecniche, analizzare le strutture genetiche e biologiche. Negli ultimi anni, lo studio del patrimonio genetico, delle proteine e dei gruppi sanguigni dell'uomo e delle scimmie antropomorfe, come l'orango, il gorilla e lo scimpanzé, ha portato a sorprendenti risultati. Le antropomorfe possiedono 48 cromosomi, di forma molto simile a quella dei cromosomi umani (che sono 46). Ciò fa pensare che una mutazione, avvenuta milioni d’anni fa, abbia causato la fusione di due coppie di cromosomi dando origine al patrimonio genetico umano. Le antropomorfe hanno proteine che si avvicinano molto a quelle dell'uomo da cui differiscono solo per la disposizione d’alcuni aminoacidi. Infine esse hanno gruppi sanguigni simili a quelli umani e la presenza nel sangue del fattore Rh. Queste somiglianze a livello biologico fanno sì che, fra tutti gli animali, le antropomorfe siano il gruppo che con maggiore facilità trasmette malattie all'uomo o contrae malattie tipicamente umane: pare che l'AIDS si sia manifestata in alcune specie di scimmie africane, prima ancora che nell'uomo. Gli studiosi ritengono dunque che le scimmie antropomorfe siano i primati più vicini all'uomo. Gli ominidi tuttavia si differenziano dalle antropomorfe per alcuni caratteri:
- hanno stazione eretta e andatura bipede;
- hanno una completa opponibilità del pollice (il pollice può toccare la punta di tutte le altre dita);
- hanno la faccia corta e appiattita;
- hanno una maggiore capacità cranica;
- hanno un maggiore sviluppo della massa cerebrale.
Queste caratteristiche, acquisite dall'uomo gradualmente nel corso di milioni d’anni, sono il risultato d’innumerevoli mutazioni che si sono dimostrate favorevoli alle nuove condizioni ambientali. I reperti più antichi, riguardanti gli ominidi, sono concentrati in una zona dell'Africa sud-orientale corrispondente, grosso modo, all'Etiopia e alla Tanzania. Le prove raccolte fino ad oggi dimostrano che quella zona è stata la «culla dell'umanità» e che, solo dopo milioni d’anni, l'uomo primitivo ha cominciato a migrare raggiungendo l'Asia e l'Europa.
Prove dell’origine dell’uomo da qualche forma inferiore
Per arrivare alla conclusione che l’uomo è il discendente di qualche forma preesistente Darwin ricercò le variazioni dell’uomo nella struttura somatica e nelle facoltà mentali e se queste si trasmettono ai discendenti con le stesse leggi che valgono per gli animali inferiori.
Egli cercando fino a che punto la struttura del corpo umano mostra tracce più o meno evidenti della sua provenienza da qualche forma inferiore trovò la seguenti analogie:
1. I tessuti e il sangue dell’uomo sono molto affini a quelli degli animali inferiori in quanto l’uomo può ricevere o trasmettere a quest’ultimo alcune malattie come la rabbia, il vaiolo, l’herpes ed il colera.
2. I nervi del gusto delle scimmie e l’interessamento del loro sistema nervoso mostrano molta somiglianza a quelli dell’uomo in quanto anche le scimmie provano piacere a fumare e ad ubriacarsi reagendo nel medesimi modo.
3. Le scimmie alla nascita hanno bisogno di cure come i bambini.
4. L’uomo differisce dalla donna nelle dimensioni, nel vigore del corpo, nella pelosità e nella mente così come differiscono tra loro i due sessi di molti mammiferi.
5. L’embrione dell’uomo e della scimmia presentano evidenti differenze solo negli ultimi stadi di sviluppo.
I primati
La storia evolutiva dei mammiferi è visualizzata mediante un albero dal cui tronco, corrispondente ad una famiglia di antichi rettili, si dipartono più rami, ciascuno dei quali rappresenta un gruppo animale. Uno di questi rami, la linea degli insettivori, ha dato origine, circa 60 milioni di anni fa, da un lato agli insettivori attuali e dall'altro alle proscimmie. L'evoluzione delle proscimmie è poco documentata da resti fossili; è in ogni caso certo che esse vivevano sugli alberi per difendersi dagli attacchi degli altri animali, erano capaci di arrampicarsi grazie agli arti provvisti di artigli, erano prevalentemente insettivore e avevano abitudini notturne. Con il passare del tempo in alcune famiglie di proscimmie comparvero nuove caratteristiche che portarono ai primati più evoluti. Gli scienziati ritengono che l'evoluzione sia avvenuta nel corso di milioni di anni sotto lo stimolo di grandi cambiamenti climatici e ambientali. Circa 20 milioni di anni fa, comparvero scimmie simili agli scimpanzé attuali: esse vivevano ai margini delle foreste ed erano capaci sia di arrampicarsi sugli alberi sia di spostarsi sul terreno, appoggiando le zampe posteriori e le nocche delle mani a terra. Poi comparvero gli antenati del gorilla: essi erano di grossa taglia e ciò rendeva faticosa la vita sugli alberi; come gli scimpanzé vivevano ai margini della foresta e si spostavano appoggiando le nocche delle mani a terra. Si completò così l'evoluzione delle scimmie e in particolare delle antropomorfe, scimmie simili all'uomo, mentre cominciarono a comparire i primi rappresentanti degli ominidi, famiglia che comprende le specie fossili di organismi con caratteristiche umane e l'uomo odierno. Gli ominidi erano capaci di camminare appoggiandosi solo sugli arti inferiori. Quest’importante tappa nella storia dei primati è stata probabilmente raggiunta grazie ad un profondo mutamento del clima: le zone tropicali divennero meno piovose e si ridussero le foreste con la comparsa di un nuovo tipo di ambiente, la savana. Tale ambiente fu favorevole ai primi ominidi, adatti a spostarsi velocemente in ambienti aperti e con pochi ripari. La capacità di camminare e correre tra le erbe alte della savana costituì per gli ominidi un vantaggio che permise loro di acquistare un completo controllo del nuovo ambiente. Camminando su due piedi, infatti, si lasciano liberi gli arti superiori e le mani possono essere usate attivamente per costruire oggetti e modificare l'ambiente stesso.
Con l'uso delle mani si determinò uno sviluppo del cervello e un’ulteriore differenziazione dell'uomo dagli altri primati.
Gli Ausralopiteci
Probabilmente, 20 milioni d’anni fa, in Africa esistevano tutte le specie d’antropomorfe ma, accanto ad esse, doveva già esistere un ramo d’ominidi dei quali, allo stato attuale, non si hanno prove fossili. Nel 1934, in formazioni rocciose del Nord-Est dell'India, furono scoperti alcuni frammenti di una mascella molto simile a quell’umana. Lo studioso che fece la scoperta chiamò questo primate Ramapiteco e lo considerò un ominide, ritenendo che avesse caratteristiche più vicine a quelle di un uomo che a quelle di una scimmia. Il Ramapiteco aveva arcate dentarie ad U, faccia abbastanza corta, mandibola poco sviluppata e denti ridotti ricoperti da uno spesso strato di smalto. I frammenti ritrovati negli anni seguenti in diverse parti del mondo hanno messo in dubbio quest’ipotesi e oggi sono molti a ritenere il Ramapiteco un'antropomorfa simile al gorilla attuale. Il primo gruppo d’ominidi di cui è stata accertata la presenza in Africa risale a 6/5 milioni d’anni fa. Di essi non restano che poche orme nel terreno, sufficienti a testimoniare la loro capacità di muoversi su due arti.
Nel 1924 Raymond Dart, un professore sudafricano di anatomia, scoprì un cranio inconsueto che aveva una piccola capacità cranica, molto simile a quella di una scimmia antropomorfa, ma con la mandibola a forma di V, tipicamente umana e il foro occipitale posto quasi alla base. Da ciò Dart dedusse che l’animale camminava eretto e lo chiamò Australopithecus africanus, che significa primate dell’Africa australe. I moderni sistemi di datazione indicano che Australopithecus africanus visse circa 2 o 3 milioni di anni fa.
Dal 1924 in poi, sono stati trovati in Africa molti altri fossili del genere Australopithecus, appartenenti anche a specie diverse, le cui ossa del bacino confermano l’andatura bipede. La capacità cranica di questi fossili è tuttavia molto più simile a quella delle scimmie antropomorfe che a quella dell’uomo; la scatola cranica di Homo sapiens ha, infatti, una capacità di circa 1300 cc mentre quella di Australopithecus è di circa 500 cc, cioè poco più grande di quella di uno scimpanzé non c’è prova che Australopithecus usasse attrezzi.
Le varie specie di Australopithecus sono indicate come ominidi, termine che si riferisce ai primati che camminano eretti. Homo sapiens è il solo ominide ancora vivente, tutti gli altri, comprese le specie di Australopithecus, sono estinti.
La scoperta più significativa avvenne nel 1975, quando in Etiopia l'antropologo Donaid Johanson portò alla luce parti di uno scheletro appartenente ad una femmina classificata nel genere Australopithecus (scimmia del sud) e datata a 3,5 milioni d’anni fa. La femmina d’australopiteco, divenuta famosa in tutto il mondo con il nome di Lucy, fu definita dal suo scopritore "figlia di una scimmia e madre dell'uomo". Questa frase riassume l'ipotesi secondo cui Lucy apparterrebbe alla specie che diversificandosi avrebbe dato origine all'uomo. Gli australopiteci possedevano un'arcata dentaria abbastanza simile a quella umana, ossa del bacino larghe che fanno ipotizzare l'esistenza di potenti muscoli, utili per camminare in posizione eretta. Essi conducevano vita di gruppo e si spostavano nella savana alla ricerca di cibo utilizzando, come abitazioni, occasionali ripari naturali. Per cacciare o per difendersi, usavano bastoni o sassi raccolti sul loro cammino.
Il genere Homo
Nel 1964, ad Oiduvai (Tanzania), lo studioso Louis Leakey scoprì alcuni resti d’ominidi vissuti da 2,2 a 1,4 milioni d’anni fa. Confrontati con gli australopiteci, questi ominidi presentavano parecchie differenze: avevano il viso meno sporgente, il mento più corto, i denti più piccoli, il naso meno pronunciato e una maggiore capacità cranica (650 cm3). Questi resti fossili furono classificati nella specie Homo habilis. Grazie a calchi di gesso, gli scienziati hanno potuto risalire, a grandi linee, alla forma del cervello; si è visto allora che l'emisfero sinistro era più sviluppato di quello degli australopiteci e poiché nell'uomo l'emisfero sinistro è sede del linguaggio, si può supporre che l'Homo habilis fosse capace di comunicare emettendo pochi e semplici suoni. Accanto ai resti fossili sono stati ritrovati semplici utensili, di pietra e tracce di rudimentali strutture d’abitazione; l'Homo habilis era dunque capace di progettare e costruire strumenti anche se molto semplici.Circa 1/5 milioni d’anni fa, alcune forme di Homo habilis diedero origine ad un'altra specie: l'Homo erectus. L'Homo erectus aveva capacità cranica di circa 1000 cm3, fronte sfuggente, rilievi sopraorbitali massicci e denti di forma simile a quelli dell'uomo moderno. Era capace di fabbricarsi attrezzi, di costruirsi ripari sotto la roccia e di controllare il fuoco. È probabile che l'Homo erectus abbia fatto del focolare un centro di vita sociale riunendosi attorno al fuoco con i compagni per scambiare esperienze o per organizzare la vita del gruppo. Ciò ha favorito lo sviluppo del linguaggio e la nascita di nuove e complesse facoltà psichiche. Con il genere Homo inizia la Preistoria, periodo della storia che precede le prime testimonianze scritte lasciate dall'uomo e del quale è impossibile stabilire la durata. Nel 1856, in una cava nella valle del fiume Neander (Germania) furono scoperti una calotta cranica e poche altre ossa che furono, attribuite alla specie Homo sapiens neanderthalensis e furono datate ad un periodo compreso fra 100.000 e 35.000 anni fa. L'uomo di Neanderthal aveva un'altezza media di circa 160 cm, capacità cranica variabile da 1400 a 1600 cm3, fronte sfuggente con rilievi sopraorbitali accentuati, arti molto robusti e perfettamente adattati all'andatura bipede. Questo gruppo d’ominidi, che occupò hanno l'Europa durante l'ultima glaciazione, costruiva villaggi in posizione elevata e seppelliva i morti. Alcuni scheletri sono stati rinvenuti in fosse scavate nel pavimento delle grotte, con le gambe raccolte al petto. Corna e ossa d’animali, fiori e conchiglie disposti con cura attorno agli scheletri dimostrano che i neanderthaliani possedevano una primitiva coscienza religiosa. L'analisi dei pollini ritrovati nelle sepolture ha dimostrato che essi appartengono ad una flora di clima freddo ma simile all'attuale. Un tempo si pensava che l'uomo attuale discendesse dai neanderthaliani, oggi si ritiene che l'uomo moderno sia arrivato in Europa dall'Oriente mentre ancora esisteva l'uomo di Neanderthal, che si sarebbe estinto molti anni dopo senza lasciare discendenza.
Homo Sapiens Sapiens
Nel 1823, in una caverna di Paviland (Galles), vennero alla luce delle ossa stranamente dipinte di rosso di un maschio appartenente alla specie umana attuale vissuto circa 40.000 anni fa e classificato come Homo sapiens sapiens. Negli anni seguenti furono scoperti in varie parti d'Europa resti fossili dello stesso tipo spesso circondati da offerte votive e oggetti di vario genere. L'Homo sapiens sapiens comparve durante l'ultima glaciazione. I resti ritrovati dimostrano che quest'uomo primitivo aveva un'altezza media di 165 cm, fronte sfuggente, faccia piatta, naso e mento proporzionati e una capacità cranica media di 1400 cm3. Le più note località di ritrovamento forniscono anche strumenti di pietra levigata e d’osso, come arpioni per la pesca, aghi per cucire le pelli, ornamenti e ciotole, dai quali si traggono utili notizie sulle abitudini di vita di questi antenati dell'uomo. Molto diffuse sono le sepolture con i defunti distesi o rannicchiati, spesso cosparsi d’ocra rossa (colorante naturale) e circondati da offerte votive. L'Homo sapiens sapiens nel Paleolitico superiore sentì la necessità di riprodurre scene della propria vita mediante incisioni rupestri (graffiti), pitture e sculture. Le più note e le più belle «opere d'arte» conosciute sono le incisioni rupestri della Val Camonica, quelle della Valle delle Meraviglie sul versante francese del Col di Tenda, e le pitture su roccia della Grotta d’Altamira in Spagna, realizzate con pigmenti naturali. Inizialmente cacciatore e agricoltore si costruì abitazioni usando pietre, rami e pelli e, nelle zone paludose, eresse le prime palafitte. La necessità di vivere in gruppo lo portò ad organizzare i villaggi in luoghi elevati, naturalmente protetti e vicini ai corsi d'acqua e ciò favorì lo sviluppo di una vita sociale via via più complessa. Nel Paleolitico superiore l'Homo sapiens sapiens si spinse alta conquista della Terra fino ad arrivare, attraverso lo stretto di Bering, nell’America settentrionale, durante l'ultima glaciazione, probabilmente circa 30.000 anni fa.