Dall'evoluzione alle pteridofite

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Categoria:Biologia

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Testo

Evoluzione
La documentazione fossile è il materiale di base da cui possiamo comprendere la storia dell’evoluzione. Studiando i fossili degli strati rocciosi di una determinata area possiamo farci un’idea dei cambiamenti evolutivi a lungo termine. Lo studio della stratificazione dei fossili in un certo numero di regioni ci permette di seguire il percorso della macroevoluzione cioè dei principali eventi della storia evolutiva sulla terra. Le principali suddivisioni cronologiche della storia del nostro pianeta sono chiamate ere e la maggior parte delle ere è suddivisa in periodi. Il confine tra due ere è contraddistinto da sostanziali cambiamenti nelle forme di vita presenti all’epoca. La prima era è anche la più lunga ed è chiamata pre-cambriano o archeozoico e inizia con la nascita della Terra (4,5 miliardi di anni fa) e termina 600 milioni di anni fa; è l’era in cui si è formata la vita. La seconda era è l’era paleozoica e va da 590 milioni di anni fa fino a 250 milioni di anni fa. La terza era è l’era mesozoica che va da 250 milioni a 65 milioni di anni fa con l’estinzione dei dinosauri. La quarta era è il cenozoico che va da 65 milioni di anni fa a 2 milioni di anni fa e la quinta era è il neozoico che è quella in cui stiamo attualmente vivendo. Durante il periodo del pleistocene si ha la comparsa dell’uomo. Lo studio delle rocce ci permette di risalire all’età relativa dei fossili in quanto ci indica l’ordine in cui si sono evoluti i gruppi di specie presenti in una determinata area di roccia la sequenza da sola non ci fornisce però l’età reale dei fossili presenti. Il metodo usato più frequentemente per determinare questa età è detto datazione assoluta o radiometrica e si basa sul fatto che gli organismi viventi contengono determinati isotopi in precisi rapporti; ad esempio gli organismi hanno un rapporto costante tra il carbonio 14 (isotopo radioattivo) e il carbonio 12 (isotopo stabile) ma quando un organismo muore questo rapporto comincia a diminuire in quanto l’isotopo radioattivo decade e l’organismo non ne riceve più dell’altro dall’atmosfera. Ogni isotopo ha un tempo fisso di dimezzamento che per l carbonio 14 è di 5600 anni. Conoscendo sia il tempo di dimezzamento di un isotopo sia il rapporto tra isotopi radioattivi e isotopi stabili in un fossile è possibile calcolarne l’età. Il rapporto tra questi isotopi è utile per i fossili che hanno meno di 50000 anni mentre per i fossili più antichi vengono usati isotopi con un tempo di dimezzamento più lungo; ad esempio può essere utilizzato il potassio 40 un isotopo con un tempo di dimezzamento di 1,3 miliardi di anni.
Deriva dei continenti: Nel 1912 Wegener propose la teoria della deriva dei continenti. Ipotizzò che molto tempo fa tutte le terre emerse del nostro pianeta formassero un’unica grande regione la quale si frammentò in continenti che si spostarono fino a raggiungere le posizioni attuali. Questa teoria fino agli anni Sessanta non fu presa in grande considerazione ma ora si sono accumulate prove schiaccianti a sostegno di questa tesi. I continenti formano un sottile strato esterno del nostro pianeta, la crosta terrestre, e sotto la crosta vi è una massa di materiale caldo chiamata mantello. Poiché il mantello si muove in continuazione anche le placche della crosta terrestre si muovono lentamente ma costantemente sul mantello sottostante. Nel corso della deriva dei continenti due sono stati gli eventi più significativi per la loro influenza sulla vita. Il primo si verificò verso la fine dell’era paleozoica quando le varie placche dei continenti si unirono a formare la pangea, il secondo evento si verificò a metà dell’era mesozoica quando pian piano la Pangea iniziò a frammentarsi. All’inizio la pangea si divise in due parti, Laurasia e Gondwana, e poi alla fin dell’era mesozoica cominciarono a prendere forma i continenti attuali. Il modello della separazione dei continenti risolve molti enigmi e ne è un esempio la distribuzione di un gruppo di antichi vertebrati detti pesci polmonati. Oggi sono presenti in Africa, Australia e Sud America ma sono stati ritrovati fossili in tutti i continenti ad eccezione dell’Antartide a sottolineare il fatto che questi si sono evoluti quando la Pangea era ancora unita.
Dinosauri ed evoluzione: Alla fine del Cretaceo sulla Terra si estinse un enorme numero di specie. Per 150 milioni di anni i dinosauri avevano dominato la terra ma poi tutte le specie scomparvero all’improvviso. I reperti fossili dimostrano che il clima divenne più freddo e che molte piante di cui si nutrivano i dinosauri si estinsero per prime. A fornirci le informazioni più interessanti è il fatto che i sedimenti depositatisi in quell’epoca contengono un sottile stato di argilla ricca di iridio elemento molto raro sulla terra ma comune nelle meteoriti. Molti paleontologi sostengono che lo strato di iridio è il risultato della caduta al suolo di un enorme nube di polvere sollevatasi nell’atmosfera quando la Terra venne colpita da un meteorite. La nube deve aver oscurato il cielo e alterato il clima in maniera determinante per parecchi mesi. L’ipotesi dell’asteroide ha molti sostenitori e in effetti sul fondo del mare dei Caraibi è stato trovato un cratere di asteroide risalente al tardo cretaceo. Altri ricercatori ritengono che le variazioni di clima dovute alla deriva dei continenti possano essere state sufficienti a causare estinzioni; altri ancora sostengono che durante il tardo cretaceo un’intensa attività vulcanica abbia liberato nell’atmosfera particelle in grado di offuscare la luce del sole. Le varie ipotesi non si escludono a vicenda e i ricercatori stanno ancora lavorando a proposito; indubbiamente però l’estinzione dei dinosauri fu senza dubbio una delle cause dell’affermazione dei mammiferi. Al termine di ogni grande estinzione vi fu l’affermazione e un aumento rapidissimo degli organismi che in precedenza avevano avuto una diffusione minore. La casualità ha giocato un ruolo fondamentale nella scelta degli organismi che sopravvivevano e di quelli che si dovevano estinguere e la sopravvivenza non implicava il fatto che una specie fosse in qualche modo migliore di un’altra. Probabilmente alcune caratteristiche hanno permesso ad alcune specie di sopportare i cambiamenti verificatisi nei periodi di estinzione di massa. Questi adattamenti potrebbero derivare da strutture già esistenti che si rivelano adatte a svolgere nuove funzioni. Gli evoluzionisti usano il termine di pre-adattamento quando si riferiscono a una struttura che si è evoluta in un certo contesto e poi si è adattata a un’altra funzione. Una lieve modifica nel programma di sviluppo di una specie può provocare effetti considerevoli ad esempio, un rallentamento nello sviluppo di alcuni organi in rapporto ad altri può portare ad un organismo molto differente. Un esempio di ciò è il fenomeno della pedomorfosi che consiste nella conservazione nell’adulto delle caratteristiche corporee infantili; nel caso di una particolare specie di salamandra la pedomorfosi consiste nel conservare anche da adulta le branchie esterne. La pedomorfosi ha avuto un ruolo importante anche nell’evoluzione dell’uomo; il cranio umano e il cranio di una scimmia allo stato fetale hanno notevoli analogie che non si riscontrano confrontando il cranio umano con il cranio di uno scimpanzè adulto. Nel caso dello scimpanzè la forma del cranio cambia notevolmente nel corso dello sviluppo diventando meno arrotondata mentre nell’uomo la forma del cranio in un feto è assai simile al cranio di un organismo adulto. La conservazione di caratteristiche infantili serve anche a far aumentale il periodo della fanciullezza, un periodo presente solo nell’uomo, in cui i bambini imparano dagli adulti determinati comportamenti. Questo perché mantenendo determinate caratteristiche ancora più infantili l’adulto è spinto da tenerezza e non abbandona, come accade invece negli animali, il piccolo al termine dell’infanzia. La scienza che si occupa di studiare la storia evolutiva di un determinato gruppo è la filogenesi.
Classificazione dei viventi: Attualmente le varie specie viventi sono classificate in 5 regni: monere, protisti, funghi, vegetali, animali. Gli organismi procariote sono tutti raggruppati in un unico regno chiamato monere mentre gli altri 4 regni sono composti tutti da organismi eucarioti. Oggi però alcuni tassonomisti, studiosi della classificazione dei viventi, si stanno interrogando su questo modello di classificazione e stanno considerando l’ipotesi di sostituirlo con un altro modello a tre regni formato da due gruppi di procarioti, Eubatteri e Archebatteri, e un gruppo di eucarioti chiamato Eukarya. Molte prove genetiche sono a favore di questa seconda classificazione. Secondo tale modello due linee evolutive di procariote si sono separate molto presto e dalla linea evolutiva degli archebatteri sarebbero poi nati tutti gli eucarioti.
Origine della vita: Tre miliardi di anni fa la terra era ricca di vulcani che eruttavano polvere e gas nell’atmosfera e rocce fuse sul suolo e solo con la comparsa dei primi organismi fotosintetici la composizione dell’atmosfera è cambiata. L’universo non è sempre stato così e probabilmente prima di evolversi nell’attuale forma tutto il materiale presente in esso era concentrato in un’unica massa improvvisamente esplosa al momento del big bang che poi ha subito una progressiva espansione. Il nostro sistema solare ha avuto probabilmente origine da una nube di gas e polveri in rotazione ; gran parte di questi materiali si condensò attorno al Sole ma un po’ di materia continuò a ruotare attorno fino a quando nuclei di materia ebbero una gravità tale da attrarre altre particelle per formare pianeti. Probabilmente la Terra ebbe origine circa 4,5 miliardi di anni fa come un pianeta freddo; in seguito il calore generato dall’impatto di meteoriti e dal decadimento radioattivo surriscaldò la terra e la trasformò in una massa fusa. Questa massa poi si suddivise in tre strati diversi di densità con un nucleo centrale costituito principalmente da ferro. Attorno ad esso si concentrò materiale meno denso che diede origine al mantello e in superficie si dispose il materiale più leggero che solidificò formando una crosta. Forse l’atmosfrea primitiva era composta per la maggior parte da gas idrogeno caldo, quindi si formò a seguito delle eruzioni vulcaniche una seconda atmosfera primitiva costituita essenzialmente da vapore acqueo, monossido di carbonio, anidride carbonica azoto metano e ammoniaca. I primi mari si originarono a seguito di piogge torrenziali . le testimonianze fossili rivelano che la materia non vivente diede origine a materia vivente e forse i primi organismi viventi furono dei primitivi procariote. Alcuni scienziati ritengono che furono le meteoriti ad introdurre i monomeri di materiale vivente sul nostro pianeta ma l’opinione che prevale è quella secondo cui i primi composti organici si formarono a partire da composti inorganici presenti già sulla terra.
Esperienza di Miller: Nel 1953 Miller fece alcuni esperimenti che avrebbero ben presto attirato l’attenzione mondiale; Miller infatti fu il primo a dimostrare che gli amminoacidi e altre molecole organiche avrebbero potuto formarsi sulla terra priva di vita. Gli esperimenti di Miller volevano verificare l’ipotesi sull’origine della vita formulata da Oparin. Secondo Oparin le condizioni della terra primitiva potevano aver generato una serie di molecole organiche che a loro volta potevano aver dato origine ai primi esseri viventi. Essi ritenevano che le attuali condizioni ambientali non permetterebbero la sintesi spontanea di composti organici semplicemente perché l’atmosfera terrestre è ricca di ossigeno e esso tende a spezzare i legami chimici, invece un tempo l’atmosfera non era ricca di ossigeno. Oparin suggerì l’ipotesi che l’atmosfera primitiva contenesse metano, ammoniaca e idrogeno e acqua allo stato gassoso e che le reazioni chimiche tra queste sostanze abbiano prodotto le prime molecole organiche grazie anche all’aiuto di energia prodotte dai fulmini, da radiazioni ultraviolette allora più numerose. Miller ipotizzò che le molecole organiche si sarebbero potute formare da molecole inorganiche. Fece quindi un’esperienza per verificare questa ipotesi. Un recipiente contenente acqua calda simula il mare primordiale, mentre l’atmosfera è costituita da una miscela di vapore acqueo, idrogeno ammoniaca e metano. Le scintille generate dagli elettrodi nell’atmosfera rappresentano i fulmini. Sotto gi elettrodi vi è un dispositivo in vetro che contiene acqua fredda e che condensa il vapore acqueo presente nella miscela di gas dando origine ad una pioggia. L’esperimento durò una settimana e al termine Miller trovò nella soluzione una certa varietà di composti organici inclusi alcuni amminoacidi. I primi esperimenti di Miller suscitarono grande interesse e stimolarono la ricerca sull’origine prebiotica dei composti organici. Molti ricercatori si cimentarono in questo esperimento e ottennero quasi tutti gli amminoacidi le basi azotate e persino ATP. Questi esperimenti confermano la tesi che molte molecole organiche che costituiscono gli organismi viventi potrebbero essersi formate prima della comparsa della vita sulla Terra.
Dopo la formazione sulla Terra delle prime molecole organiche la seconda tappa deve essere stata la polimerizzazione cioè la formazione di polimeri organici come gli acidi nucleici e le proteine a partire dai rispettivi monomeri. I polimeri organici vengono sintetizzati per condensazione e in condizioni sperimentali avviene sulla spiaggia se vengono su di essa versate delle soluzioni con componenti organici. Il calore fa evaporare l’acqua e fa concentrare i monomeri sul materiale sottostante fino a quando alcuni si legano tra di loro a formare polimeri. Usando questo metodo Fox è riuscito a formare polimeri. Le superfici argillose un tempo ebbero una grande importanza probabilmente perché anche quando è fredda è in grado di concentrare su di sé amminoacidi e altri composti organici. La formazione di polimeri sulla Terra primitiva è alla base dell’origine delle prime forme di vita. Secondo Miller i polimeri fondamentali sono gli acidi nucleici, gli unici polimeri biologici che possono duplicarsi e immagazzinare l’informazione genetica; le cellule infatti immagazzinano il loro patrimonio genetico sotto forma di DNA, trascrivono le informazioni in RNA e poi traducono i messaggi di RNA in specifici enzimi e in altre proteine. Questa sequenza di passaggi è molto complessa e molto probabilmente è nata gradualmente attraverso una serie di passaggi. Forse i primi geni erano dei brevi filamenti di RNA che si auto duplicavano senza l’intervento di proteine. Un’altra scoperta particolarmente interessante è che alcune molecole di RNA dette ribozimi possono funzionare da enzimi.i ribozimi possono catalizzare l’assemblaggio dell’RNA. Oggi tutti gli esseri viventi sono basati sul DNA ed è il DNA che porta scritti in codice i caratteri. In natura esistono però strutture non viventi a tutti gli effetti (virus) basati sull’RNA detti retrovirus (HIV). Si può quindi ipotizzare che i primi esseri viventi basassero il loro metabolismo sull’RNA e a prova parziale di questo è proprio l’esistenza dei retrovirus. Dall’unione di alcuni polipeptidi si sarebbero formate delle microsfere all’interno delle quali erano contenute varie sostanze controllate dall’RNA. Probabilmente l’RNA era in grado di tradurre immediatamente il messaggio su di esso scritto in codice ed era in grado di duplicarsi autonomamente. In laboratorio però all’interno delle microsfere non riesco ad ottenere questa duplicazione. La membrana delle microsfere può presentarsi in forme molto diverse tra loro. A volte è fatta di soli fosfolipidi, a volte solo di proteine e spesso di fosfolipidi e proteine insieme. All’epoca forse si formarono tanti tipi di membrana e poi per selezione naturale furono portate avanti solo quelle con fosfolipidi e proteine nella membrana questo perché i fosfolipidi isolano troppo la cellula mentre le proteine non isolano affatto. Con tutte e due le sostanze si ha una via di mezzo. Non si è ancora capito però come dall’RNA si sia passati al DNA.
Procarioti: Le testimonianze fossili dimostrano che 3,5 miliardi di anni fa i procariote erano molto numerosi. Essi sono gli unici organismi che si sono evoluti sulla terra per i successivi 2 miliardi di anni circa. Oggi si trovano ovunque sia possibile la vita e sono più numerosi di tutti gli eucarioti messi insieme, possono vivere in habitat troppo freddi, troppo caldi, troppo salati per qualsiasi organismo eucariote. Gran parte delle cellule procariote ha un diametro compreso tra 1 e 10 micrometri ma nonostante le loro piccole dimensioni hanno un’importanza fondamentale nella Terra. I batteri utili e innocui sono molto più numerosi di quelli nocivi. D’importanza vitale sono quelli che abbiamo nel nostro intestino o quelli che decompongono gli organismi morti oppure i batteri azoto-fissatori. Noi non siamo in grado di inglobare azoto perché si trova sotto forma di molecole biatomiche con tre legami che noi non sappiamo spezzare. I batteri azoto fissatori grazie all’enzima nitrogenasi trasformano l’azoto atmosferico in nitriti e nitrati che vengono poi assorbiti dai vegetali e noi li assumiamo da questi.
Eubatteri e archebatteri: Sono parte del regno delle monere. Tutte le atre specie sembrano essersi evolute dalla specie degli archebatteri. La prima differenza tra eubatteri e archebatteri sta nella diversità dell’RNA ribosomiale. È stato estratto in laboratorio l’RNA ribosomiale dalle due specie, sono stati sequenziali, presi dei brevi intervalli detti marcatori e poi confrontati con le cellule degli eucarioti si è visto che è molto più simile a quello degli eucarioti l’RNA degli archebatteri; l’RNA polimerasi degli eubatteri è piccolo e ha una struttura più semplice mentre quello degli archebatteri è più simile a quello degli eucarioti. Sono stati poi analizzati gli introni (porzioni di DNA che non codificano proteine). Nel DNA degli eubatteri non ci sono introni mentre negli archebatteri qua e là ve ne sono. È stato poi fatto l’esperimento della sensibilità agli antibiotici; gli eubatteri soffrono gli antibiotici perché sono inibiti dalla sintesi delle proteine, gli archebatteri invece non li soffrono. Negli archebatteri poi non c’è nella parete il peptidoglicano che è una caratteristica della membrana batterica; i lipidi di membrana hanno catene molto più complesse negli archebatteri che negli eubatteri. La cellula batterica può avere forma sferica più o meno regolare in questo casi i batteri sono definiti cocchi. Se questi si aggregano a costituire grappoli sono detti stafilococchi mentre se costituiscono catene si chiamano streptococchi; se invece hanno la forma di un bastoncino i batteri si chiamano bacilli e se si aggregano a coppie si hanno i diplobacilli se invece si aggregano a formare una catena si hanno gli streptobacilli, se poi si aggregano formando una virgola si chiamano vibrioni. Possono poi anche avere la forma di una spirale e in questo caso si chiamano spirilli se la spirale è corta, spirocheta se la spirale è lunga. Ci sono batteri autotrofi e batteri eterotrofi; alcuni autotrofi si producono il nutrimento utilizzando l’anidride carbonica e l’energia solare grazie a delle membrane fotosintetiche che contengono la batterioclorofilla diversa dalla clorofilla a anche perchè è meno in grado di catturare energia.. questi organismi sono detti fotoautotrofi. Altri autotrofi sono chemioautotrofi e utilizzano l’anidride carbonica e prendono energia dalla demolizione di composti inorganici dello zolfo presenti nel terreno. Ci sono anche poi i fotoeterotrofi in grado di catturare energia luminosa grazie alle membrane fotosintetiche ma non l’anidride carbonica e i chemioeterotrofi che devono ricavare il nutrimento da sostanze organiche presenti nell’ambiente in cui vivono. Non si sa se siano stati prima gli autotrofi o gli eterotrofi a comparire per prima sulla terra. Sicuramente non erano foto- perché la capacità di prendere energia dal sole deriva dalla presenza di una membrana fotosintetici che sono comunque abbastanza complesse. Probabilmente sono comparsi prima gli eterotrofi e poi gli autotrofi quando il nutrimento cominciava a scarseggiare. I primi chemioeterotrofi utilizzavano l’ATP e le molecole organiche provenienti dall’esterno. Dopo un certo periodo d tempo quando le condizioni atmosferiche si stabilizzavano, quando la terra si raffreddava cominciavano a scarseggiare ATP e composti organici anche perché con la diminuzione di energia nell’atmosfera si producevano meno molecole per scissione. Per necessità alcuni di questi chemioeterotrofi divennero chemioautotrofi imparando a costruirsi ATP e molecole organiche ma non utilizzando ancora l’energia solare. I chemioautotrofi si costruiscono composti organici a partire da anidride carbonica, per costruire questi composti organici serviva energia ma non c’era più ATP sulla terra e quindi se lo dovevano costruire facendo entrare all’interno della cellula i composti dello zolfo e del ferro, trasformandoli in ADP e poi aggiungendo un gruppo fosfato tramutarli in ATP. Con il tempo alcuni chemioautotrofi impararono ad utilizzare l’energia solare diventando fotoautotrofi. I fotoeterotrofi sono un gruppo piccolissimo e non sono importanti ai fini dell’evoluzione.
Archebatteri: Popolano ambienti ostili agli altri esseri e si dividono in:
• Alofili estremi: Capaci di vivere in ambienti particolarmente ricchi di Sali minerali ad esempio nelle saline. Un tipo è l’halobacterium che vive appunto in queste zone e da una colorazione viola all’acqua perché contiene il pigmento della batterodopsina.
• Termoacidofili: Elevata temperatura e Ph molto acido rappresentano per loro le condizioni ottimali. Si trovano nelle sorgenti termali dove il Ph è attorno a 2-3 e la temperatura può arrivare a 80°. Appartiene a questo gruppo il sulfolobus che è in grado di demolire i composti dello zolfo e in particolare l’acido solfidrico.
• Metanogeni: Anaerobi; il loro metabolismo da origine al metano. Si possono trovare in cavità e depressioni e nell’apparato digerente dei ruminanti.
Eubatteri: Sono più diffusi rispetto agli archebatteri e non si trovano come i precedenti in ambienti estremi. Hanno una cellula rivestita da una membrana e da una parete fatta da peptidoglicano. Esternamente alla parete può esserci una capsula. Internamente si trova il citoplasma nel quale è immerso il cromosoma batterico e i ribosomi. In alcuni casi possono esserci membrane fotosintetiche o respiratorie. Spesso queste cellule sono dotate di flagello che però ha una struttura diversa rispetto al flagello delle cellule eucariote, il flagello batterico è fatto di una proteina chiamata flagellino ed è inserito nella cellula mediante anelli rotanti che fanno muovere il flagello e di conseguenza anche la cellula. Alcuni batteri presentano sulla loro superficie anche estroflessioni citoplasmatiche dette pili che servono a fare aderire meglio il batterio al substrato, ad un altro batterio o per favorire scambi di materiale genetico. Un’altra caratteristica che si può trovare in alcuni batteri è la presenza di una cellula dentro un’altra cellula. Molti batteri adottano questa strategia per sopravvivere a situazioni estreme. Avviene una mitosi e una cellula con rivestimento più spesso e più resistente (endospora) rimane dentro l’altra. La cellula esterna muore mentre l’endospora può sopravvivere anche per secoli.
• Cianobatteri: Fotosintetici in grado di fare fotosintesi con la batterioclorofilla di colore verde-azzurro. Le cellule della anabalena, un cianobatterio, ad esempio costituiscono colonie a forma di catenella.
• Batteri patogeni: Molti si coltivano anche in laboratorio all’interno della capsula Petri. Viene messo dentro la capsula un terreno di coltura e a seconda della specie si mettono i minerali che servono al batterio. Sono piuttosto numerosi ma meno numerosi rispetto a quelli utili all’uomo. Un batterio patogeno può agire o tramite esotossine (tramite sostanze che esso produce), o tramite endotossine (una volta che si è introdotto non produce sostanze ma agisce con le sostanze che ha già sulla sua parete).
• Batteri utili all’uomo: Possono essere utili all’ambiente perché demoliscono determinati inquinanti come gli idrocarburi e questi vengono utilizzati quando le petroliere versano il loro carico in mare. Negli impianti per i trattamenti di liquami come anche la potabilizzazione dell’acqua ci sono batteri in grado di eliminare la parte nociva di questi liquami e dell’acqua. Batteri indispensabili alla vita sono quelli presenti a livello del terreno e che hanno il compito di riciclare la materia vivente. La vita degli eucarioti non è presente senza i procariote e tra questi particolarmente importanti sono i già citati batteri azoto-fissatori. Alcune specie batteriche sono poi in grado di entrare in simbiosi con le radici delle leguminose vivendo all’interno dei noduli presenti nelle radici e contenuti all’interno di apposite vescicole al loro interno.
Origine della cellula eucariote: Fino a 1,5 miliardi di anni fa esistevano solo procariote e c’erano tre diversi tipi di procariote:
• Grandi cellule procariote con all’interno solo citoplasma e materiale genetico
• Procariote fotosintetici
• Procariote aerobi
Secondo l’ipotesi più accreditata le grandi cellule procariote iniziarono ad introflettersi in alcuni punti della membrana e a seguito di queste introflessioni si sarebbe formata la membrana nucleare con dentro il materiale genetico, i reticoli e l’apparato di Golgi (modello autogeno). Successivamente la cosa si sarebbe potuta evolvere in questo modo: la cellula prima formata avrebbe potuto inglobare cellule fotosintetiche o di aerobi e queste cellule avrebbero generato i cloroplasti e i mitocondri (modello endosimbiontico). Questa ipotesi è molto verosimile perché hanno una doppia membrana e sono li unici ad avere un proprio DNA e un proprio RNA. Le proteine che servono alla fotosintesi e alla respirazione infatti sono tutte codificate dal DNA mitocondriale e dal cloroplasto.
Protisti: La loro cellula è eucariote e quindi ha al suo interno tutti gli organuli. Il regno si divide in: protozoi, protofite o alghe unicellulari, funghi mucillaginosi un tempo considerati funghi e alghe pluricellulari.
• Protozoi: Sono protisti eucarioti unicellulari eterotrofi e quindi con cellula di tipo animale. È possibile suddividerli in quattro ulteriori gruppi: flagellati, sarcodini, sporozoi e cigliati.
o Flagellati: La maggioranza non è parassita ma non vale per tutti la stessa cosa. Il protozoo guardia ad esempio provoca infezioni, il tripanosoma gambiense vive nel sangue e danneggia i globuli rossi aggredendoli e a seconda della specie può causare varie malattie tra cui quella del sonno. Hanno almeno un flagello.
o Sarcodini: Ad esempio le amebe. Riesce a nutrirsi e a muoversi grazie agli pseudopodi, delle estroflessioni citoplasmatiche.
o Sporozoi: Sono tutti parassiti; il plasmodium ad esempio causa la malaria. È trasferito nei mammiferi da un vettore che nel caso della malaria è una zanzara che popola i climi tropicali e le zone acquitrinose. Dentro la zanzara si svolge il suo ciclo sessuale e poi dentro i mammiferi si avvia il ciclo che causa la malattia. Dentro i mammiferi le cellule sviluppano un apice con enzimi in grado di ledere la membrana cellulare ed entrare dentro. Le cellule iniettate nel mammifero dalla zanzara vanno nel fegato, si moltiplicano, prendono il nome di merozoiti e vanno in circolo. Aggredendo i globuli rossi si crea una situazione di anemia che porta ad una carenza di globuli rossi nel sangue e ad una sofferenza dell’organismo. La malattia si manifesta tramite debilitazione, attacchi febbrili a intervalli regolari in corrispondenza dell’attacco di merozoiti ai globuli rossi. Se una zanzara punge un organismo infetto acquista merozoiti che si trasformano in gameti e vanno nelle ghiandole salivali. Se questa zanzara poi punge il ciclo ricomincia.
o Ciliati: Non parassiti. È il gruppo più evoluto e di questi fa parte il paramecio. La cellula del paramecio è circondata da numerose ciglia per il movimento e al suo interno ha dei vacuoli contrattili che rappresentano il primo tentativo di regolazione dell’ambiente interno. Tutti i ciliati possiedono poi una sorta di apertura boccale chiamata citosoma che continua con un canale chiamato citofaringe e termina con un’apertura chiamata citopiglio tramite la quale vengono eliminate le sostanze di scarto. Un’altra caratteristica di questo gruppo è il fatto che la loro cellula possiede all’interno un macronucleo e poi tanti micronuclei in numero variabile da 1 a 80. il macronucleo controlla le attività fisiologiche della cellula tranne la riproduzione che è regolata dai micronuclei. In alcuni casi si può verificare una sorta di riproduzione sessuale che prevede uno scambio di materiale genetico. Quando si ha la coniugazione due parameci si avvicinano e tramite i citosomi si scambiano alcuni micronuclei. Questo procedimento aumenta la variabilità genetica ma non è una riproduzione sessuale perché non c’è lo scambio di gameti.
• Funghi mucillaginosi: Mucillaginosi perché la loro cellula contiene sostanze che facilmente si imbevono d’acqua. Si dividono in funghi mucillaginosi cellulari e funghi mucillaginosi plasmodiali.
o Cellulari: Un tempo quando gli strumenti di osservazione non erano avanzati si credeva che appartenessero al regno dei funghi ma poi si è capito che non è così. Attraversano tre stadi durante la loro vita. Se l’ambiente in cui questo fugo vive è positivo perché c’è tanto nutrimento (batteri) il fungo si mantiene nel suo stadio vitale unicellulare e si mantiene indipendente. Se le condizioni ambientali cambiano le cellule si aggregano a formare una colonia a forma di lumaca nelle quali le cellule vivono comunque indipendentemente. La colonia ha all’esterno una guaina che protegge le cellule dall’ambiente esterno. Dalla colonia poi si può formare una struttura pluricellulare riproduttiva all’interno della quale si moltiplicano cellule che poi cadranno al suolo e incominceranno una vita indipendente. Fu proprio questa struttura a far pensare che questi fossero funghi.
o Plasmodiali: Hanno un’unica struttura si citoplasma indivisa ma con all’interno molti nuclei. Sono in grado di cambiare aspetto a seconda delle condizioni. Se ci sono condizioni favorevoli il fungo sviluppa delle nervature gialle che servono a trasportare il citoplasma; se le condizioni diventano sfavorevoli il fungo si differenzia in tante strutture riproduttive e una volta che le condizioni tornano ad essere favorevoli il ciclo vitale continua con la fuoriuscita dalle strutture riproduttive di nuove cellule.
• Protofite o alghe unicellualari: Fanno parte di questo gruppo i dinoflagellati, le diatomee e le alghe verdi unicellulari.
o Dinoflagellati: Vivono in acque sia dolci che salate per la maggior parte sono fotoautotrofi ma alcuni sono anche chemioautotrofi. La loro morfologia è tipica perché hanno la parete divisa in placche a causa di ispessimenti di cellulosa; altra loro caratteristica è la presenta di altri 2 o 4 inspssimenti più evidenti tra i quali c’è un solco che contiene il flagello per il movimento della cellula. Producono tossine che poi scaricano nell’ambiente in cui vivono e se sono presenti in grandi quantità causano la morte di altre specie e danno una colorazione rossa all’acqua (marea rossa)
o Diatomee: Vivono sia in acqua salata che dolce e hanno un guscio siliceo fatto da due valve, la valva più grande è il coperchio. Quando la cellula si divide le due figlie ereditano ciascuna una valva che funge sempre da coperchio mentre l’altra la devono costruire e quindi con l’andare del tempo una generazione vedrà rimpiccolirsi sempre di più la sua valva e quindi non avrà più spazio e sarà quindi costretta ad abbandonare il guscio e a costruirsene uno nuovo. Dall’accumulo di gusci si forma la diatomite e la polvere di diatomite viene utilizzata come abrasivo e prima ancora come polvere da sparo.
o Alghe verdi unicellulari: hanno cellula biflagellata e in questo gruppo ve ne sono anche di coloniali. Probabilmente le alghe verdi sono un’ulteriore evoluzione delle alghe verdi unicellulari e coloniali. La teoria più accreditata è quella che sostiene che all’inizio vi erano solo alghe verdi unicellulari, poi queste si sono aggregate a costituire una colonia e quindi alcuni gruppi di cellule all’interno della colonia si sono specializzati e hanno assunto una diversa forma. Quando tutte le cellule della colonia si erano specializzate l’organismo da unicellulare coloniale era diventato pluricellulare.
• Alghe pluricellulari: Tutte marine e divise in alghe rosse, alghe brune e alghe verdi. Il colore dipende dai particolari pigmenti presenti all’interno dei cloroplasti. Se seziono un’alga non trovo quello che c’è nelle foglie e nel fusto delle piante anche se esternamente si somigliano. Per ancorarsi al suolo le alghe usano l’aptere che è simile alle radici.
o Alghe brune: Colorazione verde oliva scuro. La più diffusa è il fucus che può raggiungere anche l’altezza di 100 m.
o Alghe rosse: Spesso hanno una parete rivestita da uno strato calcareo e sono molto numerose nelle barriere coralline
o Alghe verdi: La più comune è la lattuga di mare o ulva. Ha analogie con i vegetali superiori per quanto riguarda il ciclo riproduttivo infatti una generazione diploide si alterna ad una aploide anche se dall’aspetto ciò non si capisce perché sia la generazione aploide che quella diploide sono identiche. Lo sporofito è diploide e le sue cellule per meiosi producono spore aploidi. Identiche che cadono sul substrato, germinano e poi per mitosi generano dei gametofiti di aspetto uguale agli sporofiti. I gametofiti poi producono gameti identici che quando si fondono producono uno zigote diploide che genererà poi uno sporofito e il ciclo riprenderà.
Le piante: Tra le piante e le alghe ci sono delle analogie: presenza nei cloroplasti degli stessi pigmenti fotosintetici negli stessi termini percentuali, parete cellulare costituita da cellulosa, immagazzinano tutte e due amido come sostanza di riserva.. ci sono però anche delle differenze: per le alghe il sostegno è fornito dall’acqua quindi non ha bisogno di particolari strutture per questo scopo e al massimo ci sono delle vescicole piene di un miscuglio di gas che aiutano il sostegno, la pianta invece non riceve sostegno dall’aria. L’intera alga svolge la fotosintesi e gli elementi necessari al processo sono forniti dall’acqua. Nelle piante non è così perché la fotosintesi si svolge solo nelle foglie che ricevono luce dal sole e per prevenire la disidratazione sono rivestite da una cuticola impermeabile che evita l’evaporazione dell’acqua e gli stomi garantiscono l’ingresso dell’aria nelle foglie mentre nelle parti legnose per garantire il passaggio dell’aria ci sono delle aperture permanenti dette lenticelle. Le lenticelle sono indispensabili perché garantiscono il passaggio dell’aria ma possono rappresentare anche la via di ingresso per parassiti e funghi; la resina serve appunto per chiudere lenticelle dalle quali sono già entrati animali. Per quanto riguarda l’assorbimento dell’acqua le alghe non hanno problemi le piante invece usano le radici che servono anche per ancorarla al terreno. L’alga invece per ancorarsi usa l’aptere, un disco non ramificato. Le piante inoltre hanno anche bisogno di tessuti che trasportino l’acqua nelle varie piante. Decorrono quindi nelle radici, nel fusto, nelle foglie dei tessuti vascolari. Il sistema vascolare è costituito da xilema (o legno) e floema (o libro). Xilema trasporta la linfa grezza (soluzione di acqua e Sali minerali) verso l’alto, il floema trasporta verso il basso la linfa elaborata (ciò che è prodotto dalle foglie e in particolare glucosio). Lo xilema è fatto di un insieme di tubicini cavi internamente e chiamati vasi legnosi costituiti dalla sovrapposizione di cellule morte senza contenuto citoplasmatici (elementi dei vasi legnosi) e con una parete ispessita costituita da cellulosa in prevalenza. Il floema è costituito da lunghi tubicini chiamati tubi cribrosi fatti di cellule sovrapposte (elementi dei tubi cribrosi). Queste cellule sono vive e al loro interno c’è ancora un po’ di citoplasma, ci sono ancora le pareti cellulari ma sono crivellate di fori e sono chiamate placche cribrose. La presenza di queste placche rallenta il flusso della linfa elaborata per meglio permettere l’assorbimento. Gli elementi dei tubi cribrosi sono affiancati da una o due cellule compagne che hanno la funzione di aiutare l’equa distribuzione della linfa elaborata. Lo xilema essendo legnoso fornisce un sostegno alla pianta. Altra differenza fra alga e pianta è legata alla riproduzione perché per l’alga non c’è il problema della sopravvivenza delle cellule riproduttive vivendo in acqua. Le piante invece per far sopravvivere i gameti devono mettere a punto delle tecniche: il gamete femminile rimane immobile all’interno del gametangio mentre i gameti maschili sono racchiusi dentro una struttura che previene la disidratazione e si muovono verso il gamete femminile. Si ritiene che le prime piante derivino da alghe verdi ancestrali siano comparse attorno a 1460 milioni di anni fa. Intorno a 425 milioni di anni fa da quelle prime piante si sono separati due rami che hanno portato alle attuali briofite e pteridofite. Le briofite non hanno tessuti vascolari, le pteridofite li hanno ma non hanno semi.
Briofite: Come nel caso dell’alga c’è una condizione aploide e una diploide. Il muschio che noi vediamo è il gametofito; producono strutture alla loro sommità chiamate gametangi che producono o gameti maschili o gameti femminili. La cellula uovo resta dentro il gametangio mentre le cellule maschili si spostano all’interno di un ambiente umido. Nel momento della fecondazione all’interno del gametangio si forma uno zigote che per mitosi forma lo sporofito; il gametofito è la situazione prevalente. Lo sporofito è costituito da un bastoncino sormontato da uno sporangio che quando si riempie di spore si piega verso il basso, si apre e le spore prodotte per meiosi cadono a terra e formano un gametofito.
Pteridofite: più evolute rispetto alle briofite perché hanno un tessuto vascolare formato da xilema e floema date anche le dimensioni maggiori. La generazione prevalente è lo sporofito e così sarà poi anche nelle altre piante. Sulla parte inferiore delle foglie si formai gli sporangi (pallini giallo rugine che si chiamano sori. Ogni soro contiene tanti sporangi). Le spore cadono sul terreno, germinano e nascono i gametofiti. Hanno dimensioni piccole, cuoriformi di consistenza gelatinosa e sulla superficie inferiore ci sono strutture in grado di produrre o una cellula uovo o spermatozoi (gametangi). I gameti maschili trovano il gamete femminile e all’interno del gametangio femminile avviene la fecondazione. Compaiono quindi sul gametofito delle giovani fronde che poi cresceranno. Con il tempo il gametofito si consumerà e rimarrà solo la fronda, lo sporofito.
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