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Categoria: | Arte |
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Raffaello Sanzio
(1483-1520)
Pittore e architetto. Nato ad Urbino, a 11 anni rimase orfano del padre Giovanni Santi, un modesto pittore imitatore di Melozzo da Forlì e di Piero della Francesca. Apprese i primi elementi dell'arte pittorica probabilmente da Timoteo della Vite, seguace a Bologna del Francia e del Costa. Fin dalle prime opere, tra cui Il sogno del cavaliere (Londra, National Gallery), oltre all'influenza di Piero della Francesca e di T. della Vite si rivelano influssi della pittura umbra. R. approfondì tale conoscenza recandosi in Umbria nel 1500 ca. e lavorando per 4 anni a contatto col Perugino. Guadagnatosi giovanissimo il titolo di «maestro», ottenne numerose commissioni, quali la pala con l'Incoronazione del beato Nicola da Tolentino, per la chiesa di S. Agostino della Città di Castello, di cui restano solo frammenti, e L'incoronazione della Vergine, per la chiesa di S. Francesco di Perugia, ora alla Pinacoteca Vaticana. L'influenza peruginesca, presente in queste opere, è modificata da uno spirito di più vasta e solenne armonia nello Sposalizio della Vergine (Milano, Brera), considerato il primo dei suoi capolavori per grazia, senzo spaziale, colori smaltati e limpidissimi, e nella bella Madonna Connestabile (Museo di Boston), nella quale appare per la prima volta una più intima unione tra figure e paesaggio.
La grande evoluzione di R. ebbe inizio nel 1506, anno del suo trasferimento a Firenze. Nell'eccezionale ambiente artistico della città toscana, di cui poté frequentare le maggiori personalità grazie all'appoggio del Magnifico Gonfaloniere della Repubblica Pier Soderini, R. assimilò vari influssi, da Fra Bartolomeo al Signorelli, a Leonardo, a Michelangelo, traendone un ideale di classica euritmia ed un chiaroscuro di maggiore modernità, vicino allo sfumato leonardesco. Sono di questo periodo le bellissime Madonne del Granduca (Firenze, Pitti), del Belvedre (Galleria di Vienna), del Cardellino (Firenze, Uffizi), la Bella giardiniera (Parigi, Louvre), vari ritratti, come quello della cosiddetta Muta (Urbino, Galleria nazionale), la complessa Deposizione dalla Croce (Roma, Galleria Borghese), opera alquanto esteriore, dovuta forse ad un troppo improvviso contatto con la sconvolgente drammaticità michelangiolesca.
Nel 1508 termina il periodo fiorentino. Chiamato a Roma da Giulio II, R. venne preposto, per suggerimento del conterraneo Bramante, alla decorazione delle Stanze vaticane, cui avevano già lavorato il Perugini, il Sodoma, il Bramantino, il Peruzzi.
R., col genio versatile che gli era tipico, seppe rendersi magistralmente interprete di quella società satura di cultura che ruotava intorno alla corte papale, divenuta ormai il centro artistico del Rinascimento. A Roma poté assorbire lo spirito dell'antichità classica, che proprio in quel periodo veniva entusiasticamente scoperta, accostarsi all'ampio respiro spaziale del Bramante, meditare sul possente genio di Michelangelo, il quale allora lavorava al soffitto della Sistina. La prima Stanza affrescata fu quella detta della Segnatura (1509-1511). Attraverso un complesso sistema di figurazioni allegoriche, probabilmente suggerite da qualche dotto ecclesiastico, R. esaltò le idee fondamentali del Vero, del Bene, del Bello, tipiche della dottrina neoplatonica. Sulla volta aggiunse ai preesistenti lavori del Sodoma varie figurazioni (Personificazioni delle categorie neoplatoniche, Giudizio di Salomone, Primo moto universale, Apollo e Marsia, Adamo ed Eva). Su una delle pareti affrescò la Disputa del Sacramento, stesa con una raffinata equivalenza spaziale tra semicerchi delle figure (Chiesa militante, Chiesa trionfante e cori angelici) e superficie a lunetta. Nella Scuola di Atene, di fronte alla Disputa, creò, rifacendosi all'idea del S. Pietro del Bramante, un vasto interno architettonico e vi dispose armonicamente gruppi di figure rappresentanti i filosofi ateniesi. In tale affresco, giustamente il più celebre delle Stanze, lo spazio assume una risonanza vasta e irreale. Meno valido rispetto ai precedenti appare l'affresco del Parnaso, che risente anche dell'irregolarità della parete includente una finestra.
Il contatto con il colorismo e tonalismo veneto (Dosso Dossi e soprattutto Sebastiano del Piombo) segnò una nuova importante conquista nell'arte di R. L'influsso veneto si avverte nella Madonna di Foligno (Pinacoteca Vaticana), nell'affresco di Galatea (Roma, Farnesina) e negli affreschi della seconda Stanza vaticana, detta di Eliodoro (1512-1514). Qui un accennato movimento, un vibrato gioco di luci che rimbalzano sugli elementi architettonici e un più vivo colorismo conferiscono alla scena un tono ricco di umana commozione, lontano dalla distaccata e superiore armonia delle composizioni della Stanza della Segnatura. Un più solenne equilibrio appare di nuovo nella Messa di Bolsena. Totalmente nuovo e di un tono quasi preromantico è il terzo affresco della Stanza, La liberazione di s. Pietro, interessante per il gioco di luci in un'atmosfera notturna.
L'ultimo affresco della Stanza, S. Leone che ferma Attila, in gran detta parte opera di allievi, ed i lavori della terza Stanza (1514-1517), detto dell'incendio di Borgo, dal principale affresco eseguitovi, rivelano un malinconico declino della fantasia dell'artista.
Del periodo della Stanza di Eliodoro sono anche la celebre Madonna della Seggiola (Firenze, Pitti) la Madonna Sistina (Dresda), i ritratti, resi con estrema finezza espressiva e psicologica, della Donna velata (Palazzo Pitti) e di Baldassarre Castiglione (Parigi, Louvre). Tra gli ultimi lavori ricordiamo la Trasfigurazione (Pinacoteca Vaticana), rimasta incompiuta nella parte inferiore e terminata da Giulio Romano e dal Penni, ed il gruppo di Leone X con il cardinale Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi (Firenze, Uffizi), notevole soprattutto dal punto di vista cromatico per il gioco dei rossi delle vesti cardinalizie. In gran parte furono eseguite da discepoli (Giovanni da Udine, Perin del Vaga, ecc.) le vaste composizioni classicheggianti della Sala di Psiche (Farnesina) e delle Logge Vaticane.
Negli ultimi anni di vita, dopo la morte del Bramante, R. divenne architetto e sovrintendente della Fabbrica di S. Pietro. In tale veste, assistito da Fra Giocondo e Giuliano da Sangallo, apportò modifiche al progetto bramantesco. Sue opere di architettura erano stati precedentemente i progetti di S. Eligio degli Orefici e della Cappella Chigi in S. Maria del Popolo (1513-14) ed il progetto, poi trasformato da A. da Sangallo, di Villa Madama. R. fu inoltre sovrintendente agli scavi di Roma e «maestro delle strade di Roma».