Umorismo e sorriso

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Testo

Sorris☺ e umorismo
Percorso multidisciplinare per l’esame di Stato
Claudia Pucci
a.s. 2007/ 2008

PIRANDELLO
BERGSON

FREUD

ARISTOFANE

MENANDRO

PETRONIO
ORAZIO
SENECA

NEW DEAL
LEONARDO

FASI LUNARI
L’AUTRICE
PERCORSO
ITALIANO:
La teoria dell’umorismo in Luigi Pirandello
FILOSOFIA:
Il riso e la teoria della comicità secondo Bergson
Il motto di spirito e l’umorismo secondo Freud
GRECO
La commedia antica di Aristofane
La commedia nuova di Menandro
LATINO
Satyricon di Petronio
Satira di Orazio
Apokolokyntyhosis di Seneca
STORIA:
Il New Deal
ARTE
Il sorriso della Gioconda di Leonardo
GEOGRAFIA ASTRONOMICA
Le fasi lunari
Introduzione
Mi sono trovata a scegliere questo argomento poiché nella vita, a mio avviso, l’umorismo fonda la maggior parte dei rapporti.
Prendendo la vita con umorismo si vive meglio con se stessi e con gli altri (quante volte ci siamo trovati a dire “dai, buttiamola sul ridere!”): l’umorismo avvicina le persone e appiana situazioni spiacevoli.
Probabilmente è proprio per questo motivo che grandi personaggi come i commediografi antichi hanno deciso di dedicare la propria vita al diletto degli altri e di se stessi.
Ci sono voluti però due grandi pensatori come Sigmund Freud e Henri Bergson, per capire meglio le cause e le conseguenze dell’umorismo: essi hanno rintracciato le basi della comicità nell’intelligenza e nell’arguzia.
Anche un letterato come Luigi Pirandello, però, si è dedicato all’analisi dell’umorismo, raggiungendo talvolta conclusioni molto interessanti.
La mia ricerca analizzerà i caratteri fondamentali del teatro dei commediografi antichi, e, con l’aiuto di tre grandi pensatori come Freud, Bergson e Pirandello, tenterà di delineare le cause e i motivi del sorriso e dell’umorismo.
La teoria dell'umorismo in Luigi Pirandello
Luigi Pirandello si impegnò nella ricerca delle origini del comico e sostenne una sostanziale differenze tra il comico e l’umoristico. Egli scrisse nel 1908 un saggio intitolato L’umorismo, anche se si interessò dell’argomento già molto tempo prima come testimonia nel 1896, il saggio che scrisse su Cecco Angiolieri, dal titolo “Un preteso poeta umorista del XIII secolo”. Curò poi una riedizione del saggio l’umorismo, nel 1920, apportando modifiche in senso anticrociano. Croce, infatti, aveva negato la possibilità di definire l’umorismo. Pirandello sostiene che l'umorismo non sia una categoria storica, ma un concetto che circoscrive un comportamento umano stabile nel tempo e indagabile con gli strumenti dell'indagine psicologica. La riflessione sull'umorismo quindi si muove su di uno sfondo di natura esistenziale: l'analisi dei meccanismi psicologici dell'umorismo diviene così una riflessione tipicamente novecentesca su di una struttura di fondo dell'esistenza, su un modo di atteggiarsi dell'uomo rispetto alla propria vita ed al mondo. In questo trattato quindi Pirandello rileva l’importanza che riveste la riflessione * nella creazione di un’opera umoristica, infatti, è la riflessione stessa che analizza e scompone il sentimento suscitando nello spettatore il “sentimento del contrario”, che è il tratto caratterizzante dell’umorismo.
*“la riflessione – scrive Pirandello - lavorando in me, mi ha fatto andar oltre quel primo avvertimento, o piuttosto più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico.”
Un esempio che lo stesso autore presenta è quello della vecchia signora tutta imbellettata e con i capelli tinti, io mi accorgo che il suo aspetto è il contrario di ciò che una vecchia signora dovrebbe essere. In questo consiste il comico, nell’avvertimento del contrario, nel rendersi conto che la realtà che si propone ai nostri occhi è l’opposto di quello che noi ci aspettiamo. A questo punto però Pirandello sostiene che se interviene la riflessione, l’individuo si rende conto di quanto la vecchia signora soffra a vestirsi a quel modo, ma agisca ugualmente in questo modo solamente per trattenere l’amore del marito più giovane di lei. In questo caso l’autore pone il lettore dalla parte dell’osservatore della situazione e da questo versante esterno l’umorismo appare come un approfondimento del comico.
L’autore Agrigentino individuò inoltre una finalità analitica dell’umorismo poiché questo processo risultava di capitale importanza per la disgregazione della psicologia umana che non si trova più ad apparire come un sistema unitario. La scomposizione umoristica fa così emergere il fondo sconosciuto della psiche in cui non ci riconosciamo.
Il Fu Mattia Pascal
Quali sono le ragioni che spingono Pirandello a riflettere con tanto impegno su questo tema? La risposta a questo interrogativo si svela nelle ultime pagine del suo saggio: l’umorismo è un tratto essenziale della condizione umana e fa tutt’uno con la filosofia della vita .
La prima significativa opera in cui Pirandello delinea una filosofia dell’esistenza e della condizione umana è senz’altro Il fu Mattia Pascal, ed è proprio alla buon’anima di quel bibliotecario che è dedicato il saggio sull’umorismo. L’elemento umoristico del romanzo traspare con chiarezza nel finale che ci presenta Mattia Pascal nell’atto di deporre fiori sulla sua tomba.
Vi è un senso in cui questa scena è senz’altro comica: quale gesto può sembrarci più ridicolo e sciocco che portare fiori sulla tomba di un vivo? E tuttavia l’avvertimento del contrario può facilmente trapassare nel suo sentimento: non solo Mattia Pascal ma ogni uomo seppellisce se stesso poiché rimane bloccato nelle forme morte dell’esistenza, in quelle convenzioni ed abitudini che si sedimentano col tempo, rendendo invisibile il fluire continuo della vita che al di là da esse continua a scorrere.
La filosofia dell’Esistenza
In questa filosofia della vita, in cui è chiaro l’eco di Bergson, non è difficile scorgere la genesi di molti temi pirandelliani, ed anche la sua dottrina dell’umorismo affonda qui le sue radici. Sostenere che la vita si è persa ed arenata nelle sue forme morte vuol dire infatti alludere ad una situazione, in ultima istanza, comica: l’uomo è diventato prigioniero delle convenzioni e le sue azioni rammentano quelle di un burattino, e il burattino è un luogo comune della comicità.
Dalla comicità all’umorismo il passo è breve: basta rendersi conto che l’irrigidimento della vita che ci spinge a ridere di un qualche personaggio è in realtà un tratto caratteristico della natura umana. Il riso ingenuo e aperto che sorge non appena cogliamo nei gesti di un uomo la meccanica rigidità del burattino, si vena di tristezza e di amarezza non appena impariamo a ritrovare nel burattino l’uomo. L’atteggiamento umoristico si pone così, in Pirandello, come il frutto cui conduce un’amara filosofia dell’esistenza.
Lo stesso Pirandello, nelle pagine iniziali del suo saggio, si pone la domanda di grande interesse nella prospettiva di questo approfondimento, se l’umorismo sia un fenomeno esclusivamente moderno. Partendo dalle posizioni dei suoi contemporanei, che negavano all’antichità una letteratura umoristica, paragona Aristofane a Socrate, individuando solo nel secondo un umorista, con riferimento al Socrate che assiste ad una rappresentazione delle Nuvole mentre ride della derisione che fa di lui il poeta. Aristofane può essere inteso come umorista solo “se intendiamo l’umorismo nell’altro senso molto più largo, e per noi improprio, in cui siano compresi la burla, la baja, la facezia, la satira, la caricatura, tutto il comico, insomma, nelle sue varie espressioni”.
La commedia greca
La commedia costituisce un’espressione fondamentale della cultura e della società ateniese, dove raggiunse il suo periodo di massima fioritura nella seconda metà del V a.C.
Due ipotesi riguardo all'origine della commedia:
• ipotesi dionisiaca: dice che probabilmente la commedia ebbe origine dall'improvvisazione dei canti fallici, eseguiti nelle falloforie (dal fallo, simbolo della fertilità), processioni in cui si propiziava la fecondità. L'origine del nome “commedia” (κωμωδια) è riferito a κωμως, ossia il corteo festoso dei seguaci ubriachi di Dioniso, occasione di canti corali e scherzosi. Così ecco le principali caratteristiche della commedia: il canto corale, il rapporto con Dioniso, l'irrisione e il riferimento alla sfera sessuale.
• ipotesi dorica: il termine “commedia” deriverebbe da κώμη, che vuol dire in dorico "villaggio" in cui la commedia sarebbe stata in origine rappresentata.
“antica” (αρχαία), “di mezzo” (μεση) e “nuova” (νεα).
La struttura della commedia "antica”
La commedia ha struttura dinamica.
La conoscenza della commedia “antica” può essere riassunta nel nome di Aristofane.
* La commedia antica si apre con un prologo molto ampio, recitato dai personaggi, in cui si informano gli spettatori sull’argomento della commedia e ne avviano lo svolgimento.
* Segue l'entrata dal coro, il pàrodo, in cui cantano, danzano e mimano.
* La parabasi (che traeva ispirazione dalle falloforie) in cui il coro si esprimeva in prima persona e discuteva di svariati argomenti riferendosi all'attualità.
* La parabasi può precedere o seguire l'agone, in cui l'eroe riporta il successo e il nuovo ordine dal contrasto di due personaggi. Il proseguimento della commedia ne rappresenterà le conseguenze, in genere di carattere buffonesco e narrate a episodi.
* Infine veniva l'esodo, una gioiosa processione, in cui era celebrato il definitivo trionfo del protagonista.
Le maschere avevano aspetto comico e il travestimento corrispondeva al ruolo dei personaggi e nel coro poteva essere di uomini, animali e cose. La funzione della maschera: per gli attori che potevano avere più ruoli, per gli uomini che avevano ruoli di donne, come cassa di risonanza, per la comprensione veloce del pubblico attraverso le caratteristiche della maschera, come punto di frattura tra realtà e commedia.
Scopo della commedia: rinnovare la vita cittadina, ormai guasta e corrotta. L’azione comica- assurda e paradossale- porta ad un rinnovamento civile che in questo modo recupera la sua purezza. Ha uno scopo di denuncia di un politico corrotto, della guerra, dei costumi eccessivi e degradati. Al termine della commedia si arriva sempre alla sconfitta dell’antagonista che è un personaggio che incarna corruzione della vita civile o un vizio cittadino.
Il teatro di Aristofane
Quella di Aristofane, massimo esponente della commedia antica ( è in genere una satira personale, come è nel carattere della commedia antica che ha spesso contenuto politico poiché si inserisce nella vita della città; tale caratteristica si può senza alcun dubbio riscontrare nelle prime commedie. Egli portò sulla scena situazioni e personaggi di attualità, ma che tradusse in termini comici alcune strutture profonde della cultura ateniese di aspetti quotidiani o della vita civile come la guerra( Acarnesi). La commedia di Aristofane è pertanto uno specchio, seppur deformato, della società contemporanea.
La struttura della commedia aristofanea risponde a uno schema di fondo che si ripropone in tutte le opere: l’eroe comico si ribella allo stato di infelicità e degradazione in cui si trova la vita cittadina ed escogita un’idea fantastica per rinnovare questo mondo o per evaderne alla ricerca di un luogo più accogliente. A questo punto della commedia si verifica normalmente il passaggio dalla realtà quotidiana, che è all’origine drammatica, al mondo surreale e utopico in cui i personaggi entrano. Così tutto diventa accessibile, le leggi della realtà vengono sospese e può accadere che l’eroe voli in cielo a cavalcioni di un grosso scarabeo alato(nella Pace) o che scenda nell’Ade(Rane) o possa stabilire una pace privata con i nemici(Acarnesi)o possa fondare una città tra cielo e terra(Uccelli).
La commedia di Aristofane ondeggia tra il realismo della raffigurazione quotidiana di fatti e personaggi e la dimensione fantastica e irreale che si spalanca davanti al pubblico.
Le commedie di Aristofane ci appaiono spesso come l'espressione di una società in sé angusta anche se impegnata in azioni storiche di primo piano, eppure l'opera di Aristofane ci appare sempre più viva e affascinante per la genialità della fantasia comica, per le battute incalzanti ed inaspettate, per la raffigurazione concreta di situazioni e concetti astratti (Discorso Migliore e Discorso Peggiore nelle Nuvole), per la grossolanità delle allusioni scurrili, per la levità lirica di alcuni cori che ad essa fanno contrasto. Gli elementi buffoneschi e triviali si fondono con quelli poetici e lirici con una levità che è forse il segno maggiore del genio aristofanesco.
Il teatro di Menandro
Menandro è l’esponente di maggior rilievo della commedia nuova (MMM) caratterizzata da riconoscimenti, situazioni equivoche e lieto fine. La commedia menandrea mette in scena caratteri monotoni e smorzati, in un clima realistico di passioni borghesi. Manca, però, pur in questo realismo, la satira politica e qualsiasi riferimento preciso al periodo, come anche la scomparsa del coro, che rende la commedia quasi astratta. Il coro era costituito solo da intermezzi musicali fra atto e atto e non avevano nulla a che fare con la commedia. Menandro può essere definito come il commediografo del quotidiano in quanto non presenta vicende autobiografiche o eventi storici, ma sviluppa vicende private, borghesi per intreccio, tipi e caratteri dei personaggi, focalizzate sul tema amoroso il cui schema si ripete in modo uniforma sino a quasi la monotonia( due innamorati separati da vicende fortunose riescono infine a coronare il loro sentimento o a ripristinare la felicità che per un equivoco o un errore era stata turbata).
Le commedie menandree ci presentano un uomo profondamente complesso psicologicamente, specchio della reale complessità esistente nel rapporto tra uomo e natura. Tutti gli strati sociali sono presenti nelle commedie di Menandro, con una particolare attenzione all'uomo borghese, il quale non può che comportarsi in modo morale conformemente ai canoni della cultura ellenistica. Questa è la tipica chiave di lettura di tutte le commedie di Menandro. In ogni situazione troviamo un atteggiamento di ironico rispetto verso gli altri, rispetto che spesso sottintende una velata condanna ma che è manifestazione del dovere di rientrare nei canoni ellenistici, che prevedevano un assoluto rispetto del modus vivendi altrui.
Questo rispetto si traduce in ironia, un sorriso benevolo nei confronti dell'agire umano (anziché nel riso sguaiato di Aristofane, nelle cui commedie l'unico punto di contatto tra realtà e fantasia era rappresentato dalla politica), con una serenità che esclude la tristezza esacerbata e sfumando tutti i sentimenti anche nelle situazioni in cui la realtà spinge l'uomo alla tristezza. Lo scavo psicologico dei personaggi è dunque profondo ma non completo, poiché manca ogni sentimento troppo forte.
Menandro introduce il concetto di τυχη, che limita la possibilità dell'uomo di cambiare la realtà, ma che non corrisponde ad una divinità, poiché non guida l'uomo secondo un andamento logico. Questa limitatezza dell'agire umano si rispecchia nel fatto che le commedie contengono un susseguirsi di azioni che si incastrano tra loro, facendo sì che non tutto dipenda dall'uomo e consentendo allo stesso tempo lo scavo psicologico. Le commedie di Menandro finiscono tutte in maniera positiva, per due motivi la necessità di rispettare le regole della commedia e la volontà di creare uno spettacolo di evasione.
Differenze Aristofane e Menandro
• In Menandro non ci sono straordinarie invenzioni fantastiche come scalate al cielo(la Pace) e discese agli inferi(le Rane);
o in Aristofane non c’è unità nell’azione, verosimiglianza e una caratterizzazione psicologica dei personaggi;
• Aristofane faceva del disordine e della trasgressione gli strumenti per rinnovare la convivenza cittadina;
o in Menandro tutto ciò deve essere ricomposto( rimossi anche gli elementi di scandalo)
• entrambi ricercano un teatro di evasione ma in Aristofane si fonda sul fantastico, sulla trasfigurazione della realtà politica , paradossale, carnevalesco;
o in Menandro attraverso il lieto fine.
Latino
Il mondo latino vide la concretizzazione del comico nella satira di costume nei confronti di una società senza morale, di una classe dirigente corrotta, di una cultura ormai in declino, ma anche una satira politica che rivelava un atteggiamento di mancata coesione tra l’autore e il contesto socio-politico in cui era immerso. Le sue origini si possono rinvenire nelle prime forme di Satura in ambiente pre-letterario per poi evolversi attraverso personalità che piegarono a finalità diverse un genere duttile e versatile. Il genere della satira dunque nel mondo latino ha visto come suo eeeeeee Lucilio, che fu appunto colui che inaugurò il genere satirico portandolo ad assumere dignità letteraria.
Successivamente fu ripreso e approfondito da Orazio che compose delle satire di costume nelle quali si può individuare l’influsso della diatriba Cinico Stoica. Le Satire (che l'autore chiamò Sermones) sono una raccolta di componimenti scritti in esametri ed articolati in argomenti letterario- programmatici, che vanno dal proemio al commiato a riflessioni sull'incontentabilità umana e l'avarizia, espressioni contro l'adulterio, financo un diario di viaggio, un ripensamento della propria condizione sociale e un resoconto dei rapporti con Mecenate, cui il primo libro (pubblicato nel 35 a.C.) fu dedicato.
Le satire si dividono, a loro volta, in due tipologie, quelle narrative e quelle dialogiche.
Le satire narrative presentano delle vicende reali o verosimili cui il narratore ha partecipato e in ognuna di queste vicende è contemplato un precetto morale e filosofico che, proprio perché derivante da situazioni quotidiane, è proprio di quella filosofia che Orazio prediligeva: la filosofia della vita, fatta di piccoli insegnamenti e valori universali. Orazio analizza la vicenda umana criticandone i vizi e proponendo il proprio ideale di vita basato sull'αὐταρκέια (autarcheia, cioè l'autosufficienza interiore del saggio) e sulla μετριότης (metriotes, moderazione, che scaturisce dal giusto mezzo aristotelico), tutto riconducibile al valore universale stoico della virtus.
Nelle satire dialogiche tutta l'attenzione del poeta all'individualismo dell'uomo sembra svanito, prevalgono dialoghi di matrice cinica (modellati sulla diatriba) tra il narratore e una galleria di personaggi, che ha perso quell'ottimismo che caratterizza le satire narrative: sembra che il tempo e la fugacità dei piaceri abbiano preso il sopravvento sul poeta.
Orazio si muove fin dall'inizio dalla filosofia aristotelica: fin dalla prima satira elogia la filosofia del giusto mezzo, quando afferma: C'è una misura in tutte le cose: vi sono insomma dei precisi confini al di là e al di qua dei quali non può trovarsi il giusto
.
Partendo dalle premesse della satira latina di Ennio e Varrone, Orazio compie un'estrema operazione di revisione e ne elabora una nuova ed originale che sarà il modello per ogni scrittore di satira successivo. Trae spunto sia dalla più recente satira menippea riprendendone i temi diatribici, sia dalla satira luciliana utilizzando l'esametro, verso più discorsivo ed elegante. L'innovazione della sua poetica stà nel fatto che rifiuta la durezza degli attacchi e il realismo crudo tipico della satira tradizionale, arrivando ad affermare che le opere di Lucilio sono un Fluere lutulentus, uno scorrere fangoso dato dalla trascuratezza e rozzezza del linguaggio. Di gran lunga più benevola è l'aemulatio per la Commedia antica ateniese di Aristofane, che sapeva essere a suo tempo tagliente e dura ma con quell'eleganza che Lucilio non ha saputo imitare.
Nell’età dei Giulio-Claudia la satira ebbe un ruolo di primaria importanza come punitrice dei costumi corrotti della società sulla base di una forte connotazione moralistica. In questo ambito ricordiamo Persio, meno comprensivo di Orazio nei confronti dei vizi umani, che predilige una riflessione moraleggiante e sovente astratta. Nella stessa età si possono citare anche l’apokolokyntyhosis di Seneca e il Satyricon di Petronio.
Apokolokynthosis di Seneca Alla morte di Claudio( 13 ottobre del 54), Seneca fu incaricato di scrivere la laudatio
funebris che Nerone lesse in senato. In quegli stessi giorni compose l’ Apokolokyntosis in cui esprime una satira pungente nei confronti dell’imperatore Claudio dovuta probabilmente all’ostilità che il princeps aveva dimostrato in vita a Seneca. La vicenda vede l’anima di Claudio essere relegata agli inferi dagli dei, dove Menandro, che era stato un liberto del principe gli farà da cancelliere nei processi, con una curiosa inversione delle parti. Il termine Apokolokyntosis deriva da kolokynte (zucca, zuccone) e da apothéosis (deificazione). Il significato è pertanto . Apokolokyntosis è una satira menippea in quanto ne sfrutta alcune delle più tipiche soluzioni narrative( il concilio degli dei, la discesa agli Inferi), la mescolanza di prosa e verso, la contaminazione di serio e di comico, l’alternanza di stile aulico e volgare, l’uso di citazioni erudite in funzione parodica , la caricatura grottesca e satirica di noti personaggi.
Il Satyricon di Petronio contiene momenti di precisa accusa nei confronti della letteratura contemporanea e verso le nuove classi sociale formate da liberti arricchiti spregevoli e ignoranti, contro i quali Petronio si accanisce in scene di elevato impatto umoristico, come per esempio nella cena di Trimalchione. Oltre agli episodi presenti nel testo, lo stesso Satyricon costituisce una parodia del romanzo ellenistico. L’ingrediente avventuroso di un gruppo di giovani scapestrati si interseca infatti con un motivo amoroso assolutamente improponibile nel romanzo ellenistico, in quanto propone l’amore omoerotico dei tre personaggi principali. E’ chiaro quindi come il romanzo in sé nella sua struttura costituisca già un elemento parodico e contrastante del romanzo ellenistico. I protagonisti (Encolpio e Gitone) sono sì una coppia di innamorati, ma omosessuale; non virtuosi e fedeli ma viziosi, corrotti, pronti ad ogni avventura. È esclusa anche la possibilità di una conclusione felice: lo schema del romanzo è rigorosamente fondato sulla rovina di ogni progetto. Il Satyricon si presenta dunque come una parodia del romanzo greco, una sorta di antiromanzo irridente e disincantato: le situazioni non sono serie ma comiche e umoristiche. Già fin dal secolo scorso, studiosi interpretavano il Satyricon come un’ in quanto parodia dell’Odissea omerica: come Odisseo, perseguitato dall’ira di Poseidone, il povero Encolpio è perseguitato da dio Priapo, che lo costringe ad un tour de force erotico.
Tra gli scrittori che rappresentano l’ultima voce della tradizione satirica latina troviamo Marziale nell’Età dei Flavi e Giovenale sotto l’Impero di Traiano. Le modalità con cui la propensione verso il comico dei due autori si configurò nelle loro opere fu differente.
Marziale scrisse epigrammi di argomento vario e di natura occasionale la cui carica comica si concentrava nella battuta finale (aprosdoketon), dove l’autore ribalta completamente l’andamento dell’epigramma per inserire una mordace battuta di spirito. L’ironia viene utilizzata unicamente come mezzo per rappresentare una realistica e inesauribile galleria di “tipi”.
Il comico dunque viene assunto a strumento di analisi della società e se ne usa la forza e l’impatto per evidenziare le assurdità e le ingiustizie di una società sempre più corrotta e priva di morale.
L’utilizzo che Giovenale fa della satira è differente rispetto a quello di Marziale, infatti egli compone delle satire che esprimono il sentimento di indignazione e di disprezzo che questo autore prova nei confronti della società. La finalità rimane dunque la medesima di Marziale, ma possiamo notare come venga progressivamente a mancare quella dirittura morale e quella base filosofica che avevano caratterizzato i maggiori autori satirici che lo avevano preceduto. Possiamo quindi notare come in ambito repubblicano la satira si sia indirizzata verso l’analisi e l’accanimento contro tipi sociali, risentendo della diatriba Cinico Stoica, mentre in età imperiale, seppur con sfumature diverse ha assunto un andamento moraleggiante.

Filosofia
Durante il percorso di civilizzazione della nostra umanità, quasi tutti i filosofi hanno cercato di spiegare il fenomeno comico ed umoristico e l'origine del riso, senza tuttavia riuscirci definitivamente. Forse i contributi più significativi furono dati da Henri Bergson e Sigmund Freud. Da allora gli studi sull'argomento si sono moltiplicati sino a dare origine ad una vera e propria branca di studi della psicologia.
Il riso e la teoria della comicità secondo Bergson
Le riflessioni di Bergson sulla natura della comicità sono racchiuse nel breve libro intitolato Il riso. Saggio sul significato del comico (1900): questo saggio ricco di significato, ebbe più di sessanta edizioni in poco più di quarant'anni.
L'opera si colloca in una fase importante dell'evoluzione del pensiero bergsoniano: si colloca, infatti, negli anni in cui da interessi prevalentemente psicologico - filosofici, Bergson si muove verso una filosofia della vita orientata metafisicamente. Il saggio sul riso racchiude dunque, queste due tendenze di Bergson.
Le occasioni del riso
Bergson parte innanzitutto da una constatazione di natura generale: se il riso è un gesto che appartiene al comportamento umano, allora deve essere lecito domandarsi qual è il fine che lo muove. Ora, per comprendere il fine cui mira un comportamento, si deve in primo luogo far luce sulle occasioni in cui accade. E per Bergson vi sono almeno tre punti che devono essere a questo proposito sottolineati:
1. "Non vi è nulla di comico al di fuori di ciò che è propriamente umano".
Anche quando l'oggetto del comico non è una persona, tuttavia ciò che suscita il riso è un aspetto di quell'oggetto o animale che richiama alla mente atteggiamenti e situazioni umane (pensiamo ad un burattino).
2. Il riso scatta solo di fronte a ciò che appartiene direttamente o indirettamente all'ambito umano.
L'apprezzamento della situazione comica prevede "qualcosa come un'anestesia momentanea del cuore": l'empatia, l'identificazione con la persona oggetto del riso è bandita.
Perché possa scaturire, è necessario che chi ride non si lasci coinvolgere emotivamente dalla scena che lo diverte. Per ridere di una piccola disgrazia altrui dobbiamo far tacere per un attimo la pietà e la simpatia, e porci come semplici spettatori o - per esprimerci come Bergson - come intelligenze pure.
3. Il riso, come abbiamo osservato, chiede una sorta di sospensione del legame di simpatia che ci lega a colui di cui ridiamo. E tuttavia tutti sappiamo che il riso è un'esperienza sociale: ridiamo meglio quando siamo insieme ad altri, ed il riso è spesso il fondamento che tiene unito un gruppo di persone. "Il riso cela sempre un pensiero nascosto di intesa, direi quasi di complicità, con altre persone che ridono, reali o immaginarie che siano" .
Il riso sembra essere strettamente connesso con la vita sociale dell'uomo, con il suo essere un animale sociale. Possiamo allora far convergere i tre punti, in un'unica tesi: “il "comico" nasce quando uomini riuniti in un gruppo dirigono l'attenzione su uno di loro, facendo tacere la loro sensibilità, ed esercitando solo la loro intelligenza”.
Il riso come funzione sociale
Il riso ha una funzione sociale, e sorge dalla constatazione di una sorta di contraddizione: ciò che dovrebbe comportarsi in modo libero e vivo sembra assoggettare i suoi gesti a leggi meccaniche. Al riso spetta dunque il compito di sanare questa contraddizione. Il riso è quindi un castigo sociale.
Di questa funzione sociale del riso, la commedia è un'espressione esemplare. Tra tutte le forme di comicità una in particolare sembra stringere un rapporto strettissimo con la sfera sociale: è la comicità morale.
La commedia
Le passioni spesso si prendono gioco di noi e subordinano tutte le nostre azioni ad un unico meccanismo. E' questo ciò che accade ai personaggi comici di molte commedie: lo spettatore è chiamato a ridere di un uomo, i cui gesti sembrano quelli di una marionetta, mossa da un burattinaio che ci è ben noto e di cui sappiamo prevedere i movimenti. Di qui la forma di tante commedie che hanno per protagonisti non già individualità ben determinate, ma personaggi tipici. Di qui anche il fine che si prefiggono: correggere, ridendo, i costumi. Alle forme propriamente artistiche, caratterizzate dall'assoluta assenza di finalità pratiche si deve contrapporre dunque la commedia, che è una forma artistica diversa, proprio perché affonda le sue radici nella vita e perché alla vita ritorna come ad un valore da salvaguardare e cui sottomettere i propri sforzi.
Bergson vede il comico come una sorta di "castigo sociale" con cui la comunità individua, respinge e corregge una serie di comportamenti percepiti come contrari allo 'slancio vitale' con cui s’identifica la vita stessa.
Per Bergson è l’energia creativa che determina il processo evolutivo della realtà; è una sovrabbondanza di vitalità che ci fa capire l’incongruenza tra effetto e causa. L’evoluzione è ad ogni istante creazione e non causazione, determinata infatti da tale slancio vitale e non da leggi meccaniche.
Forza intrinseca alla materia stessa, che si ricrea continuamente conservando memoria di sé e che si espande in molteplici direzioni(nel mondo vegetale, degli animali, nel mondo degli uomini e dell’intelligenza). Naturalmente l’ e spandersi dello slancio vitale è limitato e, dunque, parzialmente determinato dagli ostacoli che incontra sulla strada, tutti comunque riconducibili all’opposizione della materia.

Il motto di spirito e l’umorismo secondo Freud
Un fenomeno così variegato come il ridere non poteva essere tralasciato dall’analisi del padre della psicoanalisi. In un saggio del 1905 “Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio”, Freud enuncia la sua teoria sulla motivazione del ridere.
L’Es, l’Io e il Super-Io
La personalità umana è divisa in tre parti: l’inconscio o Es, l’Io, e il Superio.
• All’interno dell’inconscio, denominato “Es” si trovano:
* contenuti in parte innati, le pulsioni più antiche, la sessualità, l’aggressività, l’istinto auto conservativo;
* contenuti rimossi come bisogni, desideri, angosce, fantasie.
• Nello spazio dell’Io si collocano il pensiero vigile, le funzioni coscienti, la memoria, la percezione, la coscienza e l’elaborazione dei contenuti psichici.
• Il Superio ha un ruolo censorio sull’Io, è la coscienza morale: nasce dal rapporto con le autorità esterne, in primis con la famiglia (e poi con la società), tiene conto delle richieste e dei divieti di queste istituzioni e si sviluppa come un risultato di norme e comportamenti sociali.
Spesso Es ed Io entrano in conflitto a causa di certi contenuti emotivi spiacevoli, sentimenti aggressivi, desideri che generano angoscia, che sembrano non appartenerci e di cui ci vergogniamo o verso cui proviamo sensi di colpa.
Questo accade perché l’Io non sa come accogliere quelle pulsioni e di conseguenza, semplicemente, le nega, le rimuove. Queste pulsioni, però, tendono a riaffiorare attraverso il sogno, il lapsus, l’atto mancato e il sintomo nevrotico.
Il motto di spirito
Meccanismo comunicativo che permette al soggetto di esprimere i contenuti dell'inconscio, solitamente repressi, in modo non traumatico o aggressivo per l'interlocutore.
La battuta istituisce ex novo (per questo è creativa) un canale di sfogo: colpisce e libera l’energia che impegniamo nel tenere sotto controllo qualche nostro contenuto inconscio. Questa liberazione dalla tensione e il rilassamento che ne consegue, provocano piacere.
La classificazione dei motti di spirito
Freud distingue i motti di spirito di carattere ingenuo da quello di carattere tendenzioso, che riguarda l’aggressività, il razzismo, il cinismo, la deviazione, il sesso (sono gli argomenti sui quali, in genere, è maggiore il controllo del Super-io).
In questo caso il motto di spirito è molto vicino all’infanzia, periodo in cui le prescrizioni sociali sono più sfumate e si è comunque meno coercibili. Fare battute su questi argomenti serve moltissimo anche ad alleviare la mente dal continuo dominio delle facoltà logiche e critiche.
Di tutti i terreni d’incontro tra le diverse componenti della mente umana, aventi la finalità di dare sfogo ed espressione ai contenuti inconsci, il motto di spirito è l’unico ad avere una valenza relazionale.
Si spiega anche perché alcune persone non comprendono l’umorismo o un certo tipo di battute, come quelle, per esempio, a sfondo sessuale. Per capirle, infatti, c’è bisogno della partecipazione della persona a livello sia emotivo sia razionale. Se l’ascoltatore ha dei problemi legati al sesso, ad esempio un Superio troppo invadente, potrà non ridere alla battuta, o addirittura scandalizzarsi.
L’umorismo, la comicità e il riso, che i motti suscitano, sono potentissimi per un’analisi profonda della nostra psiche.
Storia
Con New Deal si intende il piano di riforme economiche e sociali promosso dal presidente americano Franklin Delano Roosevelt fra il 1933 e il 1937, allo scopo di risollevare il Paese dalla grande depressione che aveva travolto gli Stati Uniti d'America a partire dal 1929: il Big Crash.
Una violenta sproporzione tra crescita reale e speculazione borsistica, il collasso del credito al consumo, la riduzione dei consumi stessi e il conseguente aumento del tasso di disoccupazione crearono le premesse per una rapida e profonda crisi che investì tutti i campi delle attività economiche, costringendo il paese alla recessione. Il crollo del 24 ottobre e del 29 ottobre (giovedì nero) 1929 e delle quotazioni azionarie alla borsa di New York non fu altro che l'evento simbolo di un processo di grandi dimensioni che investiva un paese minato paradossalmente dalla grande fiducia e dalla speranza nel futuro.
Le conseguenze sul piano economico, sociale e politico furono immediatamente tangibili. Il prepotente aumento della disoccupazione costituì alle soglie del nuovo decennio una vasta piaga sociale. Il sistema venutosi a creare consisteva dunque in un circolo vizioso di progressivo aumento del numero di disoccupati e dunque una diminuzione della domanda, alla quale faceva fronte una successiva diminuzione del numero dei lavoratori.
LA RISPOSTA ALLA GRANDE CRISI.
Eletto nel 1932, il democratico Roosevelt si era trovato di fronte la disastrosa situazione lasciata dalla precedente amministrazione repubblicana (Edgar Hoover), dimostratasi incapace di gestire la crisi di sovrapproduzione che aveva causato negli anni venti fallimenti a catena di banche e fabbriche e il crollo in Borsa del 1929.
Nel 1933 il numero di disoccupati aveva toccato livelli fino ad allora mai raggiunti, fra i dodici e i quindici milioni di persone; il prodotto nazionale lordo nello stesso anno fu di un terzo inferiore a quello del 1929; i prezzi dei beni agricoli crollarono; molti agricoltori furono costretti a indebitarsi e a cedere le loro terre.
Per arrestare la spirale recessiva il presidente elaborò, insieme con un gruppo di esperti soprannominato il "trust dei cervelli" (brain trust), un programma di intervento federale in economia, mettendosi decisamente in contrasto con la tradizionale posizione del governo statunitense improntata al più rigoroso laissez faire.
La nuova amministrazione tentò di agire sia dal lato dell'offerta, con il controllo della produzione e le norme dirette a ristabilire la fiducia nel sistema bancario, sia dal lato della domanda, cercando di sostenere l'attività industriale e l'occupazione con la realizzazione di numerosi lavori pubblici, anche a costo di gravi deficit di bilancio.
I primi cento giorni della presidenza Roosevelt rimasero famosi perché il Congresso, stimolato dal governo, approvò una quindicina di leggi fra cui alcune delle principali misure del New Deal. Fu varato un vasto programma di aiuti ai ceti più colpiti dalla crisi economica, attraverso la creazione di enti appositi.

LA GIOCONDA (RITRATTO DI MONNA LISA DEL GIOCONDO)
Olio su legno, dipinto a Firenze verso il 1504 e finito verso il 1516 in Francia.
Francia, Parigi,
Musée du Louvre.
La tavola mostra una giovane donna in posa al di qua di un parapetto, mentre oltre quello si dipana la più grandiosa visione geologica mai immaginata. Monna Lisa e il paesaggio alle sue spalle sono due comprimari. Proposta a tre quarti, con il braccio sinistro poggiante sul bracciolo di una sedia e con la mano destra su quella sinistra, la donna si volge verso lo spettatore e lievemente sorride.
Il tenue sorriso di lei e il suo sguardo, che sembra seguire chiunque la guardi e comunque esso si sposti, derivano il loro fascino in gran parte dallo sfumato. Leonardo, infatti, ha nascosto nell’ombra i lati della bocca e gli angoli degli occhi della donna. L’impossibilità di poterne afferrare i contorni precisi impedisce che si abbia di lei un’immagine sicura e definitiva.
Il significato del celebre sorriso di Monna Lisa è stato oggetto di innumerevoli studi. E' la sua leggera asimmetria a renderlo così enigmatico, insieme a un modellato talmente sottile da rendere quasi impercettibile il passaggio dalle labbra alla pelle. Per ottenere questi effetti, Leonardo usò degli strati estremamente fini di colore e sviluppò lo sfumato per fondere luce e ombra.
Rapporti con le altre opere rinascimentali: alcuni ritratti milanesi leonardeschi sono rappresentati contro un fondo unito. Questo, invece, si staglia davanti ad un vasto paesaggio deserto con il quale costituisce un’unità totale nel suo ambiente naturale, del quale fa parte integrante, senza urti, senza violenze. La figura umana, infatti, pur dominandolo quantitativamente, vi si avvolge lentamente. Contrariamente ai ritratti femminili dell’epoca la donna non porta gioielli né altri ornamenti.
Rapporto dell’opera con la mentalità rinascimentale: il grande portato di Leonardo nella pittura è, si potrebbe dire, il deciso prevalere della luce sulla forma, o, altrimenti detto, la nuova importanza da lui data alla tonalità. Prima di lui la pittura tendeva agli effetti plastici: cercava di definire nettamente la forma con la linea di contorno e considerava la luce come un mezzo per dare risalto ai volumi; egli, invece, si propone consapevolmente di rendere la luce vera protagonista della pittura, liberando, per così dire, la forma dalla sua superficie chiusa, considerandola nel suo fondersi, per gioco di luce, con le forme vicine. Per questo egli suggerisce di considerare gli oggetti come appaiono al crepuscolo o quando il cielo è nuvoloso, per cogliere così i chiaroscuri più morbidi creati dalla luce diffusa.
La maestria di Leonardo nello "sfumato" emerge soprattutto nei particolari atmosferici che si vedono sullo sfondo, dove delicati veli di foschia smorzano i profili di colline e montagne. Per ottenere la mirabile prospettiva, Leonardo ha gradualmente aumentato lo "sfumato", rendendo i colori sempre più fluidi con l'aggiunta di olio, man mano che lo sfondo si allontana.
La Luna e il suo sorriso
A seconda della posizione lungo la propria orbita la Luna è vista da ogni località della Terra con angolazioni diverse, e così la sua superficie appare completamente, parzialmente o per niente illuminata dalla luce solare diretta.
Partendo, infatti, dalla fase di Luna Nuova essa inizia a mostrare la classica falce che cresce ogni giorno sino a diventare un disco nella fase di Luna Piena, per cominciare quindi a decrescere successivamente sino ad annullarsi nuovamente in una Luna Nuova.
Ciclo delle fasi lunari
L'intero ciclo delle fasi lunari, praticamente l'intervallo di tempo compreso fra due fasi uguali, dura circa 29,5 giorni è viene chiamato anche periodo sinodico o lunazione. Esso si compone di quattro fasi principali, separati a loro volta da altrettanti momenti intermedi che in successione vengono definiti:
• Luna Nuova - La Luna si trova nella stessa direzione del Sole (congiunzione), e perciò tramonta e sorge con esso. Non è visibile, essendo occultata dall'intensa luce solare, anche se nei giorni immediatamente precedenti o seguenti, quando essa mostra una esile falce, è debolmente illuminata dalla luce cinerea ossia dai raggi solari riflessi dal nostro pianeta. Ha un'età di 0 giorni.
• Primo Quarto - A 90° dal Sole verso Est (quadratura), la Luna sorge e tramonta 6 ore dopo di esso mostrando mezzo emisfero illuminato che si trova rivolto verso Ovest. L'età è di 7,4 giorni.
• Luna Piena - Dalla parte opposta al Sole (opposizione), la Luna è completamente illuminata. Sorge e tramonta in maniera opposta al Sole, ossia con una differenza di 12 ore (180°), ed ha un'età di 14,7 giorni.
• Ultimo Quarto - Il nostro satellite sta per completare il giro, si trova infatti nuovamente a 90° dal Sole, ma questa volta verso Ovest, per cui sorge e tramonta 6 ore prima. L'emisfero illuminato volge ad Est ed ha un'età pari a 22,1 giorni.

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