Tema svolto sulle conseguenze della politica giolittiana

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Testo

La politica del Giolitti mosse dal consapevole bisogno di liquidare le pesanti eredità degli anni precedenti attraverso il contenimento della spesa pubblica, la diffusione dell'istruzione, l'espansione dell'industria e il potenziamento dell'agricoltura. Dica il candidato per quali ragioni, nazionali e internazionali, l'età giolittiana si concluse invece con la partecipazione dell'Italia al primo conflitto mondiale.

La fine del XIX secolo in Italia fu caratterizzata da una grave crisi socio – economica. Il governo della Destra storica perse l’appoggio della maggioranza parlamentare nel 1876. Furono quelli anni difficili per la situazione italiana che necessitava profonde riforme che avviassero un processo di libera democratizzazione ed un regolare sviluppo economico. Ricordiamo che nel neonato Regno d’Italia l’industrializzazione non era ancora apparsa sulla scienza economica, ma soprattutto non ne sono mai state affrontate le ripercussioni socio – politiche quali le rappresentazioni parlamentari del proletariato, le associazioni sindacali e la lotta di classe. Proprio queste questioni si propose di affrontare Giovanni Giolitti che ereditò dal precedente governo di Sinistra un ulteriore ritardo di oltre un decennio nelle vicende politiche riguardanti la classe operaia.

Nel 1901 Giolitti divenne ministro degli interni nel governo Zanardelli, successivamente presidente del consiglio fino al 1914 con alcuni periodi di interruzione. Egli mantenne neutrale e pacificatore il governo nei conflitti della nuova classe proletaria e favorì lo sviluppo moderato delle organizzazioni sindacali in quanto con esse si potevano discutere provvedimenti politici e non era necessario l’uso della forza per imporli come nei casi di forme insurrezionali delle proteste. Con abili manovre politiche all’interno degli organi al governo il ministro ottenne l’appoggio e la fiducia necessaria per realizzare i suoi piani: sviluppo di uno stato liberale democratico ed economicamente solido. Giolitti, anche sull’esempio storico dell’Inghilterra e Francia, voleva un’alleanza con la classe operaia e la sua piena integrazione nella vita del paese. Questo atteggiamento del governo riscontrò alcune ostilità tra i conservatori trovando comunque la via dell’applicazione. L’intento certamente brillante però non fu accompagnato da una messa in atto di manovre opportune. L’eccessiva tolleranza verso proteste sindacali portò ad un aumento spropositato della quantità delle associazioni dei lavoratori; di fatto venne meno l’autorità statale nel contesto economico. Certamente l’idea giolittiana di integrazione non coincideva con il caos generato da oltre 76 camere di lavoro; il ministro intendeva discutere le questioni del proletariato con forze organiche e la presenza di una tale quantità di sindacati non ricalcava questa prospettiva. La totale tolleranza dello sciopero, peraltro criticata dai ceti borghesi, modificò essenzialmente in pochi anni il sistema retributivo italiano si passò da una modalità fondata sui profitti alle remunerazioni salariali. Se da un lato questa riforma danneggiò la classe dirigente dall’altro portò ad un maggiore benessere di quella operaia, allargando così il mercato interno attraverso un aumento dei consumi; inoltre una maggiore sicurezza economica allargava il generale consenso sociale.

Giolitti introdusse anche alcuni elementi nuovi nella vita dello Stato di stampo socialista volti a migliorare le condizioni sociali della popolazione. Tra questi vi furono provvedimenti volti a tutelare il lavoro delle donne, dei giovanissimi (l’età minima per accedere al lavoro venne innalzata a dodici anni); le ferrovie furono statalizzate e fu fondato l’Istituto nazionale di assicurazioni con l’intento di assistenza agli infortunati sul lavoro e pensionati ma mai entrato a far parte della realtà socio – economica del paese. Si trattava infatti di una grave interferenza del sistema politico in una disciplina economica con risvolti sociali; soltanto un paese forte con un amministrazione compatta e competente poteva permettersi di esercitare questa funzione: Bismarck vi riuscì mentre Giolitti dovette fronteggiare l’estraneità di tutto il mezzogiorno alla presenza dello Stato ed il frazionamento sociale non ancora superato a quei tempi. Agli inizi del XX secolo venne introdotta anche l’istruzione elementare come servizio gratuito erogato dallo Stato.

Due grandi movimenti ideologico – politici sostenevano l’equilibrio della maggioranza su cui poggiava il governo giolittiano. L’alleanza coi socialisti ed i radicali si istituì ancora ai tempi del governo Zanardelli. Quest’ultimo aveva presentato una serie di riforme assistenziali appoggiate da questi schieramenti. L’accordo fu possibile grazie all’operato di alcuni abili politici, primo fra tutti Filippo Turati. Questi, pur di schieramento apertamene socialista era a favore dell’integrazione, della collaborazione e dell’accordo tra lavoratori e la classe dirigente. La solidità dell’alleanza tra governo e socialisti dovette fare i conti con gli esponenti più radicali della Sinistra che rifiutavano qualunque compromesso col “padronato” e proponeva un’azione rivoluzionaria. Così anche Turati ritirò gradatamente nel corso del quinquennio 1900-05 il proprio appoggio diretto a Giolitti.

Altro schieramento politico di fondamentale rilevanza che ebbe un particolare sviluppo in quel periodo fu il movimento cattolico. Dopo il provvedimento di Pio IX del 1870 che proibiva la partecipazione cattolica alla vita politica, emanato negli anni dell’acquisizione del Vaticano da parte del regno, a partire dal 1891 con Leone XIII si riapre il capitolo degli schieramenti ideologico – politici dei cattolici. Questo ha in realtà un’origine sociale in quanto un paese strettamente governato di fatto dalla Chiesa per quasi un millennio non poteva fare a meno della tradizione cattolica radicata nella mentalità. Vennero così emanati alcuni documenti e trattati con l’intento di proporre un modello di riforme sociali di stampo ecclesiastico. Il movimento cattolico ebbe una crescita imponente in pochissimi anni; ciò è segno che il provvedimento proibizionista di Pio IX era stato effettivamente una sorta di “guinzaglio” posto agli esponenti clericali della politica; ora, venuta meno questa limitazione (che in circa vent’anni non poté certo eliminare tradizioni centenarie) l’espansione di questi ideali fu rapidissima. Tanto che sorsero più correnti teoriche all’interno del rinato schieramento. Con il principale intento di coordinare le attività clericali nacque l’Opera dei Congressi, movimento ecclesiastico estremamente conservatore ed addirittura proclamante la superiorità del papa sullo Stato. Più aperti alla modernità, e riscontranti anche un maggiore appoggio tra la popolazione, furono i moderati miranti alla integrazione dei cattolici nel contesto di uno stato liberale. La maggiore consapevolezza del presenti ed un equilibrio carismatico straordinario furono dimostrati da R. Murri, sacerdote che volle fondare un partito di massa con basi cattoliche; nasce così la Democrazia Cristiana, partito che avrà una lunga storia ed una grande importanza fino agli anni Ottanta. Inizialmente Murri si appoggia alle riforme socialiste ed anticonservatrici. Successivamente D.C. si propose come un’alternativa progressista ai socialisti. Giolitti era ben consapevole dal canto suo che l’alleanza, anche solo formale, con lo schieramento cattolico era fondamentale perché il suo governo riscuota successo e quindi approvazione non tanto tra gli esponenti politici quanto tra la popolazione. Va detto che questa era la prima volta in Italia che un governante si proponesse di raggiungere il consenso popolare e non solo quello della classe dirigente; questo era prova di abilità politica e strategica del ministro che tuttavia non riuscì negli obiettivi iniziali prefissati dal suo governo: progresso e sviluppo economico e amministrativo.

Verso il 1910 sorse un’altra istituzione storica, la Confindustria. Associazione degli imprenditori sostanzialmente protesa al conflitto con un proletariato che ormai ne ostacolava l’attività economica produttiva. Contemporaneamente il partito socialista riscoprì i valori moderati riformisti di Turati e si allontanò dalle posizioni rivoluzionarie. Tuttavia nonostante l’accentramento attuato, lo schieramento stava ormai disgregandosi in due distinte fazioni: la Destra bonomiana che rifiutava il socialismo proponendosi di attuare riforme laburiste di uno stato più autoritario e l’ala rivoluzionaria, imperialista di Mussolini. In questo contesto nacque anche il nazionalismo; una corrente di pensiero che invocava alla riscossa di un’Italia debole e sottomessa, governata da incapaci e poco decisi personaggi in balia delle supremazie estere. Corradini riuscì ad enfatizzare queste idee con un’impressionante retorica ed anche se esse in realtà non erano assolutamente sostenute da fondamenti politici e programmi concreti riscuotevano sempre maggio successo. Questo scenario non era di certo favorevole ad un governo solido e stabile. Giolitti dovette rinunciare spesso ai propri ideali moderati per assecondare ora l’una ora l’altra fazione prevalente affinchè il suo governo sia supportato da una maggioranza che in una simile situazione risultava più che mai variabile, trasformista ed instabile. Ne è un palese esempio la decisione di intraprendere la guerra in Libia di stampo imperialista e coloniale. L’opinione pubblica vedeva in questa azione militare il primo passo per riportare il paese allo splendore. La conquista delle terre africane costò molte vite umane e successive complicazioni socio – diplomatiche ma raggiunse lo scopo che i fascisti, ovvero i più fedeli al nazionalismo estremo imperialista, si erano prefissati: le tensioni interne furono trascurate da quelle coloniali e le istituzioni finanziare poterono trarre profitto dalle nuove colonie. Il governo, ormai con la funzione di mediatore moderato tra le forze estremiste sempre più spregiudicate non aveva più la forza per condurre il paese. Inoltre le riforme introdotte da Giolitti non furono effettivamente risolutive. Il progresso industriale sullo sfondo politico moderato riguardava solamente il nord del Regno, nel sud invece si continuò spesso ad intervenire in modo repressivo contro le rivolte delle classi meno agiate. Proprio nel mezzogiorno vennero meno gli investimenti sostanziali volti ad un generale miglioramento delle infrastrutture; i fondi stanziati provenivano da occasionali e straordinarie manovre economiche e non da un programma di sviluppo completo. Così i poco ingenti finanziamenti finirono per alimentare il clientelismo e la malavita. Alcuni individuano le ragioni di questo nel disperato tentativo di pareggiare il bilancio statale da parte del presidente del consiglio: con piccoli fondi il nord poté progredire notevolmente in campo imprenditoriale (grazie anche all’azione della neonata Confindustria) mentre per il sud i finanziamenti avrebbero dovuto essere immensi per ottenere un risultato simile; si sarebbe dunque cercato di “salvare il salvabile”, ovvero Lombardia, Piemonte e Veneto abbandonando all’arretratezza socio - economica il centro - sud. Effettivamente Nel decennio giolittiano mai venne varata una vera e propria modernizzazione del sistema fiscale e quindi le entrate dello stato risultavano esigue.

Nel 1913 si svolsero le prime elezioni a suffragio universale maschile. Come atto disperato per mantenere la posizione del proprio governo Giolitti strinse un’alleanza elettorale coi cattolici, sapendo che essi avrebbero ottenuto gran parte dei consensi dei nuovi elettori appartenenti sostanzialmente alle classi contadine del mezzogiorno su cui l’influenza ecclesiastica era imponente, se paragonata ad altri paesi Europei od agli Stati Uniti. Effettivamente i moderati del premier ottennero una vittoria schiacciante nei confronti dei socialisti e dei nazionalisti ma questa composizione parlamentare si rivelò presto assurda visto che non rifletteva la reale forza dei vari schieramenti. Giolitti pensò allora di ripetere per l’ennesima volta la manovra dimissionale, contando, come nei casi precedenti, sul fatto che non si sarebbe individuato un sostituto capace di mediare come lui e di smorzare gli attriti interni del paese. In realtà sotto la guida della Destra di Salandra l’Italia stava, sulla scia delle invocazioni nazional – fasciste, per entrare in un conflitto mondiale che l’avrebbe ulteriormente indebolita.
La responsabilità di questo evolvere storico del paese non va assolutamente attribuita al personaggio di Giolitti. Egli, pur con qualche limite gestionale, cercò di attuare riforme che se non altro avrebbero permesso di tentare di rincorrere un mondo industrializzato ormai consolidato in Europa e quasi assente in Italia. Fu lo scenario in cui il ministro si trovò ad operare a costringerlo al massimo sforzo nelle mediazioni tra i partiti, ed infine a finire senza alleati veri ed in balìa delle opinioni altrui, più che sulla riorganizzazione di uno stato che aveva bisogno di calma amministrativa perché vi si fosse sviluppato un vero progresso civile, economico, sociale e democratico.

Va osservato che nel corso di questo secolo l’Italia non ha assolutamente cambiato atteggiamento e quasi mai ha raggiunto la stabilità politica effettiva ricadendo spesso in assurde partitocrazie che ostacolarono il progresso.

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