La Iugoslavia

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Testo

La questione iugoslava
Nel 1918 nasce la Iugoslavia, per volontaria fusione tra serbi, croati e sloveni.
Già durante la seconda guerra mondiale emergono opposti movimenti:
• ùstascia: prevalentemente croati, combattono a fianco dei nazifascisti (al governo c’è Ante Pavelic);
• cètnici: prevalentemente serbi e contro i nazifascisti, monarchici;
• comunisti: sotto la guida di Tito (serbo) combattono l’avanzata italo-tedesca.
Nel 1945 Tito, sconfitte le Aquile Bianche monarchiche, impone il Terrore rosso, massacrando italiani e ùstascia. Nel 1946 i comunisti danno vita alla Repubblica socialista federativa iugoslava, formata da:
• Serbia: slavi ortodossi radicali, che erano annessi all’Impero Ottomano, che essi sconfiggono nella piana dei Corvi (Kosovo, dove abitano molti albanesi) che diviene il simbolo della culla della civiltà serba;
• Croazia e Slovenia: cattolici, legati agli Asburgo perché erano austriaci, quindi combattono a fianco dei tedeschi ma in funzione anti-italiana, perché anche loro vogliono la Dalmazia;
• Bosnia-Erzegovina: musulmani ma tolleranti, erano annessi all’Impero Ottomano;
• Montenegro: è legato all’Italia perché la moglie di Vittorio Emanuele III è montenegrina;
• Macedonia: è divisa tra Macedonia greca e slava;
• Vojvodina: ha una minoranza ungherese, quindi alleata di Hitler.
I principi-guida della formazione del nuovo stato sono:
• ridimensionamento del territorio serbo (nessuno deve prevalere);
• decentramento etnico e religioso, in modo da avere etnie diverse in tutti i territori.
Caratteristiche del socialismo iugoslavo:
• viene instaurata una dittatura del proletariato;
• persecuzione di ogni altra opinione politica;
• 1946: piano quinquennale: nazionalizzazione di banche ed industrie e collettivizzazione delle terre;
• rinuncia alla collettivizzazione delle terre;
• apertura al commercio con l’Occidente e convertibilità del dinaro (primo paese comunista che lo permette)
• riconoscimento della piccola proprietà contadina;
• autogestione: decentramento dell’organizzazione produttiva con l’instaurazione di Comitati di liberazione popolare (di lavoratori) e Consigli operai: i lavoratori hanno un minimo garantito e una quota aggiuntiva in base alla produttività.

Questo porta però ad una crescente disoccupazione ed emigrazione, oltre alla crescita delle differenze sociali e delle spinte nazionaliste, per motivi anche legati alle differenze etniche e religiose.
La rottura con Mosca è anche dovuta a un motivo economico: dopo la fine della guerra, gli Usa mandano aiuti in Iugoslavia per sostenere la ricostruzione; questi mezzi però vengono inviati totalmente all’alleata russa, lasciando la Iugoslavia in misere condizioni. La Russia era interessata all’area balcanica perché costituiva il suo sbocco sul Mediterraneo.
Nel 1980 muore Tito e, inizia la guerra civile etnico-religiosa, dal 1991 al 1995, come conseguenza anche della caduta del muro di Berlino; all’inizio:
• gli albanesi del Kosovo vogliono l’indipendenza dalla Serbia, la quale inizia così una persecuzione;
• rivendicazioni di stampo nazionalistico dei serbi, che mirano alla ricostituzione di una “grande Serbia”;
• rancore tra serbi e croati e tra serbi ortodossi e musulmani della Bosnia
Nel 1991, con un referendum Croazia e Slovenia proclamano la loro l’indipendenza, per ragioni economiche, essendo i paesi più avanzati; la federazione invia l’esercito e nel 1992, per far cessare le ostilità, la Comunità europea e il Vaticano riconoscono le due repubbliche, ma lo scontro continua, tanto che l’Onu nel febbraio del 1992 invia 15.000 soldati in funzione umanitaria.
Tra il 1991 e il 1992, si proclamano indipendenti anche Macedonia e Bosnia-Erzegovina, lasciando la Serbia e il Montenegro, riunite nella Repubblica federativa iugoslava, sotto la guida del presidente ultranazionalista Milosevic. Il conflitto, accompagnato da una vera e propria pulizia etnica, continua, e l’Onu, contro la Serbia, consente per la prima volta alle sue truppe l’uso della forza nel caso di violazione delle sei aree musulmane dichiarate “zone di sicurezza” e istituisce l’Aja, il tribunale internazionale per i crimini di guerra.
La guerra civile continua, nonostante un piano di spartizione della Bosnia messo a punto dal “gruppo di contatto” tra Usa, Russia, Germania, Francia e Italia, che darebbe il 51% ai croati e ai musulmani, mentre il restante 49% resterebbe della Serbia. Sul finire del 1994 i musulmani passano al contrattacco, riconquistando terreno, fino a che, grazie ad una visita del presidente statunitense Carter, si cessa il fuoco in occasione del Natale del 1994, ma i serbo-bosniaci riprendono il conflitto e bombardano, nel giugno del 1995, Srebrenica e Goražde; la Nato effettua così i primi raid aerei, mentre le forze croato-bosniache lanciano vittoriose offensive contro le milizie serbe. Si giunge così al “cessate il fuoco” di 60 giorni, a cui seguono le trattative di pace che portano alla firma a Dayton, nell’Ohio (Usa) il 1° novembre 1995, di un accordo che decretano la creazione di una federazione tra Serbia e Montenegro (Repubblica federale di Iugoslavia, con capitale Belgrado) e tra la Federazione croato-musulmana e la Repubblica serba di Bosnia (Repubblica di Bosnia, con capitale Sarajevo); una forza internazionale dipendente dalla Nato, l’Ifor, è mandata a sorvegliare l’applicazione degli accordi.
Le elezioni della Repubblica di Bosnia segnano il successo dei tre partiti nazionalisti (musulmano, croato e serbo) e la presidenza è assunta da Begovic, ma gli stessi nazionalisti escono sconfitti dalle elezioni amministrative del 1997, perché vengono riconosciuti colpevoli di aver scatenato il conflitto.
Il conflitto si sposta in Kosovo, la regione meridionale della Serbia, con una maggioranza di etnia albanese e religione musulmana; già negli anni Ottanta, Milosevic aveva ridotto l’autonomia della regione, provocando il deterioramento dei rapporti tra serbi e albanesi e la nascita di una resistenza “non violenta” di questi ultimi, destinata a sfociare in guerra aperta nel 1998, che si sviluppa attraverso diverse tappe:
• 1990: autoconvocazione del Parlamento in Kosovo e proclamazione unilaterale della Repubblica;
• il governo locale scioglie d’autorità il suddetto Parlamento;
• si elegge un nuovo Parlamento guidato da Rugova, leader della Lega democratica del Kosovo;
• azioni terroristiche dell’esercito di liberazione del Kosovo (Uck) e repressione armata da parte dei serbi;
• 1998: bombardamenti serbi della zona di Drenica→ fuga di profughi in Albania, Grecia e Macedonia;
• la Nato minaccia di bombardare la Serbia se Milosevic non avesse fermato la pulizia etnica;
• gennaio 1999: strage di civili a Racak da parte dei serbi→ la diplomazia internazionale convoca la conferenza di Rambuillet, che non porta però ad alcuna risoluzione;
• la Nato interviene in Serbia in aiuto dei civili del Kosovo
Infine Milosevic accetta gli accordi di pace del 3 giugno 1999: la Serbia ritira le truppe dal Kosovo e riconosce la presenza di forze Nato nella regione che assicurino il ritorno alla normalità; queste forze però si troveranno a dover proteggere i serbi del Kosovo da una “resa dei conti” da parte degli albanesi.
Anche l’Albania, pur non essendo stata un paese sottoposto al controllo dell’Urss, conosce un periodo problematico: nel 1985, alla morte del capo del regime comunista Hoxha, il paese è al collasso economico, che sfocia in una sommossa contro i comunisti nel dicembre del 1990; alle elezioni democratiche del 1991, però, i comunisti ottengono ancora i due terzi del Parlamento: inizia l’esodo degli albanesi verso l’Italia.
Il governo è dominato dalla presenza del Partito democratico, guidato da Berisha, che favorisce un’economia di mercato in un atmosfera in cui la criminalità e il contrabbando di armi, sigarette e droga proliferano, favorite anche dalla guerra civile nella vicina Iugoslavia. Nelle elezioni del 1996, lo stesso Berisha non rifiuta l’appoggio dei clan mafiosi e, con la fine della guerra civile e conseguentemente del contrabbando, molte aziende entrano in crisi, suscitando la rivolta della popolazione, che investe anche la capitale Tirana. La guida del governo passa così nelle mani di Fino, che deve provvedere alla riconciliazione tra i partiti e deve far fronte alla massiccia emigrazione verso l’Italia. La comunità internazionale organizza una Forza multinazionale di protezione, con il compito di sorvegliare lo svolgimento delle elezioni del 1997, che vedono vittorioso il centro-sinistra, che fa salire al potere Nano; Berisha, pur sconfitto, gode dell’appoggio dei gruppi d’affari locali e degli imprenditori italiano che hanno impiantato attività in Albania.

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