L'Italia fascista

Materie:Riassunto
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Testo

L’Italia fascista

Totalitarismo imperfetto

Organizzazione statale e partitica: nel regime fascista l’organizzazione dello Stato e quella del partito venivano sovrapposti. Il punto di congiunzione era rappresentato dal Gran consiglio del fascismo. Mussolini riuniva in sé il capo del governo e quello del partito ma non dello Stato.
PNF: privato di ogni autonomia politica, la sua funzione fu sempre più quella di occupare la società civile, soprattutto attraverso le sue organizzazioni collaterali, ovvero:
 Opera nazionale dopolavoro (si occupava del tempo libero dei lavoratori, organizzando gite, gare sportive e altre attività creative).
 Comitato olimpico nazionale (Coni)
 Organizzazioni giovanili del partito:
- Fasci giovanili
- Gruppi universitari fascisti (Guf)
- Opera nazionale Balilla (Onb) inquadrava i giovani fra 12-18 anni.
- Figli della lupa (per i bambini sotto i 12 anni).
Chiesa: un primo ostacolo ai propositi totalitari era rappresentato dalla Chiesa. Consapevole di ciò, Mussolini cercò un’intesa politica con il Vaticano, che si conclusero l’11 febbraio 1929 con la stipulazione dei Patti Lateranensi. Questi si articolavano in 3 parti:
1. trattato internazionale: con cui la Santa Sede poneva ufficialmente fine alla questione romana, riconoscendo lo Stato italiano e la sua capitale.
2. convenzione finanziaria: con cui l’Italia si impegnava a pagare al papa una forte indennità a titolo di risarcimento per la perdita dello Stato pontificio.
3. concordato: regolava i rapporti interni fra la Chiesa e il Regno d’Italia. Questo stabiliva che:
• sacerdoti vennero esonerati dal servizio militare,
• il matrimonio religioso avesse effetti civili,
• l’insegnamento della dottrina cattolica fosse alla base dell’istruzione pubblica,
• l’Azione cattolica potesse continuare a svolgere la propria attività, purché fuori da ogni partito politico,
• …
Se il fascismo tratte dai Patti immediati vantaggi politici, fu però il Vaticano a tratte i successi più significativi. La Chiesa acquistò una posizione di privilegio dei rapporti con lo Stato e rafforzò la sua presenza nella società, soprattutto con l’Azione cattolica nel settore delle organizzazioni giovanili.
Plebiscito del ’29: presentandosi come l’artefice della conciliazione, Mussolini consolidò il suo consenso, sancito dal primo plebiscito, con un afflusso quasi del 90% e 98% voti favorevoli.
Monarchia: un altro limite ai propositi totalitari era costituito dalla presenza del re quale massima autorità dello Stato. A lui spettavano poteri molto importanti come:
- il comando supremo delle forze armate.
- La scelta dei senatori.
- Il diritto di nomina e revoca del capo dello governo.

Il regime e il paese

Negli anni del fascismo, nonostante l’aumento della popolazione, dell’urbanizzazione e degli addetti nell’industria, nel commercio, nei servizi e nella pubblica amministrazione, la società italiana restava notevolmente arretrata.
Programma fascista:
a. Fascismo tradizionale: come il nazismo, predicò il ritorno alla campagna e lanciò la parola d’ordine della ruralizzazione.
b. Politica demografica: il regime difese ed esaltò la funzione del matrimonio e della famiglia, come garanzia di stabilità e come base per lo sviluppo demografico. Il regime cercò di incoraggiare l’incremento della popolazione: furono aumentati gli assegni famigliari, favorite le assunzioni dei padri di famiglia, istituiti premi per le famiglie numerose, fu imposta una tassa sui celibi.
c. Organizzazioni femminili: ostacolò il lavoro delle donne e si oppose al processo di emancipazione femminile. Anche le donne ebbero le loro proprie strutture organizzative:
- Fasci femminili,
- Piccole italiane,
- Giovani italiane,
- Massaie rurali.
Si trattava di organismi, la cui funzione principale stava nel valorizzare le virtù domestiche della donna.
d. Utopia dell’”uomo nuovo”: il fascismo era non solo un regime conservatore, ma anche proiettato verso un sistema totalitario moderno, in cui l’intera popolazione fosse inquadrata nelle strutture del regime, sensibile agli appelli del capo e pronta a combattere per la grandezza nazionale.
Consenso dei ceti medi: i maggiori successi, il regime li ottenne presso la media piccola borghesia. Non solo perché si videro aprire nuovi canali di ascesa sociale, ma anche perché erano i più sensibili ai valori esaltati dal fascismo(la nazione, la gerarchia, l’ordine sociale). Il consenso dell’alta borghesia e delle classi popolari fu invece limitato e superficiale.

Cultura, scuola, comunicazione di massa

Scuola: la scuola italiana era stata profondamente ristrutturata, già nel 1923, con la riforma Gentile, la quale cercava di accentuare la severità degli studi e sanciva il primato delle discipline umanistiche su quelle tecniche. Il regime si preoccupò di fascistizzare l’istruzione sia attraverso una più stretta sorveglianza sugli insegnati, sia attraverso il controllo dei libri. Rispetto alla scuola elementare e media, l’università godette di un’autonomia maggiore. Nel 1931 fu imposto a tutti i docenti il giuramento di fedeltà al regime.
Cultura: in generale gli ambienti dell’alta cultura, si allinearono su una posizione di sostanziale adesione al regime. Pirandello, Marconi, Ma scagni, Piacentini e Volpe fecero esplicita professione di fede fascista.
Stampa: tutto il settore della stampa politica, fu sottoposto la controllo del potere, che non si limitava alla semplice censura, ma interveniva anche direttamente sugli articoli. Affidata istituzionalmente al Minculpop (ministero per la Cultura popolare), la sorveglianza sulla stampa era in realtà esercitata personalmente da Mussolini.
Radio: il regime controllava anche le trasmissioni radiofoniche, affidate a un ente di Stato denominato Eiar (progenitore della Rai). La radio si affermò come mezzo di propaganda, e solo negli ultimi anni ’30 entrò nelle case della classe media. attraverso la radio giungevano alle famiglie non solo messaggi politici, ma anche canzonette, servizi sportivi, trasmissioni di varietà: tutti ingredienti essenziali per la nuova cultura di massa.
Cinema: anche il cinema fu oggetto di attenzioni del regime. I cinegiornali d’attualità, prodotti dall’Istituto Luce, e proiettati obbligatoriamente nelle sale cinematografiche all’inizio di ogni spettacolo, costituirono uno dei più importanti mezzi di propaganda del fascismo.

Il fascismo e l’economia. La “battaglia del grano” e “quota 90”

Corporativismo: Il fascismo italiano credette di individuare la sua “terza via” nella formula del corporativismo. In sostanza il corporativismo avrebbe dovuto significare gestione diretta dell’economia da parte delle categorie produttive, organizzate in corporazioni distinte per settori di attività e comprendenti sia gli imprenditori sia i lavoratori dipendenti. Questo sistema non trovò mai vera attuazione.
Fase liberista (1922-25): il fascismo adottò, una linea liberista e produttivista, volta cioè a rilanciare la produzione incoraggiando l’iniziativa privata e allentando i controlli statali. Questa linea provocò però, assieme a un consistente incremento produttivo, un riaccendersi dell’inflazione, un crescente deficit e una forte svalutazione della lira.
Protezionismo di Volpi: Il ministro delle Finanze De Stefani fu sostituito da Giuseppe Volpi, che inaugurò una politica fondata sul protezionismo, sulla deflazione, sulla stabilizzazione monetaria e su un più accentuato intervento statale nell’economia.
Battaglia del Grano: primo importante provvedimento fu l’inasprimento del dazio sui cereali, volta a favorire il settore cerealicolo. Questa fu accompagnata da una campagna detta “battaglia del grano”. Lo scopo della battaglia era il raggiungimento dell’autosufficienza nel settore dei cerali.
Quota 90: la seconda battaglia fu quella per la rivalutazione della lira. Il duce fissò l’obiettivo di quota novanta (90 lire per 1 sterlina). I prezzi interni diminuirono e la lira recuperò il potere d’acquisto perduto. Ma a goderne non furono i lavoratori dipendenti (che si videro tagliare stipendi e salari), o le industrie che lavoravano per l’esportazione, bensì quelle che operavano per il mercato interno (che si videro diminuire il costo del lavoro e poterono giovarsi degli sgravi fiscali concessi dal governo). Tutto questo avvantaggiò soprattutto le grandi imprese e favorì i processi di concentrazione aziendale.

Il fascismo e la grande crisi: “lo Stato-imprenditore”

Grande crisi: l’economia italiana non si era ancora ripresa quando cominciarono a farsi sentire le conseguenze della grandi crisi mondiale. Il commercio con l’estero si ridusse drasticamente. L’agricoltura subì un nuovo duro colpo in tutti i suoi settori a causa del calo delle esportazioni. La disoccupazione nell’industria e nel commercio aumentò bruscamente. La risposta del regime alla crisi si attuò su due direttrici fondamentali:
- lo sviluppo dei lavori pubblici come strumento per rilanciare la produzione
- l’intervento, diretto o indiretto, dello Stato a sostegno dei settori in crisi.
Lavori pubblici: furono realizzate nuove strade e nuove ferrovie. Fu avviato un programma di bonifica integrale che avrebbe dovuto portare al recupero a alla valorizzazione delle terre incolte (come la bonifica dell’Agro Pontino). Furono costruiti villaggi rurali e nuove città (come Sabaudia e Littoria). Tutto rappresentò per il fascismo un successo propagandistico.
Intervento dello Stato: fu nel settore dell’industria e del credito che l’intervento dello Stato assunse le forme più incisive. Colpite dalla crisi erano in particolare le grandi “banche miste” create allo scopo di sostenere gli investimenti nell’industria. Per far fronte alla crisi e salvare le banche dal fallimento, il governo intervenne creando:
- un istituto di credito pubblico IMI (Istituto Mobiliare Italiano) con il compito di sostituire le banche nel sostegno alle industrie in crisi
- IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) dotato di ampie competenze.
L’IRI divenne azionista di maggioranza delle banche in crisi e ne rilevò le partecipazioni industriali.
In questo modo lo Stato italiano controllò una quota dell’apparato industriale e bancario superiore a quella di qualsiasi altro Stato (salvo l’Urss): diventò cioè Stato-imprenditore.
L’intervento statale finiva con il distribuire alla collettività i costi della crisi industriale e bancaria.
È sbagliato parlare di fascistizzazione dell’economia visto che Mussolini non si servì di personale proveniente dal partito ma di tecnici puri.
Economia di guerra: Intorno alla metà degli anni ’30, l’Italia era uscita dalla fase più acuta della crisi, però mancò al regime la capacità di approfittare della ripresa per metter in moto un processo di sviluppo. A partire dal ’35 Mussolini si lanciò in una politica di dispendiose imprese militari. Cominciava per l’Italia una lunga stagione di economia di guerra.

L’imperialismo fascista e l’impresa etiopica

Nel movimento fascista fu sempre presente, una forte componente nazionalista.
Contestazioni trattati di Versailles: fino ai primi anni ’30 le aspirazioni imperiali del fascismo si tradussero, più che in una corrente direttiva di politica estera, in una generica contestazione dell’assetto uscito dei trattati di Versailles, dunque:
- polemica contro le democrazie plutocratiche contrapposte all’Italia proletaria
- richiesta di un nuovo equilibrio mediterraneo più favorevole all’Italia.
Guerra d’Etiopia: l’accordo di Stresa fu la manifestazione più significativa della politica estera fascista. Ma fu anche l’ultima quando Mussolini aggredì l’impero etiopico. Egli intendeva dare uno sfogo alla vocazione imperiale del fascismo, ma anche creare una nuova occasione di mobilitazione popolare che facesse passare in secondo piano i problemi economico-sociali del paese. I governi francese e inglese erano disposti ad assecondare, almeno in parte, le mire italiane. Ma non potevano accettare che uno Stato indipendente, fosse cancellato dalla carta geografica da un atto di aggressione. Né potevano ignorare la forte corrente di opinione pubblica in difesa dell’indipendenza etiopica.
Sanzioni: quando dal 1935 l’Italia diede inizio all’invasione dell’Etiopia, i governi francese e inglese non poterono fare a meno di proporre l’adozione di sanzioni consistenti nel divieto di esportare in Italia merci necessarie all’industria di guerra. Le sanzioni ebbero un’efficacia molto limitata:
sia perché il blocco non era esteso alle materie prime
sia perché non impegnava gli Stati che non facevano parte della Società delle Nazioni, come gli Stati Uniti e la Germania.
Queste decisioni ebbero però l’effetto di approfondire il contrasto fra il regime fascista e le democrazie europee e consentirono a Mussolini di montare un’imponente campagna propagandistica tesa a presentare l’Italia come vittima di una congiura internazionale.
Mobilitazione popolare: Le piazze si riempirono di folle inneggianti a Mussolini e alla guerra. Studenti e attivisti di partito diedero vita a rumorose manifestazioni antiinglesi. Il paese fu percorso da un’andata di imperialismo popolaresco. Ma non mancò neppure il tentativo di assegnare alla guerra scopi umanitari presentandola come una crociata per liberare la popolazione etiopica.
Conclusione della guerra: in realtà gli etiopici si batterono con accanimento per più di 7 mesi, sotto la guida del negus Hailè Selassiè. Il 5 Maggio 1936, le truppe italiane, comandate dal maresciallo Badoglio, entrarono in Addis Abeba.
Da un punto di vista economico, la conquista dell’Etiopia, paese povero di risorse rappresentò per l’Italia un peso non indifferente.
Ma sul piano politico il successo fu indiscutibile. Portando a termine una campagna coloniale vittoriosa, imponendo la propria volontà alle democrazie occidentali. Mussolini diede a molti la sensazione di aver conquistato per l’Italia uno status di grande potenza, in realtà era solo un’illusione.
Subordinazione alla Germania: Mussolini era consapevole di tutto questo, ma credette di allargare l’area di influenza italiana giocando sulla rivalità fra tedeschi e franco-inglesi. In questo gioco doveva rientrare, anche il riavvicinamento dell’Italia alla Germania, sancito dalla firma di un patto l’”Asse Roma-Berlino”. Mussolini considerava l’avvicinamento alla Germania come un mezzo di pressione sulle potenze occidentali, come uno strumento che, le consentisse di lucrare qualche ulteriore vantaggio in campo coloniale. Credendo di potersi servire dell’amicizia tedesca. Il duce ne fu in realtà sempre più condizionato, al punto da dover accettare passivamente tutte le iniziative di Hitler. Finché, nel maggio 1939, si decise la firma di un formale patto di alleanza con la Germania, il Patto d’acciaio, che legava definitivamente le sorti dell’Italia alla Germania.

L’Italia antifascista

Quando il dissesto politico fu proibito anche a termini di legge, un numero crescente di italiani dovette affrontare il carcere, l’esilio o la clandestinità.
1. Liberali: trovarono un punto di riferimento con Benedetto Croce. Grazie ai suoi giornali e alla sua rivista “La Critica”, molti intellettuali ebbero la possibilità di conoscere e mantenere in vita la tradizione dell’idealismo liberale. Attuarono un’opposizione silenziosa.
2. Cattolici: poterono contare su un tacito appoggio della Chiesa.
3. Comunisti: praticarono l’agitazione clandestina in patria ma anche all’estero, erano gli unici preparati all’attività cospiratoria. Avevano anche loro un centro estero con sede a Parigi, ma esso dipendeva dai dirigenti di Mosca. Palmiro Togliatti, il leader che aveva preso il posto di Gramsci, era anche un dirigente di primo piano del Comintern. Le critiche alla linea ufficiale formulate in carcere da leader come Terracini e Gramsci (i quaderni del carcere) rimasero sconosciute.
4. Socialisti, Repubblicani e Liberal-democratici: cercarono di tener in vita la loro attività all’estero, soprattutto in Francia. Nel 1927 questi gruppi si federarono in un’organizzazione unitaria, la Concentrazione antifascista. Essi svolsero un’importante attività propagandistica e fecero sentire la voce dell’Italia antifascista.
5. movimento di “Giustizia e Libertà”: fondato dai fratelli Lussu e Carlo Rosselli. Il GL voleva essere un organismo di lotta sul tipo del Partito d’azione mazziniano, capace di far concorrenza ai comunisti, ma si poneva anche come punto di raccordo fra socialisti, repubblicani e liberali.
Il fallimento del Fronte popolare in Francia, la guerra civile in Spagna, le grandi purghe staliniane, la rottura fra l’Urss e le democrazie occidentali: tutti questi fatti si ripercossero negativamente sull’unità del movimento antifascista italiano.
Per molto tempo gli antifascisti attesero invano un grande sommovimento popolare che abbattesse il regime. Quando infine scoppiò la guerra, si trovarono nella difficile posizione di chi è costretto ad augurarsi la sconfitta del proprio paese. Eppure il movimento antifascista svolse un ruolo di grande importanza politica oltre che morale. Testimoniò l’esistenza di un’Italia che non si piegava al fascismo; rese possibile il sorgere, dopo il ’43, di un movimento di resistenza armata al nazifascismo e anticipò molti tratti della futura Italia democratica.

Apogeo e declino del regime fascista

La vittoriosa campagna contro l’Etiopia segnò, il culmine del successo e della popolarità. Ma, svaniti gli entusiasmi, il distacco fra regime e paese si andò allargando. A suscitare disagio fu:
Politica economica: fu sempre più ispirata a motivi di prestigio nazionale e condizionata dal peso delle spese militari. Mussolini decise di intensificare e di rilanciare la politica dell’autarchia, consistente nella ricerca di una sempre maggiore autosufficienza economica. L’autarchia si tradusse in un’ulteriore stretta protezionistica. I risultati finali non furono brillanti. L’autosufficienza rimase un traguardo irraggiungibile.
Politica estera: attuata da Mussolini e il suo genero Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri. L’aspetto che più inquietava era l’amicizia con la Germania. La nuova politica mussoliniana si mostrava priva di risultati immediati e faceva sembrare più vicina l’eventualità di una nuova guerra europea. Non fu un caso che le uniche manifestazioni di vero entusiasmo si ebbero in coincidenza del ritorno di Mussolini dalla conferenza di Monaco. Ma le aspirazioni alla pace contrastavano con i programmi di Mussolini. Il duce auspicava per l’Italia un avvenire di conquiste e di confronti militari. Egli pensava che gli italiani avrebbero dovuto non solo armarsi ma anche trasformarsi in un popolo di tradizioni guerriere. Per far ciò il regime sarebbe dovuto diventare più totalitario. Di qui scaturirono una serie di modifiche istituzionali come:
- creazione del ministero per la Cultura popolare
- accorpamento delle organizzazioni giovanili nella Gioventù italiana del littorio
- nuova Camera dei fasci e delle corporazioni
- campagna contro l’uso del “lei” considerato servile
- campagna contro l’uso dei termini stranieri
- imposizione della divisa ai funzionari pubblici
- …
Leggi razziali: la manifestazione più seria fu l’introduzione di una serie di leggi discriminatorie nei confronti degli ebrei, che ricalcavano le leggi naziste. Anziché suscitare consenso e mobilitazione, le leggi razziali, suscitarono sconcerto e perplessità nell’opinione pubblica e aprirono anche un serio contrasto con la Chiesa, contraria non tanto alla discriminazione in sé quanto alle sue motivazione biologico-razziali.
Giovani del fascismo: lo sforzo compiuto da Mussolini per fare del regime fascista un totalitarismo perfetto, ottenne risultati mediocri. L’unico settore in cui le aspirazioni ottennero qualche successo di rilievo fu quello giovanile. I ragazzi cresciuti nelle organizzazioni di regime, si abituarono a pensare fascista.
Fallimento del regime: fu solo con lo scoppio della guerra che il fascismo cominciò a perdere il sostegno dei giovani. I quali vissero il drammatico fallimento del regime che, avendo puntato tutto sulla politica di potenza, si dimostrò poi incapace di preparare sul serio la guerra.

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