L'inghilterra nel secolo vittoriano: appunto di storia

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Testo

Città vittoriane
“Gli inglesi sono oggi animali di città fino al midollo, e questa è la conseguenza inevitabile dell’industrializzazione. Eppure non sanno come si costruisce una città, come la si progetta, come ci si vive” (D.H. Lawrence)
L’epoca vittoriana corrisponde esattamente al regno della regina Vittoria, cioè dal 1837 in poi, tra l’avvento della ferrovia e la nascita dell’automobile. Gli inglesi cominciano ad occuparsi delle città tra la fine degli anni ’30 e l’inizio degli anni ’40, quando i problemi urbani diventano urgenti, animati da 2 sentimenti contrastanti: attrazione e orrore.
“La città e la ferrovia sono i simboli di una democrazia in grado di distruggere per sempre il feudalesimo” (dott. Arnold)
La ferrovia collega tra loro le città e favorisce la concentrazione della popolazione urbana.
Le città di cui si parla sono le città dell’era della ferrovia e del tram. I tram furono di straordinaria importanza per decongestionare il centro delle città promuovendo la migrazione dei lavoratori verso i sobborghi. Sono le città di una società che si muove verso una maggiore democrazia.
Le città vittoriane erano comunque il prodotto casuale (cioè non pianificato) di un’economia a gestione privata in sviluppo all’interno di una tradizionale e antiquata. Loro caratteristica più saliente: la rete sotterranea di tubature e fogne, che è una delle opere tecniche e sociali più importanti dell’epoca. All’interno delle città le condizioni di vita erano comunque spaventose: assenza di luoghi ameni, spietata degradazione dell’ambiente naturale. L’incremento demografico e l’espansione industriale portarono ad un sovraffollamento nelle città.
L’individualismo economico dell’industrializzazione mal si conciliava con i fini civici (migliori condizioni di vita per tutti). L’edilizia era nelle mani di piccoli speculatori di limitate risorse e soltanto all’inizio degli anni ’80 le condizioni igienico - sanitarie delle parti più povere della città (slums) cominciarono a migliorare. La città offriva profitti immediati all’imprenditore e nessuno si rendeva conto, o voleva rendersi conto, che questo implicava elevati costi sociali. La legislazione vittoriana, quando si scontrava con i diritti di proprietà privata, diveniva controversa e di difficilissima applicazione. Per tutta l’età vittoriana l’argomento più efficace in favore della riforma igienico – sanitaria fu che alla lunga avrebbe fatto risparmiare denaro invece che sprecarlo.
Le città furono luoghi dove spesso i problemi opprimevano la gente. Nelle ultime fasi del regno della regina Vittoria (ultimi 25 anni) si sviluppò un movimento operaio, diminuirono le ore lavorative, crebbero gli investimenti sociali, si tentò di pianificare lo sviluppo urbano, migliorarono le capacità di medici ed ingegneri e vi fu un enorme sviluppo dell’edilizia pubblica. Nonostante tutto ciò, la città rimase un coarcevo di problemi. Se la metà dell’abilità tecnica usata nell’industria fosse stata applicata alle città vittoriane la loro realtà sarebbe stata ben diversa.
Accentuata la forte disparità della condizione urbana: nella “city”: mercato coperto, commerci, imponente palazzo municipale, chiesa restaurata, gruppo di banche, teatri, bar, ecc.; poi venivano quelli che Engels definì “territori separati, assegnati alla miseria”, cioè i territori della classe operaia, degli ex contadini inurbati. La storia delle città vittoriane nel XIX secolo è la storia dello sviluppo di separate culture provinciali, che durante gli ultimi 10 anni del regno vennero sempre più “nazionalizzate”.
A livello di stile i tardo – vittoriani echeggiarono indiscriminatamente i vecchi stili, affinando il gotico alle chiese e motivi classici o rinascimentali agli edifici pubblici: eclettismo. Amavano il simbolismo: edifici imponenti, che avessero delle pretese. Si davano gran pena per educare la gente al buon gusto, proprio perché vivevano in un’epoca che ne aveva dimenticato le regole. Nelle ville si esprimeva l’individualismo e la ricerca dello status sociale. Banche e negozi si facevano sempre più decorati: era il trionfo dei nuovi ricchi imprenditori.
La cultura della mente restò anch’essa poco specializzata. Lo spazio per dibattere le idee anche nel campo nuovo delle scienze sociali fu trovato soprattutto in centri assai piccoli, come coventry e leeds. I londinesi spesso ignoravano la vita di provincia nelle sue espressioni migliori; sapevano però che la capitale guadagnava in popolazione mentre perdeva in prestigio, per tutta la prima metà del regno. Quando nel 1875, per effetto della legge per la salute pubblica, si cominciò a costruire lo stesso tipo di abitazioni operaie, nello stesso tipo di sobborghi, rispettando le stesse norme di costruzione, le città cominciarono a rassomigliarsi di più, e parallelamente, negli anni ’90, l’influenza di Londra si rafforzò. I giornali locali persero terreno rispetto a quelli nazionali. Le tendenze politiche ed economiche cominciarono a dipendere meno dalle forze locali, si diffuse ed aumentò la pubblicità nazionale.
L’epoca vittoriana è un’epoca di grandi città, accompagnata da due sentimenti contrastanti e quindi da un atteggiamento ambivalente: da una parte l’orgoglio, dall’altra la preoccupazione generata soprattutto dalla paura del numero, dalle masse anonime, sradicate e turbolente. Era soprattutto paura delle nuove città industriali. Nel 1837, all’inizio del regno, vi erano cinque località con più di 100.000 abitanti, nel 1891, erano salite a 23. In Scozia Glasgow attraeva la popolazione più ancora di Londra in Inghilterra: si passò dall’8,6 % del 1801 al 19,4 % del 1891.
La paura della città aveva le radici nella paura dell’ignoto. Gli “affollati alveari” oltre che affollati erano misteriosi perfino per molti che ci vivevano. L’immaginazione romantica stimolò scrittori popolari come Reynolds a descrivere in modo sinistro “il lazzaretto, la prigione, il bordello, il vicolo oscuro… Rigurgitanti malvagità di ogni genere.”. Il fascino-repulsione della città veniva identificato con il male, mentre la tranquilla vita di campagna rappresentava il bene. Città industriali, come Bradford, venivano paragonate alle piantagioni coloniali: stesse condizioni di vita. Nelle città non c’erano “radici” che dessero una precisa collocazione sociale all’individuo, che così faceva parte di una massa anonima incontrollabile. Nel 1851, al momento del censimento religioso, secondo i calcoli di Horace Man, esperto di statistica, meno di una persona su dieci andò in chiesa a Birmingham come a Liverpool, Manchester, Sheffield, Newcastle.
Man mano che le città crescevano si accentuava la separazione tra quartieri borghesi e quartieri operai. Si formarono come due nazioni che non comunicano fra di loro anche se abitano “la stessa piccola isola”. La paura razionale della città aveva due fonti: una era la minaccia alla religione, l’altra alla politica del rispetto, e quindi all’influenza personale. Quando i conflitti sociali degli anni ’40 cedettero il passo ai compromessi degli anni ’50-’60 le città continuarono ad essere considerate dei centri di idee estremiste. I “tories” (proprietari terrieri) odiavano città e consigli municipali. Negli anni ’80 quest’odio si mischiò alla paura del caucus, assemblea di capi di partito che decideva la politica da seguire. Il “Times” asserì che “fabbricava l’opinione pubblica fomentando agitazioni locali e nazionali”. Birmingham fu identificata con esso.
Nel 1867, a metà dell’era vittoriana, scoppiarono disordini a Londra e rinacque la paura ottocentesca della folla. Nel 1880, con le dimostrazioni di Trafalgar square, questa paura diventa paura dei mostruosi tumulti legati al progresso del socialismo. La regina Vittoria lo considerò “un momentaneo trionfo del socialismo e una vergogna per la capitale”. I sostenitori delle città, come Chamberlain, attaccavano invece la campagna passiva, monotona, oziosa. Contrapponevano la libertà e l’iniziativa della città al feudalesimo rurale. Per essi le città erano responsabili della spinta legislativa liberale e del progresso del Paese. Le città industriali inglesi appaiono senza uguali nella storia del mondo. Tocqueville sosteneva che a Manchester l’umanità raggiungeva il suo sviluppo più completo e nello stesso tempo più brutale. La concentrazione della popolazione costringeva il governo a occuparsi di abusi sociali mai discussi prima, come l’igiene pubblica. In città tutto divenne oggetto di discussione, e il movimento in città si rifletté nelle campagne. Il dibattito sulla città vittoriana fu un dibattito all’interno della città stessa, tra fieri difensori e critici spaventati; ma anche i difensori, anche gli uomini d’affare inglesi, non desideravano che stabilirsi degnamente in campagna.
La città è un luogo creato dall’uomo, e ci si va per fare fortuna o per guadagnarsi da vivere. La campagna è un luogo creato da Dio e ci si va per vivere: la migliore società e perfino i bottegai aspiravano ad una villetta in campagna. Nel 1849 Buckingham elaborò e pubblicò il modello della città ideale chiamata Victoria, che doveva garantire “comodità e benessere a tutte le classi”, con una grande piazza centrale sormontata da una torre capace d’illuminare tutta la città, con appartamenti ad ogni piano… Non fu mai attuata. La bruttezza delle città scioccava la gente e gli scrittori: Gorge Eliot scrisse che “è difficile mantenere la propria fede in un millennio che portava a questo tipo di civiltà moderna”. John Ruskin descrive Londra nel 1865 come “grande, sporca, rumorosa, fetente… Un orrendo mucchio di mattoni in fermentazione”. Ma già nel 1881 Henry James scrive che pur non essendo un luogo “né gradevole né piacevole, Londra era semplicemente magnifica; il più grande compendio del mondo”.
Il dibattito sulle città era internazionale. L’australia, la più urbanizzata di tutte le terre, aveva il mito delle terre vergini. Negli Stati Uniti vi era il mito del ragazzo di campagna. Gli immigrati affrontavano la città attraverso lo slum, o quartiere periferico, ed essendo a contatto con la corruzione esaltavano i vecchi valori rurali. Era più comodo denunciare la città che trasformala. Il paradosso di base era che la comunicazione dei valori rurali si basava su strumenti urbani; esempio: in Australia era il settimanale “Bulletin” che trasformava il ragazzo di campagna in eroe. La città veniva addirittura vista come luogo-conseguenza della caduta, in seguito al peccato di Adamo ed Eva. Lo scrittore americano Mayo rilevò invece l’aspetto più positivo: le città europee strapparono la libertà politica dalle mani dei grandi feudatari.
In America i feudatari erano i boss delle città. Negli USA, fra il 1880 e il 1890, si verificò la “rivoluzione urbana”, che fece sì che gli americani si ponessero le stesse domande degli inglesi negli anni ’40: “che faremo delle nostre grandi città? Che faranno di noi le grandi città?”. Gli americani si rendevano conto che la crescita urbana smisurata era un movimento universale. Josiah Strong proclamò: “dobbiamo affrontare l’inevitabile, la nuova civiltà non può che essere urbana, e il problema del ventesimo secolo sarà la città”. Vedendo New York per la prima volta, Charles Dickens scrisse: “la corruzione generale in materia di fondi locali appare stupefacente”. Oscar Wilde, nel 1882, scrisse che “tutti gli abitanti sembrano andare di fretta per prendere il treno”. Gorge Beard, nello stesso anno, conia il termine nevrastenia, per definire la malattia delle strade rumorose e affollate.
Gli inglesi e le loro convinzioni religiose proibivano l’ammirazione per lo stile di vita domenicale delle città europee continentali: caffées all’aperto, passeggiate al crepuscolo,… Durante gli ultimi anni del secolo, è nella Londra “fin de siècle” che ci si rese conto che l’urbanizzazione era stata il fenomeno dominante ovunque negli ultimi quarant’anni: Parigi come Londra aveva raddoppiato la popolazione tra il 1851 e il 1891. Quel che dominava la società vittoriana era proprio il fatto che la popolazione viveva in città o sceglieva di non viverci.
Dalla provincia arrivavano comunque lagnanze sul fatto che lo stile di vita dei londinesi aveva la supremazia, e inoltre essi si disinteressavano totalmente della provincia. Ciò non di meno, gli abitanti delle grandi città di provincia contribuivano spesso a farsi dimenticare, distruggendo ad esempio i documenti . Le vecchie città non erano un gruppo omogeneo. Alcune erano state centri industriali. Decadendo la loro industria principale, decadeva la città intera. Altre, come Lincoln, da secoli capitale di Contea, erano sprofondate nel torpore “con le campane che suonano, gli orologi che battono, gli uomini che devono, le donne che chiacchierano, i bambini che ballano… Eternamente”, come scrisse un diarista. Progredire era dovunque in ogni caso la parola d’ordine. Spesso, come a Newcastle e Nottingham, il vecchio e il nuovo coesistevano, fornendo due diversi motivi di orgoglio locale: la tradizione e lo spirito di progresso dell’epoca.
In qualsiasi città “tutte le zone abitate dalle classi lavoratrici costituiscono un’unica enorme violazione della legge” (parere di un membro della commissione governativa). Sulle vecchie città valgono tre considerazioni generali:
1. la riforma degli organismi municipali nel 1835 ebbe risultati diversi. In alcune città fu una rivoluzione, in altre apportò scarsi cambiamenti.
2. nelle vecchie città i problemi urgenti igienico-sanitari, edilizi e di ordine pubblico erano altrettanto gravi che altrove.
3. il fallimento nell’adattarsi con successo all’età vittoriana non fu spesso una sconfitta definitiva. Molte vecchie città ebbero poi una rinascita economico-politica nel ventesimo secolo, in seguito alla nascita di nuove industrie o di nuove università.
Di certo, la legge whig per la riforma municipale del 1835 fu un vento innovatore per ogni città e un fiero attacco contro “l’aristocrazia ibrida e scalcinata che dominava le città”. Scatenò la lotta tra tories e liberali. I whigs progettavano azioni concertate tra città e città nel caso che la camera dei lord avesse respinto la proposta di legge e anche i difensori dei vecchi ordinamenti tentarono di coalizzarsi. Significativo è che uno dei primi atti del consiglio municipale appena eletto a Leichester, con soltanto 16 uomini di chiesa su 56 membri, fu di vendere i simboli dell’antico orgoglio municipale. L’aspro dibattito tra le due fazioni radicali dimostra che nelle vecchie città come nelle nuove, i problemi economici occupavano un posto centrale. “I consiglieri municipali sono eletti da piccoli contribuenti e sono personaggi avidi che non hanno voglia di cooperare all’abolizione di abusi e di altri mali”: questo quando i membri di una commissione tory cercarono di migliorare le forniture idriche della città. Il consiglio, a maggioranza whig, li contrastò.
Ci volle la scossa del colera, nelle vecchie città per risvegliare l’opinione pubblica. Il colera colpì i settori più poveri della popolazione. Secondo il dottor Snow “la durata del colera è direttamente proporzionale al numero degli abitanti, dura due o tre settimane in un villaggio, più di un anno in una grande città”. Malgrado il consiglio municipale si rendesse conto dell’influenza che ha sulla salute pubblica un sistema insufficiente di fognature era contrario alla spesa pubblica, e non approvavano misure efficaci per il bene pubblico. Soltanto l’intervento governativo poté obbligarli a prendere misure per migliorare le condizioni della salute pubblica.
Tuttavia il riconoscere che esistevano problemi comuni aveva dato il via ad un processo di uniformazione. I visitatori notavano l’incidenza della prostituzione nelle vecchie città come nelle nuove. Uguali lagnanze per l’indifferenza religiosa. Durante le lotte per la riforma elettorale del 1830, i tumulti scoppiarono ovunque, anzi, furono assai maggiori nelle vecchie città. In un paese come l’Inghilterra il passato non venne mai cancellato, ma rimase fonte di valori. Anzi, alcune tra le nuove città si gloriavano più della loro remota origine medievale che delle conquiste del progresso economico. Accanto al sogno vittoriano di una città futura ideale coesisteva l’interesse per le città del passato. Molti avevano un attaccamento speciale per Oxford, che secondo Tocqueville dava l’idea più chiara delle città feudali del medioevo. Le sue fantastiche guglie venivano romanticamente contrapposte alle ciminiere di Manchester, la sua pace al frastuono di Birmingham o di Londra; i suoi edifici erano copiati perfino negli USA.
Nessuno previde che nel ventesimo secolo Oxford sarebbe stata trasformata dall’automobile altrettanto radicalmente di quanto la ferrovia aveva trasformato la città settecentesca. L’automobile era destinata a distruggere il modello vittoriano di città. Fu negli USA che infatti sorsero le vere città nuove del mondo. A New York era l’elettricità, l’”onnipresenza dell’elettricità” che colpiva la maggioranza dei visitatori inglesi. Ma: se nel 1850 gli inglesi avevano due facce: una che guardava indietro e l’altra avanti, nel 1890 gli statunitensi non erano diversi. Wells, che aborriva i vittoriani quanto le città vittoriane, in visita a New York nei primi anni del 1900 affermò: “questa è la via per la quale il futuro deve andare”. Nel giudizio di Wells c’è almeno tanta precipitazione quanto c’è di ambivalenza nella storia stessa dei vittoriani.
Londra città universale
La rapida espansione di Londra, sia come area che come popolazione, era di per sé affascinante perché sembrava non obbedire a nessuna legge conosciuta. L’industrialismo di per se stesso non offriva una spiegazione adeguata. Nella prima parte del secolo 19esimo, anzi, Londra decade rispetto alle province, quanto ad importanza industriale, mentre trionfa Manchester. Londra manteneva la supremazia nel commercio, come porto e deposito merci: i suoi magazzini possono contenere 200.000 t di merci. Inoltre impiegava sempre più persone nell’amministrazione (settore terziario). All’inizio degli anni ’60 aveva 3.000.000 di abitanti, vent’anni dopo 4.500.000. L’espansione però era soltanto il primo dei temi che affascinavano i contemporanei.
La miseria, era il problema dei problemi. Il generale Booth comparò l’Africa nera alla Londra nera con i suoi diseredati. In base alle sue statistiche il 30% della popolazione viveva in povertà e il dato era valido anche a livello nazionale. Booth sperava che evidenziare il problema della povertà nel bel mezzo della ricchezza avrebbe turbato il cuore di tante persone. Parlando del East End di Londra lo definì “una vasta regione inesplorata come Timbuctù” ed altri aggiungevano che si trattava di un orrendo intreccio di tuguri in cui strisciavano esseri umani spettinati, ognuno dei quali aveva un occhio nero. Anche il grande scienziato T.H. Huxley scrisse che “il selvaggio polinesiano, nella sua condizione più primitiva, non era nemmeno la metà selvaggio, sporco e irrecuperabile come l’inquilino di un casamento dell’East London”.
Tuttavia, uno dei collaboratori di Booth, scrisse elogiando il contagio del numero, del senso di vita, delle strade piene di luci che rendevano diverso il sabato sera della città da una strada di campagna buia e fangosa, senza neppure una luce e con niente da fare. Era ovvio che la gente si facesse abbagliare dalla città, anche se a caro prezzo. I viaggi internazionali si stavano diffondendo, sorgeva il giornalismo a diffusione di massa. Due giubilei (50esimo e 60esimo anniversario del regno) attrassero un gran numero di stranieri che videro Londra come capitale di un impero. Un americano la definì “metropoli universale”. È celebre l’osservazione di Will Crooks sul sole che mai tramonta sull’impero e mai sorge sui vicoli bui della East London, perché essa collega la preoccupazione per la miseria alla consapevolezza della potenza imperiale.
La rete ferroviaria era tutta incentrata su Londra. Ma anche qui c’era una ambivalenza: la cotruzione della “victoria station” significò l’espulsione di molta gente dalle proprie case. Sia in tempi buoni che in quelli di crisi economica, a seconda delle fluttuazioni del commercio internazionale, vi erano sovente agitazioni rivendicative. Famoso il grande sciopero dei docks, la più grande impresa londinese che nel 1889 si concluse vittoriosamente con un migliore salario. L’internazionalismo di Londra era evidente anche nella sua popolazione: vi erano a Londra più irlandesi che a Dublino, più cattolici che a Roma, più ebrei che in Palestina. L’insieme della popolazione era inoltre giovane.
Nessun governo, tuttavia, aveva osato affrontare sistematicamente i problemi della città. Una commissione reale nominata per occuparsi in specifico di Londra si pronunciò contro un unico nuovo organismo elettivo per l’amministrazione della città, sostenendo che su di un’area urbana così vasta, in cui ognuno conosce solo gente del suo quartiere, sarebbe stato impossibile per un governo municipale agire per una reale comunanza di interessi. Così, come sottolineavano indignati i riformatori, alla più grande città stato del mondo furono negati, anche dopo la riforma, i poteri amministrativi del più piccolo municipio inglese. Infine, nel 1888, ad opera di un governo conservatore, fu creato il London county council: l’elezione diretta di 118 consiglieri diede finalmente voce all’opinione pubblica. Tuttavia non risolse il problema di fondo del rapporto tra le parti costitutive di Londra e il tutto: erano state infatti create 28 municipalità metropolitane, ognuna col proprio sindaco e il proprio consiglio. Si scatenò un grande dibattito su giornali britannici e stranieri a proposito dei 28 borghi di Londra, e si disse che la legge che li istituì avrebbe creato non una Londra, ma 28 Birmingham. In ogni caso ciò che succedeva a Londra faceva discutere ed emozionava tutto il mondo.
Così come il problema del sindacato: gli uomini, sul lavoro, non parlavano d’altro, e questo si diffondeva come per contagio. Il malcontento economico culminò negli anni ’80 nei tumulti di Hide Park: 120.000 persone manifestarono per la riforma e nei tumulti di Trafalgar square: qui si trattava di disoccupati che alimentarono molta animosità contro i ricchi ed i privilegiati di Londra. Il “lunedì di sangue” dell’8 Febbraio ’86 fece affluire in 48 ore circa 80.000 sterline per il soccorso ai disoccupati. In ogni parte della nazione si riconosceva che la politica di Londra contava; i socialisti sognavano di trasformare Londra in un grande comune e i cristiano-socialisti ne subirono il contagio. La costituzione del London county council va vista su questa base: i conservatori che erano al governo, critici del county council che loro stessi avevano voluto, temevano infatti che il leader del partito dominante all’interno del council sarebbe potuto diventare più potente di qualsiasi premier e di qualsiasi monarca. In effetti il county council spese i primi anni di attività nel cercare di strappare al governo centrale ulteriori poteri. L maggioranza progressista che guidò la politica di Londra fino al 1907 era, secondo i suoi oppositori, formata da rossi, sfaccendati ed eccentrici. La decisione presa dai conservatori di creare 28 consigli municipali come contrappeso alla potenza del county council si fondava sulla loro paura del “carattere radicale di Londra”.
I due romanzieri, peraltro amici, che si occuparono delle condizioni sociali della capitale furono Gissing e Wells. Per Gissing, i simboli del progresso potevano subitamente mutarsi in simboli di decadenza. L’odore della corruzione impregnava tutto e anche gli artisti diventavano alienati. Le pubblicità dilatarono le dimensioni della sua paura. Chiamava bestia la folla, diffidava di ogni teoria sulle classi sociali e pur essendo stato socialista non aveva fiducia nell’attuazione delle utopie socialiste. Nel suo romanzo migliore, l’eroe, è un impiegato che viene abbandonato dalla moglie, la quale “non riesce a sopportare d’essere sposata ad un uomo che viene pagato un tanto la settimana”. Il romanzo è anche il primo che descrive l’inizio della “comunicazione di massa”: il giornalismo. Verso la fine dell’800 la rivoluzione delle comunicazioni aveva il suo centro più solido a Londra e tutti i movimenti di avanguardia si rifacevano alla sua vita cittadina. Oscar Wilde notò che “Shakespeare non scrisse che versi scadenti prima di venire a Londra, e non produsse più una riga dopo averla lasciata”.
La ferrovia e il telegrafo hanno stabilito una rapidità di circolazione di persone e di idee che hanno liberato la società rurale dalla sua stagnazione, così come i giornali di Londra sono diventati meno esclusivamente metropolitani e quelli di contea meno esclusivamente provinciali. Di certo sappiamo che alla fine dell’Inghilterra vittoriana Londra era in ascesa. Analizzando l’albo d’onore inglese, su 824 nomi, 235 sono di londinesi di nascita.
Melbourne
Melbourne è uno straordinario prodotto dell’iniziativa vittoriana. Come molti altri luoghi dell’impero tipo Bombay e Calcutta, da umili inizi ascende a grande città. Dapprima fu occupata, nel 1835, da liberi coloni bianchi e fu chiamata Melbourne dal nome del premier inglese. La sua semplicissima pianta a reticolo offriva la maniera più rapida per l’espandersi del territorio e questo permise enormi speculazioni sul valore del terreno. L’invasione europea aumentava di ritmo, la città in tre anni raddoppiò la popolazione. Negli anni ’80, al culmine del boom, i piccoli lotti di terreno costavano più che a Londra.
Melbourne era la città principale dello stato di Victoria, proclamato indipendente nel 1850. Melbourne aveva allora 23.000 abitanti. A fine regno sarà una grande città con più di 500.000 abitanti, governata in 30 distinti municipi. Fu detta “la Parigi degli antipodi” e il suo sviluppo “senza paragoni negli annuali del mondo”. Come Londra, era un centro commerciale e da tutto lo stato di Victoria la gente ci andava per fare affari e per svagarsi. Era una metropoli molto inglese. Al centro negozi e banche e un Theatre Royal dove si poteva assistere “all’opera italiana in uno stile degno della metropoli inglese”. Anche il rapido sviluppo suburbano ricordava molto l’Inghilterra e fin dall’inizio nei sobborghi si costruivano “ville comode ed eleganti”.L’ideale degli abitanti più ricchi era “rus in urbe” (campagna nella città).
Vi erano però anche enormi tendopoli lungo il fiume dove si accampavano gli immigrati più poveri. Erano sobborghi comunque molto diversi da quelli di Londra perché la natura dei luoghi determinava il fenomeno della bassa densità di popolazione. C’era un’accentuata preferenza per case separate l’una dall’altra. Questo aspetto creò, a lungo andare, molti problemi di costi nei trasporti, per gli scarichi, l’illuminazione, la costruzione e la manutenzione di strade. Già nel 1850 questi erano i principali problemi. Furono costruite parecchie ferrovie, tra cui la più antica d’Australia. Nel frattempo, una delle caratteristiche di Melbourne, restò il sistema degli omnibus a cavallo. Una sorgente di acqua buona fu uno dei segreti del primo espandersi di Melbourne, ma già nel 1840 l’acqua scarseggiava e chi aveva l’appalto della distribuzione dell’acqua in città faceva enormi profitti.
Per Melbourne, come per le altre città, il primo cambiamento di fondo fu il rapido passaggio da insediamento primitivo a grande città. Ma dal boom degli anni ’80 Melbourne passò a città depressa negli anni ’90, e questo implicò in un brevissimo lasso di tempo cambiamenti di costume e di comportamento che ne cambiarono per sempre l’atmosfera. Un poeta locale scrisse: la sua gente è sempre agli estremi, o nell’incubo o in sogni d’oro. Le origini del boom erano complesse: miniere d’oro, grande sviluppo commerciale e finanziario, fiorire dell’agricoltura e dell’industria. I suoi abitanti uniscono al puritanesimo l’intraprendenza e l’autoritarismo. Negli anni ’80 la città organizzò un enorme esposizione internazionale che dette alla città grande prestigio. Gli osservatori stranieri definiscono Melbourne una città di tipo americano, piena di movimento, di progresso, consapevole della sua potenza.
Ma come in Inghilterra le principali controversie nelle municipalità riguardavano le imposte. L’opinione pubblica non voleva la tassa per le fognature. Finalmente, nel 1898, la rete fognaria fu completata, ma ancora negli anni ‘90gli umoristi parlavano della “magnifica smellbourne”. Essa era comunque la città fenomeno dell’Australia, al cui confronto Sidney era un buco sonnolento. Lo stile stesso degli edifici era quanto di più ricco ed eclettico si potesse immaginare. Anche nelle case operaie non mancavano decorazioni interne ed esterne, soprattutto in ferro battuto. Quando al boom seguì la depressione degli anni ’90, lo stile ridivenne così essenziale da far sembrare che fossero trascorsi molti più anni.
Dietro molte operazioni finanziarie ci furono grandi frodi che vennero allo scoperto; seguirono fallimenti a catena e molti finirono in tribunale. Il capitale inglese cessò di affluire nello stato di Victoria e al crollo delle società che speculavano sui terreni fece seguito il crollo delle banche. L’espansione di Melbourne cessò, mentre Sidney continuò a progredire. Melbourne sembrava allora vecchia e deprimente e fu chiamata “la più inglese delle città australiane”. Le sue istituzioni, nate da intraprendenza e audacia, sembravano ormai conservatrici e rigide. Alla fine fu Sidney, la vecchia capitale coloniale, a essere definita “americanizzata”.
Certo va riconosciuto che Melbourne appariva diversa rispetto all’Inghilterra per vari motivi, di cui possiamo trovare ampia testimonianza sul famoso giornale “Le Bulletin”:
• Interesse generale e vivace per gli sport fra tutti gli strati della popolazione
• I giovani erano sprezzanti dell’autorità proprio come i mitici “ragazzi di campagna” e non temevano di affollare i tribunali per sostenere gli amici sotto processo, non avendo paura della polizia.
• I caffé concerto erano numerosissimi e vi si cantavano le ballate del ragazzo di campagna, con i loro valori rurali: rudezza, spontanea praticità, disprezzo per l’autoritarismo, lealtà per i compagni, scarso rispetto per le gerarchie sociali
In effetti, gli operai stessi di Melbourne avevano un tenore di vita molto più dignitoso che non quelli di Londra e lo sviluppo di Melbourne, al di là della repentina decadenza che ne seguì, fu una delle più grandi imprese economiche australiane.

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