L'assolutismo di Luigi XIV in Francia

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L’ASSOLUTISMO DI LUIGI XIV IN FRANCIA
Luigi XIV realizzò la più alta concentrazione di potere nella mani della monarchia, ribadendo l’origine divina della sua autorità e della sua funzione. Lo stato e il re finirono identificarsi e quest’ultimo assunse su di sé la piena responsabilità del governo, aiutato solo da un ristretto consiglio.
La politica assolutistica di Luigi XIV vedeva nella formazione di un ceto di funzionari e di burocratici (intendenti) fedeli alla corona uno strumento decisivo, grazie al quale impiantare uno stato politico e amministrativo di tipo centralistico, limitando con ciò i poteri dei parlamenti locali.
Tra i consiglieri della corona emerse la figura di J.B.Colbert, controllore generale delle finanze, che fu il più lucido assertore della dottrina e della politica mercantilistica. Gli obbiettivi principali di Colbert furono: riduzione delle importazioni e sviluppo dell’industria nazionale; difesa della produzione francese attraverso barriere daziarie con l’esterno e unificazione doganale del mercato interno; razionalizzazione del sistema fiscale attraverso l’aumento delle imposte indirette e il controllo sugli appaltatori. Nonostante questo sforzo riformatore il pareggio del bilancio non fu raggiunto e il deficit continuò a crescere.
Dal punto di vista dell simbologia del potere la corte di Versailles, eretta vicino a Parigi con costi di costruzione e mantenimento elevatissimi, rappresentò il cuore dell’assolutismo, il luogo da cui il re sole vegliava sulla nazione e proteggeva artisti e intellettuali nelle accademie di fondazione regia. Accanto al re viveva una vasta nobiltà di corte che, accettando di venire integrata nella sfarzosa vita di Versailles, finiva però per perdere la sua autonomia politica.
Luigi XIV, contravvenendo allo spirito tollerante dell’editto di Nantes, che fu revocato nel 1685, individuò nell’uniformità religiosa uno dei più saldi collanti della nazione francese e operò di conseguenza per imporre il cattolicesimo gallicano, che vedeva la chiesa sottomessa alla suprema autorità regia, e per estirpare il giansenismo e il calvinismo ugonotto.
La politica estera di Luigi XIV mirò a restituire alla Francia il ruolo di grande potenza europea, garantendole allo stesso tempo l’integrità territoriale, la piena egemonia continentale e un ruolo di rilievo in ambito coloniale. Gli strumenti di questa politica di potenza furono l’esercito, che fu enormemente rafforzato, la marina da guerra e un abile e capace corpo diplomatico.
LA GLORIOUS REVOLUTION. MONARCHIA E PARLAMENTO IN INGHILTERRA
Dopo l’esecuzione di Carlo I Stuard, l’Inghilterra si era trasformata in una repubblica, dominata dlla figura del leader rivoluzionario O. Cromwell. La stagione cromwelliana si caratterizzò per un accentuato autoritarismo, rivolto contro ogni forma di opposizione, sia quella radicale e ultrademocratica dei livellatori, sia quella a carattere nazionalista degli scozzesi e degli irlandesi. Anche il parlamento cadde vittima di C. , che nel 1653 giunse a scioglierlo; C. assunse la carica di lord Protettore e conquistò il consenso dei ceti più dinamici della società inglese, di cui tutelò gli interessi economici attraverso lo smantellamento dei residui feudali e il sostegno militare alle loro ambizioni espansionistiche.
La dittatura di C. aveva contribuito a una profonda e traumatica ridefinizione degli assetti sociali, politici ed economici dell’Inghilterra. Alla sua morte, le forze moderate ripresero l’iniziativa, restaurando il Lungo parlamento che aveva condotto la rivoluzione antimonarchica, e che era stato in seguito esautorato, e indicendo nuove elezioni, che assegnarono la maggioranza alle forze filomonarchiche. Carlo II Stuard, figlio del re giustiziato, venne reintegrato nella sua carica, dopo aver riconosciuto l’autorità parlamentare.
La restaurazione monarchica non significò affatto la cancellazione del parlamento, che rimase l’istituzione centrale della società inglese. In politica estera la corona proseguì nella linea mercantilistica tracciata di Cromwell. Durante il regno Carlo II fu promulgato l’Habeas corpus, una legge dal chiaro significato antiassolutistico che vietava alle guardie del re di trattenere a lungo un cittadino senza averlo sottoposto a regolare processo.
Negli ultimi anni del regno di Carlo II i rapporti tra Corona e parlamento si fecero nuovamente tesi, quando il re impresse una svolta assolutistica alla sua politica, ulteriormente rafforzata dal successore Giacomo II, cattolico e filofrancese. Il ruolo del re nel sistema politico e istituzionale divideva lo schieramento parlamentare: i tories sostenevano una Corona forte e autorevole, mentre i whigs difendevano il primato del parlamento. Di fronte al pericolo di una restaurazione assolutistica incarnato da Giacomo II, i due schieramenti però seppero superare le divisioni, cacciarono Giacomo II e chiamarono il protestante Guglielmo d’Orange, campione della lotta antiassolutista olandese e marito di Maria Stuart, che salì al trono nel 1689.
I nuovi rapporti tra Corona e parlamento vennero ufficialmente sanciti dalla Dichiarazione dei diritti, che precisava i principi della Glorious Revolution del 1689 e la natura di una monarchia costituzionale che non aveva precedenti nella storia europea e che avrebbe assunto nel corso degli anni le forme di una monarchia parlamentare.
Nella seconda metà del Seicento l’Olanda conobbe un generale riflusso delle attività commerciali e del peso politico-economico, minacciato dalle potenze francesi e inglesi.

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